PER RIPRENDERCI LA NOSTRA DIGNITA'

giovedì 31 marzo 2011

31 MARZO: RASSEGNA STAMPA

Libia, Frattini annuncia incontro con il rappresentante insorti

Il ministro degli Esteri si è pronunciato anche su un possibile asilo a Gheddafi da parte dell'Unione Africana - Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, ha annunciato che lunedì prossimo incontrerà a Roma il responsabile della politica estera del Consiglio nazionale libico, l'organo formato dagli insorti per rovesciare il rais Muhammar Gheddafi. Il numero uno della Farnesina è intervenuto telefonicamente nella trasmissione, condotta dal condirettore di Libero Maurizio Belpietro, Mattino cinque. Il ministro ha precisato che "l'Italia ha un contatto forte" con l'opposizione libica e che "il Consolato italiano di Bengasi è sempre rimasto aperto" e che i funzionari hanno continuato a mantenere i contatti con l'opposizione. L'Italia sta cercando di riguadagnare una posizione centrale nella gestione della crisi libica, dopo aver subito una certa marginalizzazione da parte di Francia e Gran Bretagna, Stati Uniti e Germania. Il ministro si è anche espresso su una possibile uscita di scena del Colonnello, che potrebbe scegliere l'esilio sotto la tutela dell'Unione Africana, argomento sul quale Frattini era stato messo in difficoltà da un giornalista della Bbc. Nonostante fin qui l'Unione Africana abbia seguito una linea a dir poco ambigua e ininfluente, il ministro si è detto convinto che il "ruolo dell'Ua sia fondamentale".  

Libia, il ministro degli Esteri lascia Gheddafi

Il ministro degli Esteri libico, Mussa Koussa, è a Londra e ha abbandonato il raìs. Obama ringrazia Napolitano per il sostegno. Gli Usa starebbero armando i ribelli in segreto. Intanto rientra l'allarme per il peschereccio Mariella che era scomparso a 50 miglia dalla costa di Bengasi

Tripoli - Il regime di Muammar Gheddafi inizia a perdere pezzi. Uno dei suoi uomini di punta, il ministro degli Esteri Mussa Koussa, ha deciso di abbandonare il Colonnello e rassegnare le dimissioni. Dopo una misteriosa tappa di due giorni in Tunisia, definita come una
"visita privata", Kussa è arrivato a Londra. Qui è stato il Foreign Office ad annunciare: "È venuto di sua spontanea volontà. Ci ha detto che si è dimesso dalle sue funzioni". Una defezione che è stata
subito definita "molto importante" da fonti dell’amministrazione Usa, perché indicativa del fatto che "la gente che circonda Gheddafi ritiene che la sua fine è ormai prossima". Intanto il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, si è opposto alla proposta di armare i ribelli libici: l’alleanza atlantica deve interviene militarmente "per proteggere il popolo libico e non per armarlo".
L'aiuto ai ribelli Barack Obama, intanto, avrebbe già firmato un ordine segreto per autorizzare l’invio di aiuti ai ribelli libici. Lo riporta il il New York Times, che sostiene sia precedente alle polemiche di ieri. Secondo il quotidiano, infatti, sarebbe stato firmato settimane fa e dà alla Cia l`autorità di fornire armi e sostegno di altra natura alle forze che combattono contro il colonnello Muammar Gheddafi. Per il momento, comunque, non sarebbero ancora state inviate armi in Libia, ha riferito la fonte.
Gli Usa ringraziano l'Italia Il presidente degli Stati Uniti ha anche telefonato al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e ha ringraziato l’Italia per "l’appoggio costante alle operazioni della coalizione in Libia sotto il comando Nato". Obama, si legge in un comunicato, "ha espresso il suo profondo apprezzamento a Napolitano e al premier Silvio Berlusconi per la promozione della pace e della stabilità in tutto il mondo. Il presidente Usa "ha riconosciuto la competenza e la conoscenza dell’Italia della regione libica e ha ribadito la volontà di continuare con consultazioni ravvicinate tra i nostri due governi, in modo da agire per proteggere il popolo libico e far valere le risoluzioni 1970 e 1973 approvate dalle Nazioni Unite". La nota della Casa Bianca arriva dopo le polemiche scoppiate lunedì per l’esclusione dell’Italia dalla videoconferenza tra i leader di Francia, Germania, Gran Bretagna e Usa, svoltasi alla vigilia della Conferenza di Londra sulla Libia.
Sparito un peschereggio italiano Il peschereccio italiano "Mariella, con tre persone a bordo, è scomparso per tuttaa scorsa notte. Il peschereccio, che è iscritto alla marineria di Siracusa, era impegnato in attività di pesca a circa 50 miglia dalla costa di Bengasi, nel golfo di Sirte. In tarda mattinata il Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto in una nota, ha segnalato il "cessate il pericolo" precisando che il capobarca avrebbe dato l’allarme dopo aver visto una unità da guerra fare rotta verso il motopesca.
Scontri a Tripoli Quanto alla situazione sul terreno, continuano i raid della coalizione internazionale contro obiettivi del regime. Aerei militari hanno sorvolato questa notte la capitale libica dove sono state udite potenti esplosioni che hanno interessato un sobborgo dell’area orientale. Secondo quanto riferito da un testimone, sarebbe stato colpito il sobborgo di Salaheddin, a sudest di Tripoli. Le incursioni avrebbero riguardato un sito militare situato nell’area. L’ agenzia ufficiale libica Jana ha indicato successivamente che "una località civile di Tripoli è stata fatto oggetto questa notte di bombardamenti dell’aggressore colonialista crociato", alludendo alla coalizione internazionale.

L'Italia millanta piani per crisi libica di U.d.G.

Un’assenza imbarazzante. Una presenza marginale. È l’Italietta berlusconiana a Londra. L’assenza è quella del Cavaliere, impegnato in affari di giustizia mentre a Londra Sarkozy, Cameron, Angela Merkel, Hillary Clinton delineano i tratti della Libia del dopo-Gheddafi. L’assenza di Silvio Berlusconi è «colmata» dalla presenza del suo «postino» (definizione americana «made in Wikileaks»): il ministro degli Esteri Franco Frattini. L’uomo del piano che non c’è. L’inventore di un’asse Roma-Berlino esistito solo nelle esternazioni a raffica del titolare della Farnesina, salvo poi doversi autocorreggere dopo che dalla cancelleria tedesca si era fatto notare che questo piano «condiviso» in alternativa a quello franco-britannico, era solo un desiderio dell’immaginifico Frattini e del silente Cavaliere. L’italietta berlusconiana è ormai solo oggetto di battute. Esclusi dalle video-conferenze e quando non è possibile escluderci dai summit, siamo trattati come dei parenti poveri, a volte un po’ picchiatelli.

A Londra, il ministro Frattini ha continuato a insistere sull’esilio del Colonnello libico. Puntando sulla mediazione dell’Unione Africana. Peccato che l’Unione Africana a Londra fosse assente. Per scelta politica. «Lasciate che sia l'Unione africana a gestire la crisi, la Libia accetterà tutto quello che l'Ua deciderà». Non sono parole del capo della diplomazia italiana. A pronunciarle, in sintonia con quanto sostenuto dall’Italia, è l’uomo di Tripoli: Mummar Gheddafi. La proposta dell’esilio cade nel vuoto. Ma l’Italia ci ha messo le basi, fa presente Frattini. E allora ecco il contentino: una delle prossime riunioni del Gruppo di contatto sulla Libia si terrà a Roma. Prima, però, si andrà in Qatar, annuncia un comunicato del Foreign Office. Il Qatar è il primo paese arabo che ha riconosciuto il Cnt libico.

«Viviamo in un Paese che annuncia il piano italo-tedesco senza informare prima i tedeschi...nel frattempo la Merkel era al telefono con Sarkozy...la trovo irresistibile», rileva con sottile, quanto fondata, perfidia l’ex ministro degli Esteri Massimo D’Alema. Scaricato da Berlino, Frattini si «attacca» alla Spagna. Madrid sostiene la soluzione dell'esilio per Gheddafi avanzata dall’Italia. La ministra degli Esteri spagnola, Trinidad Jimenez, in un'intervista a El Pais ritiene che dal punto di vista giuridico l'esilio del Colonnello resta una possibilità perchè «al momento non esiste ancora un'accusa formale o un mandato d'arresto contro Gheddafi. Di conseguenza, giuridicamente (l'opzione esilio) sarebbe ancora possibile».

L’esilio. Il cavallo di battaglia di Franco F. La conferenza di Londra si è detta favorevole «all'unanimità» nel dire che «Gheddafi deve lasciare il Paese», annuncia esultante il ministro degli Esteri italiano. Allora nella dichiarazione finale c’è la parola esilio...Beh, questo proprio no... Da istruttore di sci ad arrampicatore...sugli specchi. Muammar Gheddafi «deve lasciare» la Libia, ma la coalizione internazionale «non può promettergli un salvacondotto», prova a spiegare Frattini al termine della Conferenza internazionale di Londra. «Noi non possiamo promettere un salvacondotto, questo è chiaro -precisa il ministro-. Pensiamo innanzi tutto a che lasci il Paese». Poi «le conseguenze» delle azioni del rais libico «sono nelle mani del tribunale internazionale», la Cpi. «Nessuno potrebbe impegnarsi a una immunità giurisdizionale, assolutamente nessuno - insiste il titolare della Farnesina incontrando la stampa italiana - men che meno l'Italia che è Paese fondatore della Corte Penale internazionale». Quanto al coinvolgimento di Paesi africani, Frattini si è limitato a osservare che «quella di un Paese africano è una delle opzioni, non è un segreto che l'Unione Africana può esercitare una leva politica di pressione». «Quello che è indispensabile è che vi siano Paesi disponibili ad accogliere Gheddafi e la sua famiglia, e ovviamente far finire questa situazione che altrimenti potrebbe prolungarsi per qualche tempo» aggiunge Frattini, ma «perché queste cose abbiano successo devono essere discrete». E il piano italo-tedesco? Su quello meglio metterci una pietra sopra. Più che «discreto», quel «piano» era inesistente.



«L’Italia non vuole ospitare Gheddafi perché è un dittatore» che ha «commesso orribili crimini»- e tralasciamo il fatto che tutto questo sdegno verso il satrapo proprio non si vedeva quando piazzava le tende qui a Roma – quindi «se lo prenda qualche Stato africano», però «vada anche di fronte a una corte internazionale»: insomma, più che una linea di politica estera, una discreta confusione mentale.
Ma la parte più bella viene dopo, quando la Bbc gli fa notare che Berlusconi ha la fama di un buffone globale - regarded as an international laughingstock – e quello mica può negare questa reputazione, allora Paxman insiste («ma lo sa che reputazione ha?») e Frattini vorrebbe disperatamente essere altrove, magari di fronte alle solite domande in ginocchio delle tv italiane.

Controffensiva di Gheddafi mentre gli Alleati si dividono sulla strategia /di Alfonso Maffettone

di Alfonso Maffettone
ROMA, 30 MAR, (Italia Estera) – Diplomazia internazionale e combattimenti sul campo in Libia: su entrambi sembra emergere Muammar Gheddafi che ha lanciato le forze lealiste in una forte controffensiva contro i ribelli che hanno dovuto cedere le città petrolifere di Ras Lanuf e Brega conquistate una settimana fa.  Favorito dalla pausa dei bombardamenti alleati, il  dittatore ha recuperato il controllo su un territorio di 200 km  cogliendo di sorpresa  la coalizione internazionale dopo  la costituzione del gruppo di contatto a Londra. Gli ultimi eventi hanno diviso gli Alleati che non sanno quali  pressioni  esercitare su  Gheddafi  per indurlo all’esilio. Armare  gli insorti come vorrebbero Usa e Francia o  dare più supporto ai corridoi umanitari?.
L’Uganda e altri paesi africani si sono fatti avanti per ospitare Gheddafi in esilio  ma in questo momento sarebbe per lui una via di uscita umiliante  sulla quale peserebbe  sempre un mandato di cattura  della Corte penale internazionale. Il colonnello  si ritiene sulla cresta dell’onda  perché i  ribelli sono  rimasti privi  dell’appoggio delle incursioni aeree occidentali per il passaggio alla Nato della no fly zone sulla Libia. Le forze governative hanno messo in fuga gli insorti che  si sono dimostrati deboli  e male armati. Eppure esiste il sospetto che sotto le ceneri della ritirata covi il fuoco dei terroristi.  A Washington l’ ammiraglio James Stavridis , comandante della Nato in Europa,  ha avvertito gli Usa e gli occidentali  che ci sono  legami ed infiltrazioni fra l’opposizione libica ed Al Queda,  connessioni, riferisce il Washington Post, di lunga durata confermate da un ex analista della Cia, Bruce Riedel.
 Le rivelazioni hanno indotto gli osservatori  ad essere molto cauti  sulla fiducia da dare ai capi della rivolta provenienti da una società tribale e clanista .  A Londra il segretario di stato Hillary Clinton si è incontrato con Mahumud Jibril,  esponente del Consiglio di transizione libico ed  ex uomo del regime con laurea in scienze politiche ad  una università americana ma Il Washington post sostiene che, fra i candidati alla leadership libica ,  ci sarebbe   anche Abdel-Hakim al-Hasidi, un guerriero islamista ed ex  combattente in Afghanistan contro l’invasione straniera.
Insomma è ancora tutta da scoprire la  dirigenza della controparte avversaria di Gheddafi del quale si sa tutto il male possibile ma anche le relazioni di amicizia e di affari avute con l’Occidente. Contro di lui  la Francia vuole armare i ribelli e gli Stati Uniti non sono contrari. "La risoluzione Onu - ha detto il segretario di Stato Hillary Clinton - permetterebbe di farlo". 
L’ipotesi non trova consenziente l’Italia. Il portavoce della Farnesina, Maurizio Massari,  l'ha definita "una misura controversa, estrema, che certamente dividerebbe la comunità internazionale; usiamo piuttosto gli strumenti a disposizione, la 'no-fly zone' e i corridoi umanitari per risolvere la situazione sul terreno", ha detto Massari.
 Il ministro degli esteri russo Serghiei Lavrov  si è  schierato contro l’ ipotesi franco-americana.  “Il segretario generale della Nato Rasmussen ha dichiarato che l'operazione in Libia si svolge per proteggere la popolazione e non per armarla e noi su questo siamo pienamente d'accordo con il segretario della Nato'', ha dichiarato il capo della diplomazia russa.
 In Cina  il presidente  Hu Jintao ha espresso riserve sui bombardamenti condotti dalla coalizione occidentale in Libia. Incontrando il presidente francese Nicolas Sarkozy, in visita a Pechino,  Hu ha ammonito che " le azioni militari  se colpiscono popolazioni innocenti e provocano gravi crisi umanitarie, violano il mandato originale del Consiglio di sicurezza dell' Onu” .  "La storia ha dimostrato che l' uso della forza non risolve i problemi, anzi non fa che complicarli", ha aggiunto Il presidente cinese ricordando  che "sono il dialogo e gli altri mezzi pacifici a fornire la risoluzione ultima dei problemi".
Alfonso Maffettone/Italia Estera

Perugia, sfilano in centro i libici pro Gheddafi. Slogan contro Sarkozy, Obama e Berlusconi

Piano profughi: individuati 400 posti in Umbria

di Maurizio Troccoli e Ivano Porfiri
Dopo i contro Gheddafi in piazza a Perugia è stata la volta dei pro Raìs, che si sono mobilitati con rabbia brandendo foto del loro leader e bandiere verdi. E intanto in Umbria viene definito il piano per l’accoglienza dei profughi.
La manifestazione Gli studenti si sono riuniti in piazza IV Novembre per poi sfilare lungo corso Vannucci scortati dalle forze di polizia. I manifestanti hanno esposto foto del leader libico e urlato slogan contro i bombardamenti e, in particolare, contro il presidente francese Nicolas Sarkozy, il primo ministro italiano Silvio Berlusconi e il presidente americano Obama. Esposte numerose bandiere verdi, simbolo della rivoluzione di Gheddafi. Il corteo risponde cosi’ a quello dei libici avversi al regime del Rais che hanno manifestato a Perugia lunedi’ pomeriggio.
Accuse contro Berlusconi, Sarkozy e Obama Slogan contro Sarkozy, Obama e Berlusconi, colpevoli a loro avviso di essere i protagonisti dei bombardamenti Nato. Al grido «Sakozy bastardo», «Berlusconi assassino», hanno attraversato le vie del centro.  Alle telecamere di Umbria 24 alcuni manifestanti hanno detto di «non comprendere come possa fare Berlusconi ad invitare e chiamare amico Gheddafi per poi bombardarlo poco dopo». C’è chi ha aggiunto «La Libia non esiste senza Gheddafi», altri ancora:«Perchè i francesi ci stanno facendo questo?» E poi: «E’ soltanto una questione di interessi vogliono il nostro petrolio». Ai libici contro Gheddafi rivolgono l’accusa di essere coloro«che stanno consegnando il paese ai francesi e agli altri. Non sono libici veri, hanno venduto la loro terra. Non è vero che Gheddafi ammazza la gente». Altri ancora: «Berlusconi ha fatto questo per essere amico di Berlusconi, di Obama, di Sarkozy, ma Gheddafi è venuto qui per fare un contratto con l’Italia sotto gli occhi di tutto il mondo». Infine cori e slogan: «Down down Sarkozy! down down Berlusconi!». E non è mancato chi davanti alle telecamere e ai fotografi manifestava il proprio attaccamento al Rais baciando i cartelli che lo riproducevano.
Il piano profughi Emergono le prime indiscrezioni sul piano che la Regione e le prefetture, insieme a tutte le altre istituzioni e alle associazioni di volontariato, stanno predisponendo per accogliere i profughi secondo gli accordi con il ministero dell’Interno. Da quanto riportano i quotidiani locali per il momento sono circa 400 i posti individuati, di cui circa 300 in provincia di Perugia (230-250 nel Perugino, 50 nel Folignate-Spoletino, 20 nell’Altotevere) e 100 in provincia di Terni. Di questi 250 verranno ripartiti nelle varie strutture della Caritas, gli altri tra i Comuni con oltre 15 mila abitanti che posseggono strutture adatte.
La Regione: nessun clandestino La Regione Umbria, come già anticipato nei giorni scorsi, precisa di non aver dato alcuna disponibilità – nel corso del vertice svoltosi ieri a Roma, a Palazzo Chigi tra governo e Regioni sull’emergenza profughi, al quale è intervenuta la vicepresidente della Regione Umbria -  ad accogliere cittadini extracomunitari in condizione di “clandestinità”. Tale decisione è stata determinata dall’assenza nel territorio regionale di alcun Centro di identificazione ed espulsione (Cie), non è dunque previsto l’arrivo in Umbria di “clandestini”. Così come definito nell’accordo tra governo e Regioni, anche l’Umbria accoglierà invece, gli eventuali profughi o cittadini oggetto di “protezione umanitaria”, nelle forme che sono state decise nel corso del recente “tavolo emergenza profughi”, convocato dalla presidente della Regione Umbria con i rappresentanti di Anci Umbria, Upi Umbria e la Caritas.
Nessun arrivo per adesso Gli eventuali invii in Umbria di profughi saranno in ogni caso decisi dal ministero degli Interni che, per il tramite delle prefetture di Perugia e Terni, informerà la Regione. Al momento, comunque, non vi è stata da parte del ministero alcuna comunicazione in merito. La Regione, assieme a Provincie, Comuni e la Caritas umbra sta comunque proseguendo nel lavoro di predisposizione del programma di accoglienza degli eventuali profughi che saranno assegnati  all’Umbria.
Lega: no ai profughi Intanto prosegue la polemica sul possibile arrivo di rifugiati. Il capogruppo della Lega in Regione, Gianluca Cirignoni si schiera decisamente contro.  «Aldilà delle interpretazioni di parte del capogruppo regionale di Rifondazione comunista,  ribadisco che la mia posizione sul tema dei profughi libici, come già espresso precedentemente è la seguente: no ai clandestini, sì all’accoglienza dei rifugiati in strutture predisposte allo scopo. In perfetta linea con quanto disposto dal Ministro Maroni». «No, quindi – ha aggiunto – all’ospitalità diffusa dei profughi libici in Umbria, come previsto dalla presidente Marini, perché una ripartizione capillare nella regione creerebbe problemi di controllo, anche in considerazione dei problemi di sicurezza connessi alla possibile presenza di estremisti islamici e terroristi».

Sulla loro pelle

29/03/2011 Rosa Mordenti
Le conseguenze della guerra: intervistato da Bruno Vespa a Porta a Porta, il presidente del Consiglio nazionale libico, Mustafa Abdel Jalil, rappresentante ufficiale di chi si batte contro Gheddafi, ha sostenuto di voler rispettare il «Trattato di amicizia» tra Italia e Libia: «Parteciperemo agli sforzi per fermare l’immigrazione clandestina», ha detto.
A Lampedusa continuano ad arrivare barconi. A bordo ci sono, sempre più, donne e bambini. Lunedì notte sono arrivati in 454, tra loro molti eritrei, somali ed etiopi. Le donne raccontano degli stupri e dei maltrattamenti subiti in Libia – quando il presidente Berlusconi baciava le mani a Gheddafi e il Magnifico Rettore Frati lo affiancava dentro l’università La Sapienza. Ora finalmente sono riuscite, con i loro bambini, a lasciare il paese in fiamme. Aspettano, a Lampedusa, di vedere quello che l’occidente ha da offrire di meglio.
A Taranto martedì mattina sono invece arrivati gli immigrati portati lì da Lampedusa a bordo di una nave della flotta Grimaldi. Sono nel campo della ex base militare di contrada Paione, a Manduria, dove è stata allestita una tendopoli. Si tratta di 827 persone che si vanno ad aggiungere ai 547 deportati a Manduria domenica scorsa, ma il numero complessivo degli «ospiti» nella tendopoli è più basso, perché in molti sono già fuggiti soprattutto verso la Francia, soprattutto i tunisini. Vengono fermati a Ventimiglia, che si sta trasformando, dicono, in una «Lampedusa del nord». Decine e decine di persone sono bloccate alla stazione locale, che è piccola. Alcuni sono lì da oltre una settimana. Nessuno se ne occupa. Tentano di raggiungere la Francia a piedi, anche camminando lungo l’autostrada. Percorrono chilometri, se scovati vengono rimandati indietro. Riproveranno.
A Manduria, intanto, si è scatenato il panico. Alcuni cittadini hanno organizzato delle ronde per fermare e riportare indietro i fuggitivi. Le forze dell’ordine hanno definito tutto ciò «un fatto molto preoccupante».
Il panico invade Manduria e non solo, invade l’Italia intera, distribuito a piene mani da media e politica. La televisione del pomeriggio recupera all’uopo antichi clichè. A farla da padrone è ad esempio il «terrore epidemie»: il vecchio refrain che gli stranieri portano malattie torna sempre buono. Come quello della «sicurezza»: il vero e proprio miracolo che si sta compiendo a Lampedusa, dove migliaia di persone abbandonate a se stesse tentano di mantenere la calma e di autorganizzarsi, dove dal Cie escono pasti portati dalla Protezione civile in numero assolutamente insufficiente e per il resto ci pensano un po’ gli isolani e un po’ gli stessi immigrati, pescando (lo raccontava ieri alla radio un giovane lampedusano), è di quelli fragili. Una coppia dell’isola ieri ha denunciato di essere stata aggredita dagli immigrati, a smentirli ci ha dovuto pensare la polizia.
Il Pd, nemmeno in questo caso, aiuta. E mentre Vasco Errani, il presidente dell’Emilia Romagna e anche della Conferenza delle Regioni, dopo aver incontrato ieri il ministro Maroni al Viminale, non è riuscito a trovare nulla di meglio da dire che «Dobbiamo definire un percorso serio, senza forzature e improvvisazioni, una risposta all’altezza dell’Italia» – cioè: nulla – oggi il suo compagno di partito Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana, ha comunicato alle agenzie che con la decisione del governo di allestire una tendopoli per i migranti a Coltano, frazione di Pisa, lui «non c’entra niente»: sa che i suoi elettori guardano molta tivvù. Si tratterebbe di una delle tendopoli, dopo Manduria e Trapani, allestite tardi e male per svuotare Lampedusa, dove intanto le scuole oggi sono rimaste chiuse.
Parole di buon senso vengono dal Cnca. Liviana Marelli, responsabile minori del Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza, ha sottolineato la condizione «intollerabile» dei minori stranieri arrivati senza parenti o amici adulti: «Il governo italiano è venuto meno a responsabilità sancite dall’ordinamento internazionale e dalla legislazione del nostro paese» ha detto Marelli, «non possiamo accettare che bambini e ragazzi già provati per un viaggio faticoso e pieno di pericoli siano ammucchiati in luoghi impropri, in condizioni igieniche del tutto inadeguate, abbandonati a se stessi. Vogliamo poi ricordare al governo italiano che i minori non possono essere espulsi. Anzi, vista la situazione di conflitto che esiste nei loro paesi, essi vanno tutelati anche al raggiungimento della maggiore età, attraverso il riconoscimento dello status di rifugiato politico o, quantomeno, della protezione umanitaria. Il lavoro encomiabile portato avanti dalle Ong e dalle associazioni che si sono mobilitate per aiutare questi minori non deve e non può sostituire le responsabilità delle istituzioni».
Responsabilità, dice Marelli. Invece il piano del governo, al quale il ministro Maroni e il prefetto Giuseppe Caruso, commissario straordinario per l’emergenza immigrazione, starebbero lavorando alacremente per metterlo a punto prima del Consiglio dei ministri di domani, prevede respingimenti di massa: scrive Fiorenza Sarzanini sul Corriere di oggi che «la nave San Marco e quelle della flotta Grimaldi potrebbero fare direttamente rotta su Tunisi. Sono numerosi i dettagli che si stanno mettendo a punto in queste ore, anche per superare le numerose difficoltà giuridiche soprattutto per quanto riguarda il diritto internazionale. E per evitare – questo è il rischio più temuto – che gli stranieri si rifiutino di lasciare l’isola». Una soluzione illegale, oltre che disumana, che secondo Claudio Giardullo, segretario del Silp Cgil, sarebbe anche «irrealizzabile»: «Il rimpatrio forzoso rappresenta una torsione delle norme e degli indirizzi internazionali che rischia di far degenerare la situazione creando più problemi che soluzioni e che espone in maniera forte anche le forze dell’ordine chiamate a gestire la crisi». Però il 6 aprile si avvicina. Un po’ di campagna elettorale sulla pelle degli immigrati, e se serve sul loro sangue, al governo non farebbe male.

Libia, vescovo Tripoli: 40 vittime civili
Nato apre inchiesta su catena comando

I ribelli: 20 morti a Misurata. Obama chiama Napolitano per ringraziare l'Italia. Autorizzate missioni segrete Cia
































ROMA - La Nato ha completato le
ROMA - La Nato ha completato le operazioni di trasferimento del comando delle operazioni in Libia, alle 8 di questa mattina, ha detto un portavoce dell'Alleanza a Bruxelles. Intanto Barack Obama ha telefonato al presidente Giorgio Napolitano per esprimere profondo apprezzamento per quanto fatto dall'Italia per la promozione della pace e della stabilità in tutto il mondo e il costante appoggio alle operazioni in Libia. Obama «ha riconosciuto la competenza e la conoscenza dell'Italia in Libia e ha ribadito la volontà di continuare con consultazioni ravvicinate tra i nostri due governi, in modo da agire per proteggere il popolo libico e far valere le risoluzioni 1970 e 1973 approvate dalle Nazioni Unite».

I raid hanno causato almeno 40 morti a Tripoli, afferma il vicario apostolico mons. Martinelli. «I raid cosiddetti umanitari - ha dichiarato Martinelli all'agenzia Fides - hanno fatto decine di vittime tra i civili in alcuni quartieri di Tripoli. Ho raccolto diverse testimonianze di persone degne di fede al riguardo. In particolare, nel quartiere di Buslim, a causa dei bombardamenti, è crollata un'abitazione civile, provocando la morte di 40 persone. Se è vero che i bombardamenti sembrano alquanto mirati, è pur vero che colpendo obiettivi militari, che si trovano in mezzo a quartiere civili, si coinvolge anche la popolazione».

La Nato condurrà un'inchiesta sulle notizie relative alla morte di almeno 40 civili a Tripoli, provocati dai raid. Lo ha detto il generale Charles Bouchard a Napoli, assicurando che l'Alleanza è consapevole delle notizie di stampa e le considera «molto seriamente. Condurremo un'inchiesta nella catena di comando per vedere se ci sono prove. Noi faremo quanto possiamo per determinare se qualcosa è successo». Ad una richiesta di precisazioni, Bouchard ha aggiunto: «Investigheremo per vedere se forze Nato siano state coinvolte o meno». Interpellato sulla stessa vicenda, l'ammiraglio Giampaolo Di Paola, presidente del Comitato militare della Nato, aveva in precedenza detto di non avere informazioni e di non potere fare commenti sulle operazioni.

Secondo i ribelli 20 civili sono rimasti uccisi nei bombardamenti delle forze filo-Gheddafi contro Misurata, città costiera ancora in mano agli insorti.

Obama avrebbe già autorizzato con un ordine segreto operazioni di appoggio ai ribelli libici da parte della Cia che, secondo il sito del New York Times, sono già iniziate «da alcune settimane», con agenti disseminati sul territorio libico per individuare obiettivi per i raid aerei e per contatti con la rivoluzione assieme a colleghi dell'MI6 britannico. Ieri sera il ministro degli esteri libico, Mussa Kussa, è volato dalla Tunisia in Gran Bretagna, dove ha annunciato la sua defezione e l'intenzione di abbandonare Muammar Gheddafi.

Lunedì sarà a Roma il rappresentante della politica estera del Consiglio nazionale transitorio libico per un colloquio con il ministro degli esteri Franco Frattini. Lo ha annunciato lo stesso titolare della Farnesina. Frattini ha confermato che l'Italia ha «un contatto forte» con i rappresentanti dell'opposizione libica «attraverso il consolato di Bengasi che è sempre aperto con funzionari che hanno il compito di mantenere i contatti». Il ministro ha poi ricordato come lui stesso «fino all'altro ieri al summit di Londra e, ancor prima da Roma, ha avuto contatti telefonici con il capo dell'opposizione a Bengasi».

«Cessato allarme» per il peschereccio italiano dato per scomparso in acque libiche: lo ha comunicato il comando generale del Corpo delle capitanerie di porto in una nota, precisando che il capobarca avrebbe dato l'allarme dopo aver visto una unità da guerra fare rotta verso il motopesca che, con tre persone a bordo, stava pescando a 50 miglia al largo di Bengasi. «Alle 10.15 - riferisce la nota - è stato ristabilito un contatto con il peschereccio italiano "Mariella", di Siracusa, che nella serata di ieri aveva lanciato un allarme dal golfo della Sirte. Un'altra unità, il motopesca "Orizzonte", ha potuto collegarsi via radio con l'equipaggio siracusano, sotto il coordinamento della sala operativa delle Capitanerie di porto. Il capobarca del "Mariella" ha spiegato di aver temuto il peggio, ieri sera, quando ha visto una unità da guerra fare rotta velocemente verso la propria imbarcazione, e di aver premuto il segnale di soccorso. E' stato disposto il cessato allarme». Il peschereccio - di venti metri - era impegnato nella pesca nel golfo della Sirte dallo scorso 24 marzo. Le tre persone a bordo sono il capobarca Angelo Miraglia, 43 anni, Ernesto Leni, 62, e Giuseppe Gennuso, 56.

Sul fronte militare gli insorti libici stanno facendo ritorno a Brega, terminal petrolifero della Cirenaica a 250 chilometri da Bengasi, dopo essere stati messi in fuga ieri dall'arrivo delle truppe fedeli al colonnello Gheddafi. Nella serata di ieri, i media internazionali davano Brega per riconquistata dalle forze di Gheddafi. Secondo al Jazeera questa mattina i ribelli sono riusciti a cacciare le brigate fedeli a Gheddafi fuori da Brega. I soldati del regime si trovano all'entrata occidentale della città.

Esteri

Violentata a 14 anni e frustata per punizione, muore una settimana dopo

Tommaso Caldarelli
31 marzo 2011
La legge islamica non perdona.
Applicazione testuale e letterale della legge islamica, la Shari’a? Porta anche a questo. Una ragazza di 14 anni, unicamente colpevole di star andando al bagno, è stata violentata da un suo anziano cugino, presa a sberle dalla moglie di lui, condannata dal locale imam a 100 frustate; dopo averne prese 70 è collassata, è stata portata d’urgenza al più vicino ospedale dove è morta dopo una settimana. La bruta sequenza degli eventi ci mostra come la vita della giovane sia cambiata nel giro di pochi minuti.
BANGLADESH – La storia è sui media internazionali, ed è davvero raccapricciante. Succede a Shariatpur, nel Bangladesh centrale, non lontano da Dacca: come abbiamo detto, la giovane stava raggiungendo un bagno pubblico. Adesso qualcuno esperto di costumi islamici potrebbe anche sostenere che se fosse andata al bagno a casa sua, nulla sarebbe successo. L’assalitore di Hina – così si chiama la ragazza – come abbiamo detto, un suo cugino, padre di famiglia con un figlio dell’età della sua vittima, era stato anche ammonito dalle autorità del villaggio: non era la prima volta che insidiava la ragazza.
Hena era la più giovane di cinque bambini nati da Darbesh Khan, un lavoratore interinale, e sua moglie, Aklima Begum. Avevano una capanna fatta di metallo ondulato e legno marcio e facevano una vita semplice che è improvvisamente cambiata un anno fa con il ritorno del cugino di Hena, Mahbub Khan. L’uomo è tornato a Shariatpur dalla Malesia, dove lavorava. Suo figlio è dell’età di Hina, e andavano a scuola insieme. Khan notò Hena e iniziò a darle fastidio sulla strada di scuola e ritorno, ha detto il padre di Hena. Si era anche lamentato con gli anziani del villaggio del comportamento del nipote, grande tre volte Hina. Gli anziani ammonirono Mahbub e gli inflissero una multa di 1000 dollari. Ma Mahbub era il figlio del fratello maggiore di Darbesh, e il padre di Hina fu costretto a lasciar correre.
Insomma, è come se l’uomo fosse stato un pregiudicato. Una sanzione del genere, sebbene poi mai pretesa, è tanto, e funge da severa ammonizione. Ma non è affatto bastata, anzi, forse ha peggiorato la situazione. D’altronde l’uomo era ancora a piede libero.
VIOLENZA PUBBLICA – Così ha potuto agire indisturbato.
Una 14enne del Bangladesh sarebbe stata assalita mentre si dirigeva ad un bagno esterno, presa, picchiata e violentata da un uomo più anziano di lei (suo cugino). Sono stati trovati dalla moglie del violentatore, che ha picchiato Hina. L’imam della moschea locale ha emesso una Fatwa dicendo che Hena era colpevole di adulterio e doveva venir punita, e una corte tribale del villaggio ha inflitto a Hina una sentenza di 100 frustate pubbliche.
Non che l’uomo sia rimasto senza punizione: per l’esattezza, infatti, il tribunale tribale ha inflitto ad entrambi la pena della frusta. La ragazza ha dovuto subire 100 scudisciate, l’uomo il doppio, 200. Ma la ragazza, solo 14enne – come ben si capisce – non aveva alcuna colpa. “Relazione illecita”, è stata la fattispecie criminale per la quale i due sono stati puniti: come se Hina avesse avuto un qualche ruolo, in quella relazione illecita.
SUICIDIO? – E come se, soprattutto, Mahbub avesse preso qualche frustata – realmente. E’ scappato dopo le prime scudisciate, e nessuno l’ha fermata. Non così Hina, la cui schiena ha dovuto sopportarne 70, prima che il suo corpo collassasse definitivamente. E ciò che desta scalpore è la causa della sua morte, scritta sull’autopsia, che è stata addirittura falsificata dalle autorità mediche: Hina, secondo l’ospedale, si sarebbe addirittura suicidata.
Hina è svenuta dopo 70 frustate. Sanguinante e martoriata, è stata portata all’ospedale, dove è morta una settimana dopo. Incredibilmente, una autopsia iniziale non parlava di ferite e definiva la sua morte un suicidio. La famiglia di Hina insiste ora nel chiedere che il corpo venga esumato. Vogliono che il mondo sappia cosa è veramente successo alla loro figlia.
E dire che il Bangladesh è considerato un paese musulmano “moderato”, dove la Shari’a, la legge coranica, non viene di solito applicata in maniera letterale. Ora, dicono le autorità governative, una inchiesta accerterà le responsabilità. Ma nessuno riporterà Hena in vita. “Non abbiamo potuto fare altro che guardarla morire”, dicono i genitori.