PER RIPRENDERCI LA NOSTRA DIGNITA'

giovedì 24 febbraio 2011

COME CONTATTARE IL COMITATO "SE NON ORA QUANDO, 13 FEBBRAIO"


di Giovanna Cosenza

Ricevo da Nicoletta Dentico – del comitato permanente «Se Non Ora Quando, 13 febbraio» – e volentieri pubblico:
«Carissima Giovanna, carissime tutte e tutti che avete scritto,
innanzitutto grazie per le molte, utili, sollecitazioni che trovo su queste pagine. A caldo, vorrei condividere qualche commento sulla manifestazione e alcune spiegazioni sul comitato “Se Non Ora Quando, 13 febbraio”, che si è costituito in maniera permanente (include la associazione “Di Nuovo”, la associazione “Filomena, la rete delle donne” e alcune delle firmatarie dell’appello).
Sospetto – e lo dico con lo stupore ancora vivo di chi ha partecipato alla organizzazione dell’iniziativa del 13 febbraio – che non si possa in alcun modo sminuire la portata delle 230 città italiane e delle città del mondo mobilitate intorno alla questione di genere in Italia.
Pur nella evidente perfettibilità dell’operazione – che nasce da una riflessione di quasi due anni ma è stata messa in piedi in meno di tre settimane – io non credo che una cosa del genere sia mai accaduta prima nel nostro paese, ed è un punto di non ritorno che va gestito con molta sapienza, con enorme capacità di ascolto, umiltà e arguzia politica.
Immagino che siamo tutte più o meno consapevoli delle trappole che ci attendono, sia interne che esterne.
Dico che sarebbe criminale – uso questa parola perché mi sembra la più appropriata – sciupare l’energia che si è manifestata domenica scorsa dando l’impressione che si sia trattato, per l’appunto, di una aneddotica rondine di passaggio.
Le manifestazioni in Italia hanno cessato da lungo tempo di produrre un vero impatto sulle politiche del paese. Sappiamo che scendere in piazza serve a contarsi e catalizzare volontà ed impegno. Non vogliamo replicare trame deludenti del passato.
La responsabilità è enorme. La responsabilità posa su chi ha convocato questa manifestazione (e vi garantisco che me la sento tutta addosso, in prima persona). Ma, dopo il 13 febbraio, la responsabilità posa su tutte e tutti, anche su coloro che si chiamano fuori ed esprimono criticità nei confronti della iniziativa, per le ragioni più diverse e legittime (in alcuni casi, però, ammettiamolo, anche pretestuose).
La polifonia di messaggi, presenze e punti di vista scaturiti il 13 febbraio – dalle suore comboniane alle rappresentanti della associazione per la promozione dei diritti delle prostitute – non solo devono essere riconosciute, ma rappresentano la vera forza e la vera sfida del dopo che è già cominciato. Interpella quante finora “si sono accontentate della logica del collettivo dove tutti la pensano come me” – citazione che ho raccolto da un duro dibattito alla libreria Tuba a Roma prima della manifestazione.
Poiché contesto il pensiero unico di qualsivoglia provenienza, in una società che ha inaridito la possibilità dei diversi punti di vista sulle cose e la complessità della realtà, ridotte entrambe a un vociare sempre più urlato e rissoso, mi sembra che questo polimorfismo sia già un notevole risultato. Un segnale politico da cogliere. Un utile presupposto da salvaguardare, e da cui partire. Nella convinzione, lo dico senza vis polemica ma per percorso personale, che le pur indispensabili azioni individuali agite nelle proprie case con i propri figli, per insegnare loro modalità più giuste di relazione fra i due sessi, non possano più bastare.
Adesso il comitato dovrà essere ampliato, dovrà strutturarsi in gruppi locali di mobilitazione, dovrà trovare metodi creativi di lavoro. Sarà necessario un raccordo continuo, un lavoro di faticosa tessitura di proposte ed azioni, su più piani, che diano la prospettiva di una partecipazione diffusa e di un cammino collettivo che va avanti.
Il bene pubblico del 13 febbraio, e delle sue numerose significazioni, dovrà indurre tutti a fare un passo indietro per trovare il territorio comune su cui costruire il cambiamento. L’antiberlusconismo può essere banale, ma mi stupisce chi lamenta che sia venuto fuori dalle piazze in maniera così aperta. Il berlusconismo invece – ovvero quella fattispecie di cultura mercificatoria e cartellonista che punta all’immagine e all’abuso come forma del potere – è una gramigna che ha attecchito parecchio nel paese, anche nei luoghi più insospettabili.
La battaglia per un’Italia più equa e meno discriminata dovrà fare i conti con la necessità di estirparne le radici ovunque, tanto a destra quanto a sinistra, tanto nelle parrocchie quanto nei collettivi studenteschi, nella società civile e tra i gruppi più emancipati del nostro paese. Tra gli stessi gruppi di donne che spesso hanno assunto modalità di leadership maschili.
Insomma, il 13 febbraio mette in discussione tutte e tutti, per partecipare alla costruzione di una nuova Italia. Siamo già arrivate in ritardo, io almeno la penso così. Ma adesso che finalmente ci siamo arrivate, sarebbe grave che non cogliessimo questa importante – storica? – occasione.»
Per entrare in contatto con il comitato «Se Non Ora Quando, 13 febbraio», lanciare proposte, dare informazioni, suggerire percorsi e spunti, puoi scrivere a Nicoletta Dentico:
nicolettadentico chiocciola libero.it

13 FEBBRAIO: LOCANDINA E VOLANTINO

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10 FEBBRAIO: RASSEGNA STAMPA

Forchette e forconi

Inrassegna stampa su 10 febbraio 2011 a 10:47
di Manuela Cartosio, Il manifesto, 9 febbraio 2011
La manifestazione del 29 gennaio a Milano e quelle che si terranno il 13 febbraio in varie città hanno suscitato critiche, riserve, prese di distanza da parte di diverse donne con alle spalle l’esperienza del femminismo negli anni Settanta. Donne ora in disaccordo quasi su tutto (compresa la collocazione politica) prendono le distanze, criticano fino a motivare, in alcuni casi con qualche iattanza, il loro «io non ci sarò». È qualcosa di più consistente e generalizzato della snobbatura riservata da alcune di loro alla manifestazione milanese del 14 gennaio 2006 per la difesa della legge 194 e la libertà femminile.
Senza la 194 – lo ricordo per chi ha a cuore le carriere femminili – forse Susanna Camusso non sarebbe diventata segretaria generale della Cgil. Per questo merita discuterne. La mobilitazione di piazza è uno strumento grossolano per dipanare un nodo complesso come quello indicato dalla triade sesso-denaro-potere. Arduo tradurre in slogan la povera sessualità seriale di Berlusconi, la sua paura della morte, la caduta del desiderio, l’imperativo al godimento. Ma non succede così anche per temi più semplici? Ad esempio: uno sciopero solo dei migranti suona quasi come una bestemmia alle mie orecchie; ciononostante lo scorso primo marzo ero in piazza con loro. Perché, semplicemente, bisognava esserci. Altrettanto sento che domenica prossima bisognerà comunque esserci. Anche se l’appello che indice la manifestazione è mal scritto, in alcuni punti mal pensato, teso ad allargare il più possibile il fronte (vedi il riferimento alla religione!). Lo scivolone più grave, a mio parere, è l’eccessiva insistenza nell’elencare le nostre professioni all’onor del mondo, inciampando in una distinzione sotto traccia tra donne «per bene» e «per male». Poi ci sono i palloncini e le sciarpe bianche «in segno di lutto». Mi irritano, essendo il lutto davvero fuori luogo. Le considero sgrammaticature, spie di una diversa sensibilità, non sufficienti però per giustificare un’assenza. Invece, quelle che «io non ci sarò» le prendono in punta di forchetta. Anzi, per infilzare meglio la manifestazione attribuiscono all’appello e alle organizzatrici vizi e intenzioni che non hanno. Da nessuna parte sta scritto che Ruby&le altre sono delle «povere vittime». Semmai, il loro percorso di “emancipazione” sta tutto nella cultura dell’avere, del consumo immediato, del corpo merce (le donne non stanno sotto una campana di vetro, non sono immuni dall’italica catastrofe antropologica). Quel percorso può avere successo – dalla velina alla ministra – ma resta un’emancipazione malata. Le donne del sultano c’entrano poco o nulla con le sex workers “tradizionali”, che l’appello neppure nomina. In perfetta malafede qualcuno è riuscito a trasformare quella del 13 in una manifestazione contro le prostitute. Comunque né le une, né le altre sono fatte oggetto di moralismo bigotto. Dunque suona bizzarro l’invito (di Ritanna Armeni su Gli altri) rivolto alle manifestanti ad «abbassare i forconi», l’equivalente delle manette giustizialiste. L’appello si conclude chiamando in causa gli uomini: a loro si chiede un atto di amicizia, di manifestare insieme. Certo, mai come questa volta toccherebbe agli uomini prendere la parola e l’iniziativa per primi, visto che B. offende anzitutto loro. Ma se non lo fanno, le donne devono restare in attesa? L’accusa più pesante mossa alla manifestazione è di “strumentalizzare” le donne: sarebbe eterodiretta dai partiti (quindi da organizzazioni maschili) che «si ricordano delle donne solo quando servono». Non mi pare che a Milano stia succedendo così. Non ho informazioni dirette su Roma (a naso credo che a spingere per l’appuntamento del 13 febbraio siano state soprattutto le coppie Camusso-Bonino e Repubblica-Unità). Sia come sia, penso che una donna abbia molte valide ragioni, oltre ai festini di Arcore, per volersi sbarazzare del cadavere di Berlusconi. Non occorre che un partito le metta in bocca la parola d’ordine «Berlusconi dimettiti». Così, si obietta, si resta al mero antiberlusconismo, non si capisce che i guasti (relazioni tra i sessi comprese) resteranno tal quali anche dopo che il Cav avrà tolto il disturbo. Ma lo sanno anche i sassi. Pensare che le donne che manifesteranno domenica non ne siano consapevoli è considerarle marziane o dementi. Le femministe dell’io non ci sarò sono molto intelligenti. Mi piacerebbe che avessero più generosità umana, più duttilità politica e meno paura di “confondersi”, per qualche ora, con le altre. Confondersi non significa perdersi.

Dalla telenovela all’ Italia vera

Inrassegna stampa su 10 febbraio 2011 a 10:44
Il manifesto, 9 febbraio 2011
Le firme sotto l’appello di convocazione raccolte in una settimana sono 51.500, il blog «Se non ora quando» registra 23mila contatti al giorno, la pagina su Facebook 15mila, le piazze in cui la manifestazione si articolerà sono 117, fra grandi, piccole e piccolissime città. Parole d’ordine, dignità delle donne, rispetto per le donne. Partecipanti, donne e «uomini amici delle donne», così li chiamano le organizzatrici che ieri hanno presentato con una conferenza la mobilitazione femminile di domenica prossima. Nata, ricostruisce Francesca Comencini, per iniziativa dell’associazione «Di nuovo», che poco meno di un anno fa aveva scritto un testo politico di commento al Berlusconi-gate e aveva realizzato uno spettacolo teatrale per la regia di Cristina Comencini. Da lì l’idea della manifestazione che nelle ultime settimane, sull’onda del Ruby-gate, ha preso corpo con le adesioni all’appello «Se non ora quando». Fra le quali quella di Susanna Camusso, segretaria della Cgil, che così sintetizza gli scopi della giornata: «Se non ora quando un’Italia normale, che non sia una telenovela di cattivo gusto ma che sia un’Italia vera. Senza diritti e senza dignità delle donne non c’è Italia, non c’è futuro».
Alle organizzatrici però sta a cuore smentire una delle critiche che sono state rivolte all’appello di convocazione e a quello in suo sostegno pubblicato sull’Unità , ovvero che entrambi presuppongano una divisione fra donne «perbene» e donne «permale». «C’è chi teme che attraverso alcuni discorsi si ristabilisca l’antica divisione tra puttane e madonne – ha detto Serena Sapegno, promotrice e docente di letteratura italiana all’università La Sapienza di Roma -, ma questo è un argomento usato pretestuosamente dai media. La nostra non è una manifestazione contro la prostituzione, semmai contro la corruzione esercitata dal potere». A riprova, in piazza ci saranno anche le lucciole, perché, spiega Pia Covre del movimento per i diritti delle prostitute, «non accettiamo di essere usate, infangate e strumentalizzate per la restaurazione di una morale stantìa». Ma la preoccupazione, spiega Francesca Izzo, anche lei del comitato promotore, va oltre il Ruby-gate e riguarda l’intera condizione delle donne italiane: «Se la società italiana è bloccata e non cresce, è perché tiene da parte le donne. Chiediamo agli uomini di esserci, ma diciamo allo stesso tempo che le classi dirigenti, maschili, sono responsabili di questa situazione».
Non tutte le promotrici o le firmatarie dell’appello appartengono al centrosinistra o alla sinistra. Flavia Perina, direttora del Secolo d’Italia e deputata Fli, dice che il punto che emerge dal Berlusconi-gate è politico: «Se passa il principio che una delle strade per fare politica è quella dei festini, tutte noi che abbiamo fatto altre scelte saremo squalificate». E dopo il 13 «si volta pagina», garantisce l’europarlamentare Pd Silvia Costa.

Corso: «In piazza tutte unite, contro il gioco sporco degli uomini»

Inrassegna stampa su 10 febbraio 2011 a 10:42
di Federica Fantozzi, l’Unità, 9 febbraio 2011
Contro il «gioco sporco degli uomini» che nobilitano le escort per tramutarle, con un colpo di bacchetta a rovescio, in puttane pazze appena rivelano verità scomode. Contro la «doppia morale» del governo che caccia «sfigate, tossiche, immigrate» dalle strade ma riempie le ville di ragazze anche minorenni. Contro la tratta delle figlie da parte di padri e madri che anziché proteggerle vogliono monetizzarle.
Sabato in piazza, con l’amica Pia Covre e il Movimento dei diritti civili delle prostitute, ci sarà anche lei: Carla Corso, 65 anni, che da vent’anni lotta per la dignità, la sicurezza, l’autodeterminazione di chi vende il proprio corpo.
Ci sarete per «contaminare» la piazza. Perché ne sentite l’esigenza?
«Mai come ora tutte le donne devono essere unite. Altrimenti si realizzerà la separazione che vogliono gli uomini: puttane o madonne. Le prime dal premier, le altre a casa».
In cosa si sente simile o diversa dalle ragazze che frequentano Arcore?
«Loro non sono prostitute. Le prostitute vanno con tanti uomini, scelgono clientela e prestazioni, lo fanno per soldi. Queste giovani donne, in maggioranza, frequentano solo Berlusconi. Cercano di sfondare nel mondo dello spettacolo e sono costrette a subire incontri con un uomo anziano».
Vede una differenza tra prostituta ed escort?
«Anche questa è una terminologia maschile. Ora le chiamano escort per nobilitarle, ma appena dicono cose scomode tornano prostitute inattendibili perché reiette della società. In quanto tempo la D’Addario è stata trasformata in puttana pazza? E nelle intercettazioni non si dice che una delle ragazze è pazza e pericolosa?».
Ne discutono Emilio Fede e la Minetti.
«Prima le usano e poi le trattano così. Le rendono cortigiane, con l’accesso ai palazzi in auto blu, poi le gettano. È un gioco sporco. Le hanno tutte bruciate: dopo questo scandalo non potranno più avere una carriera nello spettacolo».
C’erano anche altre strade.
«Certo. I casting? Una su mille ce la fa. Arcore è una scorciatoia, ma non credo che la loro intenzione iniziale fosse vendersi».
Alla fine sono imprenditrici di se stesse – pochi maledetti e subito – o vittime del potere maschile?
«Sono vittime di un sistema che le vuole anoressiche, mute, belle da guardare. Senza borse di Gucci o Prada si sentono niente. Abbiamo creato una gran brutta società. Queste ragazze meritano di meglio».
Come giudica il tifo dei familiari per le loro fanciulle?
«Questo è veramente ignobile. Viviamo in una società dove si vende tutto, anche i figli. Noi lavoriamo con la tratta delle prostitute, ragazzine ridotte in schiavitù. Dieci anni fa ci sconvolse scoprire che le albanesi venivano vendute dalle famiglie. E qui allora? Figlie che dovrebbero essere il bene più prezioso, sfruttate».
Voi, sulla strada negli anni ‘70, eravate più libere?
«Eravamo molto politicizzate, frutto comunque delle lotte femministe. Poche, molto determinate, consapevoli di essere in lotta contro il mondo».
Detto così suona suggestivo. Lo era?
«Ovviamente non credo che prostituirsi sia quanto di meglio possa capitare a una donna. Dico che lottare per la libertà di vendere il proprio corpo era una forma di contestazione forte, un modo di mettersi in gioco».
In queste ragazze vede una forma di contestazione?
«Macché. Sono funzionali al sistema. Le studentesse che contestano la Gelmini fuori dalle università, loro coetanee, non andrebbero a prendere nemmeno il caffé ad Arcore. Esiste una parte sana di società. Ma stiamo attenti al rischio di cadere nel moralismo che vanificherebbe molte conquiste».
Sabato con voi ci saranno anche donne giovani?
«Poche. Per fortuna, forse».
La prostituzione però non è affatto scomparsa. E per molte non è una libera scelta.
«No. Questo governo fa una repressione feroce. E pagano le sfigate, le immigrate, le tossiche. La proposta del ministro Carfagna, di togliere le lucciole dalle strade, è ignobile. È l’ipocrisia, la grande contraddizione, di chi vive la doppia morale e nasconde l’immondizia sotto il tappeto. Le puttane fuori dalle strade ma nelle ville».
Vendere il corpo è un diritto, ma comprarlo con i soldi pubblici?
«Ecco, è vergognoso che accada nei palazzi delle istituzioni, che coinvolga cariche elettive. Le favorite sono sempre esistite, ma Berlusconi dovrebbe limitarsi ai regali e lasciare la politica a chi la sa fare».
Visto nella filigrana dei nastri, il premier è un uomo triste e solo?
«Figuriamoci. Se la spassa alla grande. Non si fa mancare nulla. Se non governasse il Paese e non frequentasse minorenni sarebbe anche simpatico. Ma per favore, non tiri dentro l’Italia e tutti noi».

«Se non ora quando», in tutto il Paese domenica le donne lo diranno in versi

Inrassegna stampa su 10 febbraio 2011 a 10:37
di Mariagrazia Gerina, l’Unità, 9 febbraio 2011
Un minuto di silenzio, seguito da un urlo collettivo. Quasi un rito di purificazione per tirare fuori rinnovata la voce. E anche le parole. Le prime, scandite domenica prossima alle 14 dal palco di piazza del Popolo, saranno versi. Scritti e letti da una donna, Patrizia Cavalli, tra le voci più significative della poesai italiana. Dedicati all’Italia. Anzi, a La patria (titolo del suo ultimo libro, edizioni Nottetempo, in libreria dal 17 febbraio). «Certo,/ sarebbe un gran vantaggio/ poterla immaginare, tutta intera,/ dai tratti femminili, dato il nome…». E non potrebbe esserci viatico migliore a una manifestazione che rivendica di voler mutare l’Italia in «un paese che rispetti le donne» (reciterà così lo striscione srotolato dalla terrazza del Pincio). Una patria al femminile. Non solo sognata, ma cercata, inseguita, sperata. Altro dal paese che «ci reprime e non ci considera persone», per dirla con Susanna Camusso, primo segretario donna della Cgil.
Altro dall’Italia di Arcore e di Berlusconi, «che sta facendo passare il principio per cui alla politica accedono le donne che partecipano alle sue feste», per dirla da destra con il direttore del Secolo, Flavia Perina. Due donne, che nemmeno si conoscevano, prima. «Ciao piacere. Non c’è più posto?». «Ma no, c’entriamo tutte». Si sono trovate fianco a fianco nell’appello «Se non ora quando», si sono presentate ieri, alla conferenza stampa di lancio della manifestazione che da quell’appello (51.500 firme) prende le mosse.
«L’hanno firmato donne di diverse età e provenienze politiche, in cerca di un comune denominatore», spiega la “regista” della mobilitazione Francesca Comencini. Con lei, l’attrice Lunetta Savino, l’europarlamentare Silvia Costa, la storica Francesca Izzo, Nicoletta Dentico, Titti Di Salvo, l’italianista Maria Serena Sapegno.
Una mobilitazione che si vuole «plurale» e senza etichette. Nemmeno quella «moralizzatrice», che i «media cercano di attribuirci». «Non stigmatizziamo il comportamento di nessuna, non vogliamo dividerci in buone e cattive», ribadisce Comencini, felice di salutare l’adesione del Movimento per i diritti delle prostitute. «Questa piazza è aperta a tutte». Anche agli uomini «ovviamente», incitati a partecipare. Contro nessuna, tanto meno contro Ruby. «Poi ciascuna di noi è qui a testimoniare la sua storia, in una relazione di confronto», spiega Camusso.
Per altro: «la divisione tra puttane e madonne su cui soffiano i media dà molto fastidio giovanissime», avverte da prof universitaria Serena Sapegno. Assenti dal tavolo della conferenza, le giovanissime «stanno aderendo in tante» e saranno sul palco, assicurano le organizzatrici. «Noi senza loro e loro senza noi non andiamo da nessuna parte». In sala, c’è anche Lucia Annunziata. «Sono una giornalista, non firmo appelli». Però prepara la prossima puntata di In Mezz’ora. Domenica, in diretta da piazza del Popolo.

Noi donne in piazza per urlare basta

Inrassegna stampa su 10 febbraio 2011 a 10:34
di Giovanna Casadio, La Repubblica, 9 febbraio 2011
L’ idea è cominciare con un urlo. Un urlo liberatorio dalla Terrazza del Pincio fino a piazza del Popolo, domenica alle 14 a Roma – ma ci sono altre 117 piazze in Italia e nel mondo – perché non se ne può più. Le donne italiane non ne possono più di essere finite «in un cattivo film degli anni ‘ 50, in cui solo chi sta fuori dalla storia può pensare – come spiegano le organizzatrici della mobilitazione “Se non ora quando?” – che le donne corrispondano all’ immaginario di vitelloni che non sanno fare l’ amore, né confrontarsi, né lavorare al fiancoe alla pari con le donne». In un video che va forte su Youtube (sul web sono arrivate decine di migliaia di adesioni all’ appello), l’ attrice Angela Finocchiaro invita alla manifestazione per fare dell’ Italia quello che non è più, «un paese per donne», che «rispetti le donne». Raccontano le ragioni delle piazze di domenica il segretario della Cgil, Susanna Camusso, e il direttore del Secolo d’ Italia, Flavia Perina; Francesca Comencini; Titti Di Salvo; Silvia Costa; Lunetta Savino; Nicoletta Dentico. E la conferenza stampa è stata convocata non a caso nella sede della stampa estera, perché c’ è un problema: spiegare all’ estero com’ è che siamo arrivatia questo punto. Con un premier indagato per concussione e rapporti con una minorenne, circondato da amici accusati di sfruttamento della prostituzione. E com’ è che metà dello spazio sui media se ne vada a discutere se in piazza il 13 non vadano per caso le donne «per bene» contro quelle «per male». Una rappresentazione rilanciata da ministre e politiche del Pdl, intervistate dal settimanale berlusconiano Chi. Una sorta di “bigotte” contro “bocca di rosa”. Altro fumo sui fatti. Camusso invita a guardare al cuore delle cose: «Anche in questo caso si deve sempre parlare delle ragazze, del lavoro delle prostitute, e non si parla dell’ origine del problema, cioè la domanda maschile dei clienti, si cerca il dito e non la luna: se non ora quando un’ Italia normale? Con la negazione della dignità delle donne non c’ è futuro». La mobilitazione è trasversale. Lo spiega Perina, che è donna di destra, finiana. Un’ altra donna di Fli, e presidente della commissione Giustizia di Montecitorio, Giulia Bongiorno,è stata invitata a parlare sul palco a Roma. Prima, la poetessa Patrizia Cavalli che ha preparato una orazione civile dal titolo “La patria”. A Milano, sul palco anche Perina. Ovvio che le perplessità femministe non mancano. Sul sito donnealtri. it si dibatte sui rischi di moralismo e di strumentalizzazione. Pia Covre, leader del Movimento per i diritti civili delle prostitute, dice: «Noi ci saremo». I leader politici che parteciperanno, sappiano di essere ospiti: né simboli di partito né simboli sindacali. Un mini vademecum della mobilitazione recita: «La manifestazione non è fatta per giudicare altre donne,o per dividerle in buone e cattive, cartelli e striscioni ne terranno conto»; la manifestazione è promossa dalle donne ma «la partecipazione di uomini amici è richiesta e benvenuta».

Ni putes ni mammas !

Inrassegna stampa su 10 febbraio 2011 a 10:32
di Philippe Ridet, Le Monde, 9 febbraio 2011
Une minute de silence, suivie d’un cri. Un hurlement pour dire “Basta !”. Dimanche 13 février, de Turin à Palerme, des dizaines de milliers d’Italiennes libéreront ainsi leur colère contre Silvio Berlusconi. Basta !, ses call-girls qui s’offrent au sultan en échange d’un petit rôle à la télévision, d’une place éligible sur les listes électorales ou d’argent. Basta !, les orgies du bunga-bunga. Basta !, ce modèle de femmes jetables et interchangeables dans lequel elles refusent de se reconnaître. Leur mot d’ordre : “Maintenant ou jamais.”
Plus de trente ans après les grandes batailles des féministes italiennes pour le divorce (1974) et l’avortement (1981), une nouvelle vague voit le jour. Le déclic ? Les affaires Noemi, puis Patrizia, puis Nadia et enfin Ruby : autant de jeunes femmes, parfois mineures, qui ont fréquenté les nuits d’Arcore (la résidence milanaise de M. Berlusconi), jetant une lumière crue sur une “putanocratie” où la promotion des femmes est une question de tour de poitrine plus que de mérite. Samedi 29 janvier, déjà, plusieurs centaines d’entre elles ont manifesté, une écharpe blanche autour du cou, derrière une banderole où l’on pouvait lire “L’Italie n’est pas un bordel”.
Plusieurs associations ont vu le jour depuis ces révélations. L’une d’elles s’appelle Di nuovo (“A nouveau”). “Quand nous nous sommes réunies pour la première fois en 2009, explique une des fondatrices, Elisabetta Addis, nous avons pris conscience que tout était à recommencer. Notre intention de créer un réseau d’associations féminines capables de sélectionner des candidates aux élections a été court-circuitée par le Rubygate. Nous avons dû nous mobiliser plus vite que prévu. Les femmes doivent devenir le premier sujet politique.”
Absence de mobilisation”
Sur le blog de Di nuovo (Dinuovodinuovo.blogspot.com), on retrouve le gratin des Italiennes engagées : l’architecte Gae Aulenti, l’actrice Margherita Buy, l’éditrice Inge Feltrinelli, les réalisatrices Cristina et Francesca Comencini, la directrice du quotidien L’Unità Concita De Gregorio, des députées de gauche et quelques-unes de droite, la syndicaliste Susanna Camusso et même une religieuse, Rita Giaretta. Elles remontent au front, un peu amères : “L’Italie a eu le plus grand mouvement féministe d’Europe, explique Francesca Comencini, mais il n’y a pas eu de transmission aux générations suivantes.”"Les féministes historiques n’ont pas assuré la maintenance des droits conquis. Tout le monde est retourné chez soi, croyant la partie terminée, regrette Nicoletta Dentico, responsable de l’association Filomena. Nous payons le prix fort de cette absence de mobilisation.”
A cette démobilisation correspond la montée en puissance des chaînes de télévision de Silvio Berlusconi, dans les années 1980. Les émissions où les femmes sont cadrées à hauteur de fesses ou de seins se sont installées sans rencontrer de réelle opposition. Le modèle féminin dominant (95-60-95) a peu à peu envahi les écrans et l’imaginaire érotique du président du conseil (infirmières nymphomanes et soubrettes accortes) s’est imposé à tout le pays. “Le machisme italien déjà très présent s’est ainsi trouvé conforté, dit Michela Marzano, auteure deSii bella e stai zitta (“Sois belle et tais-toi”, Mondadori, non traduit) et professeure de philosophie à l’université Paris-Descartes. La femme a été réduite à un modèle unique dans l’indifférence.”
La faute du mâle italien ?
La faute du mâle italien ? “Lui aussi est une victime de cette sous-culture”, préfèrent croire les néoféministes de 2010. Aussi engagent-elles les hommes à manifester à leurs côtés, estimant la guerre des sexes dépassée. “La question de la dignité des femmes renvoie à celle des hommes, et donc à la dignité des personnes en général, souligne Mme Dentico. Il faut travailler tous ensemble, hommes, femmes, de droite comme de gauche, Italiens de souche et immigrés, si nous voulons créer une alternative. Nous ne devons pas nous ghettoïser dans la cage du féminisme historique.”
Leur lutte d’aujourd’hui ne se concentre pas uniquement sur la représentation médiatique des femmes. Elles veulent dénoncer aussi une énième “anomalie italienne” : le taux d’emploi des femmes est l’un des plus bas d’Europe (46 % contre 68,6 % pour les hommes). “En Italie, la politique sociale repose sur les femmes, explique Mme Dentico. Quand il faut sacrifier quelqu’un pour s’occuper des enfants ou d’un parent âgé, c’est vers elles qu’on se tourne. Nous avons obtenu la parité, mais tout le reste manque. Il faut faire émerger les femmes normales, qui travaillent, réussissent sans se vendre.”"Maman ou putain, ce n’est pas un choix, mais un double piège”, s’indigne Michela Marzano.
Acculturation”
Ce nouveau modèle ne semble pas encore séduire les jeunes générations. Lundi 31 janvier, le quotidien de centre gauche La Repubblica a publié un sondage de l’Institut Demo & Pi. A la question “Comment jugez-vous le comportement du premier ministre ?”, 46 % des Italiens se disent “indulgents”. Et seules 37 % des femmes entre 18 et 29 ans considèrent le comportement de M. Berlusconi comme”irrespectueux” envers les femmes… “Cela ne me surprend pas, explique MmeDentico. Les jeunes ont été biberonnés à cette sous-culture. Si 20 000 jeunes filles sont prêtes à faire la queue pour le casting d’une émission de télé dégradante, accompagnées par leurs mères, c’est le fruit de cette acculturation.”
Mettre en lumière l’humiliation quotidienne des femmes à la télévision, c’est le travail de Lorella Zanardo. Depuis deux ans, elle présente dans les écoles son filmIl Corpo delle donne (“Le Corps des femmes”). Vu par 3 millions de personnes, ce documentaire (devenu un livre, puis une association) est un montage des images les plus dégradantes que le petit écran peut offrir. Devant des assemblées de 200 élèves parfois choqués qu’on puisse critiquer leurs émissions préférées, elle décrypte les images : “Cela peut prendre dix ans ou plus. On change les choses non pas seulement en protestant, mais en agissant sur le terrain, concrètement.”"Tout le monde se demande pourquoi l’Italie est devenue un pays sous hypnose, sourit Cristina Comencini. Et si c’était nous qui allions le réveiller ?”

Donne in cento piazze per difendere la dignità

Inrassegna stampa su 10 febbraio 2011 a 10:25
di Maria Berlinguer, Il Centro, 9 febbraio 2011
La voce delle donne torna in piazza «per la dignità di tutte e di tutti». Domemica prossima, il 13 febbraio, l’altra metà del cielo occuperà simbolicamente 117 piazze di città italiane per dire basta ai Rubygate e alle donne tornate a essere merci di scambio. In meno di una settimana l’appello lanciato sull’Unità e su Repubblica, «Se non ora quando?», ha raggiunto 51.500 firme. I contatti quodiani sul blog sono 23mila, 15mila quelli su facebook. Numeri importanti per una manifestazione che, spiegano le promotrici in una conferenza stampa, non viene fatta «contro» altre donne, per giudicarle e dividerle in buone e cattive. La prova? L’adesione convinta del Movimento per i diritti civili delle prostitute che domenica sarà in piazza perchè non accetta che «il nostro Paese sia trascinato nel fango da una classe politica che ci ha ridotti a una democrazia degenerata».
«Il nostro Paese è stato seppellito lentamente dalla neve, una neve fatta di immagini e precedenti che ha lentamente sotterrato tutto: lo ha fatto in silenzio e ci ha portato a quanto oggi stiamo vivendo, leggendo, subendo», racconta la regista Francesca Comenincini, una delle promotrici. L’appello ha ricevuto molte adesioni da giovani donne. E proprio a loro si sono rivolte le promotrici, auspicando che siano numerose nelle piazze. «Ci sono donne giovani che temono attraverso alcuni discorsi si ristabilisca l’antica divisione tra puttane e madonne», ammette Serena Sapegno, docente di letteratura italiana. «Questo è argomento che è stato usato pretestualmente dai mass media perchè la nostra non è una manifestazione contro la prostituzione, semmai contro la corruzione che il potere esercita», aggiunge.
Questa è una mobilitazione che raccoglie «tante sensibilità e tanti orientamenti diversi», spiega Susanna Camusso. La segretaria della Cgil parla accanto a Flavia Perina, la finiana direttore de “Il secolo d’Italia”. Anche lei sarà in piazza il 13. «La questione è politica: se passa il principio che una delle strade per fare politica è quella dei festini tutte noi che abbiamo fatto delle scelte saremo squalificate, come ci si salverà dal sospetto?», chiede Perina. La Camusso respinge l’offensiva contro la manifestazione scatenata da stampa e media del centrodestra. «Non si va mai all’origine del problema, si guarda il dito e non la luna: si parla delle ragazze ma non della domanda maschile sulle ragazze. Io voglio guardare alla luna». Per la segretaria della Cgil «c’è un confine non morale ma etico che guarda alla funzione della politica e alla salvaguardia delle funzioni pubbliche». Se non ora quando un’Italia normale?, s’interroga parafrasando lo slogan della mobilitazione.
In piazza ci saranno anche politici. Senza bandiere nè vessilli perchè la manifestazione vuole essere trasversale per costruire «un’Italia moderna, giusta e sana».

Paese vecchio e maschilista”

Inrassegna stampa su 10 febbraio 2011 a 09:59
di Chiara Paolin, Il fatto quotidiano, 9 febbraio 2011
L’episodio è passato in cavalleria. Una settimana fa l’onorevole Pdl Lucio Barani sventolava felice il garofano rosso che porta sempre nel taschino – è un nostalgico craxiano – per festeggiare il successo di Montecitorio: niente perquisizioni negli uffici del ragionier Spinelli. Di tutt’altro umore Rosi Bindi: per contrastare l’esultanza del collega si è stretta al collo la sciarpa bianca con cui ricordare la manifestazione che domenica prossima porterà nelle piazze di tutta Italia migliaia di donne stanche di bunga bunga. Ma Barani a quel punto s’è offeso moltissimo, e, sempre col fiore in mano, ha mimato un gesto osceno: “Bindi, quell’antisocialista, faceva gestacci – ha spiegato il deputato –. Allora mi sono tolto il garofano e le ho fatto capire che ero pronto a metterglielo”. Scene di ordinaria volgarità e disprezzo nelle sacre stanze istituzionali. Basterà una protesta di piazza per cambiare le cose? “Ci proviamo. Anche perché, come dice lo slogan, “Se non ora quando?”: Francesca Izzo, docente di dottrine politiche all’Università Orientale di Napoli, è una delle organizzatrici.
I numeri?
Oltre 50 mila adesioni online, 117 città e paesi in cui il 13 febbraio si chiederà all’Italia di riscattare la dignità di tutti e di tutte, ponendo fine alla devastazione del ruolo femminile. Un successo inaspettato, evidentemente abbiamo toccato un punto che, sotto la pelle della nostra società, era già sensibile.
Lei scrive saggi sulla “Morfologia del moderno” e “Il cosmopolitismo di Gramsci”. Che c’entra Ruby?
C’entra eccome perché le vicende poco private di Berlusconi sono soltanto la punta dell’iceberg. L’Italia è un Paese vecchio e maschilista: la disastrosa condizione delle donne è il segno più evidente della nostra arretratezza.
Lo dice anche Pia Covre, rappresentante delle prostitute italiane che ha aderito alla protesta. Ma chi è pronto a cambiare davvero?
Le donne, tutte. Infatti con noi ci saranno Susanna Camusso della Cgil e Flavia Perina di Futuro e libertà, artiste come Francesca Comencini o Margherita Buy, industriali come Miuccia Prada. Siamo volutamente e felicemente trasversali.
Eppure molte esponenti del Pdl difendono il premier a spada tratta, e il sottosegretario Roccella dice che farete una manifestazione di donne contro donne.
Al contrario, chiediamo il rispetto di tutte le donne. A partire da quelle che subiscono questa forma di violenza, lo sfruttamento sessuale, o anche solo la pressione psicologica di dover essere carine, bellocce, disponibili.
Ma le Papi-girls sono giovani furbe, che hanno imparato dalle mamme la libertà sessuale, o ragazze perdute?
Sono vittime di una forma odiosa di corruzione: gli uomini, che detengono il potere, impongono un modello obbligatorio. Infatti, proprio ai maschi chiediamo grande solidarietà e partecipazione: senza una loro presa di responsabilità sarà impossibile cambiare le cose. Anzi, già che ci siamo, posso chiedere anche a voi una cosa?
Prego.
Capisco il dovere di cronaca, ma cercate di ricordare sempre la differenza tra una ragazzina e un uomo di Stato. L’Italia deve davvero fare un passo avanti, è questo il momento giusto per spiegare – soprattutto ai giovani – che un altro futuro è possibile.
DICE LA FRASE del Talmud, presa in prestito da Primo Levi per il titolo del suo libro e rilanciata dalle donne: “Se io non sono per me, chi sarà per me? Ma se io sono solo, che cosa sono io? E se non ora, quando?”.

Quei liberismi tra Foucault e il Bagaglino

Inrassegna stampa su 10 febbraio 2011 a 09:54
di Olivia Guaraldo, Corriere della Sera, 9 febbraio 2011
Caro direttore,
c’è una curiosa tendenza, tutta italiana, a oscillare tra le più raffinate posizioni critiche e dissidenti (specie nella sinistra) e la barbarie, tra Foucault e il Bagaglino per intenderci. Mi pare invece che sia giunto il momento di andare in piazza ed essere numerose perché questo non è il tempo dei distinguo, delle raffinate discussioni fra le diverse anime del femminismo italiano, questo è il tempo della piazza. Questo è il tempo delle donne in piazza: l’indignazione, infatti, si dice in molti modi, non solamente annunciando che in Italia esistono donne per bene che studiano e lavorano – e che quindi si distinguono, in maniera autoevidente, da coloro che preferiscono fare altro – ma anche denunciando il semplice fatto che lo scambio fra sesso, denaro e potere sia divenuto il principale ambito di reclutamento «politico» delle donne. Che cosa hanno da dire su questo le donne? Va tutto bene, dunque?
Eppure, a pensarci bene, sia Foucault che il Bagaglino sono indispensabili strumenti di analisi di un fenomeno tutto italiano, in atto da un ventennio o forse più, relativo ad una curiosa, e se vogliamo innovativa, gender politics davvero originale, nella quale il nostro Paese si dimostra essere all’avanguardia in Occidente: una politica del sesso che persegue, attraverso una apparente cornice liberatoria, un pervicace quanto pervasivo addomesticamento subdolo e costante del femminile. Il dispositivo, come direbbe Foucault, è complesso ed agisce su più livelli, e non è «repressivo», ovvero non riguarda più la vecchia formula patriarcale della sottomissione della donna al volere del padre, del fratello o del marito. Esso è, se vogliamo dargli un nome, post-patriarcale: le donne questa volta vi figurano in qualità di straordinari oggetti del desiderio che, finalmente liberati dai pudori del tradizionalismo, si concedono volenterose. Basti citare le note e familiari espressioni della cultura popolare di massa dell’albo nostrano: dall’indimenticabile filmografia di Alvaro Vitali a Striscia la notizia, passando per Colpo Grosso, Non è la Rai, e il Bagaglino, ciò che è costantemente messo in scena, scrutato, sezionato quasi, dalla macchina da presa è un corpo femminile prosperoso e perfetto, lo sguardo ammiccante e voglioso, la voce muta o tutt’al più balbettante banalità. A chi sia allenata ad osservare i fenomeni politici e culturali con occhi femministi, tutto questo processo dice molte cose: in prima battuta non è difficile notare come la produzione in serie di una femminilità prosperosa e disponibile, assecondi e gratifichi lo sguardo e il desiderio maschile, sia pensata esclusivamente per esso (mi sono sempre chiesta, quando i miei compagni di classe alle medie guardavano con avidità i film pseudo-erotici degli Anni 70, come diavolo facesse una bella donna come la Fenech a desiderare di andare a letto con i vari panzuti di turno…). In seconda battuta è lecito affermare che l’impatto di quello sguardo maschile sulle donne, soprattutto sulle donne più giovani, è stato enorme, canalizzato per lo più dalla democratizzazione dei programmi televisivi. La televisione ha in qualche modo normalizzato, naturalizzato lo sguardo maschile sui corpi femminili «a disposizione». E le ragazze hanno, chi più chi meno, interiorizzato quello sguardo, ne sono state disciplinate, direbbe ancora Foucault, forse convinte che per essere in gamba bisognava aderire volenterose all’imperativo del godimento. Tuttavia, proprio perché tale disciplinamento è avvenuto secondo modalità dell’entertainment, del divertimento e della trivialità, gli si è dato poco peso, convinte che la politica, quella seria, fosse altrove. Oggi capiamo, senza bisogno di scomodare Foucault o Lacan, che invece sta proprio lì il dilemma.
Se quindi da una parte i corpi femminili sono stati cooptati dentro il dispositivo post-patriarcale del godimento, dall’altra il modello astratto dell’emancipazione ha prodotto degli effetti perversi, e andando a coincidere, proprio come nel caso dell’emancipazione dalla servitù della gleba, con la libertà di vendere il proprio corpo. Marx così definì infatti i primi «salariati»: «Liberi venditori di forza lavoro». La perversione ora, per le donne, consiste appunto nella trasformazione della libertà in liberismo, della sudditanza nei confronti del padre o del marito (il vecchio patriarcato) in una sorta di concorrenza spietata fra giovani donne per ottenere i favori dei potenti di turno. I quali non sono più i maschi-padroni di un tempo, ma gli imprenditori del godimento, i broker del successo che passa per quella «fortuna su cui le donne stanno sedute sopra». C’è anche una neo-lingua che nomina questo preciso trend politico: le donne non sono prostitute, ma escort, prestatrici di immagine, curiose manager di loro stesse in una gara all’auto imprenditorialità del proprio corpo che pare non avere confini, né regole. Tuttavia molte di noi hanno la innegabile impressione che sempre di sottomissione si tratti, o per lo meno di sudditanza simbolica, di mancanza di autonomia, di autodeterminazione, di libertà. Tanto più difficile da stanare perché apparentemente perfetta, indolore e seducente.
Smascherare i tranelli di questo neo-patriarcato seduttore è il compito del femminismo in questa precisa congiuntura storica. Se i dispositivi di controllo del femminile si sono trasformati e hanno affinato le loro armi, anche il femminismo deve irrompere in questo presente e provare a decodificare, senza moralismi, quello che sta accadendo. È il compito complesso ma affascinante che la crisi del presente ci impone. Si tratta di adoperare l’armamentario teorico che in questi anni si è sviluppato (forse, è vero, a danno del movimento, della piazza) per mostrare come i processi materiali di produzione dei corpi femminili possano essere contrastati da altrettante analisi materiali di come i corpi, a volte, disobbediscono all’imperativo del godimento imposto dal patriarcato seduttore. Come dice la filosofa americana Judith Butler, ogni processo di normalizzazione dei corpi non è mai completo, esaustivo, e spesso apre la via a modi «sleali» di conformarsi alle regole. Ma tutto questo rimane pura testimonianza personale, o martirio, se non si inserisce in un contesto collettivo, ampio e plurale di un nuovo movimento politico femminile e femminista. Che ci includa tutte, le une e le altre, le sante e le puttane, tutte insieme, per una volta, a cercare di sbrogliare e decodificare un intreccio tanto perverso.

La piazza e il tempo della nostra saggezza

Inrassegna stampa su 10 febbraio 2011 a 09:07
di Marina Terragni, Corriere della Sera, 9 febbraio 2011
Caro direttore,
mettetevi nei panni di una donna: che lavora, fa marciare casa e famiglia, va in banca, dal dottore e dal commercialista. La solita fantastica vita d’inferno. E va anche a teatro, al cinema, in libreria, alle mostre, ai dibattiti. Fa politica, la politica vera, la politica prima, quella che viene liquidata come «volontariato» o «cura». E ama, ovviamente, l’amore è sempre in cima ai suoi pensieri: in qualche modo dovrà tenersi su. E lotta contro un’organizzazione del lavoro assurda, contro il disordine, la sporcizia e gli sprechi, le sue magnifiche ossessioni. Sempre avanti, anche se in salita: la femminilizzazione del mondo è irresistibile. Altro che silenzio: un chiasso del diavolo.
Ma di questa donna e di quelle come lei (praticamente tutte), nella rappresentazione pubblica non c’è traccia. Da anni. La tv degli uomini, i media degli uomini – sono sempre loro a decidere, anche quando il target è femminile -, sembrano il paradiso dell’Islam, pullulante di huri decerebrate. Le donne vanno avanti, ma lì si torna indietro, come in un sogno consolatorio. Ma tu hai troppo da fare, e la cosa migliore è fingere di non vedere, come quando tuo marito ti tradisce e tu tieni duro, sperando che passi.
Però intanto non puoi non notare tante brave telegiornaliste che vanno soggette a una mutazione progressiva, sempre più simili al Modello Unico Televisivo. Che la gnocca di contorno è d’obbligo anche nelle trasmissioni dei paladini della libertà – tutti bruttini – a compensare la signora ospite intelligente ma unappealing.
Perfino L’Unità sceglie la parte per il tutto, un tonico lato B firmato Oliviero Toscani, un paradossale lancio per la direzione-Concita: la furia delle blogger si scatena. E l’11 dicembre a Roma, nella Piazza San Giovanni che fu di Berlinguer e di Nilde Jotti, il Pd affida la conduzione del suo No-B Day a Martina Panagia, già Seno Alto Cadey e numero due a miss Padania: una che a quanto pare non si fa problemi di schieramento.
Poi un bel giorno a Milano la volante Monforte-bis carica una scellerata ragazzina detta Ruby, e tutto il venefico preparato ti precipita addosso. Non puoi più fingere di non vedere, la spesa falla il venerdì perché sabato devi scendere in piazza a dare prova della tua dignità, fatta coincidere con il fatto di non prostituirti come quelle dannate «olgettine troie». Tante vogliono vedere rotolare la testa corvina di Nicole Minetti. Un grandissimo disordine simbolico che non sarà facile districare.
Non sono santa né puttana, e non so cosa mettermi. Secondo Irene Tinagli, eventuale leader del Nuovo Polo, «chi si presenta in autoreggente lo fa non solo perché gli uomini la vogliono così, ma anche perché è insicura». E girano online consigli per un look dignitoso: mai pendant alle orecchie, troppo allusivi. «Ho come l’impressione che molte che vanno in piazza in questi giorni guardino il dito, e non la luna», nota graziosamente Pia Covre, leader del movimento per i diritti civili delle prostitute, interpellata dal settimanale Gli Altri.
Le promotrici della manifestazione del 13 febbraio sentono a questo punto di dover precisare che «a motivarci non è un giudizio morale su altre donne, ma il desiderio di prendere parola pubblica per dire la nostra forza». E chiamano anche gli uomini a esprimere il loro rifiuto del modello sessista. Modello che, intendiamoci, è sempre quello degli altri. Non abbiamo ancora avuto la fortuna di sentire un uomo interrogarsi in prima persona e pubblicamente sulla propria sessualità, su quel tenace intrico sesso-potere-denaro, sul fatto di usare il corpo di altre – e altri – come merce, dando la prostituzione per scontata come un fatto di natura.
Tutti femministi. Fanno bene a cavalcare la tigre, intendiamoci, che è una tigre davvero, ed è pure un bel business. Ma avverte Pia Covre, che di maschi se ne intende: «In questo momento fa comodo usare le donne per battere Berlusconi. C’è quindi una strumentalizzazione». Detto da una che pure Berlusconi non lo ama affatto.
Domanda delle 100 pistole: qual è l’obiettivo? La testa del premier? O, più in generale, il machismo della nostra politica? Che cosa chiede la piazza? Non c’è protagonismo politico, in mancanza di chiarezza.
La filosofa Luisa Muraro fa notare che in questo neofemminismo maschile «c’è un pericolo, quello della idealizzazione: un altro passo e si finisce nella misoginia, perché le donne reali non corrispondono agli ideali di nessuno». Ce n’è anche un altro, di pericolo: che mentre noi stiamo lì con sciarpa bianca a difendere la nostra dignità, le decisioni politiche continuino indisturbati a prenderle loro. La manifestazione del 13 dovrebbe servire a dire che tutto questo non sarebbe capitato, se a decidere ci fossero state anche le donne. E invece non c’erano, e continuano a non esserci, e quelle poche che ci sono non vengono ascoltate. Dovrebbe chiedere che la scadente politica maschile si apra finalmente alla società e alla politica femminile, che assuma con decisione il doppio sguardo.
«Fuori dalla Camera, che dobbiamo fare ordine»: lo slogan, femminilissimo, potrebbe essere questo. E fuori dai partiti, dalla tv, dai media, dai consigli di amministrazione, perché se siamo arrivate a questo punto è perché lì continuano a esserci solo maschi.
Il tempo (kairòs) è questo. Il tempo del genio femminile, per dirla con papa Wojtyla, il tempo della saggezza, che per la tradizione ebraica è il volto femminile di Dio. Lo dicono i preti, lo dicono i rabbini. Lo dice anche il mio ortolano, per niente femminista, marito di una brava ragazza che manda avanti magnificamente casa e bottega. E sarebbe contento di avere tante brave ragazze anche lì, dove si decide per conto di tutti. Anche una premier, perché no? che costituirebbe l’esito naturale di questa assurda storia italiana.
Sono tutti pronti. Anche noi siamo pronte. Ma i politici, femministi compresi, loro no.

Donne in piazza: non vittime, ma per raccontare una storia diversa

Inrassegna stampa su 9 febbraio 2011 a 22:59
Intervista a Michela Murgia su AVoiComunicare, 9 febbraio 2011
Quante saranno le donne che scenderanno in piazza il prossimo 13 febbraio? Più o meno di quelle che in poche ore hanno cambiato la loro foto su Facebook, riempiendo le pagine e le bacheche con i ritratti delle figure femminili da cui più si sentono rappresentate? Certo è che non sarà tanto una questione di numeri, quanto di messaggi. Perché se c’è una cosa che ha animato i dibattiti nella settimana che è appena trascorsa, è sicuramente l’equivoco sul messaggio che le donne promotrici della manifestazione vogliono che invece sia chiaro. Perchè c’è chi in questi giorni ha messo sul tavolo della discussione un dubbio: e se, per reclamare a gran voce i diritti delle donne che si rifiutano di essere viste solo e semplicemente come oggetti, si andasse a ledere la libertà di scegliere delle altre?
Il problema è che più che un equivoco qui c’è una strumentalizzazione di quello che le donne in piazza vogliono dire”, spiega Michela Murgia, autrice di Accabadora (Einaudi), tra le firmatarie e sostenitrici della petizione di mobilitazione. “Libertà di scelta? E chi la mette in dubbio. Quello che io credo è che non esista, non possa esistere un diritto a farsi usare. Non in un contesto in cui non esistono alternative. Se non teniamo conto di questo, è come se ci mettessimo a dire che esisteva un diritto degli schiavi d’America a farsi schiavizzare solo perché molti di loro, non avendo conosciuto la libertà, combattevano a fianco dei loro padroni nella guerra di secessione”. Il contesto in cui ci troviamo a vicere è in effetti poco confortante. E se ci mettiamo nei panni dell’adolescente che si trova a fare delle scelte di vita importanti (la scuola dove andare, il mestiere da imparare, se iscriversi o meno all’università), diventa più facile comprendere come non sia affatto scontato che una strada venga preferità all’altra. E che una cultura popolare fatta di mete facili e scintillanti non possa non influenzare, nel lungo periodo, le generazioni più giovani.
E’ come se, guardandosi attorno, ovunque ci fossero scritte che dicono ‘Bella è meglio di normale’ o ‘Furba è più fruttuoso che intelligente’ e così via”, continua Murgia. “E allora di che libertà stiamo parlando? Nessuno contesta il diritto di vendersi delle donne che, consapevolmente, scelgono di farlo. Figuriamoci. Il 13 bisogna andare in piazza, e bisogna farlo per dire che c’è un’altra storia. Che non viene raccontata coi megafoni, ma non per questo è meno vera: si può essere se stesse e venire accettate”. Non è semplice, è vero. E’ un messaggio complesso quello che generazioni di donne diverse vogliono portare per le strade domenica prossima. E se molti si chiedono dove finirà questo messaggio nel momento in cui la bufera delle escort sarà passata, la risposta è che qui non c’è niente di politico, e che l’attualità è solo il pretesto più grosso per essere insieme, tutte quante, a dire basta. A un sentire comune, rassegnato, sconfortante. A una visione troppo maschilista in cui le prime a usare le logiche dominanti sono le donne stesse.
C’è chi dice che queste battaglie sono già state fatte dal femminismo anni ’70″, spiega Murgia. “Ma è sbagliato assimilare i due fenomeni. Le generazioni cambiano velocemente, e così le esigenze e le battaglie. Ogni generazione deve fare la sua lotta, per riconfermare diritti che sembrano scontati. Quello che io spero è che in piazza ci siano più nipoti che nonne. Vorrà dire che il testimone è passato”. D’altronde, se non ora, quando? Lo dice lo spot girato da Cristina Comencini con Angela Finocchiaro, lo dice il motto della manifestazione. Se non ora, quando? Senza cadere in un errore che potrebbe essere fatale: “Ovvero quello di fare le vittime”, conclude Murgia. “Non andiamo in piazza per lagnarci, perché se c’è una cosa di cui siamo sicure è il linguaggio della vittima agevola quello del carnefice. Saremo lì a dire quello che pensiamo, e va bene se c’è chi risponderà che siamo bigotte, moraliste, gelose, perfino antipatiche. Ebbene, se c’è un nuovo modo di portare avanti delle battaglie, oggi, questo prevede anche che si accetti di essere antipatiche. Assumendosene la responsabilità. Perché non c’è niente di peggio che tacere il proprio pensiero per paura di venire giudicate”.

Lettera alle amiche dell’UDI

Inrassegna stampa su 9 febbraio 2011 a 22:46
E’ comparso su facebook un loghetto simile a quello di Di Nuovo che dice “NON CI STO!” che spiega come l’UDI, (la più importante organizzazione di donne d’Italia, come viene detto varie volte), non firma l’appello Se non ora quando e non verrà ufficialmente in piazza il 13 febbraio.
Care amiche dell’UDI, ma voi passate le vostre giornate a fare comunicati sul perchè non partecipate a questo e quell’evento, per tutti gli eventi che vengono organizzati? Voi ricevete comunicati che spiegano perchè altre organizzazioni non partecipano a eventi organizzati da voi? Non vi sorge il dubbio che il fatto stesso che voi sentiate il bisogno di dire che non verrete vuol dire che in piazza il 13 febbraio accadrà qualcosa di importante, che noi abbiamo raccolto un bisogno diffuso di dire basta allo stato di cose circa le donne in Italia?
C’è un altra lettera-appello (Indecorose e Libere) in cui si dicono alcune cose che nell’ appello “Se non ora quando” non ci sono, che in larga parte condivido. Però so anche che se si fosse lanciata una giornata di mobilitazione nazionale su quella lettera-appello, si sarebbero mobilitate solo quelle di noi che, per l’ appunto, sono rimaste mobilitate sempre negli ultimi trent’anni. E purtroppo non sono molte, non sono abbastanza. Ma le Indecorose e Libere hanno capito che oggi è importante prima di tutto che le donne in Italia riprendano la parola come donne, come soggetto di un movimento politico, e per questo verranno in piazza con noi. E’ una piazza in cui è importante prima di tutto che parlino quelle donne che in questi anni se pure a disagio tacevano: non quelle poche di noi che in questi anni hanno continuato a parlare.
Amiche dell’UDI, chi sia e chi non sia la più importante organizzazione di donne in Italia non lo decide solo il passato, lo decide anche il presente e soprattutto il futuro. Venite in piazza il 13 perchè la risposta che stiamo ottenendo mostra che di questa manifestazione le donne italiane sentivano il bisogno, e che sarà la manifestazione di tutte le donne italiane. Fate un vostro comunicato di adesione, che aggiunga quel che voi non avete trovato in Se non ora quando, se volete, come hanno fatto le Indecorose. Ma non arroccatevi su una posizione di purezza assoluta del pensiero che non serve a niente e a nessuna. Aspettiamo la vostra adesione e vi aspettiamo in piazza domenica prossima!!!
Elisabetta Addis

Mi aspetto la reazione degli uomini al dilagare di un Paese sessuofobo

Inrassegna stampa su 9 febbraio 2011 a 08:50
Intervista a Susanna Camusso
Il segretario Cgil: «Fare politica impone comportamenti esemplari. La privacy? Hanno messo il naso nella vita privata di Eluana Englaro…
di Jolanda Bufalini, l’Unità, 5 febbraio 2011
Al quarto piano di Corso d’ Italia, nell’ ampio ufficio con il ritratto di Giuseppe Di Vittorio così come lo vedeva Carlo Levi, dalla finestra un panorama mozzafiato: la galleria Borghese, i viali alberati della Villa, il segretario generale della Cgil concentra gli occhi azzurri sull’ IPhone. Veloci scambi di messaggi, Susanna Camusso è reduce dall’ accordo separato sulla Funzione pubblica, frutto di un incontro che doveva restare clandestino a Palazzo Chigi. «È evidente, evidente». Hanno letto un documento «di cui sapevano a memoria ogni parola e anche le virgole». Un accordo che «non è efficace per i lavoratori ma fa da stampella al governo, per far venire meno gli emendamenti al mille proroghe». Noi siamo qui per un altro motivo.
Perché Susanna Camusso ha messo la sua firma sotto I’ appello «se non ora quando»?
«È insopportabile la discussione sui comportamenti privati. Chi è sulla scena pubblica, donna o uomo, ha il dovere di tenere un comportamento etico. Fare politica è una scelta non un obbligo che si fa al servizio del paese e al di là degli schieramenti, ciò impone comportamenti esemplari e trasparenti. E questo è tanto più vero per un governo che ha preteso di mettere il naso nella vita privata degli italiani».
A cosa pensa?
«A Eluana Englaro, alla legge 194, per fare due esempi. Tutte iniziative contro le femmine. Da laica mi chiedo anche quale coerenza ci sia fra i comportamenti del premier e la rivendicazione su cui non sono d’accordo delle radici cristiane dell’ Europa»
Serpeggia l’accusa ‘donne di sinistra bigotte’.
«Invece io trovo non accettabile come si è svolto il dibattito, soprattutto nell’ informazione televisiva. Si è fatto spettacolo di queste ragazze e delle loro aspettative».
Lei cosa pensa di loro?
«Sbagliano, nella vita non ci sono scorciatoie e le scorciatoie portano guai. Alla fine, si sono fatte imbrogliare: la sessualità consapevole è il contrario di una giovane che va con 74enne, il principe azzurro si è rivelato un barbablu. Però portare loro in primo piano nasconde l’ essenza di un vecchio che va con le minorenni. Per salvare i potenti si getta la responsabilità sulle donne e, per i comportamenti di alcune, si getta alle ortiche una storia di lotte che hanno modificato i rapporti fra donne e uomini».
Le donne, ha scritto qualcuno, “sono sedute sulla loro fortuna”.
«Più di tutto mi ha disturbato il titolo di un giornale di sinistra, “la fabbrica del bunga bunga”, perché per me la fabbrica è una cosa seria e il lavoro una cosa molto importante. C’ è uno slittamento grave del liguaggio maschile. Berlusconi riduce tutto a barzelletta, cerca la solidarietà maschile e alimenta i sentimenti più bassi. Però intorno c’è il silenzio dei maschi, forse condizionati da certe atmosfere da bar. Mi piacerebbe che gli uomini si indignassero e si mobilitassero, gridassero ‘io non sono così, la mia non è una sessualità malata’, perché questo spettacolo indecoroso ferisce la dignità e il rispetto delle relazioni fra i sessi. I comportamenti del capo del governo sono del tutto lesivi della dignità delle donne, anche minorenni».
Non cӏ la presunzione di innocenza?
«Il nostro è un paese sessuofobo, c’è una legge per cui un minore che va con una coetanea/o è punibile e se è entrato nella maggiore età da qualche mese non ho dubbi che sarebbe punito. In Italia sono stati attaccati i presidi per la distribuzione dei preservativi nelle scuole come educazione anti hiv, e l’educazione sessuale non deve essere materia di studio. Invece è consentito a un vecchio di 74 anni di frequentare ragazze minorenni, come testimoniano tanti fatti? Mi è indifferente, a questo punto, se ci sia la consumazione materiale. E poi..»
E poi?
«Gli argomenti della difesa: invece di dire `vi spiego come è andata’ parlano di persecuzione dei giudici. Ma quale persecuzionei?. E la storia della nipote di Mubarak? Non credo alla favola del destino cinico e baro».

Donne in piazza, manifestazioni in 70 città

Inrassegna stampa su 9 febbraio 2011 a 08:22
di Anna Bandettini, La Repubblica, 8 febbraio 2011
Non era mai successo: domenica ci saranno manifestazioni di piazza, cortei, letture di poesie contemporaneamente in dieci, trenta, cinquanta… fino ad oggi settanta città italiane. E la lista continua ad allungarsi di giorno in giorno: si va da Trieste a Sassari, da Bolzano a Messina… Perfino Arcore. Altro che veterofemministe e basta: quella di domenica 13 febbraio si preannuncia come una delle manifestazioni più imponenti e popolari contro Silvio Berlusconi. In piazza le donne: donne delle associazioni femminili (moltissime quelle che hanno aderito da DiNuovo che ha lanciato l’ appello alla mobilitazione, Usciamo dal Silenzio, Filomena la rete delle donne…), e donne qualunque che per rabbia, indignazione, hanno deciso di prendere parola pubblica. E reclamare la propria dignità contro lo spettacolo della politica italiana, contro la rappresentazione aberrante delle donne e della relazione uomo-donna «ostentato da una delle massime cariche dello Stato, che incide profondamente negli stili di vita e nella cultura nazionale, legittimando comportamenti lesivi della dignità delle donnee delle istituzioni», come accusa l’ appello che, con lo slogan “Se non ora, quando?”, ha chiamato alla mobilitazione anche gli uomini che non si riconoscono nel modello sessista del “sultano” del Rubygate. La mobilitazione del 13, lanciata solo una settimana fa da un gruppo di donne, artiste, scrittrici tra cui Cristina Comencini, Silvia Avallone, Margherita Buy, Laura Morante, Valeria Parrella, Lunetta Savino, perfino una suora, Suor Eugenia Bonetti, e tante altre, ha immediatamente avuto una valanga di adesioni nella società civile e, trasversalmente, anche nella politica: tra le promotrici c’ è Giulia Bongiorno di Futuro e Libertà, la leader della Cgil Susanna Camusso e sia il segretario del Pd Pier Luigi Bersani che Antonio Di Pietro di Idv hanno detto che saranno in piazza. «La trasversalità degli orientamenti è nello spirito della manifestazione. Né vogliamo fare distinzioni di sorta tra donne buone e donne cattive. Il problema non è la donna, semmai un certo comportamento maschile», dice Francesca Izzo, una delle promotrici del gruppo DiNuovo. Ogni città farà la sua manifestazione secondo modalità autonome: a Roma – il programma verrà presentato stamane- si parte alle 14 dalla Terrazza del Pincio per arrivare a piazza del Popolo dove sono pre visti interventi dal palco. Ad Andria ogni donna porterà un fiore, a Genova sciarpe bianche e strumenti musicali, a Milano il concentramento sarà dalle 14.30 in piazza Castello. Moltissime le personalità pubbliche che aderiscono all’ iniziativa (le voci e i volti su Repubblica.it ): ieri Claudia Gerini ha invocato la piazza perché «anche senza essere bigotte, le donne non sono quella cosa lì». Fausto Brizzi autore di Femmine contro maschi, film superpop sulle relazioni di coppia dice: “Se fossi nelle donne farei causa al premier per l’ immagine che ha dato di loro all’ estero”. E Carla Fracci: «Credo non se ne possa più: questa situazione sta mettendo in imbarazzo l’ intero paese. Chi è coinvolto in queste vicende si assuma le sue responsabilità”.

Non fermiamoci all’indignazione Andiamo oltre

Inrassegna stampa su 9 febbraio 2011 a 08:20
Intervista a Francesca Comencini
di Gabriella Gallozzi, l’Unità, 8 febbraio 2011
La regista racconta: «Il Paese ha fatto enormi passi indietro. Le donne lo hanno capito in tempo. Ecco come è nata la manifestazione del 13»
No alle donne contro altre donne. No alle donne “perbene” contro le “maledonne”. No ai moralismi. La manifestazione non è nata per promuovere una divisione, ma al contrario per unire. Tutte. E ritrovare l’orgoglio». Francesca Comencini ci tiene a fare subito le dovute precisazioni. Soprattutto perché sulla mobilitazione del 13 si è subito scatenato il fuoco di fila di certa stampa, al soldo dell’imperatore, decisa a gettare fango secondo i soliti canoni. Tipo: andiamo a vedere cosa facevano da giovani le attrici che oggi firmano l’appello, mostrandosi «moraliste», mentre da ragazzine erano ninfette e via dicendo. Francesca Comencini è tra le fondatrici del movimento Se non ora quando?. Ha girato anche dei video per promuovere la manifestazione e si è gettata nel lavoro di organizzazione senza sosta. Racconta, infatti, tutta l’iniziativa fin dalla genesi. Da quando «era appena il 20 gennaio ma sembra già un secolo», lei insieme alle altre donne dell’Associazione Di Nuovo, hanno scritto la «lettera appello» contro la deriva che stiamo vivendo. «E la cosa più interessante prosegue la regista è che le adesioni si sono allargate non attraverso la rete, come è più facile che accada, ma proprio attraverso il comitato promotore. Così abbiamo raccolto le firme di un arco vastissimo di donne. Dalla ragazza precaria a Gae Aulenti. Per intenderci. Al di là dunque del ceto e della professione e anche della connotazione politica. Ha firmato anche Flavia Perina, la direttora del Secolo d’Italia». Poi, tutto. ovviamente è arrivato sulla rete con un blog (hrtp://senonoraquando13febbraio2011.wordpress.com) e al momento le firme sono oltre 50mila. Probabilmente, prosegue Francesca Comencini, «tutte queste adesioni vengono sulla scia di un’onda che serpeggia fra le donne, che lascia intendere il bisogno di ricominciare a stare in gruppo, proporre di nuovo un’idea collettiva per rovesciare il punto di vista. Il paese ha fatto enormi passi in dietro e le donne non possono accettare di tornare agli anni Cinquanta». In questo senso, prosegue, l’«importante è non fermarsi all’indignazione, ma andare oltre, dimostrare di essere più forti, ritrovare l’orgoglio. Non solo contro Berlusconi, dunque, ma contro questa deriva di disprezzo delle donne. Ci vuole una cura, insomma, perché le donne, comunque, continuano a camminare. E per questo vorremmo ascoltare anche le voci dei maschi»

Streghe e puttane

Inrassegna stampa su 9 febbraio 2011 a 08:13
di Eleonora Martini, il Manifesto, 8 febbraio 2011
«Qui si rischia un moralismo imperante: tutto fa scandalo, tutto è vergognoso, ma diamine! Un po’ di sesso non ha mai fatto male a nessuno». Comincia così la conversazione con Carla Corso che nella sua vita non si è mai nascosta dietro a nessun nomignolo: «escort», «accompagnatrice», «entraineuse». Per lei, veronese, classe 1946, fondatrice quasi vent’anni fa del Comitato per i diritti civili delle prostitute, fare la puttana è stata forse anche una scelta – come dire – antisistema.
E oggi, cosa pensa di queste escort che si vendono per ottenere soldi, favori, visibilità, potere?
Facciamo ordine: fare la prostituta vuol dire mettersi in vendita tutti i giorni come attività primaria. Quello che trovo insopportabile nella reazione pubblica, via via che si scoprono gli altarini dei nostri governanti, è che tutto viene censurato, il sesso diventa un atto vergognoso e si è aperta di nuovo la caccia alle streghe. Se ci sono donne che si vogliono prostituire sono affari loro, è vergognoso che accada nei palazzi del potere istituzionale e semmai con minorenni. E invece Berlusconi viene giustificato, perfino ammirato, e le ragazze diventano le nuove streghe da mettere all’indice. Mi scandalizza solo che queste donne, se vogliono entrare nel mondo dello spettacolo (o ripiegare, pur di diventare famose, sulla carriera politica che viene loro offerta in alternativa), devono passare nei letti di certi vecchiacci.
Lei non l’avrebbe accettato?
No, mai, perché ero molto autonoma, indipendente, e rivendicavo la libertà di scegliermi il cliente e di non vendere proprio tutto.
Queste ragazze sono molto perbeniste, non ammettono di prostituirsi, non portano il peso della “lettera scarlatta”: sono “amiche” del potente di turno, con lui intrattengono “rapporti affettivi” a volte, e in nome di questi rapporti si fanno mantenere.
Sono costrette a negare perché se ammettono di prostituirsi sono automaticamente fuori da quel mercato, si bruciano la carriera. Il mondo dello spettacolo e della politica-spettacolo si regge solo sulla doppia morale. Ma d’altra parte ci sono donne e uomini che fanno politica da anni e per arrivarci hanno dovuto fare cose ben peggiori. Non mi faccia fare nomi, ma quelle politiche oggi in prima fila a strapparsi le vesti per il raìs, su quali doti fondano la loro carriera politica? Magari non si sono mai tolte le mutande ma c’è tanta prostituzione intellettuale.
Non le sembra che, a differenza delle prostitute, queste donne non pongano limiti allo scambio arrivando a mettere in gioco anche la propria “affettività”?
Vendono tutto, certo. Non mettono limiti perché non sanno vendersi: una professionista non bacia mai un cliente. Mi sembra un’accozzaglia di ragazzine che sgomitano tra di loro e non hanno un minimo di capacità contrattuale con questi signori che – come tutti i clienti, a qualunque livello, dall’operaio in strada in su – rimuovono il fatto di averle comprate e si convincono di averle conquistate. D’altra parte ogni prestazione ha il suo prezzo: c’è chi paga molto perché vuole che tu abbia un orgasmo, e tu fingi di averlo. E loro fingono di non sapere.
Che effetto le fanno i genitori che incoraggiano le figlie alla prostituzione?
Ecco, questo mi fa davvero orrore. Il problema è proprio che dietro queste ragazze c’è un entourage che le sfrutta e poi le butta via. Il perbenismo delle famiglie c’è sempre stato, per carità: trent’anni fa facevo la puttana ma la mia famiglia che pure aveva capito – perché arrivavo a casa con tanti soldi, con macchinoni incredibili e avevo tanto tempo libero – non mi ha mai chiesto nulla, faceva finta di niente: non se ne doveva parlare. La doppia morale c’è sempre stata, solo che ora non ci si vergogna, è più sfrontata.
È stata, come dire, “sdoganata”?
Ma senta, in Italia da sempre la mascolinità si è misurata con il numero di donne – soprattutto se giovani – che un uomo riesce a prendersi. Anche se a pagamento. Il papà o lo zio prima portavano i figli a svezzare nei bordelli. Poi, quando dalla prostituzione di Stato si è passati alla libera attività, allora è diventata vergognosa. Ma il problema esiste solo per determinate fasce sociali: se sei un operaio non puoi andare con una ragazzina, ma se sei un capitano d’industria o l’uomo più potente d’Italia, sì. Lo star system italiano pullula di coppie con 40 anni di differenza, il problema ci sarebbe solo se la donna fosse più vecchia.
Il 13 febbraio le donne scenderanno in piazza contro questo modello di relazioni, condivide?
Ma sì, credo sia giusto perché la figura della donna è stata inflazionata, usata per tutto, per vendere le merci e i conti bancari, e pure con sfregio. Dico solo che sulla prostituzione bisogna andare cauti perché a pagare in queste campagne moraliste è sempre l’anello più debole. Oggi vedo sui giornali locali l’annuncio di una manifestazione anti lucciole per le strade del Veneto capitanata da un prete; e non dimentichiamo che questo governo con il pacchetto sicurezza ha avviato la crociata contro le prostitute, ma solo quelle di strada.
Non sarebbe più opportuna una manifestazione di uomini in tutela della propria dignità calpestata?
Il problema è che tutto il potere è nelle mani dei maschi. La pubblicità la fanno gli uomini, quante agenzie pubblicitarie sono in mano alle donne? E sono gli uomini che detengono il potere politico, così come quello d’acquisto. I modelli, dunque, li impongono i maschi. E loro non hanno fatto grandissimi passi in avanti.
Ai tempi in cui lei fondava il Comitato per i diritti delle prostitute, dichiararsi puttana era un atto di sindacalizzazione e poteva perfino essere un atto di ribellione contro una società perbenista. Oggi quell’atto di ribellione è stato come fagocitato, “normalizzato”, neutralizzato, in un sistema di potere più onnicomprensivo. Non trova?
Tutte le libertà acquisite negli anni ’70 e ’80 le stiamo perdendo poco a poco. Ma le donne sono quasi contente. In uno spot pubblicitario la cucina è così efficiente che la donna ha più tempo libero, ma per fare cosa? Andare a lavorare, in palestra, o uscire con gli amici? No, per fare una torta per i bambini.
Infatti molte donne, forse la metà delle italiane stando ai sondaggi, non si sentono affatto offese dal modello relazionale descritto dal grande bordello politico italiano.
Certo, le donne hanno dovuto soccombere ad una società maschile che in fondo non è cambiata così tanto. Gli uomini, infatti hanno sempre avuto paura della donna libera e forte, che il più delle volte rimane sola. E così le donne stesse si sono riappropriate dello stereotipo dell’angelo del focolare, della donna dolce e sottomessa, che non chiede molto ma è sempre disponibile, e a letto è un po’ troia: perché così è più semplice avere una relazione di coppia. Nel mercato del matrimonio è successa esattamente la stessa cosa che nella prostituzione: le donne immigrate soprattutto quelle dall’est hanno scalzato le donne italiane perché sono più dolci, sottomesse, suadenti e costano meno, mentre le italiane sono più aggressive, prepotenti, e hanno capacità contrattuali più alte.
Ma è così vero che Berlusconi, a giudicare dai suoi presunti costumi sessuali, appare come un uomo solo e infelice?
Non riesco a vederlo infelice. Se avesse avuto paura della solitudine avrebbe salvato i suoi rapporti importanti, mi sembra solo un uomo che ha paura di invecchiare e morire: rifugge dalla decadenza fisica succhiando – come un vampiro o un atleta che si sottopone a trasfusioni con sangue “fresco” – la giovinezza altrui.

Uomini abbiate più coraggio tocca anche a voi vergognarvi

Inrassegna stampa su 9 febbraio 2011 a 08:09
di Anna Bravo, La Repubblica, 8 febbraio 2011
Non capisco perché alcuni uomini debbano fare appello alla propria componente femminile per indignarsi di fronte al cosiddetto Rubygate, mentre avrebbero di che indignarsi in prima persona. A uscire devastata dalla vicenda è più l´immagine maschile che l´immagine femminile. Ragazze che si vendono – un fatto che mette ansia, perché la prima giovinezza è un impasto delicato di furbizia, ingenuità, voglia di spadroneggiare, vulnerabilità. Ma soprattutto uomini che soltanto grazie al denaro e al potere dispongono del loro corpo (o magari solo della loro attenzione) e le gratificano con regali comprati all´ingrosso.
Eppure, mentre molte di noi si preoccupano della dignità femminile, nessun uomo ha sentito il bisogno di difendere quella del genere maschile. Certo, il modello Berlusconi è così grezzo e simbolicamente violento che per un uomo di buona volontà può essere difficile vederlo come una ferita inferta (anche) alla propria immagine. Ma, cari, quel modello vi rappresenta in giro per il mondo. Mi stupisce che la vergogna provata da tanti di voi riguardi l´essere italiani, e non l´essere uomini italiani.
Vi sentite incolpevoli? ma allora dovreste sentirvi incolpevoli anche come italiani. Berlusconi vi sembra un alieno? forse, ma non cambia il fatto che appartenete allo stesso sesso.
Alcuni uomini (penso a singoli, all´associazione Maschile plurale, a vari altri gruppi) hanno capito da decenni che non aver mai commesso stupro non basta a chiamarsi fuori da un mondo maschile in cui la violenza contro le donne si ripete ogni giorno. Uno sforzo, e potreste capire che neppure dallo svilimento delle donne è possibile chiamarsi fuori, che c´è una responsabilità sovraindividuale – beninteso, non come colpa general/generica o dannazione originaria, ma nel senso in cui la intende Amery: come somma delle azioni e omissioni che contribuiscono a fare (o a lasciar sopravvivere) un clima.
Non mi riferisco soltanto al sesso in compravendita, e neanche al rischio di degradazione che pesa sulle relazioni uomo/donna – problema politico per eccellenza, a dispetto di chi invoca: «torniamo alle cose serie». Intendo un clima in cui le parole delle donne spesso non sono richieste, e se sì, si ascoltano con l´orecchio sinistro, in cui i vertici di qualsiasi realtà sono clan maschili. Eccetera. Un clima, anche, in cui pochissimi e pochissime possono invecchiare in pace senza sognare/temere/detestare la bellezza e la giovinezza.
Prima di indignarsi per interposta donna, alcuni di voi potrebbero aiutarsi con la memoria. Nel Sessantotto e con molta più forza nel femminismo, c´era la buona abitudine di chiedere alle persone da che luogo parlassero, e il luogo era la condizione personale, i comportamenti, l´ideologia, l´istituzione di cui si faceva parte e altro ancora. Voi parlate come se viveste in una camera sterile, con un filtro all´entrata per proteggervi dal contagio delle brutture altrui, e uno all´uscita per fare il restyling alle vostre – diverse, perché no, ma brutture comunque. Parlate come se la buona volontà e un po´ di buon gusto vi mettessero per così dire al di sopra delle parti. Il che può spiegare certe dichiarazioni stravaganti, ma fa anche sospettare che in un angolo della vostra mente riposi la vecchia filosofia secondo cui il maschile equivale all´universale. Capire che i soggetti sono due, uomo e donna, e che il primo non può rappresentare il secondo, per noi è stata una delizia.
Su, non fateci ripetere cose tanto ovvie!

Le donne italiane come la piazza egiziana

Inrassegna stampa su 9 febbraio 2011 a 08:06
Le richieste sono le stesse: più democrazia, libertà, accesso alle professioni
di Dacia Maraini, Corriere della Sera, 8 febbraio 2011
Il giorno 13 febbraio le donne scenderanno in strada a protestare. In tutta Italia. Questa la notizia che sta correndo come una lepre per la Rete, con poca risonanza sui giornali. La Rete ormai si sta rivelando come lo strumento più rapido e libero di informazione. È la Rete che ha permesso l’incontro di migliaia di persone in piazza per protestare contro la prepotenza del governo egiziano, inamovibile, sordo ormai alle ragioni di chi soccombe, incapace di rinnovarsi, impermeabile a ogni richiesta di democrazia: libertà di parola, di pensiero, di movimento, meritocrazia, lavoro per i giovani, guerra alla corruzione dilagante.
Cosa chiedono oggi le donne italiane? Paradossalmente, in un Paese che si definisce libero, chiedono, proprio come i ragazzi tunisini ed egiziani, libertà di parola, di pensiero, maggiore democrazia, guerra alla corruzione, accesso alle professioni. In uno dei Paesi più sviluppati del mondo, nel disinteresse generale, stiamo assistendo a una crescente svalutazione del pensiero e della volontà femminile, a una spinta per il ritorno a casa, a una perdita costante di lavoro e di prestigio. Il nostro è il Paese d’Europa dove le donne lavorano meno fuori casa, e dove, nonostante alcuni casi eclatanti, la rappresentanza nelle istituzioni e nei luoghi del potere si riduce ogni anno.
Al posto della valorizzazione e della meritocrazia, si sta radicando nella mente dei più giovani una idea mercantile dei rapporti umani. Ai ragazzi si suggerisce di affinare le proprie capacità intellettive per andare poi a offrirsi nei mercati globalizzati. Alle ragazze si propone di vendere, subito e a buon prezzo – perché al contrario delle competenze, il corpo sessuato perde valore con il crescere e il maturare – la sola cosa che sulla piazza vale sempre di più: un corpo da consumare. Se non è questa una mostruosa, sottile e ossessiva induzione alla prostituzione femminile, cosa è?
Sia chiaro, ciò avveniva anche ai tempi di Tolstoj. Il quale, solo fra tanti uomini ligi, accusato di pazzia e perversione, ha avuto il coraggio di scrivere, in forma romanzesca e saggistica, che il matrimonio era un mercato delle vacche, in cui si mettevano in vendita corpi di ragazze al miglior offerente. Con il sacrificio generazionale di talenti e capacità straordinarie, con la mutilazione quotidiana di cervelli e cuori capaci. Di questi sacrifici non importava niente a nessuno. Ma allora era la famiglia che si adoperava per piegare le volontà giovanili, le aspirazioni alla libertà. Ora è la cultura di mercato, che passa soprattutto attraverso le seduzioni di plastica della televisione, di molto cinema e della moda.
Non è un caso che la mentalità del mercato vada a braccetto con l’idea poco democratica di un capo carismatico. Wilhelm Reich, nel suo studio sulla psicologia di massa, racconta molto bene l’intreccio di paure, illusioni, odi e frustrazioni da cui nasce ogni tentativo di imporre un regime di autorità. E le donne sono le prime a venire irreggimentate. Il loro storico bisogno di un capo – indotto e introiettato a furia di botte simboliche e reali – le rende docili prede. Su questo conta chi di quel mercato si fa padrone e manipolatore senza scrupoli.

Gli stili di vita e le occasioni perdute della cultura al femminile

Inrassegna stampa, Senza categoria su 9 febbraio 2011 a 07:59
di Antonio Polito, Corriere della Sera, 8 febbraio 2011
Le invereconde notti di Arcore sollecitano molte riflessioni sul Drago (per usare la metafora di Veronica Lario) ma ancor più ne stanno provocando sulle vergini, o presunte tali, che gli si offrivano. Soprattutto da parte del movimento delle donne, resuscitato dallo scandalo eppure già diviso tra chi vuol far la morale e chi teme il moralismo. L’incertezza deriva dal silenzio talvolta complice con cui una parte delle donne ha accettato in questi anni il diffondersi di stili di vita e modelli culturali che sono apparsi moderni e avanzati, e in realtà altro non erano che l’accettazione di una cultura porno e machista, un trionfo per l’immaginario maschile.
Le protestanti scrivono oggi sui loro striscioni: «L’Italia non è un bordello». Ma ne siamo così sicuri? Tra le donne emergono posizioni diverse, e il dibattito in corso sul Corriere ne è testimonianza di grande interesse.
Cominciamo col dire che l’uso dell’avvenenza femminile per avere successo nella vita è stato sdoganato da una messe di messaggi culturali. Le cosiddette teen comedy al cinema, per esempio. Qualche anno fa ne vidi una che mi lasciò allibito: una specie di favola di Cenerentola in cui l’adolescente bruttina ma studiosa e onesta decideva di trasformarsi in una pantera su tacco 12, che rubava per comprarsi i vestiti giusti e partecipare alla feste dove si sniffa la cocaina, e riusciva così a conquistarsi un fidanzato e a strappare un posto di assistente all’anziano e sbavante professore. Non provocò molto scandalo tra le donne. Così come ottenne solo qualche sciovinista alzata di spalla quel povero giornalista inglese il quale si permise di segnalare che in nessun posto del mondo civile, nemmeno in luoghi più moderni e laici di questo, la pubblicità e la tv fanno uso del corpo femminile con la stessa compiaciuta e pornografica evidenza.
Neanche la linea di confine tra chi si prostituisce e chi no è ormai tanto chiara. Un tempo c’era un solo modo di vendere il proprio corpo, e una generale riprovazione sociale per chi lo faceva. Oggi trans ed escort sono figure tollerate e ben frequentate, le accompagnatrici sono usate dagli uomini d’affari nei viaggi di lavoro e i giovani leoni della City si incontrano nei locali di lap dance, dove si esibiscono studentesse non professioniste. Né la condanna della società, che si abbatteva un tempo sulle donne di strada, né a quanto pare quella delle famiglie, sempre più conniventi, colpisce più le multiformi e moderne incarnazioni del sesso a pagamento, alcune delle quali sono anzi ormai considerate un modo come un altro per guadagnare e— come direbbe qualcuno — «concedersi un po’ di relax».
La stessa chiave interpretativa classica della cultura progressista nei confronti della prostituzione—lo fanno per bisogno economico, perché sfruttate, e se emancipate e liberate dal bisogno non lo farebbero più — non regge di fronte a quello che leggiamo. Le ragazze protagoniste delle notti di Arcore, talvolta laureate, spesso occupate, sempre fidanzate, sono libere dal bisogno ma non dalla bramosia del denaro, e sembrano emancipate fino al punto di sfruttare il loro anfitrione più che farsene sfruttare.
Naturalmente non imputo al movimento delle donne la radicale trasformazione dei costumi dell’ultimo trentennio, anche perché un movimento delle donne ormai non c’è più (e bisognerebbe chiedersi perché non c’è più e perché le ragazze di oggi sembrano così lontane e diverse, e così ostili ai valori che avrebbero dovuto emanciparle). Ma imputo alla cultura progressista una timidezza nel contrastare questa presunta modernizzazione. Per farlo, avrebbe dovuto riconoscere che c’erano aspetti della tradizione che sarebbe stato meglio conservare, avrebbe dovuto sforzarsi di comprendere la morale sessuale della Chiesa, avrebbe dovuto ammettere la necessità di un’etica privata, dopo essere diventata la paladina dell’etica pubblica; perché, come si diceva un tempo, il privato è pubblico. Non pretendo che un novello Berlinguer indichi alle nostre figlie il modello di Santa Maria Goretti, ma francamente non si può fare una battaglia sulla morale dopo aver esaltato l’indifferentismo morale di chi ripete che «ognuno sotto le lenzuola fa quello che vuole», Roman Polanski compreso. Qualcuno avrebbe dovuto dire prima, anche quando il satiro non era il presidente del Consiglio, che quello che vedeva non era libertà ma licenza, non liberalismo ma libertinaggio, non società aperta ma casa chiusa. La sinistra liberal non l’ha fatto per paura di apparire bacchettona, e perché è ormai schiava di una cultura dei diritti che è stata declinata soprattutto in chiave di libertà sessuale. Solo se comincerà a farlo adesso, la sua campagna contro il bordello-Italia potrà evitare l’accusa di ipocrisia e di strumentalismo.

Risorgimento rosa contro i bunga bunga del Cavaliere di Arcore

Inrassegna stampa su 9 febbraio 2011 a 07:57
Una ventina di donne: politiche, sindacaliste, professioniste e attrici presentano a Palazzo Vecchio la manifestazione a difesa della dignità femminile. Aderisce anche Giocoli (Fli)
di Tommaso Galgani, l’Unità, 8 febbraio 2011
La conferenza stampa di presentazione di “Se non ora quando”, a Palazzo Vecchio, diventa una seduta di autoanalisi di gruppo. Una ventina di donne: politiche, sindacaliste, professioniste, artiste. Ognuna delle quali si sente in diritto-dovere di dire qualcosa (l’unico “maschietto” presente all’iniziativa è il segretario della Cgil fiorentina Mauro Fuso). Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Dice la consigliera comunale Susanna Agostini (Pd): «Non siamo qui per giudicare altre donne». Le fa eco Vittoria Franco (parlamentare del Pd): «Difendiamola dignità delle donne, degli uomini e del Paese. La prostituzione non deve essere strumento di mobilità sociale.
Un premier indagato per prostituzione in un paese civile si dimette». Parla anche Bianca Maria Giocoli, consigliera comunale di Fli: «Sono una donna di destra, prima ero nel Pdl: le mie difficoltà lì sono state causate dal ruolo della donna in quel partito. Le donne non sono carne fresca, la maggior parte di noi si alza la mattina presto per studiare o lavorare. Serve un nuovo risorgimento rosa contro i luoghi comuni». Ornella De Zordo, consigliera comunale di Per Unaltracittà, si mette l’elmetto: «Basta con un premier ricattabile. E basta con la prostituzione minorile». L’etoile Carla Fracci, assessore alla cultura della Provincia, s’indigna: «La cultura è una cosa da difendere e vorrei che si potesse anche dialogare con chi ci governa per non far morire la danza e la cultura. Il bunga bunga, invece, non mi interessa. Gli uomini fanno quello che vogliono a casa loro, ma qui si parla di governare un paese».
Anche le donne della Cgil non si tirano indietro. «Dovevamo proporre modelli alternativi a quelli di Berlusconi. Anche prima c’era chi nello spettacolo si vendeva per carriere. Ma poi faceva la comparsa, non la primadonna», tuona Ornella Grassi. «Il vero problema è che le donne sono residuali nel mondo del lavoro», aggiunge Anna Maria Romano. Mette i suoi puntini sulle “i” anche l’assessore comunale alla scuola Rosa Maria Di Giorgi: «È devastante: nonostante tutto Berlusconi sembra non perdere voti né consenso. C’è una subcultura da combattere. Ci sono madri che vendono figlie. Figlie che pagherebbero per vendersi». Daniela Lastri, consigliera regionale del Pd, non ha dubbi: «In Italia c’è un gap di democrazia. Da anni ci si occupa solo dei problemi di Berlusconi. E il corpo della donna è svilito». L’attrice Fiamma Negri sbotta: «Se non hai un bell’aspetto o i soldi, non conti. Penso anche alla condizione difficile delle donne immigrate, che il sottosegretario Daniela Santanchè chiama in causa solo per dare contro al burqa: per il resto potrebbero schiattare». L’attrice Marion D’Amburgo parla di «degrado culturale e giovani annichilite, senza speranze», mentre intervengono anche tre consigliere provinciali del Pd: «Valorizziamo le donne che fanno un percorso politico», spiega Loretta Lazzeri, «attenzione anche allo svilimento quotidiano del rispetto delle donne, nelle piccole cose», le fa eco Sara Biagiotti, mentre Alessandra Fiorentini ammette: «In questi anni ci è sfuggito qualcosa di mano. Riprendiamolo, soprattutto per tutelare le donne che lavorano». Avverte invece Cristina Giachi, assessore comunale ai giovani: «Non chiamateci bacchettone o moraliste. Lo scandalo di Nicole Minetti è che sia consigliere regionale in Lombardia».
Sempre per la Cgil, Carla Bonora invita gli uomini a manifestare domenica a Firenze, mentre Silvia Ricchieri di Cospe fa un parallelo tra le donne italiane e quelle egiziane che scendono in piazza. La consigliera comunale del Pd Federica Giuliani dà l’adesione all’iniziativa di domenica a nome della commissione che presiede, quella Pari opportunità. E Caterina Carpinella, dell’associazione culturale Culte Cube, esclama: «Non perdiamo l’identità e la femminilità». Altre due artiste: Oriella Pieracci mette le cose in chiaro («Basta con le mercificazioni»), e Anna Scattigno lancia un monito («Berlusconi non è il benefattore che dipingono, ma un reale pericolo per la democrazia»). Chiude la più giovane, la consigliera comunale del Pd Cecilia Pezza: «Non c’è notizia. Siamo solo persone normali che s’indignano per cose per cui è normale indignarsi».

Caso Ruby, le donne nelle piazze toscane

Inrassegna stampa su 9 febbraio 2011 a 07:48
Domenica i raduni: a Firenze in Piazza della Repubblica. Dal Pd a Fli, pioggia di adesioni
di Gaia Rau, La Repubblica, 8 febbraio 2011
«Se non ora, quando?». Le donne di Firenze rispondono all’ appello lanciato da Angela Finocchiaro e Francesca Comencinie domenica prossima, promettono, saranno in piazza anche loro: consigliere e assessore, attrici, sindacaliste, esponenti dell’ associazionismo. Ieri erano in ventiquattro, a Palazzo Vecchio, per presentare l’ appuntamento fiorentino (alle 14 in piazza della Repubblica) destinato a tutte e a tutti coloro che non potranno essere a Roma ma non vogliono perdere l’ occasione di gridare al mondo che «l’ Italia non è un bordello». Non manifesteranno «per giudicare altre donne o perché siamo contro gli uomini», sottolinea Susanna Agostini, consigliera comunale del Pd (ma con lei ci sarà tutta la compagine rosa della Sala de’ Dugento, compresa Bianca Maria Giocoli del Fli: «Ho lasciato il Pdl anche per come le donne venivano usate e rappresentate»), ma per difendere, ribadisce la senatrice Vittoria Franco, «la dignità delle donne, la dignità degli uomini e la dignità del paese», e perché «è inammissibile che un presidente del consiglio si faccia promotore della prostituzione». «Se i piccoli uomini continuano a guardare Berlusconi in tv e a pensare “che fortunato”, non cambierà mai niente», si indigna Carla Fracci, assessore provinciale alla cultura. «Il caso Ruby mi imbarazza», aggiunge. Ma, al raduno del 13, l’ antiberlusconismo non sarà l’ unica parola d’ ordine: sarà una manifestazione, spiega Ornella De Zordo di Perunaltracittà, «per la democrazia, per la civiltà e per i diritti». «Ciò che avviene in questo momento – denuncia Anna Maria Romano della Cgil – è solo la punta dell’ iceberg di un modello sociale che passa dal precariato e dalla disoccupazione, dai tagli al welfare che azzerano i servizi che permettono alle donne di lavorare, da quelli alla cultura e alla scuola che negano ai giovani un futuro di libero pensiero». «Il problema del paese – le fa eco Marion d’ Amburgo, fondatrice della compagnia teatrale Magazzini criminali-è la mancanza di speranza che annichilisce i giovani». Per Rosa Maria Di Giorgi, assessore all’ istruzione di Palazzo Vecchio, «è una battaglia che pensavamo di aver già combattuto, ed è doloroso vedere che è come se non fosse mai successo. Non dobbiamo stancarci: il paese sta marcendo». Messaggi di solidarietà sono arrivati dalle promotrici Comencini e Finocchiaro e dall’ attrice Daniela Morozzi. Mentre nella lista delle aderenti figurano, tra le altre, Sandra Bonsanti, Silvia Della Monica, Anna Benedetti. Alla manifestazione aderisce anche il Pd regionale. In Toscana altri raduni saranno ad Arezzo (16,30, piazza Guido Monaco), Empoli (13, piazza della Vittoria), Lucca (15,30, piazza S. Maria), Pisa (14,30, Logge di Banchi), San Miniato (10, piazza del Bastione).

Il 13 non sarà una piazza “moralista”

Inrassegna stampa su 9 febbraio 2011 a 07:43
di Annalisa Terranova, Secolo d’Italia, 8 febbraio 2011
Da giorni è chiaro l’intento di chi vuole trasformare la mobilitazione delle donne del 13 febbraio in un’arena in cui da una parte (le manifestanti) ci sarebbero le moraliste e dall’altra (le non manifestanti) quelle libere da ogni ipocrisia. Un tentativo di avviare la manifestazione verso uno slittamento semantico per cui la dignità femminile che si va a difendere sarebbe quella di attempate bigotte avverse alla libera sessualità di cui la sinistra è stata in passato paladina. Ergo, in piazza ci saranno non donne normali, non cittadine indignate, ma “quelle di sinistra”. Se dovesse passare questa tesi, diciamolo subito, la manifestazione sarebbe un fallimento, non in senso numerico (perché le aderenti saranno certamente tante) ma in senso politico, che è poi la vera questione che interessa le italiane in quanto “cittadine attive”. Il dibattito è però giunto a un punto tale di confusione che val la pena di ribadire alcune cose: la manifestazione, benché scaturita anche da un appello promosso dal quotidiano l’Unità, non è delle donne di sinistra, ma delle donne e basta. Ci sono infatti tante, tantissime donne di destra, ex elettrici di Berlusconi, che pensano che il premier deve fare un passo indietro, per il bene suo e nostro e dell’Italia. È vero che le “indignate” che sceglieranno di manifestare non rappresentano l’intero mondo femminile ma questo non significa nulla: una manifestazione sindacale non rappresenta tutti i lavoratori, e così una manifestazione studentesca non rappresenta tutti gli studenti. Se le donne che invocano la fine della “mignottocrazia” sono solo una parte delle donne italiane questo non inficia il loro diritto di manifestare né le mette nella condizione obbligata di essere per forza tutte politicizzate e tutte orientate a sinistra. Sono decenni che andiamo dicendoci che le mobilitazioni femminili hanno (o dovrebbero avere) il pregio della trasversalità, ciò dovrebbe valere ancor di più per la piazza del 13 febbraio. Per questo va fatto anche un appunto a certe interpretazioni che abbiamo letto in questi giorni: ieri Repubblica, ad esempio, pubblicava un intervento di Liliana Cavani in cui si denunciavano i sintomi di un regresso nel nostro paese. Tra le cause la regista inseriva principalmente «la cultura maschia del Ventennio che ha pervaso la generazione dei nostri nonni e si è trasmessa ai nostri padri per cui la donna (se non è tua madre tua figlia o tua sorella) è in primis oggetto di piacere. Oggetto che si prende o si compra e ci si vanta. E l’uomo è uomo soprattutto se si fa donne gratis o pagate che sia». Al fondo del berlusconismo che sarà contestato il 13 febbraio dunque ci sarebbe «questa cultura maschia di marca fascista». Non condividiamo per nulla. Intanto perché se in una manifestazione che vuole essere anche riappropriazione delle italiane di un diritto di parola sulla rappresentanza politica – parola per troppi anni annichilita dalla sterile retorica delle quote rosa – si reintroducono categorie logore come fascismo e antifascismo si fanno solo passi indietro, ma soprattutto perché i rilievi della Cavani non colgono il senso della questione. Qui non si tratta di ribellarsi a un certo maschilismo provinciale stile anni Cinquanta (che non è un prodotto ideologico e che c’era prima e ci sarebbe stato dopo il ventennio) né a una sottocultura che le tv berlusconiane hanno tipizzato e assolutizzato facendone un gigantesco spot delle relazioni tra maschi e femmine in questo paese. La vera questione è se le donne possono dire la loro opinione, anche protestando, sulla selezione della classe dirigente femminile in questo contesto, nel 2011. Infatti il caso Ruby non interessa le donne per un fatto etico, o anche per un fatto estetico (che pure ci coinvolge tutti in quanto persone che hanno il diritto di apprezzare o non apprezzare un certo stile di vita) ma le riguarda per un fatto politico. La grande domanda è allora non se sia morale o immorale organizzare i wild parties di Arcore ma se possa e debba essere quello il terreno attraverso il quale selezionare la rappresentanza femminile del paese e del centrodestra in particolare. Se vogliamo la questione riguarda più quelle che hanno votato a destra di quelle che hanno votato a sinistra, perché sono le prime che devono fare i conti, tanto per intenderci, con il “modello Minetti” o con le intercettazioni in cui le “arcorine” dicono di volersi sistemare in Parlamento o in qualche altra assemblea elettiva per sgravare il generoso Papi dall’incombenza del mantenimento. Se questo è il punto di vista legittimo con cui guardare alla mobilitazione del 13 febbraio, e secondo noi lo è, allora appare ridicolo il fatto che se una deputata del Pdl prende la parola sul tema, come ha fatto ieri Melania Rizzoli su Libero, se la cavi accusando le “indignate” di essere delle ex smutandate che da giovani facevano carriere “senza veli” e ora si comportano come le “peccatrici invecchiate” accusate da Longanesi di essersi tarsformate in “mistiche e moraliste”. No, care elette del Pdl, non potete mica svicolare così da un problema che vi riguarda così pesantemente: voi che rappresentate non solo la gratitutdine a un uomo, Silvio Berlusconi, ma anche tutte le italiane che hanno votato il centrodestra, dovete dire cosa ne pensate del modo in cui il vostro partito ha reclutato e recluta la classe dirigente femminile, dovete dire se vi sta bene che la Minetti sia stata imposta nel listino bloccato, se vi andavano bene le veline nelle liste delle elezioni europee, se vi piace che il bunga bunga sia sostituito a quella che tradizionalmente si chiamava “gavetta”. Se prendete la parola, non vi limitate a citare Longanesi, perché cercare la citazione a effetto è troppo facile per tutte. Non dividete le donne tra zoccolette più giovani ed ex zoccole in là con gli anni. Se parlate, se scrivete, andate al nocciolo politico della questione, fate il vostro dovere di rappresentanti del popolo femminile. Se no tacete, che è meglio. In fondo il vostro silenzio potrebbe alla lunga risultare politicamente fruttifero: dimostrerebbe alla fine senza equivoci che le quote rosa (da chi scrive sempre e inequivocabilmente disprezzate) sono una gigantesca presa in giro per le donne, per il famoso “popolo sovrano”, per le istituzioni. Il tributo più truffaldino al “politicamente corretto” escogitato appositamente per mascherare il più cialtronesco dei meccanismi prodotti dal maschilismo in politica e cioè che se sei donna, senza un papi che ti protegge, non vai da nessuna parte.

La vera libertà supera i rischi del moralismo

Inrassegna stampa su 8 febbraio 2011 a 13:05
di Emma Fattorini, Corriere della Sera, 7 febbraio 2011
La vera libertà supera i rischi del moralismo
Tante amiche che stimo hanno contestato la proposta di esprimere pubblicamente il proprio sdegno. Le argomentazioni più pertinenti le hanno espresse sul sito femminista donnaltri.it. Due sono critiche circostanziate e condivisibili, quella di moralismo e di strumentalizzazione. Mentre altre due obiezioni mi lasciano alquanto perplessa e riguardano la natura della prostituzione e il concetto di libertà femminile della donna che offre il suo corpo. Sulla strumentalizzazione solo poche parole. La furia che vede in Berlusconi il male assoluto – mentre, purtroppo è la massima espressione di un clima generale -, nasconde i limiti di una certa opposizione che non riesce a scalzarlo politicamente e si nasconde, letteralmente, dietro le toghe o le sottane dei magistrati, della Chiesa e, ora, delle donne. Usando la Chiesa e le donne di chiesa, mai altrimenti prese in considerazione, sempre ignorate e che rispuntano, invece, come risorse al momento del bisogno. E qui non ci sarebbe niente di nuovo se non fosse che anche e proprio una simile strumentale miopia ci ha portati a questo punto.
L’accusa di moralismo va presa molto sul serio: non solo perché è profondamente sbagliato dividere le donne «perbene» da quelle «permale», – contravvenendo al principio di fondo del femminismo sulla libertà del soggetto femminile – ma perché qui il pensiero di alcune donne, fatto in libertà, sine glossa, coglie un punto che riguarda tutti e tutte. Il moralismo è stato ed è veramente il peccato mortale e la causa reale dell’esaurirsi progressivo di quella parte della cultura di opposizione che si è consumata internamente proprio consolandosi con il moralismo. Un vero e proprio surrogato di quella che un tempo era una vera diversità morale, il moralismo è stato innalzato a vessillo mentre, in un lento processo di metabolizzazione, una certa opposizione ha finito con l’interiorizzare, anche inconsapevolmente, gli stessi modelli che demonizzava. Molti contribuiscono a fare, del moralismo, quello spirito del tempo, speculare e incongruo all’assoluta decadenza morale. Certo un male minore, rispetto al degrado attuale, ma che, come tutte le emozioni e i sentimenti non autentici, è insinuante perché mitridatizza, assuefa e si limita a ri-pulire le coscienze. Ma, così come prendere sul serio i danni del moralismo consente di porci il problema morale, altrettanto prendere sul serio la libertà ci permette di distinguerla dal libertinismo. Questo è veramente il punto in discussione: la libertà del soggetto femminile.
Intangibile è la libertà di scegliere il bene e il male, quella che ci fa essere uomini e donne. Lì sta la nostra origine, lì la nostra caduta, lì, in quella scelta, la nostra irriducibile libertà. E cosa c’è di diverso per le donne? Quale è, secondo loro, la scelta «giusta»? E, ancora, come fare a tradurre le scelte morali che cambiano nel tempo? Accettarle per come sono, solo perché esprimono un cambiamento della soggettività femminile? E, altrimenti, come fa una donna a capire cosa è male o non è più male? O, addirittura, come dicono alcune: «A noi non interessa questa domanda perché la scelta morale si risolve e si esaurisce tutta nella libera e soggettiva scelta femminile consapevole»? Non sono assolutamente d’accordo con questo ragionamento, né teoricamente né sul piano pratico. Non sono d’accordo con questo «indifferentismo». Intanto perché la «scelta»(?) di prostituire il proprio corpo non avviene mai nel vuoto pneumatico della soggettività. Non solo, ovviamente, per la moltitudine di disgraziate che fuggono dall’inferno dei mondi disperati ma anche e non di meno per quella zona grigia, sempre più in crescita, di prostituzione «consapevole» che coinvolge proprio la soggettività femminile. Non basta dire che è un affare degli uomini e delle loro miserie il fatto che le donne si offrano chi per arrotondare, chi per migliore il proprio status, chi per comprarsi la borsa Prada, chi per aiutare i maschi di famiglia, padri, fratelli, cognati, secondo una antica tradizione italiana (i primi appassionati amplessi della innamoratissima Claretta Petacci erano associati a suppliche per favorire gli uomini di famiglia, mentre la favorita contemporanea chiede un avanzamento di carriera politica per se stessa.)
Non si tratta di colpe morali ma di capire le novità: non più solo quelle relative alle polimorfe forme della sessualità maschile, insieme compulsive e mai coinvolte nella relazione. Ma occorre vedere anche l’orgogliosa disinvoltura con la quale sempre più donne non si limitano a «lavorare con il corpo» ma lo considerino una vera e propria fortuna, un miraggio. Cambiano solo le forme della perenne accoppiata sesso e potere o c’è qualcosa di nuovo? E, infine, non «giudicare» la prostituzione deve significare che quello è davvero un «lavoro» come un altro? Da tempo le donne discutono di tutto ciò e certo dobbiamo continuare a farlo coinvolgendo gli uomini. Ma quando ho sentito alcuni studenti, nel liceo di mio figlio, discutere sulla inutilità che quella loro compagna, così bella, dalle gambe così lunghe, continuasse a studiare greco, e li ho sentiti ragionare sullo «spreco» di quelle loro compagne – quasi sempre molto carine e molto più brave di loro – ad «andare così bene a scuola» ho pensato che non fosse sbagliato firmare quell’appello dai rischi moralistici. E quando una mia laureanda, bellissima anche secondo i canoni estetici di Arcore, la quale si consuma sulle ricerche d’archivio, con una prospettiva del tutto incerta, mi ha chiesto quale sia la vera libertà per la donna, io le ho risposto che non tutte le scelte sono uguali. Perché penso di avere, senza alcuna spocchia di superiorità, ma molto semplicemente, il dovere di testimoniare una strada concreta alle mie studentesse. «Le disgraziate si sono vendute per una lira, per un grembial» recitavano le dolenti parole dei canti del primo socialismo, «né puttane né madonne, solo donne» gridavano le femministe negli anni Settanta. E ora? Cosa diciamo ora ai nostri figli e alle nostre studentesse?

Rendere visibile l’invisibile

Inrassegna stampa su 7 febbraio 2011 a 15:16
di Maria Serena Sapegno
La mobilitazione del 13 febbraio che chiama nelle piazze di almeno sessanta città di tutta Italia le donne di ogni età e provenienza, di diverse convinzioni politiche e collocazione sociale, e invita anche gli uomini che ne capiscano il senso e la complessità, è organizzata da un gruppo di donne anch’esse molto diverse tra loro. Non ha ‘mandanti’ o burattinai, come alcune/i temono, e soprattutto ha come scopo fondamentale quello di imporre il rispetto per le donne. PER TUTTE LE DONNE. Si tratta di una manifestazione profondamente politica, quindi, che non cerca la mediazione di partiti o gruppi politici, ma si rivolge direttamente a tutte le donne, dal momento che gli uomini non sembrano avere la lucidità politica di sentirsi chiamati direttamente in causa dall’immagine sgangherata e violenta di un potere fallocratico tanto più fragile quanto più arrogante. Un potere fondato su un dominio antico, quello di un sesso sull’altro, rinnovato ora solo superficialmente. Ciò che abbiamo letto nelle settimane passate non è solo il rivelarsi di una scena privata dalle tinte patetiche e grottesche, come è stato rilevato da più parti. È prima di tutto l’emergere con lampante chiarezza di un sistema di corruzione premoderno, secondo il quale per chi può accedere alla corte del generoso feudatario e fornirgli ciò che il capriccio del momento detterà, sono in serbo non solo doni ingenti e imprecisati, dai gioielli, a rilevanti somme di danaro, a proprietà immobiliari, a carriere fulminanti in televisione, ma perfino la possibilità di accesso a cariche pubbliche ed istituzionali. È inoltre rilevante che a tale corte siano invitate quasi esclusivamente donne giovani (perfino minorenni) e molto belle, in gruppi numerosi, rappresentazioni viventi delle proiezioni del desiderio maschile che hanno la funzione di confermare, rassicurandolo. Esattamente in diretta continuità con quello che accade da parecchi anni sugli schermi della nostra televisione dove non c’è donna che non sia immagine di quel desiderio compulsivo che va blandito, nella rassicurazione che tali bellissime donne mute non desiderano che provocarlo e poi compiacerlo, non vivono che per questo.C’è un rapporto diretto tra tale ripetitiva rappresentazione e le scandalose cifre sulla assenza delle donne dai ruoli decisionali, pubblici e privati, sulla disoccupazione femminile, sulla denatalità, sulla mancanza di servizi all’infanzia e agli anziani, che collocano l’Italia ai posti più bassi delle classifiche internazionali. Eppure le donne italiane hanno fatto un lungo cammino, sono molto più forti e consapevoli, sono diffuse in tutta la società con i loro talenti. Il fatto è che lo sguardo e la voce delle donne su di sé e sul mondo, conquista epocale del femminismo, non conosce quasi spazio pubblico, quello spazio occupato pressoché integralmente dallo scandaloso monologo e dal solo sguardo degli uomini. Per questo è uno spettacolo umiliante e lo è in modo particolare per gli sguardi di giovani e giovanissimi/e che non hanno mai visto altro e lo considerano perciò naturale. Ma al di là del suo essere umiliante, stiamo parlando di una rappresentazione del rapporto tra i sessi e di modelli di genere che hanno una forte valenza politica: parlano di dominio e sottomissione, di cancellazione della differenza, di misoginia e omofobia, di violenza e disprezzo. È necessario certo denunciare la tacita complicità degli uomini, il loro liquidare tali questioni come poco importanti, materia da barzellette, a meno che non ci sia un reato, l’assoluta incapacità di vederne la rilevanza politica, anzi l’insofferenza e il fastidio per chi lo faccia, che manifestano in realtà le implicazioni profonde. Ma anche notare quante siano le donne stesse che ostentano indifferenza e la convinzione che altri siano i veri problemi.Per questo abbiamo deciso che si era ormai toccato il fondo e non si poteva più rimandare: Se non ora quando? Era necessario compiere un gesto forte che avesse la capacità di produrre estraniamento, di rendere cioè di nuovo ‘visibile’ quello che non vediamo più perché siamo assuefatti a considerare normale, qualcosa che non ci riguarda e tocca solo gli altri. Perché invece ci riguarda tutte e tutti e incide molto profondamente, perfino al di là della nostra consapevolezza, sulla nostra convivenza civile. C’era bisogno di questo? E a cosa può servire? Siamo convinte che il gesto simbolico di invitare le donne a scendere in piazza insieme, al di là di ogni schieramento e comprendendo le tante differenze che ci caratterizzano, abbia innanzitutto il senso ancora una volta di un reciproco riconoscimento, e possa rappresentare la grande forza delle donne come dato politico da imporre all’opinione pubblica e come capitale di cui l’Italia ha grande bisogno. Certo non basta. Perché non è la prima volta, e perché le manifestazioni sono solo un momento che deve pesare in un processo ben più ampio. Non basterà per noi e non può e non deve bastare per i tanti uomini della politica che in questi giorni accettano il nostro invito pubblicamente: va bene sentirsi civili ed evoluti per un pomeriggio, anche se con grave ritardo, ma saranno chiamati a dare prova concreta della loro ‘amicizia’ in politica, salvo perdere il voto delle donne. E non entro qui nel vero tema di fondo dell’identità sessuale maschile, della disponibilità o indisponibilità a prendere atto della sua crisi profonda senza pericolose nostalgie, ciò di cui argomenta da anni e anche in questi giorni, apparentemente inascoltato, il gruppo Maschileplurale: è problema degli uomini e della loro credibilità. Parlo invece di rapporti di forza, di spazio alle donne, e in particolare alle giovani donne, in tutte le sedi, parlo di leggi, di cambiamento dell’organizzazione del lavoro e della società, per permettere concretamente alle donne la pratica di una piena cittadinanza. Quanto a noi donne che, come è stato ricordato, non siamo mai state zitte, si tratta di trovare collettivamente modi nuovi e più efficaci di far sentire la nostra voce anche nello spazio pubblico. L’associazione DiNuovo, che ha dato il via iniziale alla mobilitazione, che poi sta crescendo anche da sola per l’incrociarsi e il sovrapporsi di tanti motivi, ma soprattutto per il grande desiderio di tante donne di esprimere la propria rabbia e la voglia di cambiamento, desiderio della cui vastità nessuno si era reso conto, nasce proprio su questo tema. Far pesare la forza delle donne nello spazio pubblico. Esprimere tale forza trasversale e autonoma collegando le tante realtà di donne attive e coscienti di questo paese, aprire a tutte le donne che siano interessate, coinvolgere le giovani donne che avevano creduto alla promessa di parità e pagano più di altri la caduta delle illusioni. Vedremo chi vorrà impegnarsi, cercheremo insieme le forme più idonee e rispettose delle grandi diversità e proveremo a mettere insieme il patrimonio di esperienze e di capacità, la straordinaria ricchezza che caratterizza la variegata realtà delle donne, al fine di accrescerne il peso e l’impatto, perché è in questa direzione, piuttosto che nello sforzo infinito a sorreggere il gioco degli altri, che deve andare il vero contributo delle donne alla crescita di questo paese.

RUBY: FEDERCONSUMATORI ADERISCE ALLA MANIFESTAZIONE DEL 13 FEBBRAIO PER RIVENDICARE LA DIGNITA’ DELLE DONNE E DEL PAESE INTERO.

Inrassegna stampa su 7 febbraio 2011 a 13:04
Federconsumatori aderisce all’iniziativa del prossimo 13 febbraio “Se non ora quando”.
Un appuntamento importante per restituire dignità alle donne ed al Paese intero.
Di fronte al decadimento dei costumi e dell’etica pubblica ed alla profonda regressione culturale a cui stiamo assistendo è indispensabile dare una risposta decisa, per dimostrare, soprattutto a chi ci governa, che l’Italia è fatta di donne e uomini che meritano di vivere in un paese migliore.” – dichiara Rita Battaglia, Vice Presidente Federconsumatori.
Un Paese dove le donne non siano ridotte a merce di scambio e dove sia riconosciuto l’indispensabile e fondamentale contributo che forniscono alla società. Sono donne che lavorano, che portano avanti una famiglia, che studiano, che partecipano attivamente alla vita ed alla crescita del Paese. Meritano rispetto, così come lo meritano tutti i cittadini, la cui intelligenza è gravemente ed inaccettabilmente offesa dalle affermazioni e dai gesti di alcuni rappresentanti della maggioranza di Governo.

Dibattito «rosa» in vista della manifestazione del 13 febbraio

Inrassegna stampa su 7 febbraio 2011 a 12:56
di Daniela Monti, Corriere della Sera, 6 febbraio 2011
LE DUE SCRITTRICI E LE DIFFERENTI VISIONI SUL MODO DI MANIFESTARE IL DISSENSO
Gamberale: no al moralismo. Maraini: c’è paura di indignarsi
Dibattito «rosa» in vista della manifestazione del 13 febbraio
Perché è stato necessario un caso Ruby per ridare la parola alle donne?
«Mai state zitte», è la risposta che rimbalza dai siti del pensiero femminile. Però la discussione, rimasta sottotraccia, ha avuto bisogno del detonatore di Arcore per diventare pubblica, di piazza. E per articolarsi ora, più passano i giorni, in un ventaglio di posizioni anche molto critiche: il no della filosofa Luisa Muraro alla manifestazione di domenica prossima, il suo invito «a non far scadere la politica nel moralismo», amplificato dalle migliaia di contatti su Facebook, ha aperto il fronte del dissenso. «A livello personale – riflette Chiara Gamberale, 33 anni, scrittrice – l’urgenza di un dibattito sull’identità (e la dignità) delle donne, in tv e non solo, l’abbiamo sentita in molte. Insomma, io l’ho sentita: ma l’ho vissuta come sono abituata a vivere tutto, fra me e me, curiosa ancora prima che scandalizzata, senza cioè utilizzare lo strumento del moralismo per comprendere quello che stava succedendo». «Ecco, molte giovani donne hanno il terrore di essere considerate moraliste – incalza Dacia Maraini, 74 anni -. Ma perché l’indignazione morale si trasforma così automaticamente in moralismo? Chi lo stabilisce? Perché tanta paura di mostrarsi indignati di fronte alla quotidiana offesa alla dignità femminile? Si tratta di una timidezza verso il giudizio comune da parte di chi come donna non ha mai avuto certezze storiche? Si tratta di paura? Difficile dirlo. A volte questo terrore paralizza».
Un confronto fra generazioni e sensibilità diverse che porta ad una prima divisione: alla manifestazione che domenica prossima toccherà molte piazze italiane, Maraini ci sarà, Gamberale no (mentre a Milano, ieri, avrebbe voluto esserci).
«La società ha purtroppo diseducato la mia generazione ai riti collettivi – risponde Gamberale -. Mi domando se l’individualismo che ho sempre ritenuto un’inclinazione del mio carattere non sia invece il frutto, se non velenoso comunque un po’ marcio, di questa diseducazione».
Maraini: «C’è sempre la goccia che fa traboccare il vaso. Ma questo ha a che fare con le reazioni di massa. Per quanto riguarda me, sono anni che scrivo di questo degrado, ma è come parlare al muro. Per fare un esempio, praticamente ogni anno ho scritto uno o due articoli contro lo spazio che la televisione dà al concorso di Miss Italia che per me è una delle forme della reificazione del corpo femminile. Ma non è servito a niente. Solo quando la voce individuale si unisce a quella collettiva, diventa udibile. Le donne come Paese, come collettività, è vero sono state ferme e zitte in questi anni. Un poco perché non vogliono sentirsi moraliste, lo abbiamo detto. Un poco perché gli uomini che frequentano, che amano o da cui dipendono economicamente non vogliono sentire parlare di rivendicazioni: una cosa da “femministe isteriche”. C’è stato un lavoro culturale di addormentamento delle coscienze che ha agito sia sugli uomini che sulle donne. Ma è una cultura molto fragile, basta poco per mandarla in frantumi».
Sta nascendo un nuovo movimento delle donne? Con quali riferimenti, se la politica, soprattutto per i giovani, è sempre più un’astrazione?
Gamberale: «Un movimento non può nascere contro qualcosa come il comportamento delle ragazze di Arcore. Quando la bufera sulle escort sarà passata, finirà anche il movimento? Come cittadina sono indignata dalla Minetti, con relativi stipendi e cariche, ma come donna non mi sono mai sentita messa in discussione da chi usa la propria testa, il proprio corpo e il proprio cuore in modo diverso da come ho scelto di fare io. Chiedo basi più solide, più condivise: il maschilismo imperante, il lavoro femminile che non c’è, la discriminazione, queste sono le cose per cui lottare. La mia generazione (ma forse dovrei dire non-generazione) è fatta di persone che vivono ciascuna nel proprio mondo, il moralismo non ci appartiene. E questa è una delle poche cose che ci accomunano».
Maraini: «Io alla manifestazione ci sarò, non occorre essere d’accordo al cento per cento per andarci. L’ho provato sulla mia pelle: le voci femminili, se sono isolate, non contano. La voce delle donne ha peso solo se ha dietro un sentire comune. Non stiamo facendo alta filosofia, stiamo parlando di un movimento di opinione che in questo momento va sostenuto perché è il solo modo che abbiamo per dire basta. La politica c’entra poco, questa è solo indignazione contro il degrado del Paese. Non è una manifestazione contro le donne di Arcore, al contrario: loro sono le prime vittime di questa cultura che vogliamo cambiare».
Rappresentate due generazioni diverse. C’è stato un passaggio di testimone da una all’altra oppure qualcosa nel racconto femminile si è interrotto?
Gamberale: «Devo moltissimo alle donne della generazione di Dacia, anche se forse non me ne rendo conto. È lì che il testimone rischia di scivolare di mano alla mia generazione: nel pensare, a livello inconscio, che il grosso sia già stato fatto».
Maraini: «Io ho continuato, con una fedeltà quasi grottesca alle mie idee, le battaglie per difendere la dignità delle donne. Coi miei libri, con il giornalismo, con le tantissime conferenze, dibattiti, incontri con le scuole, convegni. Quindi credo che qualcosa passi da una generazione all’altra. Ma forse non abbastanza. Dall’altra parte c’è la forza massacrante della tv, ci sono i modelli delle donne bellissime, ricche, ammirate, desiderate, che fanno uso di un linguaggio della seduzione proposto dalla cultura di mercato che si propone come l’unica vincente. E le giovani più sprovvedute, meno preparate a difendere la propria autonomia, credono sinceramente che quella sia la sola possibile espressione della femminilità su questa terra».

Donne in piazza, migliaia di adesioni

Inrassegna stampa su 7 febbraio 2011 a 12:52
di Cinzia Sasso, su La Repubblica, 7 febbraio 2011
Donne in piazza, migliaia di adesioni
Domenica manifestazioni in tutta Italia: “Dal Palasharp nuovo entusiasmo”.
MILANO – «Cerrrrtooo, che ci sarò!». «Ragazze: non dimenticate la sciarpa bianca!». «Ci vediamo, nella speranza di essere di nuovo in tanti!». Arrivano a centinaia, nello stile informale e allegro di Facebook, le adesioni al «Se non ora, quando?» di domenica prossima. Arrivano ancora di più dopo il successo della manifestazione organizzata dall’ associazione Libertà e Giustizia al Palasharp di Milano, che ha visto sabato un pezzo di Italia sobria e indignata, senza bandiere di partito, chiedere le dimissioni del premier. Stavolta, dopo essere state le prime a scendere in piazza della Scala, a Milano, sabato 29 gennaio, sono di nuovo le donne a invitare tutti a manifestare. Lo avevano promesso: non ci fermeremo. E stavolta il loro appello coinvolge tutta Italia.
Non c´è solo una firma sotto questa chiamata a reagire: l´offesa del Rubygate ha unito le associazioni femminili – ma anche quelle maschili – più diverse e la Cgil si è messa in prima fila per organizzare la reazione al degrado della politica e della cultura. Sabato, a Milano, Susanna Camusso, l´aveva detto: «Questo è solo l´inizio di una mobilitazione più generale ed è il segno che le donne sono sempre in prima linea nell´impegno e nel sostegno della dignità e della libertà. Non ci fermeremo». Non sarà una piazza sola, stavolta, ad accogliere la protesta; saranno tutte le piazze d´Italia. Piazza del Popolo a Roma, piazza Castello a Milano. Ma anche, tanto per seguire l´ordine alfabetico, dalla piazza della Repubblica di Ancona, a piazza Bra a Verona.
Gira in rete il vademecum per la manifestazione, che vuole essere il più larga possibile e non avere alcuna bandiera: saranno i partiti – come, per il Pd, ha già annunciato Dario Franceschini – ad accogliere l´invito, ma non saranno loro i padroni di casa. Spiegano sul sito della manifestazione: non scendiamo in piazza per giudicare altre donne, né per dividerle in buone e cattive; quello che vogliamo è esprimere la nostra forza e la nostra determinazione; siamo fiere e orgogliose, chiediamo dignità e rispetto per noi e per tutte; siamo gelose della nostra autonomia e non ci lasceremo usare; la partecipazione di uomini è richiesta e benvenuta; cercheremo di parlare prima di tutto ai giovani e di portarli in piazza.
Ci saranno scrittrici, operaie, commesse, ricercatrici, casalinghe, studentesse, pensionate. Insomma, tutte le donne “normali” d´Italia, quelle che ogni giorno, con il loro doppio lavoro, arricchiscono il Paese. Una forza, quella delle donne, che preoccupa e spaventa, soprattutto il centrodestra: perché in piazza con la sciarpa bianca, offese da un modello culturale volgare e fasullo, ci saranno anche loro. Una maggioranza silenziosa che rischia di fare tantissimo rumore.

Oltre la sciarpa bianca, la lettera D

Inrassegna stampa su 7 febbraio 2011 a 12:38
da “Il Paese delle donne online”, venerdì 4 febbraio
Le donne hanno da sempre preso la parola, ora c’è la rabbia a spingere in piazza
Oltre la sciarpa bianca, la lettera D
di Giulietta Ruggeri
E’ ormai partita la fase organizzativa della manifestazione del 13 febbraio. A Genova il carattere distintivo sarà, oltre la sciarpa bianca, la lettera D con una pluralità di significati: Diritti, Democrazia, Dignità, ma soprattutto Dimissioni.
Sono state le donne a far partire questa manifestazione con qualche parola d’ordine equivoca e contestata come: In difesa della dignità delle donne o, peggio della Donna. A Genova si è discusso di questo e dovrebbero essere sventati gli equivoci. La dignità messa in discussione dalla modalità dei rapporti del Premier con le donne è semmai proprio quella degli uomini. Ma pochi di loro se ne accorgono o ne vogliono discutere. Allora perché tra le donne è dilagata questa voglia di esserci nelle piazze italiane, nella piazza di Genova?. Perché la misura è colma. Il vaso è traboccato. L’indignazione le donne sono ancora capaci di provarla e proprio loro che da molto tempo avevano annunciato la crisi della politica e dei partiti non possono più sopportare il mercato indegno dei parlamentari, soprattutto maschi, che passano da un gruppo all’altro e sono disposti a dare la fiducia al premier e alle sue varie cause giudiziarie a seconda del “posto di rilievo” o della mazzetta che ottengono. Non tollerano più le arroganze del premier (è la nipote di Mubarak), le sue bugie (ho la fidanzata) , non sopportano il sistema di rapporto tra i sessi che mette in atto e che corrompe. Corrompe come certi spettacoli delle sue televisioni. Corrompe i cuori e gli animi dei nostri figli/e.
La dignità delle donne non è messa in discussione dalle Ruby e dalle altre, che peraltro hanno scelto liberamente di adeguarsi allo stile del potente, la dignità delle donne non è in discussione e nessuno si deve sentir chiamato a difenderla. Qui si tratta della rabbia delle donne per un Governo che non governa per un Capo del Governo squalificato in Italia e all’estero , per le strategie di breve respiro messe in campo dalle opposizioni, per la democrazia dolente in cui siamo costrette a vivere.
Ci sono alcune donne autorevoli che scrollano la testa o arricciano il naso di fronte a questa scesa in piazza e non parteciperanno. Care amiche sono d’accordo con voi e le vostre analisi, ma non sottovalutate la rabbia che cova nei nostri cuori e che ci spinge non a prendere la parola che, con buona pace di Concita De Gregorio, abbiamo sempre preso sulle riviste delle donne , quelle cartacee come quelle virtuali, ma a dire a Berlusconi, con la forza delle idee e mettendo in campo i nostri corpi: Ora basta, Vattene. Che è poi il nostro modo di “chiedere il passo indietro”!!!
Giulietta Ruggeri, Laboratorio politico di donne Genova

Stare in un movimento significa anche ragionare, discutere e criticare

Inrassegna stampa su 7 febbraio 2011 a 12:29
da “Il Paese delle donne online”, sabato 5 febbraio
Stare in un movimento significa anche ragionare, discutere e criticare
Come sarò in piazza il 13 febbraio
di Monica Lanfranco
Sono una donna autorevole, come le migliaia che ho incontrato di ogni età, provenienza e visione politica in questi decenni di lavoro giornalistico, formativo e sociale come femminista; da troppi anni spero che questo governo cada, e se sarà questa mobilitazione a contribuire a farlo cadere sarò contenta.
Da troppi anni i partiti a sinistra hanno purtroppo smesso di rappresentarmi, anche se ho mantenuta intatta la distinzione per relazionarmi (quando è stato possibile) con le donne che hanno scelto di fare politica nei partiti tra la donna e la sua appartenenza. Così come è legittimo smarcarsi e non partecipare a questa manifestazione additando le più varie motivazioni voglio poter esserci pensando che stare in un vasto movimento significa, continuando a lavorare per il cambiamento, anche ragionare, discutere e criticare ogni scelta.
Dissento in modo assoluto circa la leggerezza con la quale viene liquidata la questione prostituzione; il video di Lorella Zanardo ha messo a tema il preciso disegno culturale che, in margine alla vittoriosa realizzazione degli intenti della Loggia p2, ha sdoganato il corpo femminile come accessorio utile per l’incremento del fatturato, autorizzando quindi la cosiddetta libera scelta di giovani donne a saltare ogni passaggio per costruirsi una autorevolezza basata non sulla vagina ma sul sapere, la cultura, la passione per il sapere fare.
Non ho mai permesso a nessuno e a nessuna, in mia presenza, di etichettare con epiteti sessisti una donna, anche una avversaria. Scelgo però di continuare a dire “nè puttane nè madonne, solo donne, perchè il mio orizzonte è quello nel quale la sessualità non è merce di scambio”.
Moralista? Sono laureata in filosofia, mi interessa la morale, molto del lavoro di autorevoli femministe ne disserta e se ne alimenta. Non è mica una parolaccia.

Caso Ruby, Camusso: «Mi aspetto reazione degli uomini»

Inrassegna stampa su 6 febbraio 2011 a 16:50
di Jolanda Bufalini, su L’Unità, 5 febbraio 2011
Al quarto piano di Corso d’ Italia a Roma, nell’ampio ufficio con il ritratto di Giuseppe Di Vittorio così come lo vedeva Carlo Levi, dalla finestra un panorama mozzafiato: la galleria Borghese, i viali alberati della Villa, il segretario generale della Cgil concentra gli occhi azzurri sull’IPhone. Veloci scambi di messaggi, Susanna Camusso è reduce dall’accordo separato sulla Funzione pubblica, frutto di un incontro che doveva restare clandestino a Palazzo Chigi. «È evidente, evidente». Hanno letto un documento «di cui sapevano a memoria ogni parola e anche le virgole». Un accordo che «non è efficace per i lavoratori ma fa da stampella al governo, per far venire meno gli emendamenti al mille -proroghe». Noi siamo qui per un altro motivo.
Serpeggia l’accusa ‘donne di sinistra bigotte’.
«Invece io trovo non accettabile come si è svolto il dibattito, soprattutto nell’informazione televisiva. Si è fatto spettacolo di queste ragazze e delle loro aspettative».
Lei cosa pensa di loro?
«Sbagliano, nella vita non ci sono scorciatoie e le scorciatoie portano guai. Alla fine, si sono fatte imbrogliare: la sessualità consapevole è il contrario di una giovane che va con 74enne, il principe azzurro si è rivelato un barbablu. Però portare loro in primo piano nasconde l’essenza di un vecchio che va con le minorenni. Per salvare i potenti si getta la responsabilità sulle donne e, per i comportamenti di alcune, si getta alle ortiche una storia di lotte che hanno modificato i rapporti fra donne e uomini».
Le donne, ha scritto qualcuno, “sono sedute sulla loro fortuna”.
«Più di tutto mi ha disturbato il titolo di un giornale di sinistra, “la fabbrica del bunga bunga”, perché per me la fabbrica è una cosa seria e il lavoro una cosa molto importante. C’ è uno slittamento grave del linguaggio maschile. Berlusconi riduce tutto a barzelletta, cerca la solidarietà maschile e alimenta i sentimenti più bassi. Però intorno c’è il silenzio dei maschi, forse condizionati da certe atmosfere da bar. Mi piacerebbe che gli uomini si indignassero e si mobilitassero, gridassero ‘io non sono così, la mia non è una sessualità malata’, perché questo spettacolo indecoroso ferisce la dignità e il rispetto delle relazioni fra i sessi. I comportamenti del capo del governo sono del tutto lesivi della dignità delle donne, anche minorenni».

Vi siete proprio sbagliate: noi andiamo in piazza anche per Ruby, non contro di lei

Inrassegna stampa su 5 febbraio 2011 a 17:30
In risposta all’articolo “Amiche di sinistra, non andate in piazza contro altre donne” – Intervista a Pia Covre di Angela Azzaro su “Gli Altri”
Cara Angela Azzaro,cara Pia Covre,
perché secondo voi le donne il 13 non devono andare in piazza? Siete veramente sicure di voler dire alle donne italiane “Non andate in piazza contro altre donne”, come dice il titolo dell’intervista di Angela a Pia? O volevate invece dire “Andate in piazza si, ma contro Berlusconi, non contro altre donne?” Che è cosa ben diversa!!!
Mi sorge questo dubbio perché dalle cose che dice Pia Covre ad Angela Azzaro mi sembra che Pia chieda la seconda cosa, non la prima, e che la titolatura dell’intervista sia, semplicemente, sbagliata, e introduca una forzatura di posizione che, nelle parole di Pia, non c’è.
Intanto, cara Angela Azzaro, nell’appello che ha lanciato la mobilitazione del 13 febbraio, non vi è una singola parola o frase di condanna alle donne che sono andate alle feste di Arcore. E ‘ semplicemente ridicolo pensare che da parte nostra possa essere nuovamente proposta la divisione delle donne in due, le sante e le puttane, dove da un lato stanno le vergini e le mogli legittime , e dall’altro stanno le lavoratrici del sesso e tutte quelle donne che vogliono scegliere liberamente in base al loro desiderio i loro partner sessuali. Divisione antica abolita dal femminismo, speriamo per sempre. Ci chiamiamo di Nuovo appunto perché quelle di noi che sono più anziane sono femministe da trent’anni, e quelle più giovani ne stanno raccogliendo l’eredità.
Nel nostro appello c’è esclusivamente a) la condanna del premier per essersi intrattenuto con una minorenne e con molte altre donne dell’età delle sue figlie, e aver mentito in proposito, e b) del fenomeno per cui le donne candidate e talvolta elette a cariche politiche sono state spesso da lui scelte non in base alla loro competenza ma in base alla loro avvenenza e alla loro disponibilità allo scambio sessuale. E questa condanna non ha nulla a che fare con la condanna dello scambio di sesso contro denaro fatto tra le lavoratrici del sesso e i loro clienti.
Io non giudico le ragazzine marocchine e appoggio le rivendicazioni delle lavoratrici del sesso. In cambio di cariche politiche sì. Giudico, e mi sdegno, il fatto che la lotta che noi femministe abbiamo fatto per trent’anni per avere un peso maggiore nella politica democratica sia stata pervertita e resa vana dal fatto che il criterio di scelta di alcune donne in politica è stato la avvenenza e la disponibilità sessuale (più per la destra che per la sinistra) e la fedeltà alle cordate dei capi (come è a volte successo anche a sinistra, non solo a destra). Le donne che fanno politica, devono potere essere autonome. Come ha detto magistralmente Rosi Bindi, non sono e non devono essere a disposizione .
Noi crediamo che la democrazia sia una cosa seria, e che le persone elette per governare non siano semplici cittadini, ma debbano essere probi, onesti e competenti. Berlusconi stesso ha largamente approfittato di questo e ci ha distribuito librettini mielosi in cui lo si dipingeva come un padre di famiglia, un patriarca attento e premuroso. Dalle vicende recenti appare come un puttaniere incallito: ed evidentemente si vergogna di esserlo, visto che invece si è sempre presentato come un patriarca buono. Non abbiamo niente contro le sex workers: ma contro i puttanieri si. Io rispetto chi vende servizi sessuali. Non chi li compra, però, che mi sembra invece soltanto che sfrutti a suo vantaggio lo strapotere economico e sociale maschile.
Scenderò in piazza il 13 febbraio perché da anni trovo umiliante il fatto che siano solo o prevalentemente uomini a scegliere chi deve rappresentare le donne, e questo è stato fatto anche a sinistra, purtroppo. Ma scenderò in piazza soprattutto perché appare che il premier facesse queste scelte usando come parametro, per le donne, anche la bellezza,( e almeno in un caso, probabilmente anche la disponibilità a organizzare festini). Questa è una concorrenza sleale fatta agli uomini e alle donne competenti che dovrebbero governare l’Italia, e mina la democrazia.
Ci strumentalizzeranno i partiti “maschili”? Forse. Cercheranno certamente di farlo, e allora? Partiti che sono stati maschili stanno cambiando, chi più chi meno certo, ma non sono il monolite di un tempo. E forse alcuni partiti riconosceranno un pò più di prima, invece, la capacità che le donne dimostrano di essere soggetto politico capace di organizzarsi e di difendere se stesse, la propria immagine, e capaci di proposte politica autonoma. Se non abbiamo alcuna speranza che prima o poi molti uomini capiscano e accettino molte delle ragioni e delle proposte del femminismo, che speranza abbiamo? Di imporglielo con la forza? Di farci per sempre noi i cavoli nostri e loro i loro?La democrazia deve essere declinata per i due sessi, questo, è il nostro obiettivo.
Elisabetta Addis

Il sesso del Cav è una questione politica

Inrassegna stampa su 5 febbraio 2011 a 16:27
Pubblicato sul sito maschileplurale.it e su “Gli Altri”
Chi l’avrebbe detto che quando, come Maschile Plurale abbiamo scelto di tenere il nostro incontro nazionale sul nesso tra rapporti di prostituzione e immaginario sessuale maschile affrontavamo un tema che di lì a pochi giorni sarebbe stato al centro della politica italiana? L’uso da parte de Premier del proprio potere economico e politico per disporre liberamente di corpi femminili.
La politica, soprattutto il centro destra ma con molte eccezioni mirabili di sindaci “sceriffi” di centro sinistra, quando parla di prostituzione lo fa per alimentare campagne “d’ordine “ e xenofobe di ripristino del “decoro delle città”. Al contrario, se sei un uomo di potere che usa la cosa pubblica come propria, la polizia non ti farà la multa sulla tangenziale ma garantirà la scorta. Ma anche in questo caso, le ragazze coinvolte nel caso “Ruby” vengono invitate ad andarsene dai loro appartamenti di via Olgettina perché rappresentano un danno al “decoro” del condominio. Sei in salvo solo finché resti nell’ombra o nel cono di luce che ti associa al potente.Ha ragione Pia Covre a denunciare la feroce ipocrisia con cui in questi giorni si calpestano le vite delle donne coinvolte. Lo stigma resta sulla prostituta, l’uomo con lei si “sputtana”, lei resta il ricettacolo della vergogna. La scissione di Berlusconi “buon padre di famiglia” nelle biografie recapitate a casa degli italiani e “puttaniere” di notte è lo specchio della scissione vissuta da 9 milioni di uomini italiani: non quella tra “puttane” e donne per bene ma tra una sessualità giocata al buio perchè inconfessabile e una nobilitata dall’amore coniugale e dalla finalità procreativa.
Sentite come suona diverso? “Gran puttaniere” è come “simpatica canaglia”, “puttana”,”troia” è una condanna senza appello, toglie ogni cittadinanza: come la Repubblica Italiana che, ridando il voto a tutti i “cittadini” ritardò un po’ a riconoscerlo anche alle prostitute.
Ma rifiutare di esprimere un giudizio morale sulle donne che scambiano rapporti sessuali in cambio di denaro o di opportunità di carriera, rifiutare di ridurle a vittime o complici deve voler dire distogliere lo sguardo, affermare l’insignificanza politica e culturale dell’uso del potere politico ed economico per disporre di corpi femminili?
C’è un’alternativa tra l’indignazione venata di moralismo e l’indifferenza che relega la sessualità (e dunque le relazioni di potere tra i sessi, le rappresentazioni di donne e uomini) all’insignificanza pubblica e politica?
Noi abbiamo detto (anche nel supplemento Queer che Gli altri ha proposto) che è necessario mettere al centro di una riflessione collettiva le forme della sessualità e l’immaginario maschile che sono alla base della domanda di prostituzione e farlo può divenire un punto di vista per rimettere in discussione l’asimmetria tra donne e uomini.
Asimmetria nel desiderio, asimmetria nel riconoscimento di soggettività e dunque nel potere. Perché potere, denaro e desiderio sono al centro non solo dei rapporti di prostituzione che si consumano nelle strade ma segnano le relazioni tra i sessi e le istituzioni di genere che regolano la nostra quotidianità. Un unico desiderio, un unico soggetto, quello maschile che esercita il potere sul mondo e sul corpo femminile essendo le donne ridotte a corpo muto, privo di un desiderio e di una sessualità autonoma. La dote (e il destino) delle donne è il corpo, la loro sessualità è sessualità di servizio, cura: quella che il premier invoca riferendosi alla sua necessità di relax dopo i propri impegni di governo.
Nella resistenza di molte e molti agli appelli di questi giorni c’è anche il sospetto che inseguano la speranza che dove non ha potuto il conflitto sociale, l’opposizione politica possa, come con l’arresto per evasione fiscale di Al Capone, una repentina ondata di indignazione, e che magari le gerarchie ecclesiastiche scarichino chi ha imposto leggi liberticide in nome della morale cattolica ora che è screditato.
Non mi convince però chi, sulla base di questo sospetto, afferma che non si tratta di una questione politica, che “ben altri” sono i motivi per cui Berlusconi dovrebbe cadere o che al massimo, il problema politico sarebbe la sua ricattabilità e dunque inabilità al governo conseguente dal continuo scandalo sessuale.
Anche questa esposizione di un uomo di governo al rischio ad andare in giro con un equivoco mediatore di favori sessuali, un giocatore d’azzardo e donne che scelgono (più o meno liberamente) di vendere prestazioni sessuali è paragonabile con gli uomini che chiedono alle prostitute di strada di fare sesso senza preservativo (quasi che la mediazione del denaro promettesse l’illusione dell’anonimato e dell’invulnerabilità, un preservativo simbolico).
No. Io credo non solo che la questione della rappresentazione dei rapporti tra i sessi e l’affermazione di modelli di genere siano pienamente politica. Ma anche che il consenso che Berlusconi continua a raccogliere non sia altro dal suo continuo richiamo a questi riferimenti. E la sua stessa aggressività misogina, le sue battute omofobe sono tutt’uno con la sua ostentazione di virilità bulimica.
Perché allora è oggi così difficile costruire non solo una riflessione ma anche un’iniziativa pubblica? Come mai non c’è una reazione? Perché, forse, quello di Berlusconi è un comportamento smodato ma tutt’altro che trasgressivo. In realtà il sogno a cui allude sembra corrispondere alla mediocrità dell’appiattimento del desiderio che propone e insegue. Quello che Christian Raimo definisce “democratizzazione del sogno erotico”.
Proprio in questa ambivalenza di “autoritarismo permissivo” o di trasgressione omologata sta la forza e la debolezza del Berlusconismo. Proporre un’idea asfittica di libertà che è “essere liberi di corrispondere a un modello tradizionale senza freni ma senza alcun margine di libertà per trasgredirlo”. Non a caso proprio il Premier delinea qual è lo spazio ristretto della propria trasgressione quando afferma che “è meglio amare (magari un po’ smodatamente) le donne che essere gay”. La trasgressione che ci propone il premier assomiglia molto a quella dell’adolescente che rutta o dice schifezze davanti alle ragazze per affermare la sua virilità sempre sotto osservazione e in attesa di conferma.
La trasgressione per gli uomini è sempre un obbligo, a patto che non metta in discussione i veri contorni della gabbia. I limiti della libertà, la trasgressione sono fissati nell’immaginario del bagaglino e di Alvaro Vitali, ma se sgarri dai canoni della virilità tradizionale la scure moralista è ferrea.
In che relazione è lo scenario di scambio soldi e potere per sesso con questo modello dominante di virilità?
Un manifesto delle donne del Partito Democratico esplicita in modo chiaro questo richiamo quando afferma che “un uomo ingovernabile e che non rispetta le donne non può governare”. L’esercizio della capacità di autogoverno e di autocontrollo è a fondamento dell’autorevolezza maschile nell’esercizio del governo al pari della sua vitalità sessuale come misura della sua intraprendenza politica.
Il dibattito apertosi sul rapporto del CENSIS sulla crisi di un “ordine del padre” nella nostra società rimanda a questa riflessione. Non a caso il CENSIS parla anche di crisi di desiderio e non solo di capacità di governarlo.
Tentando di agire come uomo un conflitto contro i modelli dominanti e tradizionali di mascolinità, sento sempre con un certo allarme il rischio di ritorno di una “nostalgia” per l’ordine del Padre. In cui i dirigenti politici e gli statisti avevano una dignità e un rigore. Forse, ad esempio, sarebbe utile capire quanto in quelle forme di rigore politico non ci fosse (solo) un esercizio di autodisciplinamento ma anche la percezione di essere dentro una rete di relazioni di senso, e non in quella autonomia separata della leadership che avrebbe dovuto garantire funzionalità alla politica.
E la pulsione del potere a svincolarsi dai limiti non è nuova e non è figlia necessariamente di una crisi del patriarcato. Credo sia stato significativo in questo senso che qualcuno in rete abbia richiamato il film di Pasolini “Salò o le 120 giornate di Sodoma”. L’arbitrio, l’esercizio del potere senza limiti, la rimozione dell’altra come prima rimozione. La propria libertà come assenza di relazioni significative e di limiti. Il limite rappresentato dal desiderio e lo sguardo dell’altra che non è solo a servizio, il limite in ciò che posso avere e consumare. Il Foglio, più o meno consapevolmente, ha ricordato come l’arbitrio del premier sia contiguo a un immaginario del sultano, l’harem, le 77 vergini: corpi di donne mute e disponibili. la rimozione del desiderio e della sessualità femminile. Come ci ricorda però Fatima Mernisssi l’immagine di un Harem abitato da donne mute è una proiezione dell’uomo occidentale che non corrisponde alla narratrice delle Mille e una notte.
Al sogno rattrappito di un mondo di infinita disponibilità femminile preferisco quello più concreto (e certamente che trasgredisce l’ordine dominante), di un mondo abitato dal desiderio femminile. Non corpi muti a servizio di un bulimico e autistico, ma storie, sguardi, desideri di donne con cui mettere in gioco il mio desiderio.
Sarà più faticoso ma non dovrò passare le mie serate con Emilio Fede e Lele Mora. E questo è già qualcosa che, anche se non potrà mai confessarlo, Berlusconi mi invidia.
Stefano Ciccone

Il 13 febbraio e le giornaliste italiane

Inrassegna stampa su 5 febbraio 2011 a 09:35
Il 13 febbraio e le giornaliste italiane. Perchè dobbiamo esserci
di Nella Condorelli
Women in the city, venerdì 4 Febbraio 2011
Questo magazine Women in the city ha aderito alla manifestazione delle donne del 13 febbraio, “ Se non ora quando”, e condivide pienamente le parole d’ordine che le promotrici hanno lanciato alle donne italiane, alle associazioni, ai gruppi, alle reti, a quante, – e siamo in tante -, da tempo vivono con profondo disagio e imbarazzo ed il modo con cui il “femminile” viene considerato e pubblicamente trattato dal presidente del Consiglio dei Ministri on. Silvio Berlusconi, oggi al centro di insostenibili scandali sessuali, e del tutto indifferente alle responsabilità ed i comportamenti etici cui lo obbligano l’alta istituzione che rappresenta.
Con altrettanto disagio, non inferiore alla rabbia, siamo costrette a subire quotidianamente la rappresentazione deformata dell’immagine femminile che la tv pubblica e privata che egli controlla, con poche eccezioni, proietta nelle nostre case, imponendo nei fatti la sua visione delle donne, stereotipata, a senso unico, e rivestita di nulla.
Questa tv non solo ignora pervicacemente la ricchezza e pluralità dei contributi che le donne italiane danno alla società tutta ma – fatto altrettanto grave – occulta l’assenza totale di politiche di genere del governo Berlusconi, tace sui numeri reali e tragici della nuova discriminazione delle italiane nel lavoro, nella famiglia e nello spazio pubblico, come invece documentato progressivamente da ricerche e statistiche nazionali ed internazionali, e dalla stessa continua denuncia di molte donne.
Come lo stillicidio della goccia sul masso, – il nostro magazine lo denuncia da tempo -, erode da venti anni, ogni giorno di più e senza sosta, la nostra immagine pubblica, ci allontana dall’Europa e dall’Occidente, impedisce una vera presa di coscienza delle questioni reali che toccano quotidianamente milioni e milioni di italiane. Confinandoci in una condizione di disuguaglianza opaca che lede profondamente la stessa Costituzione: i diritti di uguaglianza che sancisce e le norme che attribuiscono allo Stato il compito di rimuovere tutti gli ostacoli frapposti al suo raggiungimento.
I risultati sono gli occhi di tutti, ogni giorno, lì, sui teleschermi popolati di assassine e di stuprate. E’ lì che si consuma la nuova fragilità delle italiane nella società del patriarca mediatico.
Bisogna che tutto il mondo dell’informazione ci rifletta seriamente, una volta per tutte: la censura della realtà femminile in tv è più che un “affare di donne”, e persino più di un affare tra le donne e Silvio Berlusconi. Proiettandosi infatti dal piccolo schermo direttamente sulla formazione dell’identità di bambini e bambine, ragazze e ragazzi, sta condizionando l’intero immaginario sociale a venire. Spingendo in avanti violenze compresse. Le “eccellenze” femminili? Rimangono per l’appunto solo eccellenze, eccezioni, eroine solitarie che non fanno scuola. Ce lo dicono gli e le esperte. Una bella responsabilità.
Per questo, ci appelliamo alle giornaliste che lavorano nei sistemi televisivi, nella tv pubblica innanzitutto per il suo primato d’informazione al servizio dei cittadini, e in quella privata, dalle grandi alle locali, chiedendo a tutte di dire Basta!, di sostenere una corretta informazione sulle donne, a partire dalla protesta del prossimo 13 febbraio, di partecipare alle manifestazioni previste in numerose città italiane. Con l’orgoglio di una professione che tanto amiamo, questa volta dalla parte della notizia “donna”.
Abbiamo il diritto, e anche il dovere, come giornaliste e come donne, di pretendere una riflessione seria e approfondita sul linguaggio della rappresentazione femminile in tv, di chiedere che il soggetto “donna” esca dalle brume dell’invisibilità mediatica antistorica, di esigere che – come avviene in altri paesi occidentali – ci venga data la possibilità di informare e fare approfondimento sulle questioni che riguardano il femminile nella società, di reclamare che nei salotti e nei talk show televisivi venga dato spazio al punto di vista della società civile femminile impegnata sul territorio.
Insomma, di mandare finalmente a quel paese che non conosciamo i vecchi stereotipi rivestiti del nuovo nulla così caro al nostro presidente del Consiglio.

La “class action” delle indignate

Inrassegna stampa su 4 febbraio 2011 a 20:26
LA “CLASS ACTION” DELLE INDIGNATE • VERSO IL 13 FEBBRAIO di Guglielmo Federici
da Il secolo d’Italia, 3 febbraio 2011
Tulte in attesa del 13 febbraio per uno scatto di dignità. Fioccano le adesioni alla mobilitazione trasversale indetta in tutte le città italiane dalle donne indignate per il degrado della politica e della cultura che non sembra aver fine con il dilagare del “modello Ruby”. La campagna di adesione indetta dal comitato “Se non ora, quando”, sta decollando all’insegna di un “cartello” composito: scrittrici, registe, metalmeccaniche, commesse, ricercatrici, casalinghe, studentesse, tutte unite dalla consapevolezza che la misura è colma ed è ora di rivendicare la propria dignità mortificata. O ora o mai più. Le prime firmatarie del manifesto sono state tra le altre Rosellina Archinto, Gae Aulenti, Silvia Avallone, Maria Bonafede, Suor Eugenia Bonetti, Giulia Bongiorno, Margherita Buy, Licia Colò, Cristina Comencini, Silvia Costa, Inge Feltrinelli, Anna FiHanno aderito Bersani, Vendola, Di Pietro, il sindaco di Genova, Marta Vincenzi, le donne assessore alla provincia di Roma. La rete presa d’assalto nocchiaro, Donata Francescato, Claudia Mori, Valeria Parrella, Flavia Perina, Lorella Zanardo, autrice de II corpo delle donne. Sul sito anche uno spot che sta facendo il giro della rete, affidato alla Finocchiaro, sta invitando alla mobilitazione e le risposte arrivano ora dopo ora. Ha aderito la Cgil con il suo segretario generale, Susanna Camusso: «Come sindacato vogliamo favorire la partecipazione di quante più lavoratrici possibile». È un work in progress, in ogni città. Oggi a Bologna le donne si daranno appuntamento a piazza Nettuno proprio per organizzarsi per il 13. La mobilitazione cresce, dalle centinaia di associazioni femminili all’adesione di semplici cittadineche scrivono da tutt’Italia al sito di “Se non ora quando”, così come tutte le donne del mondo Facebook, che in due giorni sono arrivate a quota settemila. Il tam-tam cresce, la sequenza di “adesso basta” si allunga sul web come una sorta di “class action”. Per reclamare “la dignità delle donne” si mobiliteranno non solo donne, ma anche uomini. Indignati anche loro: ieri Bersani, Di Pietro, Nichi Vendola, tra i leader di partito che hanno dichiarato la loro presenza nelle piazze d’Italia Poi i registi Gabriele Salvatores e Michele Placido. L’appuntamento di Roma è alla Terrazza del Pincio, per poi scendere a Piazza del Popolo. Saranno presenti le donne assessore della Provincia, come hanno fatto sapere ieri in una nota congiunta Amalia Colaceci, Cecilia D’Elia, Patrizia Prestipino, Paola Rita Stella e Serena Visintin. Si uniscono le associazioni, come Federconsumatori, l’Arci. Tutte le città stanno mettendo a punto la fase organizzativa. A Genova le donne sfileranno con in testa il loro sindaco, Marta Vincenzi. A Firenze l’appuntamento è a piazza delle Repubblica alle 14; a Orvieto alle 17 presso il Duomo, a Foggia alle 17 a piazza Cesare Battisti, a Catanzaro a piazza della Prefettura. Un invito a confluire tutti alla mobilitazione delle donne di Milano è arrivato poi da Michele Santoro, che ha deciso di rimandare la sua manifestazione, già annunciata da tempo proprio per il 13 davanti al palazzo di giustizia. Lo stesso giornalista ha spiegato il suo gesto in una lettera firmata insieme a Marco Travaglio e Barbara Spinelli: «È ora che in Italia si organizzi un movimento di Legittima Difesa dei principi che sono alla base della nostra Costituzione: un movimento che reagisca a ogni tentativo di mutilare ulteriormente i poteri di controllo, a cominciare dalla magistratura e dall’informazione». «Il presidente del Consiglio – scrivono – è stato costretto a cancellare la manifestazione annunciata per il 13 febbraio contro i magistrati di Milano. Ora, siccome quel giorno in tutte le piazze d’Italia migliaia di donne manifesteranno contro l’umiliante modello femminile sbandierato dal premier, ci pare giusto che la loro protesta abbia la precedenza su tutte le altre, evitando inutili sovrapposizioni». Continuano a piovere adesioni, tanti i nomi più o meno eccellenti Margaret Mazzantini, Isabella Ferrari Valeria Fedeli, Barbara Scaramucci,Tiziana Maiolo, Anna Vinci, Elena Sofia Ricci. Intanto, una manifestazione in difesa della Costituzione, da tenersi orientativamente il 5 marzo prossimo, è stata annunciata da diverse associazioni che hanno deciso la mobilitazion insieme al Popolo Viola. All’iniziativa hanno aderito fino a questo momento, oltre ad Articolo2l, Fare Futuro, l’Anpi, Rassegna sindacale. Tra le prime adesioni a titolo personale, quelle di Fabio Granata, Flavia Perina, Angela Napoli, Pino Pisicchio.

Chiedilo a…

Inrassegna stampa su 4 febbraio 2011 a 20:20
di Valeria Parrella, da L’Unità 4 febbraio 2011
Chiedilo a Monna Lisa. Alla nigeriana che sta camminando in carovana con cinque dollari in tasca per raggiungere l’Italia. Chiedilo alla prima donna che ha votato con il suffragio universale nel 1946. Chiedilo a Maria, a Maddalena e a Sherazade, alla modella che se ne muore di anoressia e alla rom a cui hanno di nuovo bruciato la baracca.
Chiedilo alla dottoressa che ha visitato mio figlio e alla madre con due bambini handicappati. Chiedilo alla donna che domani alle 4.00 aprirà il mercato comunale e alla centralinista che ti risponde 24ore su 24. A Sakineh.
Chiedilo alla signora che è seduta davanti a me nel treno e alla capotreno che passerà. A Suu Kyi. Alla ragazza che sta facendo la chemio e a quella che sta facendo la permanente; chiedilo alla sua shampista.
Chiedilo ad Antigone, a Medea e alle Troiane, alla prostituta che staserà scenderà sulla provinciale per fare pompini da venti euro, a quella che riuscirà a scappare dal suo pappone, alla suora che l’aiuterà, alla laica che l’aiuterà, alla laicista che l’aiuterà.
Chiedilo alla partigiana rapata a zero dai fascisti. Chiedilo a Patti Smith e a Sasha Waltz, alla ballerina e alla sua figlia paraplegica, alla signora che frequenta l’università della terza età e a quella che sta aspettando i nipotini al cancello della scuola.
Chiedilo alle 186 operaie della Ford che si fecero equiparare lo stipendio a quello degli uomini, e alle dipendenti della Fiat di Marchionne che in dieci minuti dovranno far pipì e cambiarsi l’assorbente.
Chiedilo a Margherita Hack quando guarda le stelle e alla studentessa che stasera farà notte sui libri di astronomia. Chiedilo alla sorella del Papa e alla madre del Muezzin. Alla ragazza di sedici anni a cui il medico ha negato la pillola del giorno dopo; chiedilo ora alla figlia sedicenne di quel medico.
Alle 2065 donne del catalogodi Leporello. Chiedilo alla bambina che subisce violenza e alla lesbica che bacia la sua fidanzata a piazza Duomo, alla detenuta che dovrà aspettare il prossimo giovedì per rivedere suo figlio.
Chiedilo a quelle amiche che stanno partendo per la Grecia, a Federica Pellegrini nella bracciata che le conquista l’oro e alla deputata gravida che entra al voto della camera in sedia a rotelle. Chiedilo alla mia amica Katia che è emigrata al nord per fare la maestra, alla malata terminale che ha trovato chi le farà l’eutanasia e alla dottoressa che gliela somministrerà.
Chiedilo a George Sand e a Giovanna d’Arco e alla moglie di chi dice “ce lo ha duro”. Chiedilo alla donna che si fa il botulino e a quella che non si tinge ai capelli, a Ilda Boccassini e alle 6000 pagine del suo lavoro. Chiedilo alla donna che sta abortendo e a quella che sta partorendo. Alla sua bambina, chiedilo, tra qualche anno. Chiedilo al primo violino che darà il LA all’orchestra.
E chiedilo a tua madre a e a tua sorella, a tua figlia e a tua moglie e alla tua migliore amica. Alla tua collega di lavoro e alla tua amante. Loro, tutte lo sanno: che il corpo della donna è più di quanto un uomo possa controllare.
(*) è il verso a “They, all of them, know” di C. Bukowski

La dignità delle donne

Inrassegna stampa su 4 febbraio 2011 a 20:14
La dignità delle donne
Articolo di Natalia Aspesi pubblicato su la Repubblica, il 04/02/11
Si spera che il 13 febbraio centinaia di migliaia di donne e uomini occupino le piazze per reclamare quella “dignità per le donne” che l’esercito di belle ragazze a pagamento, ospiti birichine di varie residenze del premier, hanno, secondo alcuni, offuscato. C’è modo e modo di umiliare la femminilità, non solo frequentando festini di cui si temono nuove testimonianze e foto. Ma anche sottomettendosi ai voleri del maschio, sia esso marito o boss o, appunto, premier. C’è una sola delle belle signore governative che abbia avanzato qualche discreta critica al bunga bunga in tema di dignità delle donne? Non una, neppure la ministra delle Pari opportunità che si è appena occupata di una legge antiprostituzione. No, tutte solidali ed entusiaste per il loro beniamino, soprattutto le più lontane dalla minore età, quindi sicuramente al riparo da ogni pericolosa tentazione, pronte addirittura a scendere in piazza anche loro, ma per difenderlo. Salvo poi soprassedere, al primo contrordine maschile. Del resto il sondaggio del 31 gennaio dice che, sotto i 44 anni, sono più gli uomini delle donne a ritenere irriguardosi (verso le donne) i comportamenti del premier. Che la propria dignità sia l’ultimo dei pensieri per molte donne giovani?

La responsabilità di dire basta

Inrassegna stampa su 4 febbraio 2011 a 12:42
In questi giorni su facebook tante persone, di entrambi i sessi, cambiano l’immagine del proprio profilo, sostituendo la propria con quella di una donna dalla vita significativa. Può capitare così di discutere con politiche, attrici, studiose, scienziate famose. La ricchezza e la varietà del genere femminile si moltiplica sul social network.
C’è un sentimento diffuso d’indignazione e di rabbia per l’intreccio sesso potere che l’inchiesta milanese su Berlusconi sta facendo emergere. Un esito estremo della personalizzazione del potere e della politica in cui prevalgono rapporti servili, e il corpo femminile è ridotto a merce di scambio, puro oggetto di godimento sessuale del potente da accontentare. Quello che emerge dalle intercettazioni e dai racconti delle protagoniste non è solo un discutibile stile di vita di chi dovrebbe governarci, fatto che da solo basterebbe a dichiararlo inadeguato a ricoprire il ruolo di capo di governo. Quello che emerge non riguarda solo la sua vita privata, la sua camera da letto. Anche se non fossero stati commessi reati, e da quello che la stampa riporta delle indagini sembrerebbe il contrario, quello che emerge da tutta questa storia ha una straordinaria rilevanza pubblica e politica.
Ma se cosi è, se ciò che emerge ha una straordinaria rilevanza pubblica e politica, è altrettanto importante che si materializzi collettivamente sulla scena pubblica l’indignazione che determina: per rispetto e responsabilità verso noi stesse, verso le nostre figlie, verso le ragazze e i ragazzi di oggi.
Il bunga bunga berlusconiano è tutt’uno con il suo modo d’interpretare il potere e il governo. Aveva detto bene Veronica Lario quando parlò di divertimenti dell’imperatore e di fine della politica.
E’ fuorviante parlarne anche solo riducendolo a un problema di prostituzione. Siamo di fronte ad un modo di essere non secondario del sistema di potere e di consenso di Berlusconi. Non a caso la carriera politica, equivalente ad un posto in una delle sue televisioni, diventa, oggetto di contrattazione. Il Presidente del consiglio può permettersi di gestire tali carriere come farebbe in un’azienda privata.
Non vogliamo giudicare le ragazze che frequentano la casa del premier cercando di cambiare la propria vita in una serata. Vorremmo piuttosto discutere del fatto che in una società sempre più trasformata dalla televisione, schiava dell’immagine, ossessionata dalla rappresentazione, la politica diventa uno dei modi di raggiungere il successo e i favori sessuali possono far parte dello scambio.
Neppure condividiamo quelle letture che riducono le donne a vittime e parlano di ritorno agli anni 50. Sono donne anche quelle che hanno parlato e mostrato la nudità dell’imperatore. E’ una donna Ilda Boccassini. Nella nostra vita incontriamo tante donne, magari affaticate e un po’ sole, precarie o in cerca di lavoro, ma libere e sicure del proprio valore.
Vorremmo piuttosto domandarci quale libertà e disinvoltura mettono in campo le giovani e giovanissime, aspiranti letterine o veline, ma disposte a tutto per un seggio in Parlamento o in un Consiglio Regionale.
Ci sarebbe molto di cui discutere, anche per noi donne.
Discutere di quella insicurezza che è il tratto distintivo della nostro vita di oggi e che ha lo sguardo – dicono le statistiche – delle giovani ragazze alle prese con un futuro negato e la precarietà di un lavoro contrapposto a dignità e diritti, fino allo scandalo delle dimissioni in bianco. Discutere della vita materiale delle donne, a cui lo stato sociale in ritirata scarica responsabilità senza riconoscere ruolo e valore.
Notiamo che troppi uomini non si sono ancora sottratti alla richiesta di complicità che il premier più volte ha sottilmente fatto parlando del suo stile di vita e le cronache sono piene di padri e fratelli che puntano sulla capacità di guadagno delle loro “ragazze”.
Crediamo sia urgente, nella politica e nella società, fare una grande e limpida battaglia politica contro questo sistema di potere e di corruzione, contro la mercificazione del corpo femminile e il modello di relazioni che propone, contro la svalorizzazione del lavoro e della vita delle donne.
Per questo abbiamo promosso e sottoscritto la lettera invito a mobilitarci “Se non ora quando?” e il 13 febbraio saremo in piazza, speriamo con tante e tanti amici. Pensiamo che debba manifestarsi sulla scena pubblica, invasa dallo spettacolo di miseria del bunga bunga berlusconiano, l’orgoglio femminile.
Titti Di Salvo, Cecilia D’Elia, Monica Cerutti

Se non ora, quando?”: il dibattito attorno all’invito alla mobilitazione

Inrassegna stampa su 3 febbraio 2011 a 15:25
da “Il Paese delle donne online”, giovedì 3 febbraio
Se non ora, quando?”: il dibattito attorno all’invito alla mobilitazione Alle donne che hanno convocato la manifestazione del 13 febbraio: adesione con proposta
di Rosangela Pesenti
Non sottovaluto mai, né svaluto, l’iniziativa presa da una donna, o da tante, su contenuti che condivido: la difesa della democrazia, la visibilità delle donne e delle loro vite tutte, la lotta contro immagini mistificatorie che sostengono, anche dentro le moderne democrazie, la politica patriarcale in qualsiasi forma, che sia quella eclatante della riduzione dei corpi femminili a pezzi di carne in vendita, che sia quella strisciante del perbenismo borghese, che riduce anche le donne più intelligenti ad essere poco più che vestali dei valori costituzionali o all’indispensabile casalingato che, dalla casa alle aziende, dalle associazioni alle istituzioni, tiene in piedi la società a tutti i livelli.
Ci sono momenti in cui le differenze vanno rese visibili per rendere più forte la solidarietà e condivisione di una lotta, per questo mi sembrano politicamente dannosi i distinguo di chi arriccia il naso e sta alla finestra a guardare commentando sull’opportunità dei tempi, che, nella storia, non aspettano mai.
Io non me lo posso permettere, sono una donna senza potere, perciò uso quello che comunque mi assicura la cittadinanza per sostenere l’iniziativa della manifestazione.
C’è un tempo per la riflessione e c’è un tempo per l’azione. Potevamo pensarci prima, è vero, ma è meglio tardi che mai.
Aderisco alla manifestazione e rilancio: io e le amiche del mio Gruppo Sconfinate abbiamo valutato che nelle piazze dei nostri piccoli paesi non ci vede nessuno, eppure è proprio nelle periferie di ogni dove che va ripreso il dibattito e fatta informazione, perciò proponiamo a tutte le donne nelle nostre condizioni di manifestare anche dalle nostre stesse case, mettendo alla finestra un lenzuolo bianco o colorato, una sciarpa, un segno che renda visibile la nostra presenza e partecipazione.
Moltiplicare le forme della visibilità politica, anche costruendo forme diverse dai tradizionali codici maschili, è stata da sempre la straordinaria creativa invenzione delle femministe e di tutte le donne che hanno lottato per i propri diritti
La preziosa domanda “Se non ora quando?” riguarda, per me, anche il riconoscimento della misconosciuta storia politica delle donne da parte delle donne stesse che, anche grazie alla lotta per la completa emancipazione, che in Italia ha persino meno anni della Repubblica, hanno potuto accedere a posizioni significative di potere nella società e nella politica.