PER RIPRENDERCI LA NOSTRA DIGNITA'

venerdì 20 maggio 2011

20 MAGGIO: RASSEGNA STAMPA

Elezioni amministrative 2011: lo schiaffo sì, ma a chi?

I dati sono ufficiali e ufficiale è la battuta d’arresto che queste elezioni amministrative 2011 hanno dato alla maggioranza di governo.
Non solo perché  città simbolo come Torino,Bologna, Trieste, Cagliari hanno portato alla vittoria del Centrosinistra, ma anche i ballottaggi previsti a Milano e Napoli  portano inevitabilmente a fare delle considerazioni. Ciò che ha pesato su questo voto è  l’immobilismo che da mesi caratterizza l’azione del Governo. I temi caldi che hanno acceso in questi ultimi mesi i dibattiti e le polemiche nei salotti televisivi e non, riguardano temi che di politica, intesa nella sua accezione squisitamente aristoteliana, hanno ben poco: dal caso “Papi”, alla casa Tulli (Fini)ana di Montecarlo, passando per il nuovo caso “Ruby”, di fronte a cui, le reazioni sindacal-popolari hanno creato slogan dal significato ambiguo, del tipo “Se non ora quando?”
Nel frattempo, le questioni che più avrebbero dovuto interessare la classe politica  e non, sono passate in secondo piano e mentre i nostri vicini greci annaspavano, la nostra attualità si interessava al menù tricolore delle bollenti e affollate cene di Arcore.
Se questa è la situazione interna, all’esterno  abbiamo assistito alla rovinosa caduta del nostro paese in tema di credibilità internazionale. Dapprima l’annoso caso Battisti, da cui l’Italia è uscita sconfitta. Poi la questione Libia. Napoleon-Sarkozy pensa bene di risolvere la situazione e ridare  speranza al popolo libico, mettendo in moto la macchina Nato, naturalmente confrontandosi con altri importanti leader europei: Merkel, Cameron, ecc…
Esclusa l’Italia ovviamente.
Certamente questi temi hanno pesato sul voto dello scorso 15 e 16 maggio e il Governo ne deve tener conto.
Il voto di Milano è un boccone amaro difficile da mandar giù, ed è dovuto soprattutto alla pessima figura del sindaco uscente Moratti, nell’ultima fase della sua campagna elettorale, dove ha utilizzato modus operandi tipici di quella politica fastosa e festosa dei congressi americani, dove le armi per colpire gli avversari politici si trovano negli album di famiglia
Sperando che la Moratti abbia licenziato in tronco i suoi consiglieri, a prescindere dal risultato del ballottaggio, Pisapia a Milano ha già vinto. Ma con Pisapia a Milano ha vinto il Pd? Non bisogna dimenticare che alle primarie, il partito democratico aveva sostenuto l’architetto Boeri.
Certamente Torino ha scelto di continuare la sua strada democratica, eleggendo Piero Fassino, solido e robusto uomo del Pd, d’alemianamente parlando. A Napoli, il ballottaggio ha come attori principali Lettieri (pdl) e Luigi De Magistris (idv); del Pd neanche l’ombra.
Senza dimenticare il brillante risultato raggiunto dai cosiddetti grillini a Bologna, che di alleanze con il partito di Bersani non vogliono proprio sentir parlare.
Di  certo è che dalle elezioni amministrative 2011 escono nomi e volti nuovi nel panorama politico italiano. Giuliano Pisapia ai più è noto come il figlio di quel celebre Giandomenico, padre del codice di procedura italiana, così Luigi De magistris, ex magistrato balzato agli onori grazie al caso “Why not?”. Operatori del diritto. Molta è la curiosità di vederli all’opera. Ai prossimi exit-poll.

Alessandra Caparello

Europa contro Paesi emergenti
In pole Christine Lagarde

Dopo le dimissioni di Strauss-Kahn si cerca un successore al vertice del Fondo monetario internazionale. Merkel e Barroso: "L'incarico ad un europeo". Ma altri Paesi, Cina in testa, reclamano un ruolo di primo piano. La titolare francese delle Finanze è la favorita, appoggiata anche da Berlusconi. Ma sono diversi i nomi in lizza

ROMA - Le dimissioni 1 di Dominque Strauss-Kahn dalla guida del Fondo Monetario Internazionale in seguito all'accusa di violenza sessuale aprono la difficile partita della successione al vertice della prestigiosa istituzione economica: i Paesi emergenti rivendicano un ruolo di primo piano, mentre l'Europa punta a mantenere il controllo del ruolo chiave.

Angela Merkel parla chiaro: la guida del Fondo monetario internazionale deve essere affidata a un europeo. Non si sbilancia su un nome, ma fa presente che alla luce della crisi del debito nell'eurozona, una decisione deve essere presa in fretta. Le fa eco la portavoce di José Manuel Barroso, presidente della commissione Ue, chiedendo che il successore di Strauss-Kahn sia un europeo: è "naturale", visto che l'Ue è il più forte contributore al Fondo, dice Pia Ahrenkilde-Hansen, sicura che l'Europa "potrà esprimere un candidato forte", e precisando che la scelta dovrà essere fatta in base alla competenza e non alla nazionalità. E il presidente francese Nicolas Sarkozy sottolinea che l'Unione europea "è in grado di presentare una candidatura di altissima qualità".

Il Vecchio continente serra quindi i ranghi, escludendo che l'incarico possa andare a un Paese emergente, ma si alzano voci contrarie, Pechino in testa, a chiedere che il ruolo sempre più rilevante di altre economie venga rappresentato.
Tra i favoriti, in pole position figura, tra gli europei, il ministro delle finanze francese, Christine Lagarde, seguita dall'ex banchiere centrale tedesco, Axel Weber. Qualche chance l'ha anche il presidente uscente della Bce, Jean Claude Trichet.

In favore di Legarde si è pronunciato anche Silvio Berlusconi: "Considero fondamentale raggiungere al più presto una comune posizione europea che esprima una candidatura unica alla direzione del Fondo Monetario Internazionale, in sostituzione di Dominique Strauss-Kahn - afferma il presidente del Consiglio in una nota - A questo proposito, ritengo che l'attuale ministro delle Finanze francese, Christine Lagarde, possa rappresentare un'ottima scelta". Dello stesso avviso il titolare dell'Economia Giulio Tremonti: "In ragione tanto del valore delle quote europee nel Fondo Monetario Internazionale, quanto della capacità e dell'esperienza dimostrata in questi anni da Christine Lagarde, mi pare che una candidatura di Christine avrebbe tutte le ragioni per essere sostenuta da tutti".

La 55ene Lagarde sarebbe la prima donna alla guida del Fondo. Campionessa di nuoto sincronizzato è già stata la prima donna a presiedere il colosso legale Usa Baker Mackenzie. Si è distinta durante la crisi europea ed è stata nominata miglior ministro delle Finanze in Europa dal Financial Times nel 2009. A suo sfavore gioca la nazionalità francese, la stessa di Strauss-Kahn. Negli ultimi 33 anni i francesi sono stati alla guida dell'Fmi per ben 26. Il presidente Nicolas Sarkozy potrebbe inoltre vedere non troppo di buon occhio il suo popolare ministro delle Finanze abbandonare l'incarico proprio mentre la Francia presiede il G20 e con le elezioni così prossime.

Anche il tedesco Weber, sostenuto dalla cancelliera Angela Merkel, appare un forte candidato: era già considerato il favorito per la presidenza della Bce finché non ha dato le dimissioni dalla Bundebank lo scorso febbraio. La poltrona da 521.000 dollari all'anno di Strauss-Kahn la vorrebbe anche l'inglese Gordon Brown ma il premier David Cameron ha già chiarito che non intende sostenere l'ex primo ministro.

Ma a rompere la tradizione di un presidente dell'Fmi europeo e di un vice americano, potrebbero essere le crescenti pressioni dei Paesi in via di sviluppo che pretendono di contare di più nell'organizzazione di Washington. "Le economie emergenti dovrebbero essere incluse tra i vertici del Fondo Monetario Internazionale", ha detto oggi in conferenza stampa a Pechino il portavoce del ministero degli Esteri cinese Jiang Yu. "Noi crediamo che i Paesi emergenti e quelli in via di sviluppo dovrebbero essere rappresentati ai vertici della struttura", continua la portavoce della diplomazia cinese. E il ministro delle Finanze del Giappone, Yoshihiko Noda, chiede che la scelta per l'incarico avvenga in modo trasparente.

Tra i papabili, il sudafricano Trevor Manuel, 55 anni. Ex ministro delle Finanze nel suo Paese è stato preso in considerazione anche per la Banca Mondiale. In lizza, se la poltrona dovesse andare ad un non-europeo, c'è poi il turco Dervis che è già stato numero due della Banca mondiale nel 1996 e che è considerato l'artefice, come ministro delle Finanze, della ripresa turca dopo la terribile crisi finanziaria del 2001. Tra gli altri possibili candidati ci sono infine il governatore della banca del Messico, il 52nne Agustin Carsten, che è stato vice direttore generale del Fondo dal 2003 al 2006, e l'indiano Montek Singh Ahluwalia, influente adviser economico del primo ministro Manmohan Singh penalizzato solo dalla sua età perché ha 67 anni.

Bossi fa pace con Silvio

«Ora un nuovo progetto» Il leader della Lega smentisce di voler scalzare Berlusconi Poi pensa al ballottaggio: «Pisapia vuole fare Zingaropoli»


segue dalla prima
di ALESSANDRO BERTASI
Il Senatùr torna a vestire i panni dell'alleato fedele smentendo le voci che lo davano pronto a far cadere la maggioranza. Il tutto però in cambio di un repentino cambio di strategia. «Un nuovo progetto» che Berlusconi deve garantirgli per rilanciare l'azione del governo. Un piano che, sebbene sia indefinito, un punto fermo ce l'ha già: non prevede poltrone ma riforme. Per questo Bossi smentisce l'idea di incarichi a Tremonti e Maroni specificando che alla Lega, dopo l'incontro con il Cavaliere di ieri a margine del Consiglio dei ministri, non sono stati offerti posti bensì «un progetto» per rilanciare il centrodestra anche in visione del passaggio parlamentare chiesto dal Colle per formalizzare l'allargamento della maggioranza. Ed è proprio sulla richiesta di Napolitano ai presidenti delle Camere di investire il Parlamento di un ipotetico voto di fiducia che Bossi dimostra il suo rispetto verso il Capo dello Stato: «Di verifiche ne abbiamo fatte già tante, ma se la chiede Napolitano la faremo. Lui è il capo». Eppure, nonostante le aperture verso il Pdl e Berlusconi, la realtà appare diversa. A spiegarlo sono alcuni dirigenti della Lega che non hanno dubbi a ribadire che l'idea di una exit strategy resta ben radicata nella mente di Bossi. E infatti, già nelle dichiarazioni del Senatùr si ravvisano diversi indizi dei dubbi covati. Prima di tutto, neanche ieri Bossi ha detto chiaramente cosa succederà se la Moratti dovesse perdere: «Vedrete che non succederà», ripete come un mantra ai giornalisti, evitando però accuratamente di dire che la Lega resterà con Berlusconi anche in caso di sconfitta. E poi, il leader leghista rimanda a Berlusconi il vero dubbio che rischia di far saltare tutto il banco, ovvero il comportamento dei Responsabili: «È quello che gli ho chiesto oggi e lui è convinto». Appunto, «lui». Ma il timore della Lega, spiega un parlamentare del Carroccio, è restare vittima «collaterale» della guerriglia dei Responsabili: «Non saltare al momento giusto giù da una nave che ormai sta imbarcando troppa acqua». Che sia possibile avviare davvero un «nuovo progetto» contando sui voti decisivi dei Responsabili è infatti una certezza che Bossi attribuisce al solo Berlusconi, avvertendo che «sono problemi che vanno affrontati adeguatamente». Poi il pensiero torna a Milano. L'idea che sia davvero possibile vincere è convinzione poco diffusa eppure l'Umberto decide di scendere in campo per i ballottaggi e dà il via alle «10 giornate di Milano» per riconquistare la città. A sorpresa, radicalizza lo scontro con Giuliano Pisapia: lo definisce «un matto» (cosa che poi smentisce di aver detto,
ndr) che «vuole riempire la città di immigrati e moschee», rendendola «una zingaropoli», «non compatibile con una Milano decente». Una strategia chiara: estremizzare lo scontro per portare al voto quel 30% di milanesi che hanno preferito rimanere a casa e «riconquistare» anche quei moderati, non solo quelli del Terzo Polo, che «non daranno la città in mano agli estremisti di sinistra». In ogni caso, Bossi vuole rendere quella di Milano una battaglia leghista. «La base - rimarca - sta dove sto io».

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