PER RIPRENDERCI LA NOSTRA DIGNITA'

lunedì 4 aprile 2011

Verbale riunione Comitato 13 febbraio del 31.03.2011

COMITATO 13 FEBBRAIO "SE NON ORA QUANDO?" ANCONA

Verbale riunione di data 31.03.2011, sala I Circoscrizione Via Cialdini 26, ore 21.
Sono presenti alla riunione: Giuliana, Aurora, Marina, Paola, Sally, Carla, Stefania, Francesca, Lidia, Monica, Patrizia, Emanuela.
Giuliana apre la riunione innanzitutto portando i saluti di diverse amiche del Comitato che sono assenti per motivi di saluti o per altri impegni. Di seguito introduce gli argomenti in discussione questa sera:
-         partecipazione di alcune donne del Comitato alla manifestazione "LA GUERRA NON SI PUO' UMANIZZARE, SI PUO' SOLO ABOLIRE." organizzata da Emergency a Roma sabato 2 aprile: opportunità che venga portato a Roma lo striscione rosa del Comitato;
-         esigenza, emersa nel gruppo di fb, di manifestare in qualche modo l’indignazione per ciò che sta succedendo in Parlamento con la discussione della proposta di legge sul processo breve;
-         qual è l’identità del Comitato 13 febbraio?
-         aggiornamenti sull’organizzazione dell’evento pubblico “Donne a confronto tra pace e guerra” (titolo provvisorio).
Giuliana fa presente che per quanto riguarda la proposta di portare lo striscione del Comitato a Roma, gli interventi su fb sono stati favorevoli. Di seguito interviene Emanuela che desidera porre una questione di metodo: per affrontare la questione “Cos’è il Comitato 13 febbraio” non è sufficiente una riunione serale, ci vuole un tempo più ampio, mezza giornata , una giornata intera magari una domenica, per poter discutere tutte insieme.
INIZIA UN GIRO DI INTERVENTI SULLA PARTECIPAZIONE IN RAPPRESENTANZA DEL COMITATO ALLA MANIFESTAZIONE DEL 2 APRILE A ROMA.
Aurora e Marina si dichiarano d’accordo a partecipare con lo striscione, Paola interviene per esprimere il suo sostegno, anche attraverso un intervento armato, ai ribelli libici.
Aurora: “La parola pace può assumere tanti significati e se tutti sono d’accordo con la fine dei bombardamenti da entrambe le parti, allora può avere senso che il Comitato partecipi alla manifestazione.”
Marina: “L’intervento del Comitato per me è giusto, anche perché questa guerra non è umanitaria ma nasconde dei precisi interessi economici.”
Giuliana legge l’appello di Gino Strada: “Mi riconosco completamente nelle parole di Gino Strada. Pensiamo solo ai danni e alle morti di civili che questa guerra sta provocando, a tutto l’uranio che viene scaricato con il lancio dei missili, uranio che nei prossimi anni provocherà tumori, malattie e malformazioni nella popolazione.”
Sally: “Sono d’accordo a partecipare alla manifestazione del 2 aprile. Dobbiamo considerare che in gran parte dei Paesi africani ci sono regimi, e spesso i ribelli di turno sono armati da altri gruppi di potere che mirano a scalzare un regime per sostituirlo. Basta pensare agli Stati dell’Africa Centrale (ad es. Camerun, Liberia, Sierra Leone, Congo), dove al momento c’è molta agitazione:  sono tutti territori ricchi di risorse naturali e materie prime e le armi alle diverse fazioni vengono fornite dall’Occidente. (Ricordiamo il conflitto Hutu-Tutsi, dietro cui c’erano Francia e Belgio…). E’ necessario avviare azioni diplomatiche e politiche e non interventi armati per risolvere i conflitti, anche perché in questi Paesi c sono moltissime etnie diverse, e una guerra diventa una guerra tra etnie e quindi diventa un disastro. E alla fine, andato via un dittatore ne arriva un altro, perché così fa comodo alle potenze occidentali.”
Carla: “Sono d’accordo con la manifestazione e mi piacerebbe essere rappresentata dal Comitato con lo striscione, ma mi chiedo se effettivamente c’è un Comitato , un organismo che possa decidere tale partecipazione. Quali sono le persone che possono parlare e  decidere per il Comitato? Forse la vera questione è questa.”
Stefania: “Sono d’accordo con Carla, qual è la vera rappresentanza del Comitato?”
Francesca: “Mi ritrovo in toto nell’appello di Emergency, nel pacifismo militante, però resta il problema di chi deve e può decidere per il Comitato. E’ vero però anche che non si può negare che quando un popolo insorge è giusto sostenerlo.”
Stefania ripete la domanda: “Noi presenti qui stasera possiamo rappresentare tutte?”
Lidia: “Non dobbiamo dimenticare chi siamo, siamo un comitato, niente di più e niente di meno. Domenica scorsa a Torino c’è stata la Conferenza Nazionale dell’ANPI con interventi e discussioni relative al conflitto in Libia, e il documento prodotto alla fine del dibattito è risultato molto articolato e ha tenuto conto di diversi aspetti  e posizioni. Ma noi non siamo un’organizzazione così, siamo un comitato, cioè ci riuniamo senza aver avuto un momento “fondativo”, una carta di intenti, e comunque è normale avere delle difficoltà all’inizio. Io andrò alla manifestazione del 2 a Roma perché sento un impulso fortissimo ad esserci, e se ero contraria anche a tutte le guerre precedenti, sono ancora più contraria a questa. Non per un rifiuto a priori delle violenza (per difesa ad esempio, se si viene aggrediti) ma perché la Libia sembra un Paese spaccato a metà, mentre è diverso quello che è successo in Tunisia ed in Egitto. E’ sicuramente giusto che il popolo possa ribellarsi ed io sono solidale con i ribelli, ma questo non c’entra nulla con l’intervento dell’Occidente che porta solo maggiori danni, bombardamenti e vittime (pensiamo a cosa è successo in Afghanistan ed Iraq). Sono convinta che con questa guerra si vuole anche “normalizzare” il fenomeno delle ribellioni nei Paesi Arabi. La Libia non fa gola solo per il petrolio ma anche perché può diventare un ponte per il centro dell’Africa. Io vado convinta a Roma ma non trovo opportuno portare lo striscione, non mi sembra corretto perché questa partecipazione non rappresenterebbe tutte le donne che hanno aderito al Comitato.”
Monica: “Concordo con Emergency, le donne devono e possono trovare soluzioni diverse dalla guerra, ma non sono sicura che sia giusto portare lo striscione. Rappresentiamo tutte?”
Patrizia: “Il problema della rappresentanza è un problema annoso per le donne, ed è un problema grosso. Lo è già in situazioni strutturate ed il Comitato non lo è. Forse dovevamo darci subito una struttura agile  quando ci siamo incontrate la prima volta. Forse si doveva farlo già il 13 febbraio, in quell’occasione sono stati raccolti dei soldi, c’è stato un riconoscimento da parte della gente. Decidere stasera chi rappresenta chi….Ha senso uno striscione che rappresenta il “Se non ora quando” e quello che è successo il 13 febbraio, e quindi da una parte sarebbe giusto esserci ad una manifestazione come quella del 2 aprile. Dall’altra parte forse noi gruppo di Ancona ancora non sappiamo bene chi siamo. Tornando alla questione delle competenze, penso che la vera lezione di storia sia quella che ha fatto stasera Sally. La storia è un luogo dove si può discutere, non è come la fisica nucleare…Sulla pace e sulla guerra: manifestazioni di questo tipo servono non tanto per manifestare contro, quanto per dire che la politica si sta palesando su queste questioni in un modo difficile da capire. Non si riesce più a capire cosa realmente accade, soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino e dopo l’11 settembre. Bisogna esserci per far capire alla politica internazionale che vogliamo altri orientamenti, che c’è una volontà popolare che vuole qualcosa di diverso, anche se tutto questo suona purtroppo molto impotente. Non so se lo striscione può essere portato in rappresentanza, ma se nella manifestazione ci sarà uno “spazio” per il “13 febbraio”, questo sarà giusto e importante."
Emanuela: “Condivido le parole di Emergency, e proprio per la totale assenza di struttura del Comitato e l’informalità del gruppo, non vedo molto il problema della “rappresentanza”, forse è un non problema.”
Giuliana: ”Se avessimo avuto uno statuto, ci sarebbe stato scritto che il Comitato è nato per difendere la dignità di uomini e donne, ed in nessuna situazione più che in guerra la dignità di una donna viene sacrificata. Le parole dette il 13 febbraio erano parole di “pace”, anche se di “ribellione”. Ed è anche importante continuare a far “vedere” che io 13 Febbraio c’è, visto che ci stanno accusando di essere un movimento che c’è stato una volta e dopo si è sciolto….portare lo striscione non sarebbe rappresentare pochi, e comunque sarebbe un modo per esserci di nuovo ed essere visibili come “13 Febbraio”. In questo primo mese e mezzo di attività del comitato abbiamo cercato un linguaggio comune, e forse lo stiamo trovando, un linguaggio che ci serve per comunicare e per decidere insieme, dato che veniamo tutte da esperienze molto diverse.”
Aurora: “Dobbiamo darci dei valori comuni, un minimo comune denominatore che ci tenga unite. Dopo la riunione con Macello Sonnino ho letto molte volte l’art.11 della Costituzione, ho pensato alla Resistenza, e persone che hanno partecipato alla Resistenza hanno poi anche detto che ripudiano la guerra. Il pacifismo deve essere praticato, ma il movimento pacifista negli ultimi anni si è “assopito”, mentre invece dovrebbe essere davvero militante, la cultura pacifista deve essere più incisiva… Uno dei valori fondanti del Comitato deve essere il pacifismo, non passivo ma inteso come pratica di vita che caratterizzi gli anni futuri."
SI CONCLUDE IL GIRO DI INTERVENTI, INIZIA UNA BREVE DISCUSSIONE
Paola: “Non capisco ( e lo dico un po’ come una provocazione) in realtà cosa ci sia di diverso tra il decidere qui stasera se portare o no lo striscione a Roma il 2 aprile  e le altre decisioni che il Comitato ha preso nelle precedenti riunioni?”          
Lidia: “C’è in realtà una grossa differenza, e cioè io so che molte delle donne che fanno parte del gruppo, o almeno della mailing list, sono d’accordo con l’intervento armato in Libia, e questo è un problema.”
Paola: “Il punto è un altro, il punto è che io sento un elemento di crisi in questo Comitato 13 febbraio, che comitato neppure è. Mi chiedo se vale la pena dedicare del tempo a questo “comitato che non è un comitato”, se c’è un respiro in questo,  o se questo respiro l’ha già perso…"
Giuliana: “Siamo un gruppo di donne con molte cose in comune, un gruppo che si sta definendo. Certamente tutte noi abbiamo molti altri impegni e poco tempo a disposizione, ma io non vedo crisi nel Comitato. Il problema semmai è che intorno a noi le cose vanno troppo veloci e ci sono troppe cose da fare."
Marina: “Penso che per poter coinvolgere gli altri prima dobbiamo essere “coinvolte” noi, nel senso che mi sembrerebbe importante se ci conoscessimo di più tra di noi, se ci “raccontassimo”un po’. Io ancora non conosco neppure tutti i nomi di chi partecipa alle riunioni.”
Lidia: “Mi chiedo se siamo un fenomeno passeggero nato sull’onda di un momento, di un bisogno di manifestare qualcosa, o se siamo destinate a durare. In parte sicuramente c’è stata una spinta diciamo popolare che ha prodotto il 13 febbraio, ma dietro c’è stata anche e comunque una forte organizzazione. Le difficoltà che ha il Comitato mi sembrano quindi normali.”
Giuliana: “Non mi piace molto questa idea del “raccontarsi”, la conoscenza viene strada facendo…Noi dobbiamo invece fare, il problema è che c’è troppo da fare.”
Paola:  “Noi dobbiamo lavorare per noi, non per gli altri. Dobbiamo diventare “forti” noi, poi gli altri ci seguiranno.”
Lidia: “Io ripartirei dal primo verbale fatto in occasione della prima riunione dopo il 13 febbraio, secondo me lì possiamo trovare la chiave per capire chi siamo e che obiettivi abbiamo. Se non sbaglio si era detto che il problema adesso non è solo Berlusconi e mandare via Berlusconi, il vero problema è la cultura de berlusconismo in Italia….”
FINISCE LA DISCUSSIONE, PASSIAMO VELOCEMENTE (VISTA L’ORA…) A VALUTARE ALCUNE QUESTIONI ORGANIZZATIVE.
Si decide di fissare la prossima riunione per giovedì 07 aprile ore 18, la sede è da definire.
Aurora ha contattato Lidia Menapace che si è detta disponibile a partecipare all’evento pubblico sulla pace e sulla guerra. Il giorno scelto per l’evento è martedì 26 aprile alle ore 18. Aurora telefonerà quindi alla Menapace per poter confermare questa data.
Viene anche proposto di individuare la giornata da dedicare alla definizione dell’identità del Comitato 13 febbraio. Deve essere un momento di riflessione più lungo e anche più rilassato, magari stando insieme anche a pranzo. Una possibile data indicata è domenica 17 aprile.
Sabato 9 aprile in piazza del Papa  parlerà la Camusso, a conclusione di una serie di iniziative organizzate dalla CGIL nelle Marche con titolo “In marcia per il lavoro”. Sally si incarica di richiedere uno spazio per un intervento del Comitato 13 febbraio. Viene proposto a Marina di leggere un intervento, proposta ancora da definire.
E’ ORMAI MEZZANOTTE, SIAMO TUTTE MOLTO STANCHE E DESIDEROSE DI ANDARE A DORMIRE. E’ STATA UNA SERATA LUNGA ED INTERESSANTE, CHE HA PRODOTTO MOLTI SPUNTI DI RIFLESSIONE.
LA RIUNIONE SI CHIUDE.

4 APRILE: RASSEGNA STAMPA

«Educate i figli alla pace Lottate contro la guerra»

IL PRESIDIO. Voluto dal gruppo di donne «Se non ora quando»
Toccante messaggio della partigiana 96enne Maria Lupatini all'iniziativa pacifista in piazza Rovetta


«Dove sono le bresciane? Venite qui! Contro la guerra, che verrà ancora, ma io non la voglio!». Sono della partigiana di Rovato Maria Lupatini le parole più toccanti del presidio organizzato da «Se non ora quando», un gruppo di donne che si vuole fuori dai partiti che ieri ha raccolto circa 200 persone in Piazza Rovetta. Lupatini ha 96 anni e ancora tanta grinta «perché io la guerra l'ho vissuta e mi rivolgo alle donne, che capiscono le cose sempre prima degli uomini: educate i figli alla pace e battevi contro tutte le guerre».
L'INTERVENTO della partigiana apre il pomeriggio di letture, musica, messaggi e appelli contro la guerra cui hanno aderito tante realtà bresciane, alcuni partiti e singole persone, magari appartenenti a gruppi politici che però si sono presentati da privati, come Gisella Bottoli di Libertà & Giustizia o Oscar Cavagnini dell'Uaar, Unione Atei, Agnostici e Razionalisti; ancora, il caso di Lidia Menapace, storica femminista che non era in piazza ma che ha inviato un messaggio per ripetere «sempre e comunque no alla guerra, anche se la situazione in Libia e quella nei paesi arabi in rivolta sollevano perplessità e interrogativi complessi per tutte le loro implicazioni».
All'impianto-voce, allestito sotto un gazebo e contornato da bandiere della pace, si sono alternate le organizzatrici e alcuni cittadini: «La realtà contemporanea, con le sue guerre, ci sta dicendo che dobbiamo ripensare il mondo in cui viviamo, perché ci stiamo preparando un futuro di distruzione - spiega Carla Ferrari Aggradi, di "Se non ora quando"- noi invece vogliamo un mondo di pace e di convivenza». Grazia Meazzi, Spi-Cgil, legge il testo della celebre canzone «Imagine» di John Lennon, alla quale affida il suo messaggio, mentre altri preferiscono comunicare con cartelli appesi alla schiena. Analoghe motivazioni contro la guerra, ma declinate nello specifico contro il commercio di armi e la fiera Exa che si terrà nei prossimi giorni, in Corso Zanardelli, dove diverse decine di persone del coordinamento No Exa hanno dato vita ad un altro momento di sensibilizzazione e di azione politica: si tratta del terzo presidio preparatorio al corteo di sabato prossimo, che partirà da via Milano per denunciare «le atrocità su persone e animali commesse dalle armi in mostra nell'esposizione bresciana».
Irene Panighetti


Cassino Entra nel vivo la campagna elettorale in vista del voto di maggio

Iris Volante chiama le donne

Appello della candidata alla carica di sindaco di Udc, Pd e Psi


CASSINO Appello alle donne da parte di Iris Volante, candidata a sindaco per il cartello Udc-Psi-Pd. «Questo è il nostro momento, se non ora, quando?», si chiede Iris Volante. «Le difficoltà fanno parte del passato. Oggi la città di Cassino è pronta ad avere un sindaco donna. È arrivato il momento delle donne». A parlare è la candidata Iris Volante che da donna si rivolge alle altre donne perché «si passi dalle parole ai fatti». «La scelta di candidarmi per la sfida amministrativa alla guida della città, operata dal mio partito, l'Udc, rappresenta il vero cambiamento. In un momento in cui tutti, insistentemente, parlano di quote rose, come l'unica via di accesso in politica, io rispondo che i tempi sono cambiati. Le donne devono dimostrare sul campo la loro vera forza, il loro coraggio. Le donne, tutte insieme – sottolinea Iris Volante – possono diventare un vero vantaggio per la città. Hanno modi diversi di relazionarsi, mostrano una maggiore sensibilità, in particolare, verso le fasce più deboli». Nel frattempo il programma si arricchisce. Proprio ieri c'è stato un incontro con l'avvocato Giuseppe Martini, in rappresentanza delle associazioni «Comitato anti-Tarsu», «Comitato Mercato Coperto» e «Gruppo Attivo Cassino». «Nel corso dell'incontro – dice Volante – l'avv. Martini ha deciso di condividere il progetto amministrativo chiedendo l'introduzione nel programma di alcuni punti importanti». Vin.Car.

Ruby, il processo che non si farà


4 aprile 2011
Il 6 aprile si comincia, ma per finta: pronti vari escamotage per rimandare tutto. Sine die?
Si comincia, ma per finta. L’udienza di mercoledì 6 aprile, nel clamore mediatico in cui si sta preparando, sarà sicuramente una bolla di sapone, e il processo Ruby non comincerà nel giorno che tutti stanno aspettando. Ma soprattutto: le mosse degli avvocati di Silvio Berlusconi in aula e quelle in parlamento promettono intorno all’accusa di concussione e prostituzione minorile che la procura di Milano ha mosso al premier l’ennesimo polverone fatto di rinvii e rinvii: il rischio, fa notare Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera, è che la procrastinazione porterà il dibattimento a iniziare con molti mesi di ritardo. E la sentenza a non arrivare mai:
Al netto ad esempio dell’isteria collettiva che gonfia un’attesa tanto inutile quanto spasmodica nei mezzi di informazione di mezzo mondo, mercoledì il processo Ruby comincerà solo per modo di dire. La prima udienza, infatti, cadrà in una mattinata nella quale la quarta sezione del Tribunale non farà altro che smistare ad altre date i quattro fascicoli in calendario: una tentata rapina, un abuso d’ufficio, un tentato omicidio, e appunto il processo nel quale Berlusconi è imputato di prostituzione minorile per essere stato cliente dell’allora minorenne marocchina Ruby, e di concussione per aver premuto telefonicamente sulla Questura di Milano affinché la notte del 27 maggio 2010 affidasse la minorenne (in via di identificazione perché denunciata per furto di 3.000 euro) a una sua inviata, la consigliere regionale pdl Nicole Minetti.
Quella del 6 aprile è soltanto una data tecnica:
Non ci sarà Berlusconi, non ci saranno i suoi avvocati-parlamentari titolari della difesa, verrà uno dei loro sostituti processuali e l’unica incombenza sarà appunto fissare la data della prossima udienza verso l’inizio di giugno o più probabilmente la fine di maggio: magari anche in una udienza non di lunedì (il giorno preteso dal premier), ma a patto che sia solo per la costituzione delle parti in giudizio e le prime questioni preliminari. Poiché poi i lunedì liberi per il processo Ruby resterebbero solo un paio prima della pausa estiva (negli altri sono già calendarizzati gli altri tre procedimenti del premier), la tempistica non esattamente folgorante di questo dibattimento sarebbe perfetta per la strategia extragiudiziaria di Berlusconi: dopo il voto con il quale domani la sua maggiorana deciderà di far sollevare alla Camera un conflitto di attribuzione con il Tribunale di Milano davanti alla Consulta sulla natura ministeriale o meno della concussione imputatagli, il premier avrà infatti comunque bisogno di guadagnare qualche mese prima che la Corte Costituzionale decida se il conflitto di attribuzione è ammissibile o meno.
La Consulta è il primo arbitro davanti al quale si discuterà della legittimità:
In caso positivo, la decisione nel merito della Consulta arriverebbe tra ancora parecchi a l t r i mesi: ma con l’ammissibilità la difesa del premier potrebbe intanto confidare con quasi certezza nella sospensione, per opportunità, del processo Ruby in attesa del verdetto della Consulta. Così arginato per qualche tempo il processo Ruby, il problema più impellente per Berlusconi resta impedire che il processo nel quale è imputato di aver corrotto nel 2000 il teste David Mills, che dall’udienza del 21 marzo era stato rinviato al 9 maggio, faccia in tempo (come spera il pm sulla scia di quanto accaduto proprio al giudizio su Mills) a concludere tre gradi di giudizio entro la prescrizione il 13 gennaio 2012, o almeno (come teme Berlusconi) ad arrivare in tempo ad una sentenza di primo grado. Di qui l’urgenza per Berlusconi di approvare a spron battuto la legge sulla prescrizione breve, il cui meccanismo di calcolo, accorciandola di altri 8 mesi dopo i 5 anni (su 15) già tagliati dalla legge ex Cirielli nel 2005, esaurirebbe la clessidra del processo già prima dell’estate: e cioè il prossimo 13 maggio, più una manciata di giorni (circa un mese) di interruzioni varie da recuperare, quindi al massimo a metà giugno.

A Piazza Navona eravamo in pochi: non siate gregge

A Piazza Navona eravamo in pochi: non siate gregge
"Con un nuovo padrone, non siate gregge perdio, non riparatevi sotto l'ombrello delle colpe altrui, lottate, ragionate con il vostro cervello, ricordate che ciascuno è qualcuno, un individuo prezioso, responsabile, artefice di se stesso, difendetelo il vostro io, nocciolo di ogni libertà, la libertà è un dovere, prima che un diritto è un dovere."
"Un uomo" di Oriana Fallaci
La manifestazione contro la guerra di sabato 2 Aprile è stata, numericamente parlando, un fallimento. A Piazza Navona il mio pensiero è andato, con una vena nostalgica, al 2003 - era solo l'altro ieri quando il movimento pacifista era stato definito dal Washington Post la seconda potenza mondiale -. Questa ennesima dimostrazione non fa che confermare la mia dura e apparentemente banale conclusione: siamo sempre stati un branco di pecore che si muove solamente quando lo decide il pastore che sia esso un Partito, una trasmissione televisiva, grossi gruppi editoriali, i leader di turno o gli pseudo intellettuali.
Lo abbiamo visto con le manifestazioni recenti come "Se non ora, quando?", simile ad un Family Day (e non a caso ben accolto dal Vaticano). Oppure i No Berlusconi Day del cosiddetto "Popolo Viola", un "movimento" così superficiale e banale (e per certi versi anche pericoloso) per il modo in cui affronta i veri problemi causati da questo Sistema marcio. Quando ho scoperto che il portavoce è un iscritto all'Italia Dei Valori tutto mi è stato più chiaro. Infine l'ultima, in difesa della Costituzione conclusasi con la canzone di Vecchioni... E giù tutti a commuoversi. Mi sto chiedendo perché tutte quelle persone sabato non c'erano. Noi stavamo difendendo l'articolo 11... Ma l'amore, lo sanno i poeti tristi, molto spesso è ingannevole. 
Avevano ragione gli studenti a criticare gli organizzatori perché collusi con il Potere: quello studentesco è un movimento davvero sano e molto sveglio. A differenza di tanti ultra cinquantenni che su Facebook, allineati e coperti, ogni tanto mettono un'immagine e la spacciano per attivismo: prima di Santoro quando, poverino, rischiava la censura (ero piccolo quando trasmetteva e oggi ancora sta lì) e chiede aiuto; poi la Bocassini perché c'è questa povera Magistratura, così indifesa e in costante pericolo che ha bisogno del popolo per difenderla... Mentre c'è tanta gente che per ottenere Giustizia e Verità sta lottando con un enorme sacrificio e pregare affinché il Magistrato di turno non archivi. Come poi puntualmente avviene se non si hanno appoggi istituzionali e mediatici.
E' la prima volta nella storia che la cosiddetta "sinistra" (esiste ancora?) difende il Potere in maniera così sfacciata e senza che la gente si renda conto del sottile meccanismo che c'è dietro.
Le bacheche di Facebook sono piene di slogan prefabbricati contro Berlusconi, a volte anche con le immagini sexy delle escort, accompagnate da battute infelici. Non sono più considerate donne: sono puttane e quindi sembra giusto prenderle in giro e mostrarle sui giornali. 
E' normale tutta questa omologazione di pensiero quando i cosiddetti quotidiani progressisti(?) come l'Unità, il Fatto o peggio ancora Repubblica (quest'ultimo vende più copie del Giornale, Libero e il Foglio messi insieme), guidano l'orientamento della cosiddetta "massa critica". E seppur minoranza rispetto all'intero popolo Italiano è comunque massa. Il Potere controlla la parte attiva, ben differente dalla maggioranza passiva (che vota il centrodestra) la quale non ha bisogno di essere manovrata e controllata. 
E allora ecco spiegato il motivo della poca partecipazione di sabato. Questi giornali, le trasmissioni televisive come quella di Santoro (ha invitato una sola volta Gino Strada, lui contro tutti!) e di Gad Lerner (che invece invitò il fondatore d'Emergency come voce critica i leghisti), non hanno messo in discussione l'intervento e si sono uniformate.
E a sua volta vi siete uniformati anche molti di voi come (senza offesa) un gregge. 
Allora la verità nuda e cruda è che anche quando il movimento era considerato la seconda potenza mondiale, in realtà non era davvero sentito. Ma guidato. Un gregge anche quello, purtroppo.
E quindi chiedo scusa alla Fallaci per averla odiata (anche se è troppo tardi ormai) quando ci criticava, malediva, si infuriava. La odiai senza nemmeno conoscerla: anche io mi ero adeguato al "sentir comune" (mi giustifica, in parte, il fatto che che ero appena un ventenne). Mi indignai specialmente quando criticò Dario Fo e gli ricordò d'esser stato fascista e di esserci rimasto, anche se rosso. Non posso che darle ragione perché lui, come tanti altri intellettuali che ci appoggiavano, fanno tutto ciò che risulta popolare e di massa.
Sabato non c'era, e nemmeno prima. Tutti uniformati a questo pensiero, a questa sinistra, antiberlusconiano, legalitarista, giustizionalista ed interventista. Insomma sono riusciti a creare una "nuova destra", la peggiore. E grazie al contributo dei nuovi intellettuali come l'incriticabile Saviano.
Parlai con un mio vecchio amico che ritrovai proprio alla manifestazione di Sabato e lui mi spiegò che il linguaggio di Saviano, così retorico e romanzato, non fa assolutamente scuotere le coscienze.
Ha ragione! Un vero intellettuale dovrebbe provocare, far sentir male il pubblico, lasciarci tutti interdetti. E soprattutto dire tutta la verità fino in fondo, non solo una parte per accontentare "l'altro Potere". 
Pasolini, ad esempio, era uno che raccontava la verità nuda e cruda: le persone si infuriavano, vergognavano, strisciavano come vermi pur di non farsi vedere. Per questo era molto odiato e amato. 
"Incarcerato tu che parli tanto, e fallo tu no! Non ti sta bene niente!". Io no! Sono peggio di un Don Chischotte, non ci sarebbe nessun Sancho Panza  che mi seguirebbe e quindi cosa diavolo volete! Iniziamo invece prima a ragionare con la nostra testa, sviluppiamo una coscienza individuale e cominciamo a diffidare quando un evento diventa troppo popolare e cerca di farci diventare un unico gregge.
Ma tanto è inutile che ve lo dica. Lo sapete, ma non lo ammetterete mai.
Meglio partecipare a queste manifestazioni di massa collettive, emozionarsi tutti insieme e stare con la coscienza a posto. Magari tra una canzone di Vecchioni (chiamate ancora amore anche a me?) e un bel discorso di Saviano sulla macchina del fango che al tempo stesso sputtana - con superficialità - un intellettuale come Sciascia che meriterebbe rispetto al solo nominarlo.
Una cosa è certa. Non mi avrete mai come volete voi... Come dicevano i 99 Posse.
Cronaca | Agrigento | 4 Apr 2011 | 18:13

"Il nostro tempo è adesso", presentata la manifestazione

agrigentonotizie - cronaca sicilia agrigento politica cultura regione
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Presentata questa mattina ad Agrigento, presso la sede della Cgil l'iniziativa "Il nostro tempo è adesso, la vita non aspetta", finalizzata a porre l'attenzione sul problema del precariato.

Se la manifestazione siciliana si terrà a Palermo, prima con un concentramento in piazza Indipendenza alle 17 e poi con momenti di testimonianza, dibattiti e musica dal vivo in piazza Bologni, anche ad Agrigento, presso l'aula magna del Cupa, si terrà un incontro aperto a tutti.

"Il messaggio che vogliamo trasmettere - spiega Epifani Bellini, segretario del circolo "Berlinguer" del Pd - è quello di una rivendicazione di lavoratori che ad oggi non hanno le tutele di cui hanno goduto i loro padri. Dobbiamo prendere in mano il nostro destino e bisogna che il precariato non diventi uno sponsor da sventolare in occasione delle elezioni ma deve diventare un reale programma di governo per risolvere l'attuale situazione".

La presentazione dell'iniziativa, che sarà priva di colore politico proprio per portare avanti l'ida che la soluzione della questione precariato sia trasversale, oggi ha visto la presenza della Cgil, del Pd, dell'Idv, del Comitato "Se non ora quando", dell’ArciGay e del  "Popolo Viola".

A proposito dell’intervista a Lea Melandri "Femminista non si può dire"


Spetta solo a una politica delle donne e a una psicanalisi dell’avvenire - la ridefinizione dei termini e del senso di una relazione complessa, contraddittoria e irriducibile ad accostamenti e suggestioni occasionali un po’ troppo disinvolti per non risultare pericolosi.
In Femminista non si può dire, Lea Melandri, intervistata da Barbara Bertoncin, ricorda una frase pronunciata da Rossana Rossanda negli anni di fuoco del femminismo, che ben misurava la temperatura e il senso dell’essere, allora, femministe : "Sono andate nelle lande più deserte, persino nell’inconscio" - diceva delle donne - e a quel "persino" va dato il peso che merita.
A dire di un’operazione di radicale scardinamento di un ordine di pensiero costituito, obbediente a paradigmi, codici e dispositivi contrabbandati per uni-versali, a dire di una profonda rivoluzione culturale avviata dalle donne negli anni ’70.
Leggendo l’articolo, il pensiero ha preso la corsa virando, per via associativa, a un nesso plausibile fra l’enunciato di Rossanda e una celebre frase di Freud riguardante la sua invenzione, le turbolenze connesse con la "scoperta" dell’inconscio" e con il suo potere destabilizzante: "Abbiamo portato la peste" - scriveva - alludendo alla paura di perdita di padronanza dell’Io dovuta allo sradicamento di una ratio - quella della coscienza - a favore di un’altra - quella dell’inconscio che Zucal, nella sua lettura di Zambrano, collocherebbe probabilmente sul versante del "sacro".
E ancora: "Si Superos nequeo, Acheronta movebo": un desiderio, un progetto, una promessa, una minaccia…
Le donne, in effetti, l’Inferno l’hanno mosso - come Freud, diversamente da Freud, - anche se a legare e a scindere femminismo e psicanalisi c’è di mezzo, da sempre, un mondo di paradossi e di contraddizioni insolute che attendono di essere esplorate.
Già solo nominare l’ "inconscio" significa riconoscerlo non tanto sul piano dell’esistenza - lo statuto dell’inconscio è etico e non ontico (Lacan) e Freud ne parla soltanto in termini di "ipotesi" - ma sul piano degli effetti imprevisti e sorprendenti prodotti, a sua insaputa e suo malgrado, sul soggetto.
Il riferimento di Rossanda all’inconscio, a quel Luogo per giungere al quale le donne avrebbero attraversato le "lande più deserte", è uno fra i tanti che incontriamo dislocati, qua e là, in diversi contesti discorsivi femminili e femministi antichi e nuovi in cui l’interesse e l’attenzione al rapporto fra femminismo e psicanalisi, critici o inclini alla benevolenza che siano, restano una presenza, segnata, nondimeno, da quel mondo di contraddizioni insolute.
La frequenza con cui il fenomeno si riscontra - in forme, a dire il vero, per lo più vaghe e fugaci come quando si allude un po’ troppo ottimisticamente a "un intreccio virtuoso e complesso fra la politica delle donne e la psicanalisi" (Lanfranco) o quando viene riconosciuto al femminismo il merito di aver individuato in un ordine simbolico segnato dal primato fallico la causa di certe forme di oppressione (Guaraldo) - va messa in conto a una certa "familiarità" con l’inconscio, vorrei dire a un certo grado di con-fidenza con esso, certamente più congeniale alla condizione-posizione-inclinazione femminile, al modo stesso delle donne di pensare e di pensarsi, di stare al mondo.
Significativo al riguardo e al di là delle intenzioni dell’autore - caparbiamente convinto che ad abitare Terra sia un genere unico maschile singolare - è il titolo del libro L’uomo senza inconscio.
A raccontarci, invece, di una "familiarità" femminile con l’inconscio, è la disponibilità delle donne a confrontarsi con l’esperienza psicanalitica, incomparabilmente maggiore rispetto alle resistenze riscontrabili nei maschi per i quali i luoghi privilegiati di "sublimazione" delle loro tensioni sembrano essere gli squallidi viali di periferia. Investire sulle prostituite assegnando loro ruoli immaginari appartenenti ad altre/i e sbobinare storie di alcove infelici mescolate ad ansie quotidiane, risulta talvolta per gli uomini persino più importante di una prestazione sessuale - lautamente pagata senza consumo.
Si fa strada il sospetto che la prostituzione rappresenti per gli uomini la cura di genere maschio a loro più congeniale, una cura a misura di un uomo senza inconscio - appunto. A prendere corpo, è l’ipotesi che l’assenza conclamata dei maschi dai luoghi tradizionali della "cura", sia strettamente collegata all’ abuso di questo "psicofarmaco" alternativo e normalmente utilizzato per sedare angosce, combattere depressioni, allontanare insopportabili vissuti d’ impotenza.
Sta di fatto che quando c’è di mezzo l’inconscio, vale sempre la pena di ripercorrere le vie solo parzialmente indagate e forse utili a ri-pensare, nell’attuale, il rapporto fra psicanalisi e femminismo, due esperienze diverse ma non incompatibili, tra cui Juliet Mitchell provò a stabilire una connessione in tempi già lontani, all’interno di un quadro sociale e politico assai diverso, con la pubblicazione di un suo libro dedicato all’argomento.
Basta voltarsi un po’ indietro, per comprendere che senza una certa familiarità e con-fidenza delle donne con l’inconscio, la pratica dell’autocoscienza diffusasi negli anni ’70 non avrebbe mai visto la luce, non avrebbe mai promosso la formazione di gruppi esclusivamente femminili, non avrebbe mai trasformato quei luoghi d’incontro in un’ opportunità per avviare, una forma di "terapia" centrata sul "partire da sé".
Le virgolette riferite all’aspetto terapeutico, sono d’obbligo se si tiene conto del fatto che moltissime donne che frequentavano quei gruppi, lacerate dagli esiti inevitabilmente destabilizzanti dell’esperienza dell’autocoscienza, continuarono i loro percorsi affidandosi, per portarli a termine, alla competenza dei "professionisti della psiche" che si andavano già moltiplicando sul mercato.
Ebbene, in una prospettiva di ricerca di senso e di significato di questo trasferimento (transfert) di molte donne dai gruppi di autocoscienza al setting psicanalitico - un passaggio non indolore da un’esperienza a un’altra - potremmo chiederci che cosa ne sia stato delle giuste aspirazioni rivendicate da quelle donne dopo anni di "cure" psicanalitiche fondate su teorie scritte da uomini il cui impianto fallocratico rende di per sé discutibile e quanto improbabile ogni pretesa di "cura" e di "guarigione" per entrambe i sessi.
Quale che sia stato l’esito finale derivante dal genere di "cure" loro prestate, a dissipare ogni equivoco sull’ autocoscienza cui aspiravano i gruppi femministi, sulla sua incompatibilità e distanza dall’autocoscienza di matrice hegheliana e dalla dialettica servo-padrone di stampo maschile, è sufficiente ripercorrere alcuni passaggi del libro di Carla Lonzi Sputiamo su Hegel.
Eppure, sempre a proposito del rapporto fra psicanalisi e femminismo, se è vero che la maggior familiarità delle donne con l’inconscio è una caratteristica femminile - confermata, peraltro, dalla stessa psicanalisi che per voce dei suoi adepti si riconosce debitrice della propria nascita "all’isteria", una sofferenza, un tempo, tipicamente femminile - resta tuttavia improbabile che senza una ricerca rigorosa che scavi nel nesso fra pratica dell’ autocoscienza e pratica psicanalitica, fra femminismo e psicanalisi approfondendone affinità e differenze, tale nesso possa uscire dalla palude della genericità in un momento storico in cui, mai forse come ora, se ne avverte l’urgenza.
Una seconda ragione - trasversale - per farlo, è la presenza in Italia di un certo numero di gruppi di autocoscienza fondati e frequentati unicamente da maschi, ai cui sviluppi bisognerebbe guardare con attenzione soprattutto alla luce di alcune note critiche suggerite da Lonzi sul rapporto fra psicanalisi e femminismo in cui donne e uomini sono implicate/i.
Le luci e le ombre che incontriamo, diversamente distribuite, in alcuni enunciati di Lonzi in cui femminismo e psicanalisi appaiono talmente incompatibili e contrapposti che l’uno può prendere tranquillamente il posto dell’altra, possono servici da guida per avvicinarci al problema:
Il femminismo, per la donna, prende il posto della psicanalisi per l’uomo. In quest’ultima l’uomo trova i motivi che rendono inattaccabile e scientifica la sua supremazia (…), nel femminismo la donna trovato la coscienza collettiva femminile che elabora i temi della sua liberazione. (C. Lonzi, Sputiamo su Hegel, p. 72)
Semplificando: se il femminismo e la pratica di autocoscienza sono necessari alla liberazione della donna, la psicanalisi serve agli uomini (ammesso che se ne servano) a rafforzare la loro supremazia.
Se ne conclude implicitamente che, per ragioni diverse, la psicanalisi resta, per entrambe i sessi, una pratica poco raccomandabile ma con una differenza sostanziale: mentre per le donne il femminismo rappresenterebbe una sana alternativa alla psicanalisi, la sola mossa saggia e raccomandabile per gli uomini, consisterebbe nel rifiuto di sottoporsi a una pratica capace di renderli peggiori, se possibile, di quello che sono.
C’è autocoscienza e autocoscienza - spiega Lonzi - riprendendo e precisando la distinzione tra psicanalisi e femminismo:
L’autocoscienza femminista differisce da ogni altra forma di autocoscienza, in particolare da quella proposta dalla psicoanalisi, perché riporta il problema della dipendenza personale all’interno della specie femminile come specie essa stessa dipendente. Accorgersi che ogni aggancio al mondo maschile è il vero ostacolo alla propria liberazione fa scattare la coscienza di sé fra donne (…) E’ in questo passaggio che viene fuori la possibilità dell’azione creativa femminista: è nell’affermare se stessa, senza garantirsi la comprensione dell’uomo, che la donna raggiunge quello stadio di libertà che fa decadere il mito della coppia per quanto aveva di tensione verso un essere da cui dipende il proprio destino. (Ibid., p. 119)
Lonzi diffida - e come darle torto? - della psicanalisi.
A non convincerla è l’idea, illusoria, che la dipendenza della donna dall’uomo - un ostacolo alle sue potenzialità creative - possa trovare una felice soluzione attraverso l’individualismo promosso e fomentato dal setting piuttosto che all’interno di un quadro storico, antropologico, sociale e politico più ampio, in cui tale dipendenza - riconducibile a quella, più generale, della specie femminile in quanto tale - rientra a pieno titolo.
La visione di Lonzi è dunque una visione d’insieme, il suo sguardo non coglie solo l’albero ma abbraccia l’intera foresta di cui l’albero è parte (Benvenuto). Eppure, se è proprio questo approccio al problema a permetterle di vedere con lucidità i limiti di una "cura" dalla dipendenza affidata esclusivamente alla pratica individuale del setting, viene spontaneo domandarsi che cosa le abbia impedito di vedere, con altrettanta lucidità, il limite insito nella pratica dell’autocoscienza che il consistente numero di donne passate alla psicanalisi lasciava intravedere.
Se il passaggio dall’esperienza dei gruppi di autocoscienza al setting psicanalitico abbia poi facilitato le donne nel percorso di liberazione iniziato o abbia finito per sedare, ostruire o deviare il loro desiderio indirizzandolo verso altre mete, è una questione importante e delicata la cui risposta è indecidibile ma la prudenza, pur necessaria in questi casi, non rende meno lecito domandarsi in quale modo - o a quale prezzo - delle donne aliene da ogni compromesso, siano riuscite a conciliare una pratica autogestita di liberazione dall’oppressione maschile, con una pratica ispirata da una teoria di stampo fallocentrico notoriamente impermeabile alla discriminazione e alla violenza di genere.
Che cosa non ha funzionato o non poteva funzionare nei gruppi femminili di autocoscienza per rendere quel passaggio per molte donne obbligato? Quali ne sono stati gli esiti? E, ancora, quali potrebbero essere gli scenari futuri per i partecipanti ai gruppi maschili di autocoscienza attualmente esistenti, tenendo conto del fatto che il processo di trasferimento di molte donne dalla pratica dell’ autocoscienza al setting psicanalitico era avvenuto e maturato proprio all’interno dei gruppi caratterizzati dalla pratica del "partire da sé" cui gli uomini si sono successivamente ispirati?
Credo che il punto debole dell’ impostazione di Lonzi - sia l’opposizione duale fra femminismo o psicanalisi - e la sottovalutazione delle profonde ragioni del trasferimento di molte donne da una pratica all’altra - suggerisca una revisione di tale impostazione altrimenti riformulabile: Quale psicanalisi? Quale femminismo?
Se la prima domanda allude alla necessità di un radicale ripensamento della teoria e della pratica psicanalitica in un’ottica di genere - in assenza del quale parlare di un rapporto fra psicanalisi e femminismo sarebbe del tutto infondato - la seconda è decisiva per avviare un’analisi e un confronto a tutto campo su ciò che oggi rimane del femminismo e sulle strade da prendere.
Queste strade non possono più essere quelle della rimozione, della non consapevolezza, del misconoscimento e della mancata elaborazione, da parte di molte donne, dell’azione della pulsione distruttiva che abita e inconsciamente lavora anche all’interno dei gruppi femminili-femministi.
Non c’è Evento, neppure la grande Manifestazione del 13 Febbraio Se non ora quando? che abbia il potere reale - non magico, non fantasmatico - di colmare il vuoto di un deficit elaborativo relativo al riconoscimento della presenza e dell’azione distruttiva della Todestrieb il cui potere negativo consiste nel far morire sul nascere ogni nuovo inizio trasformandolo in un inizio precluso in partenza. C’è dunque molto lavoro da fare.
Femminismo e psicanalisi lungi dall’ essere due esperienze incompatibili, sono nati per nutrirsi e arricchirsi a vicenda anche se i 100 racconti di donne curato da Ritanna Armeni - in cui non c’è (e non per caso) un solo contributo di psicanaliste - ci raccontano della grande distanza da colmare tra queste due esperienze, pena la perdita, per entrambe, di un valore aggiunto in termini di contributo alla trasformazione sociale.
Inutile dire che la riduzione di tale distanza esige, in via preliminare, la riduzione della distanza della psicanalisi e del femminismo da se stessi e il ritrovamento della carica rivoluzionaria insita nelle loro rispettive origini. La prima, inventata da un uomo, (grazie?) al disagio delle sue pazienti "isteriche"e tradizionalmente affidata nella mani di fondatori di "scuole" votati alla trasmissione di genealogie paterne; il secondo, nato da una giusta, sana e radicale ribellione femminile contro lo strapotere patriarcale ma pericolosamente soggetto a meccanismi di tipo mimetico-identificatorio e spesso dipendente, suo malgrado, da paradigmi di potere interiorizzati ereditati dal mondo maschile.
Se la politica delle donne, la psicanalisi e il loro intreccio perpetuassero, nei loro rispettivi ambiti, questo modello, non saremmo di fronte a un intreccio "virtuoso" o "complesso" ma soltanto a un sodalizio schiavo e complice al tempo stesso e una volta di troppo, di quella logica del "medesimo" (Irigaray) che tanta parte ha avuto nella cancellazione simbolica della metà del genere umano.
Spetta solo a una politica delle donne e a una psicanalisi dell’avvenire - così mi piace fantasticare sul futuro di quest’ultima, come qualcuno ebbe a pensare il futuro della filosofia - impegnate, da ambiti e prospettive diverse, a trovare insieme una via d’uscita alla follia dei patriarchi - la ridefinizione dei termini e del senso di una relazione complessa, contraddittoria e irriducibile ad accostamenti e suggestioni occasionali un po’ troppo disinvolti per non risultare pericolosi.
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lunedì 4 aprile 2011

Al Consiglio Provinciale di Napoli una tavola rotonda sulle donne

Appuntamento martedì 5 aprile alle 16. L'incontro è organizzato dall'associazione politico-culturale Campo Libero sul tema "Dialettiche di genere: un confronto plurale sulla questione femminile"

di Valeria Russo - 04/04/2011
donne_1Le donne partenopee ancora una volta scendono in campo per confrontarsi, due mesi dopo la grande iniziativa femminile nazionale di “Se non ora quando?”, in una tavola rotonda, domani alle ore 16.00, presso la Sala del Consiglio Provinciale di Napoli (Via Santa Maria La Nova, 43).

L’incontro è organizzato dall’associazione politico-culturale Campo Libero sul tema “Dialettiche di genere: un confronto plurale sulla questione femminile”.

La questione femminile è ancora aperta, soprattutto in Campania, la regione che più delle altre discrimina le donne in Europa, con un tasso di appena il 28% di occupazione rispetto a quello del 75,8 dell’Unione Europea e del 63,9 per cento dell’Italia.

Le donne nella nostra regione si sono viste impugnare dal Governo la legge contro la violenza di genere e non possono contare su un sistema di protezione sociale che le sostenga nella conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, come dimostra anche lo scarso numero degli asili nido, che a Napoli copre appena il 3 per cento del fabbisogno. Il dibattito sarà un confronto plurale, che esorta a partecipare anche gli uomini impegnati nel mondo sociale, per discutere insieme su: lavoro, partecipazione, servizi,violenza,informazione.

La tavola rotonda sarà introdotta e moderata dalla sociologa Raffaella Palladino dell’associazione Campo Libero. Parteciperanno, inoltre, all’incontro: Antonella Pezzullo segretario generale SPI-Cgil Campania; Mario Sgambato psicologo e psicoterapeuta del centro antiviolenza EVA; Andrea Morniroli operatore sociale della cooperativa Dedalus; Alessandra Raiola operatrice sociale dell’Agenzia per la promozione dell’impiego; Raffaella Ferrè scrittrice e giornalista; Francesca Ghidini giornalista Rai; Anna Redi attrice e regista. Ci saranno testimonianze di donne impegnate nei movimenti di sensibilizzazione della politica sui temi dell’ambiente, del lavoro e dei diritti.

In contemporanea con l’iniziativa, negli spazi antistanti la sala consiliare, sarà allestita la mostra “Se non ora quando?” di Eliana Esposito, fotoreporter sociale che espone venti fotografie inedite (su pannelli in forex 50x70mm e stampa su vinile) realizzate nel corso della manifestazione nazionale promossa dalle donne il 13 febbraio scorso. La mostra sarà itinerante ed è realizzata in collaborazione con Fondazione Idis-Città della Scienza.