PER RIPRENDERCI LA NOSTRA DIGNITA'

giovedì 19 maggio 2011

19 MAGGIO: RASSEGNA STAMPA

Scatta il Flash mob
contro l'omofobia

In molti si sono ritrovati per dire basta all'omofobia e transfobia davanti al teatro 'Guglielmi'

Massa, 18 maggio 2011 - MOLTI abbracci, tanti giovani e qualche ‘casto’ bacio saffico. La sesta giornata contro l’omofobia e la transfobia è stata celebrata ieri davanti al teatro ‘Guglielmi’ con un Flash Mob organizzato dal Comitato 'Se non ora quando?'. Una sessantina di persone (fra cui si notavano gli assessori Lina Coppa e Gabriella Gabrielli; Carlo del Nero dei Radicali e Patrizia Bernieri, Segretario della Cgil) hanno scelto di scendere in piazza per dire 'no' ad ogni forma di violenza fisica, morale o simbolica legata all’orientamento sessuale. E lo hanno fatto — prima di regalarsi un grande e conclusivo abbraccio collettivo — leggendo l’articolo 3 della Costituzione, alcuni articoli della Risoluzione del Parlamento europeo del 26 aprile 2007 sull’omofobia in Europa e testi della letteratura internazionale sul tema. 
va.co.

Premier indebolito Il Senatùr
aspetta il momento buono



GIOVANNI CERRUTI

MILANO
Undici giorni, da oggi. Pochi per il calendario, troppi per la politica e i nervi scossi dei suoi protagonisti. Perchè Berlusconi ancora non parla, perchè Bossi scende a Roma e dice e non dice? E poi che farà la Lega se Milano passa al nemico, se arriveranno i cosacchi ad abbeverarsi nel Naviglio? L'hanno chiesto ancora una volta a Bossi, che solo per un paio di battute ha interrotto il suo silenzio stampa. Siccome non è fesso, e le sue ipotesi le ha ben chiare, ha risposto spiazzando. Sintesi: «Abbiamo sbagliato campagna elettorale», «Vinceremo al ballottaggio», «Comunque il governo non cade», «Di sicuro non ci faremo trascinare a fondo».

Delle quattro frasi è l’ultima quella che agiterà queste 11 giornate, sia sotto che sopra il Po. L’ha detta dopo aver meditato qualche secondo, non al volo. E può essere intesa, al momento, come la seria preoccupazione che siano altri ad andare a fondo. Per carità, a parole tutti i leghisti seguiranno il Capo, o Milano o morte, ma che davvero credano alle possibilità di un successo di Moratti è una comprensibile bugia. Chi rischia di andare a fondo, e Bossi l’ha annunciato a fine aprile dopo un comizio a Domodossola, è chi ha insistito per Letizia Moratti candidata e si è voluto mettere in corsa e in lista, l’amico Silvio che non gli ha dato retta.

Dal non farsi trascinare, dal non precipitare nel burrone che potrebbe aprirsi il 30 maggio, ad abbandonare Berlusconi e il governo ce ne corre. Bossi, è vero, non ne ha mai parlato, ma l’eventuale strategia sarebbe quella del «Va pian», come ha risposto a un militante milanese che gli dava sul tempo, stufo di un’alleanza ormai sentita come zavorra. Fosse solo per lui, per Bossi, per andare a recuperare i suoi voti perduti farebbe anche saltare il banco subito. Ma non può. La Lega ha un presente di governo anche in Piemonte, in Lombardia, in Veneto. Nè ribaltoni nè strappi sembrano possibili senza conseguenze e reazioni degli alleati.

Appunto, «va pian». Anche perchè, da un Berlusconi indebolito, la Lega avrebbe ancora parecchio da ottenere. A metà giugno Bossi raduna i suoi sul pratone di Pontida, e gli piacerebbe poter annunciare il trasferimento al Nord di qualche ministero. Sempre da un Berlusconi indebolito potrebbe ricavare più spazi, più potere, dai posti in Rai alle nomine da assegnare a chi si mette un fazzoletto verde nel taschino. Insomma, prima di andarsene senza spegnere la luce ci sarebbe ancora un po’ di mobilia da portar via. Tutti scenari, questi, che oggi un qualsiasi leghista negherebbe. Perfino Bossi, che piuttosto preferisce ribadire che a Milano e in tutti i ballottaggi si vince.

Peccato che ci credano in pochi: è «la remota possibilità», come si legge sulla pagina di Facebook di un candidato al consiglio comunale di Milano. E tutti, anche in Lega, sono lì ad interrogarsi su cos’abbia in mente il Capo, su cosa potrà accadere tra 11 giorni. «Va pian». E nell’attesa c’è la campagna elettorale da terminare, bisogna dimostrare a Berlusconi, più che a Moratti, che la Lega si batte, fatica e suda. E pazienza se Matteo Salvini, il vicesindaco di Moratti, continua a parlare con candida franchezza: «Anche se Moratti ha sbagliato campagna elettorale e bisognerebbe chiedere scusa ce la possiamo ancora fare». Però lo sa anche lui che parecchi elettori leghisti non l’hanno votata.

Insomma, tutti in battaglia per Moratti. E chi li seguirà, nei seggi? I militanti, d’accordo. Ma gli elettori, a quanto pare, ci credono poco o non ci credono più. Su "La Padania" di ieri un titolone in prima pagina esaltava il successo della Lega a Bologna, 10,72% dei voti. Un punto in più che a Milano. E tra l’Emilia dove cresce e la Lombardia dove cala si capisce che la Lega che piace, che prende voti, è quella che sta all’opposizione, quella che è appena arrivata. Il voto di Milano, sempre che non abbia assorbito anche i delusi del Pdl, dice che la Lega che governa piace meno. A Milano è in giunta da ben 18 anni, e l’elettore ha presentato il conto.

Non solo Milano, poi. Ci sono i ballottaggi a Varese, a Novara, in provincia di Mantova, a Gallarate dove i leghisti esclusi vorrebbero votare il candidato Pd. 11 giorni e Bossi dovrà decidere. L’ultima volta che si è visto con Berlusconi erano in aula, a Montecitorio, a votare per la turbolenta mozione sulla guerra in Libia. Dal premier unacarezzasulla testa, lui aveva risposto mostrando il pugno. Per far vedere che il vecchio Bossi, anche se acciaccato da anni e malanni, ha sempre una gran voglia di battersi. Il loro è un matrimonio di interesse, come sanno i leghisti e ricorda Salvini. E se l’interesse non c’è più, perchè farsi trascinare nel burrone?

Un Parlamento disorientato in attesa che finisca l'ardua partita di Milano

Può darsi che sia solo un momento di distrazione dopo lo «stress» elettorale oppure il riflesso dello scoramento. Sta di fatto che in Parlamento si respira un'aria quasi rassegnata nelle file della maggioranza. Molti temono che la legislatura sia finita. Potrebbe resuscitare il giorno dei ballottaggi a Milano e a Napoli, ma i dubbi sovrastano le speranze. Intanto l'incertezza si è tradotta ieri in cinque voti che hanno visto soccombere il governo. Si trattava di mozioni sulle carceri, niente di realmente cruciale per la vita dell'esecutivo. Tuttavia il centrodestra è apparso svagato, con molte assenze soprattutto fra i Responsabili.
Se è un segnale, non è incoraggiante. Però si può capire che la maggioranza sia frastornata. Il Pdl è un organismo abituato ad affidarsi al comandante supremo. Ma in questi giorni proprio il silenzio di Berlusconi, all'indomani della più grave sconfitta della sua stagione, ha in sé qualcosa d'inquietante. La frase rassicurante («il governo è saldo, non corre pericoli») è molto di maniera. Peraltro, nessuno tra i suoi è abituato al «black out», a sentirsi privato della consueta prospettiva di successo. Per molti è quasi il presagio del momento drammatico - e si supponeva remoto - in cui il leader abbandonerà il campo.

La domanda che tutti si pongono è ovviamente: adesso cosa accadrà? Quale destino ci attende? Ma la risposta è avvolta nella nebbia. È così per i capi, per gli stessi Bossi e Berlusconi, figurarsi per il deputato o il senatore di fila. Quel che è certo, il Pdl e la Lega si muovono all'interno di un «puzzle» in cui ogni tassello rinvia a un altro. Non sanno cosa capiterà perchè prima si devono consumare gli eventi: a cominciare dal secondo turno del voto, il 29 e 30 maggio. Quindi è inutile precorrere i tempi. Sul tavolo non esistono soluzioni facili e già scodellate.
Logico che Bossi veda tutte le incognite di una spaccatura con l'eterno alleato. Ma c'è un'ambivalenza nella sua posizione, specchio di una difficoltà strategica che può decidere della vita o della morte della Lega. «Non fatevi illusioni» risponde a coloro che vorrebbero spingerlo alla rottura. «Di sicuro non ci faremo trascinare a fondo» ripete ai suoi, consapevole di quanto sia forte il risentimento nella base leghista contro i berlusconiani. Sono due punti di vista quasi opposti che attendono di essere conciliati in una linea politica.
Il miglior modo per riuscirci è vincere a Milano. La Lega, c'è da crederlo, s'impegnerà. Ma si tratta di spingere alle urne un gran numero di milanesi: circa l'8-10 per cento in più di quanti hanno votato al primo turno (affluenza al 67,5 per cento). Sulla carta è possibile, ma sarebbe un'eccezione assoluta rispetto alla consuetudine dei ballottaggi, in cui la partecipazione è sempre molto più bassa rispetto al primo voto.
Tuttavia non c'è altra via. La Moratti avrà in questi giorni la possibilità di reimpostare lo stile della campagna, correggendo gli errori della prima fase. Ma la sera del 16 si è visto che i voti al sindaco sono stati di due punti inferiori a quelli delle liste: segno che la capacità di traino della candidata è modesta. La prossima volta non ci saranno le liste partitiche: saranno la Moratti contro Pisapia, uno contro uno. Non uno scenario facile per il sindaco uscente. Bossi farà di tutto per vincere la partita. Soprattutto perché, se la perdesse, sarebbe costretto a scelte dolorose per le quali né lui né gli altri massimi dirigenti leghisti sono preparati.

Su Strauss-Kahn e sul fatto che tutto il mondo e paese… anche la civile Francia

Inrassegna stampa su 19 maggio 2011 a 07:57
Dal Corriere del 19 maggio 2011 l’articolo di Stefano Montefiori
Ma questa indulgenza per il macho focoso non aiuta le vere vittime
Perché il 57 per cento dei francesi pensa che Dominique Strauss-Kahn sia vittima di un complotto? «Perché non possono credere che una persona ricca, istruita, realizzata, possa tentare una violenza sessuale. Nell’immaginario collettivo, lo stupro è associato al giovane arabo musulmano delle banlieue. Eppure uomini importanti usano il loro potere per abusare delle donne, che poi ci penseranno mille volte prima di denunciare i fatti. A giudicare dalle reazioni di questi giorni in Francia, come dare torto a quante preferiscono tacere?» . La femminista Clémentine Autain, 37 anni, a lungo collaboratrice del sindaco Bertrand Delanoë, ha fondato l’associazione «Mix-Cité» e scritto libri tra i quali «I macho spiegati a mio fratello» (Seuil, 2008). In questi giorni di choc per l’ex favorito all’Eliseo fotografato in manette, è una delle poche a ricordare i diritti della donna che lo ha denunciato. La Francia è troppo innocentista? «Finora si sono sentiti soprattutto gli amici di Dominique Strauss-Kahn, il quale va naturalmente trattato con la dovuta presunzione di innocenza. Ma accanto a un presunto innocente, c’è una presunta vittima» . La cameriera del Sofitel. «Di cui nessuno o quasi parla. Ho sentito fiumi di commenti sulla discesa agli inferi del leader socialista, sulle primarie compromesse e sull’inferiorità del sistema giudiziario americano, ma nessuno che pensasse a quella ragazza, la quale, sembrerà incredibile, potrebbe anche dire la verità» . È una sconosciuta, che quindi suscita meno emozione. «Ma la giusta presunzione di innocenza a favore del celebre accusato non deve fare di lei, più o meno implicitamente, una bugiarda prezzolata» . Tutti parlano delle straordinarie qualità intellettuali di DSK e del suo gusto per le donne. «Appunto, è da non crederci. Non vedo cosa c’entri. Gli argomenti ricorrenti sono due: “È un genio, non può avere fatto una sciocchezza simile”e “È sempre stato un dongiovanni”. Queste stupidaggini dimostrano a che punto la Francia è ancora maschilista, pronta a banalizzare un crimine orribile come lo stupro. Anche gli intelligenti, purtroppo, violentano. Poi, e questo è quel che più mi indigna, si fa una confusione inammissibile tra seduzione e molestie sessuali. Un giornale ha titolato “L’uomo che amava troppo le donne”, dimostrando di non avere capito nulla. Chi ama le donne non le violenta. Strauss-Kahn può avere avuto diecimila amanti in vita sua, sono fatti suoi. La violenza è un’altra cosa» . Tristane Banon ha raccontato in tv di essere stata aggredita da DSK, anni fa, suscitando poche reazioni. Ora che vuole andare dal magistrato, la rimproverano perché doveva pensarci prima. «Quel video è sconvolgente. La ragazza dice che si difendeva e sono finiti a lottare per terra, che DSK le ha slacciato il reggiseno e provava a toglierle i jeans, e gli altri ospiti la ascoltano come se niente fosse, con l’aria di pensare “eh già, proprio focoso questo Strauss-Kahn”. E ancora in questi giorni l’ex ministra Christine Boutin ha concesso che “certo, è un uomo vigoroso…”. E poi ci stupiamo se la Banon non lo ha denunciato subito» . Anche lei è stata vittima di una violenza sessuale. «Avevo 22 anni, uscivo dall’università, un uomo mi ha aggredito con un coltello. C’ho messo dieci anni a trovare il coraggio per parlarne in pubblico. L’ho fatto perché è una battaglia che va combattuta, e perché lo stupro è l’unico crimine che ancora rende sospette le vittime» . Ogni anno in Francia vengono violentate 75 mila donne, secondo le stime, e solo una su dieci va dalla polizia. «Con questa indulgenza verso le “avances spinte”, come alcuni preferiscono chiamarle, la società francese non aiuta certo le altre a farsi coraggio»