PER RIPRENDERCI LA NOSTRA DIGNITA'

domenica 26 giugno 2011

Tornano le ragazze. Stati generali a Siena

di Fabrizia Bagozzi su Europa, 24 giugno 2011

Le ragazze del 13 febbraio mantengono la promessa lanciata a piazza del Popolo nel giorno che per primo ha datto la sveglia all’Italia. E tornano in campo con gli Stati generali delle donne che si terranno a Siena nel fine settimana del 9 e 10 luglio. L’evento verrà presentato ufficialmente lunedì (per le prime informazioni senonoraquando13febbraio2011.wordpress.com) ed è preceduto da riunioni continue della rete in tutta Italia. Roma, Milano, Torino, Bologna, Napoli. Dinuoviste, Filomene e molte altre che hanno dato vita al comitato Se non ora quando (Snoq) passano da un treno all’altro per ragionare in presa diretta – al di là del web – con i gruppi sparsi in tutta Italia (quelli nati sull’onda del 13 febbraio e quelli ageé) sui modi e le forme della due giorni «che intendiamo come uno spazio di dibattito aperto a tutte le varie articolazioni del movimento», spiega a Europa la Dinuovista Francesca Izzo. Incluse le dure dei collettivi che contestarono il fiocco rosa con cui Snoq annunciò la mobilitazione milionaria.
Al centro del confronto alcuni temi chiave della condizione femminile del nostro paese: il corpo delle donne, o meglio, specifica Izzo, «la pervasiva rappresentazione del corpo delle donne secondo un immaginario maschile» che fa il paio al negativo con il quadro di recente presentato dall’Istat: poco lavoro, mal pagato e in caso di maternità l’invito, spesso l’obbligo, a lasciare il proprio posto. E una delle sessioni sarà dedicata al che fare da ora in poi, vale a dire a capire come riuscire a stabilizzarsi e uscire dall’andamento carsico preso in questi ultimi anni dal movimento perché la voce delle donne rafforzi la sua capacità di interlocuzione politica sulla scena pubblica.
E proprio mentre il corpo femminile si mette al centro degli Stati generali di Siena, scoppia una polemica sul manifesto con cui il Pd romano pubblicizza la festa dem partita ieri a Caracalla. Un affiche che richiama la scena di Quando la moglie è in vacanza con l’abito bianco di Marilyn sollevato da una folata d’aria che sale dalle griglie della metropolitana newyorkese. Lo slogan, Cambia il vento, è accompagnato da un paio di gambe femminili piuttosto scoperte da un colpo di vento. E non basta a chiudere il cerchio il fatto che sia accompagnato da un altro manifesto in cui a essere sollevata è la cravatta di un ragazzo. Partono critiche da Se non ora quando, ma protestano anche le donne del Pd romano che si mettono poi a discutere fra di loro. Snoq si dice «sconcertato per l’uso strumentale del corpo femminile» e chiede di ritirare la campagna: «Siamo rimaste stupite e non si tratta di atteggiamento bacchettone – dice Izzo – L’immagine della donna proposta è nel più classico stile maschile: a lei si scompiglia la gonna, e non magari i capelli, e a lui la cravatta? Il punto è che anche i creativi si sono impigriti, si fatica capire che il vento sta cambiando anche sugli aspetti simbolici.
Queste rappresentazioni sono up to date». Dalla segreteria dem di Roma, che non ha intenzione di ritirare alcunché, arriva una lettera al comitato: «La nostra festa è un luogo aperto di discussione politica ma anche un momento di divertimento e spensieratezza. Un paio di gambe sono equiparabili automaticamente a un’immagine offensiva o volgare, tipo quella delle olgettine? Qual è il confine oltre il quale comincia la mercificazione o l’uso improprio?». E invita a discuterne insieme proprio a Caracalla.
Ma la cosa agita le acque anche fra le democratiche della Capitale. La conferenza regionale e romana delle donne del Pd, per bocca della presidente Franca Prisco, si dissocia dal manifesto definendolo «uno scivolone».
E una ventina di donne del partito – fra delegate alla conferenza, capigruppo e consigliere municipali – bacchettano Prisco, dicendosi «sorprese» dalla dissociazione: «È grave che si sia prodotta una discussione pubblica senza aver consultato la stragrande maggioranza delle delegate». Nel frattempo, due vip dichiaratamente di sinistra di collocano su sponde opposte. Alba Parietti ironicamente critica, Vladimir Luxuria sospettosa: «Non vorrei si tornasse ai pantacollant delle Kessler». Il dibattito è aperto. Magari a Caracalla.
Fabrizia Bagozzi

26 GIUGNO: RASSEGNA STAMPA

PD, POLEMICHE SU MANIFESTO “SCOSCIATO”. SUL WEB: “TAFAZZI SEGRETARIO”

Roma - Negli anni passati critiche per il barman ammiccante e la reginetta stile miss Italia. E sul profilo Facebook della deputata Paola Concia, che innescò la polemica lo scorso anno, già fioccano le stroncature
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Roma - All’inizio fu il barman, poi fu la volta della vincitrice di concorso in stile miss Italia, adesso tocca alla minigonna. Immancabili, tornano le polemiche con la Festa dell’Unità dell’“era Pd” (solo il primo anno fu chiamata “Festa democratica”, per non turbare la sensibilità degli ex Margherita), che puntualmente torna a suscitare critiche per le scelte dei pubblicitari. A scatenare le proteste, la decisione di mettere sui manifesti un paio di gambe di donna scoperte dall'aria che solleva una gonna: “Cambia il vento” il titolo, in riferimento alle vittorie elettorali del centrosinistra a Milano e Napoli. Un “abbinamento fra lo slogan e l'ennesima immagine strumentale del corpo femminile”, tale da lasciare “stupite e attonite” secondo il comitato “Se non ora, quando”, che lo scorso 13 febbraio portò in decine di piazza migliaia di persone “per la libertà e la dignità delle donne”. E mentre anche al Nazareno crescono i mugugni, pare sempre più una “maledizione” quella che accompagna le Festa del Pd a Roma. Nel 2009, mentre il partito si divideva fra l’appoggio a Franceschini, Bersani e Ignazio Marino, a più d’uno parve inutilmente autoironico il barista che shakerava ammiccando all’obiettivo sotto la scritta rassicurante: “Mescolati, non agitati”.

In ogni caso, nulla in confronto all’anno scorso, quando i creativi del Pd idearono il manifesto con una reginetta appena incoronata, mazzo di fiori in mano e sorriso “da oca giuliva”, secondo i detrattori. Lo slogan: “Una festa per i suoi 150 anni. Unita e democratica”. Un manifesto di una "stupidità allucinante" e "anche irritante", secondo la deputata Pd Paola Concia, che rispondendo a una domanda postata sul suo profilo Facebook involontariamente provocò con quel commento un polverone sulla concezione della donna. Anche stavolta, prevedibilmente nulla rispetto alla polemica che si scatenerà nelle prossime ore. E se stavolta la Concia si tiene lontana, almeno per ora, da ogni commento, sulla sua bacheca Facebook già fioccano le stroncature: “Tafazzi segretario nazionale subito”, “Cambia il vento... Ma la musica è la stessa?.. se il buongiorno si vede dal mattino...”, “complimenti al Pd e ai pubblicitari per la fantasia!”, “Certo che a pensarci bene ce ne sono di idioti nel Pd”, “Vorrei proprio guardarli bene in faccia quelli che hanno avuto questa geniale idea e quelli che l'hanno approvata..”. Fino alle letture ironicamente dietrologiche: “Secondo me, le campagne pubblicitarie del PD le paga Berlusconi... magari a loro insaputa”.
(fan) 23 Giugno 2011 16:37

Festa Unità a Roma, le donne non ci saranno:
tutta colpa del manifesto provocatorio

Il comitato "Se non ora quando" contesta l'immagine scelta dal Pd: "E' sessista"

16:52 - Una minigonna che si muove, due gambe sensualissime che ricordano quelle di Kelly LeBrock ne La signora in rosso e uno slogan: “Cambia il vento”. E’ questo il manifesto scelto dal Partito Democratico per inaugurare la festa dell’Unità di Roma che oggi apre i battenti e che ha fatto infuriare le donne della sinistra.
In prima linea quelle del comitato Se non ora quando, le stesse che nel febbraio scorso sono scese in piazza per protestare contro la strumentalizzazione del corpo femminile nell’epoca berlusconiana. Ed oggi, la motivazione della loro indignazione è praticamente la stessa: il manifesto scelto è lo specchio di una “società sessista” che a queste donne non piace.
Sono passate poche ore dall’affissione del cartellone incriminato e il comitato ha immediatamente espresso “sconcerto” per l’immagine scelta per la campagna. “L'abbinamento fra lo slogan e l'ennesima immagine strumentale del corpo femminile ci lascia stupite e attonite”, si legge in una nota.
“Il comitato protesta ancora una volta di fronte all'uso del corpo delle donne come veicolo di messaggi che nulla hanno a che fare con esso”. Da qui, conseguenza naturale è l’invito a ritirare la campagna, “anche per rispetto verso milioni di donne italiane il cui voto è stato fondamentale nelle amministrative e nei referendum nazionali del 12 e 13 giugno".

Festa dell'Unità nel caos, polemica sulla pubblicità: "Donne strumentalizzate"


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E' bagarre sulla Festa dell'Unità che oggi apre i battenti. Il comitato "Se non ora quando" contro lo spot che vede la gonna rossa di una donna alzarsi. Ecco il siparietto di un partito che non ha Unità


Roma - La gonna rosa di una donna che si alza e che lei tiene abbassata. E sotto la scritta: "Cambia il vento". Lo slogan della Festa dell’Unità romana, che apre i battenti per concludersi il 24 luglio, ha creato un forte scompiglio tra i moralisti della sinistra che hanno subito polemizzato gridando alla "strumentalizzazione del corpo femminile". Il comitato nazionale "Se non ora quando", che era sceso in piazza per moralizzare il Paese contro il premier Silvio Berlusconi, torna a colpire e a bacchettare, questa volta, i vertici del Pd. Ma non sono gli unici. Non piace nemmeno la "restaurazione" del vecchio logo. Insomma, la Festa dell'Unità anziché unire rischia di frammentare un Partito democratico già di per sé traballante.
Dibattiti, cabaret, proiezioni cinematografiche, musica, libri e teatro. Meno produzione di rifiuti, posate e bicchieri in materiali biodegradabili e stand riservati alle aziende della green economy. Insomma, la solita solfa. "Questa edizione - ha spiegato il segretario del Pd Roma Marco Miccoli - è dedicata al cambiamento che il Pd si candida ad intercettare in linea con il nostro segretario Pier Luigi Bersani". Un cambiamento che, però, non è piaciuto a proprio tutti. Anzi, la festa che Walter Veltroni aveva ribattezzata in "democratica" rischia di dividere anziché unire. Polemiche su polemiche. Le stesse che avevano colpito la pubblicità di Oliviero Toscani - evocazione dello spot dei jeans Jesus - per lanciare il nuovo formato dell'Unità voluto dall'ormai ex direttrice Concita De Gregorio. Allora le invettive erano state dirette contro una minigonna troppo mini, oggi contro le cosce rosee che rievocano Marilyn Monroe nel celebre film Quando la moglie è in vacanza.
A sollevare un polverone è il comitato "Se non ora quando". Un revival del vecchio slogan "L'utero è mio e me lo gestisco io". Si torna indietro, anziché fare un passo avanti. Questo è il centrosinistra che Bersani vuole venderci come progressista e riformista. "L’abbinamento fra lo slogan 'Cambia il vento' e l’ennesima immagine strumentale del corpo femminile - tuona il comitato contro gli organizzatori della kermesse - ci lascia stupite e attonite". Il comitato protesta contro "l’uso del corpo delle donne come veicolo di messaggi che nulla hanno a che fare con esso". Da qui l'invito al Partito democratico a ritirare la campagna. Invito che diventa nel corso della giornata una netta minaccia da parte della Corrente Rosa, associazione che ha scritto a Rosy Bindi per chiedere l'immediato ritiro del manifesta: "Altrimenti boicotteremo la festa".
Così, mentre anche al Nazareno crescono i mugugni, pare sempre più una "maledizione" quella che accompagna le Festa del Pd a Roma. Sulla sua bacheca Facebook già fioccano le stroncature: "Tafazzi segretario nazionale subito", "Cambia il vento, ma la musica è la stessa?". E ancora: "Complimenti al Pd e ai pubblicitari per la fantasia", "Certo che a pensarci bene ce ne sono di idioti nel Pd", "Vorrei proprio guardarli bene in faccia quelli che hanno avuto questa geniale idea e quelli che l’hanno approvata". Fino alle letture ironicamente dietrologiche: "Secondo me, le campagne pubblicitarie del Pd le paga Berlusconi... magari a loro insaputa". 
C'è poi chi polemizza anche con la rediviva denominazione: Festa dell'Unità. Sa di vecchio, metallico come la falce e martello e violento come gli anni Settanta. Veltroni ci aveva provato a farla riemergere dai retaggi del passato. Ma non tutti i compagni del piddì sono pronti alla dipartita. A Roma soltanto il primo anno fu chiamata Festa democratica per non turbare la sensibilità degli ex Margherita. Oggi Lucio D’Ubaldo, senatore e membro della Direzione nazionale del Partito democratico, non ci sta e mette in guardia il partito. "Solo a Roma si mantiene la denominazione che ha segnato, nel bene e nel male, sessant’anni di storia politica nazionale - fa notare il senatore democratico - il problema è che il Pd non è la continuazione della politica e della iconografia della vecchia sinistra italiana". Insomma, per D'Ubaldo, "l’esigenza di non deludere una parte dell’elettorato nostalgico, ma rigenerare o conservare i simboli del passato è un errore".
Tra slogan che inneggiano al cambiamento e una recondita voglia di passato, il Pd romano si prepara a festeggiare un'unità che non c'è. A livello nazionale ha ben altre gatte da pelare. La vittoria alle amministrative ha ringalluzzito i vari Di Pietro e Vendola che ora premono su Bersani per creare una "nuova alternativa". Anche qui, di unità c'è poco. Le continue minacce degli alleati e le forze contrifughe interne non lasciano alcun dubbio: da festeggiare c'è ben poco.

Pd: segreteria Roma, manifesto riprovevole? Discutiamone alla Festa

Roma, 23 giu. - (Adnkronos) - ''Un paio di gambe sono automaticamente equiparabili ad un'immagine offensiva o volgare come quelle delle ''olgettine'' che circolano sul web? Sono la stessa cosa o c'e' una differenza? Qual e' il confine oltre il quale comincia la mercificazione o l'uso improprio? Il manifesto e' una citazione pubblicitaria, una rievocazione di Marilyn Monroe del film 'Quando la moglie e' in vacanza', divenuta un'icona. Puo' piacere o non piacere. Ma e' davvero riprovevole?''. E' quanto si legge in una lettera aperta inviata dalla segreteria del Pd Roma al coordinamento 'Se non ora quando', in merito alla polemica sorta sul manifesto della Festa Democratica Romana, che ritrae una donna in posa da Marylin Monroe, ma vestita di fuxia, mentre si tiene la gonna che il vento le alza. Sotto lo slogan: ''Cambia il vento''. ''Costruiamo una discussione pubblica alla festa del Pd di Roma - e' l'esortazione della segreteria romana del partito -, dove possano confrontarsi in modo libero diversi punti di vista, senza rappresentazioni caricaturali frutto di pregiudizi che banalizzano una discussione seria, dove nessuno pensi che un giudizio critico corrisponda a un moralismo bacchettone e un giudizio positivo ad un'assenza di posizione etica''. D'altra parte, osserva il Pd Roma, ''dal 2001 ogni manifesto o slogan scelto per la presentazione della Festa de L'Unita' di Roma e' fonte di discussione e dibattito. Perfino la scelta di mantenere il nome Festa de L'Unita' con la nascita del Pd, e' elemento di confronto tra chi ritiene di conservare una memoria e un patrimonio collettivo, che ha segnato 60 anni di storia politica Nazionale, e chi legittimamente esprime una diversa valutazione. Quest'anno la polemica verte sull'immagine utilizzata per il manifesto simbolo della Festa''. (segue) 

PD, POLEMICHE SU MANIFESTO “SCOSCIATO”. SUL WEB: “TAFAZZI SEGRETARIO”

Roma - Negli anni passati critiche per il barman ammiccante e la reginetta stile miss Italia. E sul profilo Facebook della deputata Paola Concia, che innescò la polemica lo scorso anno, già fioccano le stroncature
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Roma - All’inizio fu il barman, poi fu la volta della vincitrice di concorso in stile miss Italia, adesso tocca alla minigonna. Immancabili, tornano le polemiche con la Festa dell’Unità dell’“era Pd” (solo il primo anno fu chiamata “Festa democratica”, per non turbare la sensibilità degli ex Margherita), che puntualmente torna a suscitare critiche per le scelte dei pubblicitari. A scatenare le proteste, la decisione di mettere sui manifesti un paio di gambe di donna scoperte dall'aria che solleva una gonna: “Cambia il vento” il titolo, in riferimento alle vittorie elettorali del centrosinistra a Milano e Napoli. Un “abbinamento fra lo slogan e l'ennesima immagine strumentale del corpo femminile”, tale da lasciare “stupite e attonite” secondo il comitato “Se non ora, quando”, che lo scorso 13 febbraio portò in decine di piazza migliaia di persone “per la libertà e la dignità delle donne”. E mentre anche al Nazareno crescono i mugugni, pare sempre più una “maledizione” quella che accompagna le Festa del Pd a Roma. Nel 2009, mentre il partito si divideva fra l’appoggio a Franceschini, Bersani e Ignazio Marino, a più d’uno parve inutilmente autoironico il barista che shakerava ammiccando all’obiettivo sotto la scritta rassicurante: “Mescolati, non agitati”.

In ogni caso, nulla in confronto all’anno scorso, quando i creativi del Pd idearono il manifesto con una reginetta appena incoronata, mazzo di fiori in mano e sorriso “da oca giuliva”, secondo i detrattori. Lo slogan: “Una festa per i suoi 150 anni. Unita e democratica”. Un manifesto di una "stupidità allucinante" e "anche irritante", secondo la deputata Pd Paola Concia, che rispondendo a una domanda postata sul suo profilo Facebook involontariamente provocò con quel commento un polverone sulla concezione della donna. Anche stavolta, prevedibilmente nulla rispetto alla polemica che si scatenerà nelle prossime ore. E se stavolta la Concia si tiene lontana, almeno per ora, da ogni commento, sulla sua bacheca Facebook già fioccano le stroncature: “Tafazzi segretario nazionale subito”, “Cambia il vento... Ma la musica è la stessa?.. se il buongiorno si vede dal mattino...”, “complimenti al Pd e ai pubblicitari per la fantasia!”, “Certo che a pensarci bene ce ne sono di idioti nel Pd”, “Vorrei proprio guardarli bene in faccia quelli che hanno avuto questa geniale idea e quelli che l'hanno approvata..”. Fino alle letture ironicamente dietrologiche: “Secondo me, le campagne pubblicitarie del PD le paga Berlusconi... magari a loro insaputa”.

Il prossimo 30 giugno presentazione del libro Alito di Vento di Maria Giovanna Bruno 




23-06-2011


Appuntamento con la cultura, il prossimo 30 giugno, con un evento organizzato dal comitato "Se non ora quando?" e dalla Banca di Credito Cooperativo Monte Pruno di Roscigno e di Laurino. Alle 18.30 a Sala Consilina presso Villa delle Acacie sarà presentato il libro Alito di Vento di Maria Giovanna Bruno edito dalla casa editrice Albatros Edizioni. Oltre all’autrice, interverranno Michele Albanese, direttore generale BCC Monte Pruno di Roscigno, Rosy Pepe, responsabile Comitato "se non ora quando?", e Lucia de Cristofaro scrittrice e presidente di Albatros Edizioni. Seguirà un reading di poesie tratte dal libro con un sottofondo musicale a cura di Luigi Ranieri Gargano.

Dicono che cambia il vento: come?

Dal 23 giugno prende avvio la festa del Pd Roma alle Terme di Caracalla. Il tema: Cambia il vento. Ed è stata tempesta di vento di e-mail quando è circolato il manifesto in immagine, tempesta che sembra lo abbia fatto scomparire dal sito ufficiale della festa, ma è ancora visibile per le strade, almeno a Roma.
Un incidente di percorso? Sarà pure ma la "versione maschile" è una cravatta che vola a sinistra.
E’ certo che in molte ci si sia interrogate su dove spira il vento se ancora si può pensare che la presenza delle donne ai livelli decisionali debba essere associata a minigonne e belle gambe.
Ricordate l’immagine di Oliviero Toscani per il lancio della nuova Unità di Concita Di Gregorio? anche questa volta come allora sembra si sia detto: beh, in fondo che male c’é?
E’ vero: non c’è niente di male a mettere una minigonna e mostrare due belle gambe. Il problema è sempre l’utilizzazione dell’immagine e ciò che produce nell’immaginario collettivo.
E’ chiaro che si sta già dimenticando uno dei messaggi del "se non ora quando" del 13 febbraio; e sarà forse il caso che l’incontro di Siena "se non ora quando un paese di donne?" del 9-10 luglio lo tenga presente

1 Messaggio

Lettera a Rosy Bindi di Corrente Rosa 24 giugno 08:40, di Redazione
Gentile Presidente,
La nostra associazione Corrente Rosa, apolitica, che difende i diritti delle donne
e la parità tra i sessi dal 2006, ha trovato di scarsissimo
gusto il manifesto d’invito alla Festa dell’Unità del 23 giugno rappresentata dalla
parte inferiore del corpo di una donna che tenta di nascondere le
gambe tenendo con le mani una corta gonna rossa sollevata dal vento.
La versione al
maschile del manifesto è rappresentata invece dallo stereotipo
dell’uomo professionista che lavora, mostrando la parte superiore del corpo, la cui
cravatta è sollevata dal vento.
Consideriamo, come moltissime
donne che si stanno in queste ore sollevando dall’indignazione, che la
rappresentazione parziale e svestita del corpo di una donna lede la nostra
dignità, ci riduce al rango di oggetto e non ci consente di costruire la nostra
identità professionale e ancora meno politica.
Inoltre, a nostro
parere questo non pone un esempio positivo per le giovani donne che si stanno
affacciando sul mercato del lavoro.
Lo slogan "CAMBIA IL VENTO" abbinato a questa immagine è in evidente
contraddizione. Nessun vento sta cambiando Presidente, c’è sempre lo stesso
scirocco soffocante del maschilismo di basso livello, che con questa ulteriore
azione dimostra la sua assenza completa di considerazione per le
tematiche di genere. Le tematiche di genere riguardano tutti in quanto dimostrano il
livello di civiltà di un paese.
Ci rincresce pensare cara Presidente che proprio Lei, ha preso con coraggio e grande
eleganza la nostra difesa nei confronti del Presidente del
Consiglio, quando gli rispose: "Presidente, non sono una donna a Sua disposizione".
Questo ci aveva fatto sperare che il principale partito
dell’opposizione avrebbe preso delle misure per contrastare la rappresentazione
mediatica e mercificata della donna assunta dal PDL.
Capiamo invece
che anche il PD per attirare il cittadino (uomo) ad una festa, deve utilizzare una
parte del corpo della donna.
Noi cittadine, ci sentiamo insultate e non coinvolte in questa campagna e
boicotteremo la Festa dell’Unità se il manifesto di cui alla presente
lettera non sarà immediatamente tolto.
Inoltre le chiediamo che il PD vigili alla
rappresentazione delle donne nelle sue campagne pubblicitarie
suggerendo che ci sia un comitato paritario composto di donne e uomini che le approvi.
In attesa di una Sua cortese e inequivoca risposta, Le porgo i miei distinti saluti,
Serena Romano Presidente Corrente Rosa


Cosce che scandalizzano il Pd: vento che cambia? No, bigotti

Il corpo delle donne agita i democratici: è un putiferio per manifesto della Festa dell'Unità in cui si vede un lembo di carne / FACCI



La notizia è che il redivivo comitato «Se non ora quando» (quello che scese in piazza contro Berlusconi e in difesa della dignità femminile) si è arrabbiato per una pubblicità lanciata dal Pd romano per la Festa dell’Unità: si vede, in un manifesto, la scritta «Cambia il vento» sovrapposta alla foto di una minigonna che si alza, e a due mani femminili che la tengono abbassata. Una cosa alla Marilyn Monroe, giudicata però come «ennesima immagine strumentale del corpo femminile», anzi, «uso del corpo delle donne come veicolo di messaggi che nulla hanno a che fare con esso», anzi, mancanza di rispetto «verso milioni di donne il cui voto è stato fondamentale nelle amministrative e nei referendum». Quella campagna, insomma, andrebbe ritirata: questo ha chiesto il Comitato. Il Pd romano ha risposto con una serie di domande retoriche e problematiche: «Un paio di gambe sono automaticamente equiparabili a un’immagine volgare come quelle delle olgettine?»; «Qual è il confine oltre il quale comincia la mercificazione?». Poi la grande esortazione: «Ragioniamo insieme su come si combatte la vera mercificazione del corpo anche nella comunicazione politica», anzi, «costruiamo una discussione pubblica, alla festa del Pd, dove possano confrontarsi diversi punti di vista senza rappresentazioni caricaturali frutto di pregiudizi che banalizzano una discussione seria».

DISCUTIAMONE
Sì, il dibattito sì. Se ne sentiva la mancanza almeno dall’ottobre 2008, quando la campagna di lancio dell’Unità di Concita De Gregorio (oggi dimissionaria) mostrava un’altra minigonna con una copia del quotidiano infilata nella tasca posteriore. C’è una sinistra che va pazza per queste discussioni di lana pecorina. Per ora è già intervenuta la consulta delle lesbiche, gay e trans del Pd: «Le critiche alla campagna della Festa dell’Unità sono ingiuste e sbagliate. Le festa, infatti, permetterà a migliaia di persone di confrontarsi sul futuro dell’Italia mettendo al centro i giovani, le donne, i gay e chi vive una cittadinanza dimezzata». Ne discuteranno per almeno un mese.

È abbastanza normale che accada in un tempio festivaliero del politicamente corretto, dove una farcitura di dibattiti su ogni cosa (cabaret, film, musica, libri, teatro, tutto sorvegliatissimo) è guarnito da un apparente low profile imperniato su posate e bicchieri biodegradabili, stand riservati alla cosiddetta green economy, puntuale riciclo della spazzatura: peccato non invitare Luigi De Magistris. È normale - nel caso di quest’ultima polemica impastata, al tempo, di bigottismo e di femminismo d’antan - perché da un po’ di tempo un certo fariseismo post-comunista forse sta rialzando la testa.

Esempi? Gli scandali sessuali degli ultimi anni. La rivendicazione del Pd, in media, è sempre parsa questa: però i nostri, almeno, si sono dimessi, mentre Berlusconi è stato travolto ed è sempre lì. Disse Pierluigi Bersani, nel febbraio scorso, a proposito del popolo di sinistra: «Da noi c’è un civismo che non tollera ombre... Un’analisi onesta non può non partire da questa colossale differenza di comportamenti... La cosa più importante è cosa fai, come ti comporti, come reagisci, come fai vedere che noi non siamo loro. E fin qui ci siamo riusciti, a cominciare da Delbono».
Che poi sarebbe l’ex sindaco di Bologna che, tra altre cose, aveva passato un bancomat comunale all’amante. Un ex sindaco che in realtà era inquisito per peculato e abuso d’ufficio e truffa aggravata, ma che in concreto lasciò la poltrona (gliela fece lasciare il Pd) soprattutto per aspetti morali e sessuali dei quali al centrodestra, per contro, non importava nulla. E così, infatti, chiosava Mirko Divani, il manager bolognese che aveva dato il famoso bancomat a Delbono: «Noi siamo gente cresciuta alla vecchia maniera, ci possiamo permettere di fare la morale agli altri».

Poi c’è il caso dell’ex presidente della regione Lazio Piero Marrazzo: fu dapprima accusato di peculato, ma il problema era per tutti - anche e soprattutto per il Pd - che frequentava dei transessuali nonostante fosse un uomo sposato. Il problema fu morale, o moralista. Accadde anche a margine del caso D’Addario, quando nessuno contestò reati al presidente del consiglio ma la campagna fu egualmente furibonda. Anche per il caso Ruby, tutto sommato, l’aspetto strettamente penale resta quello che interessa meno ai giornali e all’opposizione.

RADICI ANTICHE

Può darsi che tutto questo abbia radici antiche. L’allergia dei vecchi dirigenti comunisti verso ogni forma di libertinaggio è abbastanza nota. Il vero compagno poteva andare in balera, ma in discoteca mai. Sul mitico Vie nuove si leggevano meraviglie come queste: «A differenza di quanto avviene nei dancing aristocratici, la danza, qui, non serve a pretesto per conversazioni, schermaglie, flirt; i danzatori sono raccolti in se stessi, intenti al ritmo, coscienti soltanto del gesto che devono compiere». Il virile proletario era opposto al molliccio borghese. E quando Pier Paolo Pasolini, denunciato nel 1949 per atti osceni, fu espulso dal Partito, l’Unità bollò «le deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche». Un certo perbenismo di sinistra nacque allora. Sul periodico comunista Noi donne si apprendeva che il sano uomo comunista doveva distinguersi «per un sobrio comportamento eterosessuale, diverso da quello degli inetti rampolli della borghesia terriera che combinavano libertinaggio e oppressione sociale». Il sano uomo comunista, com’è noto, era però un giustificato frequentatore di casini e case di tolleranza. Può darsi che tutto questo, dicevamo, abbia a che fare, ora, con un rinato bigottismo impastato di femminismo. Ma può darsi anche di no.

di Filippo Facci

Genova, Vincenzi difende il manifesto del Pd: se non ora quando?

partito democratico - manifesto - minigonna

Genova. Paese strano, il nostro, ci verrebbe da dire se fosse concessa la battuta: chi tocca il corpo della donna la passa liscia, chi lo ritrae, invece, va incontro a dei guai.
La relazione tra rappresentazione dei media e corpo femminile è sempre stato al centro dell’interesse di molti analisti e studiosi a vario titolo. Solo qualche mese fa l’Osservatorio di Pavia presentò a Genova una ricerca sui modi in cui la donna è rappresentata nelle televisioni locali liguri.
Ma si pensi al celebre “Chi mi ama mi segua” pensato dall’Agenzia Italia/BBDO, campagna che nel 1971 fu pensata per i “Jesus Jeans” e che recitava inoltre: “Non avrai altro jeans all’infuori di me”. Si immagini come reagirebbe Rocco Buttiglione, ora, a una campagna simile.
Il casus belli adesso è rappresentato dal manifesto voluto dal Pd: in primo piano le gambe di una donna, il vento che evidentemente alza la gonna e lei che prova a tenerla abbassata per non scoprirsi.
Reazione? Polemica. Il movimento “Se non ora quando” che a febbraio portò in tutta Italia milioni di donne a minifestare in particolare contro il Presidente del Consiglio, ma in generale per migliorare e affermare il ruolo della donna in Italia, ha criticato l’utilizzo strumentale della raffigurazione della donna.
In qualche modo fa loro eco direttamente Marta Vincenzi con una lettera aperta indirizzata al SecoloXIX, affermando come il berlusconismo abbia fatto perdere il significato dell’innocenza legato alla donna.
“Chi ha pensato al manifesto aveva in testa cose molto colte, molto raffinate, tra Marilyn Monroe e il gesto delle femministe che – come nel manifesto- si tengono la gonna dicendo la femminilità è mia e me la gestisco io” scrive il primo cittadino.
Non risparmiando critiche a una scelta che comunque ritiene troppo sofisticata, aggiunge: “Ci risiamo con la mercificazione del corpo femminile? Questi sono tempi maledetti. E’ come se gli anni del berlusconismo televisivo dei troppi sederi in tv ci avessero tolto l’innocenza della liberazione. Ci vorrà del tempo prima che nelle gambe scoperte della donna si possa ritornare a leggere l’innocenza della bellezza”. Difesa e attacco, insomma.
E’ necessario perciò ricordare, come fa il sindaco, che la minigonna fosse uno dei principali simboli di riscatto usato dalla donna negli anni Settanta, un segno di libertà e di uso legittimo della sensualità.
Il giornale l’Unità quando ha cambiato direzione e al suo timone ha messo Concita De Gregorio riprese questo simbolo con una minigonna in primo piano proprio per marcare il cambiamento del giornale che diventava “nuova, libera, mini”.
Non male che queste accuse provenienti dal movimento neo-femminista (se è concesso chiamarlo così) siano già state utilizzate da Roberto Castelli, che impugnò questo bel manifesto dell’Unità per dimostrare che anche la sinistra utilizza in maniera strumentale il corpo delle donne.

Se non ora quando


"Credo sia importante non tirarsi fuori dal gioco, coltivando un’autoimmagine rassicurante e confortante, ma cercare nonostante tutto di sviluppare la capacità di vedere, presenti al proprio interno, tutte le caratteristiche del nostro essere umani, comprese le peggiori". Ospitiamo questa volta un contributo di Silvia Papi, ascoltatrice del 'libero spirito', che ci parla delle luci e delle ombre che vivono e convivono dentro ognuno di noi.


di Silvia Papi - 24 Giugno 2011


doppio segreto
Luci e ombre vivono e convivono dentro ognuno di noi
…Siete per sempre coinvolti
Fabrizio De Andrè
Un capitolo, all’interno di un bel libro del teologo tedesco Eugen Drewermann Il messaggio delle donne (pubblicato in italiano da Queriniana) fa riferimento al venerdì santo, il giorno della passione, con parole che, in questi tempi di “guerre umanitarie”, “sbarchi clandestini”, “paura del diverso”, di ipocrisie e corruzione diffuse per ogni dove, vale la pena ascoltare e su cui merita riflettere. Ne riporto alcuni passi:
“In questo mondo è mille volte meglio morire come un bambino che uccidere come un adulto. (…) Perché ci risulta così pesante fare semplicemente ciò che crediamo essere la verità? E perché ci lasciamo costantemente ficcare in testa dai giornali, dalle trasmissioni radiotelevisive, dalla propaganda che la verità non ha alcuna possibilità di successo e che non è lecito viverla – per senso di responsabilità?
Anche un uomo come Pilato non voleva giustiziare Gesù; ma credette di avere il dovere di farlo. Bisogna arrivare a capire questo freddo sadismo del calcolo.
Anche un uomo come Caifa non voleva eliminare Gesù, credeva semplicemente di sapere che non ci si poteva più permettere quel profeta di Nazaret. Bisogna arrivare a capire questo cinismo pragmatico. Altrimenti il venerdì santo non avrà mai fine su questa terra intrisa di sangue.
ombra
È importante vedere al proprio interno tutte le caratteristiche dell'essere umano, anche le peggiori
(…) Ogni ordine, anche se sbagliato, ha il suo esecutore materiale. (…) I peggiori delitti non vengono compiuti per il desiderio di uccidere; è più diabolica l’obbedienza, che ha paura di riflettere per conto suo sul contenuto di determinati ordini. Il predatore più terribile di questo mondo non è la pantera o il leone bensì un tipo umano che ha rinunciato a pensare, delegando la sua responsabilità ai sistemi, ai gradi, alle gerarchie. Quelli che sono sempre innocenti, questi cronici della coscienza pura, questi notissimi attivisti del dovere, sono loro i più tremendi; hanno sempre pronto il loro pretesto, portano sempre con sé il loro bravo certificato attestante che la loro coscienza è candida come il bucato, e alla fine dei conti non sono mai stati loro.
(…) Non portate il cervello all’ammasso; diventate responsabili delle vostre azioni! Se non si rischia la propria libertà, la propria competenza, la propria responsabilità, il venerdì santo tornerà sempre”.
A queste parole desidero fare un’aggiunta, perché credo sia importante non tirarsi fuori dal gioco, coltivando un’autoimmagine rassicurante e confortante, ma cercare nonostante tutto di sviluppare la capacità di vedere, presenti al proprio interno, tutte le caratteristiche del nostro essere umani, comprese le peggiori.
È vero, la vita della maggior parte di noi scorre ai margini dei giochi di potere, lontanissima dai luoghi decisionali, indaffarata nella prosaicità del lavoro quotidiano. In questa condizione - meri osservatori dell’andar del mondo - è però facile tirarsi fuori e pensare se stessi come quelli buoni e bravi, che mai e poi mai…
Di questa certezza ho paura, mi inquieta il non poter riconoscere in sé anche l’ombra del male che, messi alle strette, in situazioni differenti, buie, di pericolo, può agire come non avremmo mai pensato e cambiare la nostra fisionomia. Sento importante chiamarsi in causa, fare sforzo di immedesimazione, comprensione delle ragioni dell’altro, anche se assurde. Questo non per una volontà di giustificazione, ma perché il lavoro di comprensione aiuta noi stessi ad essere autenticamente noi stessi, con tutto ciò di cui siamo fatti, e prendere posizione, opporsi, ribellarsi - o qualsiasi atteggiamento si ritenga giusto nel momento preciso che lo richiede - senza schieramenti fanaticamente ideologici e pericolosi, in senso magari opposto, ma uguale, a quello per cui vorremmo alzar la voce.
dolore
"Il dolore ha sempre preteso il suo posto e i suoi diritti, in una forma o nell’altra. Quel che conta è il modo con cui lo si sopporta"
A questo proposito Etty Hillesum nel suo diario, scritto tra il 1941 e il ’43, diceva:
“(… ) Il marciume che c’è negli altri c’è anche in noi, continuavo a predicare; e non vedo nessun’altra soluzione, veramente non ne vedo nessun’altra, che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappar via il nostro marciume. Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver prima fatto la nostra parte dentro di noi. È l’unica lezione di questa guerra: dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove. (…) La sofferenza non è al di sotto della dignità umana.
Cioè: si può soffrire in modo degno, o indegno dell’uomo. Voglio dire: la maggior parte degli occidentali non capisce l’arte del dolore, e così vive ossessionata da mille paure. E la vita che vive la gente adesso non è più una vera vita, fatta com’è di paura, rassegnazione, amarezza, odio, disperazione. (…) E fa poi gran differenza se in un secolo è l’Inquisizione a far soffrire gli uomini, o la guerra e i pogrom in un altro? Assurdo, come dicono loro?
Il dolore ha sempre preteso il suo posto e i suoi diritti, in una forma o nell’altra. Quel che conta è il modo con cui lo si sopporta, e se si è in grado di integrarlo nella propria vita e, insieme, di accettare ugualmente la vita. (…) Ho il dovere di vivere nel modo migliore e con la massima convinzione, sino all’ultimo respiro (…) Molti di coloro che oggi s’indignano per certe ingiustizie, a ben guardare s’indignano solo perché quelle ingiustizie toccano proprio a loro: quindi non è un’indignazione veramente radicata e profonda”.
Fermiamoci un momento, allora; è arrivato il tempo in cui è indispensabile chiamarci in causa tutti, nessuno escluso, domandarci come e iniziare a rimboccarsi le maniche perché, come recita una frase molto usata ultimamente ma efficace: se non ora quando? Ricordandoci che - come dice bene la canzone - siamo per sempre coinvolti.
Riferimenti bibliografici:
Eugen Drewermann, Il messaggio delle donne. Il sapere dell’amore, Brescia, Queriniana, 2007
Etty Hillesum, Diario (1941-1943), Milano, Adelphi, 1996

Vento di novità ma non per Bersani


Per il Partito Democratico c’è una frase che sopra tutte riassume un’intera politica e un modo di vedere le cose: l’importante è crederci. E già, perché anche quando in Italia continua a governare il centro destra, anche quando il referendum voluto da Di Pietro ottiene il quorum, anche quando a Milano e Napoli vincono due candidati della sinistra estrema, l’importante è crederci.
Sopra ogni cosa. E così, fedeli a questa linea, fanno anche un po’ sorridere le parole del segretario Pier Luigi Bersani, che se in un altro momento storico sarebbe stato un vero politico, uno di quelli d’altri tempi, oggi si trova a mettere il cappello su vittorie che non sono le sue (il referendum, i democrats, non lo avevano nemmeno contemplato) e a dire, a gran voce e credendoci, che il Pd “è il primo partito italiano checché ne dica Berlusconi” e nella famiglia dei socialisti europei “ha un ruolo, una forza e una dimensione”.
Eccolo, Bersani ci è cascato di nuovo. Legittima l’esistenza del suo partito, solo perché di contro, c’è chi come Berlusconi non lo prende nemmeno in considerazione. Tutto in un circolo vizioso, che permette fatalmente allo stesso presidente del Consiglio di dare vita al Pd, proprio in virtù della sua negazione.
Siamo, insomma, ai paradossi. Paradossi che si riflettono all’interno dello stesso partito e che hanno generato creature come Antonio Di Pietro e Nichi Vendola (Sel), che prima di scontrarsi fra di loro, stanno tentando di fagocitare un padre ingombrante. Quel Pd che gli aveva aperto le porte, e che nell’accordo con l’Idv porta ancora i segni di quella coalizione scellerata di veltroniana memoria.
Ma si sa, ormai del passato è inutile parlare. Bisogna andare avanti. E il futuro che attende il partito democratico non è dei più rosei, proprio perché tutti sembrano pronti a dichiarargli guerra rivendicando indipendenza. Così, se fino a ieri avere un programma politico poteva essere qualcosa da sventolare in faccia al centro destra, accusato spesso dal Pd di non averne uno, ora è su quel programma che si gioca il futuro del partito.
Un programma che Di Pietro ha chiesto a gran voce e che potrebbe segnare la svolta definitiva nel Pd. E come se non bastassero tutte le grane interne, ecco che il Pd si prende anche lo sconcerto del comitato nazionale “Se non ora quando”. Tutta colpa dei manifesti della festa democratica, che raffigura un paio di gambe e una gonna che si alza, in stile Marilyn, e sopra lo slogan “Cambia il vento”.
Una protesta che non ci voleva proprio, così come forse non ci voleva una festa, per festeggiare poi cosa. A saperlo. L’unica certezza per il Pd, ora, è che il vento è così cambiato che questa volta saranno i democratici stessi a voler fare alleanze con altri partiti e non il contrario.

A Fabrica di Roma si è costituito il Comitato ” Se non ora quando”


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Si è costituito il Comitato Se Non Ora Quando di Fabrica di Roma che aderisce al Movimento Nazionale nato dalla manifestazione del 13 Febbraio, giorno in cui una grande mobilitazione di donne e uomini ha riempito le piazze per difendere  la dignità delle donne e per riscattare l’immagine dell’Italia.
“Questa grande partecipazione ha contribuito a portare tante donne al governo delle città e a risvegliare uno straordinario spirito civico.
Ma sono solo i primi segnali
L’ultimo rapporto ISTAT ci dice che le donne italiane studiano, si professionalizzano, raggiungono livelli di eccellenza in molti campi
Ma sono donne, vogliono esserlo e questo basta, nel nostro Paese, perché non entrino nel mercato del lavoro (il 50%  è senza occupazione) o perdono il lavoro, spesso precario, se scelgono di diventare madri.
E allora vogliamo difendere noi stesse, il nostro presente e il nostro futuro perché una cosa è chiara: un paese che deprime le donne è vecchio, senza vita, senza speranza.
Mettiamo a punto le nostre idee e  rilanciamo un grande movimento.



Il prossimo appuntamento è il 9-10 luglio a Siena,un grande incontro aperto anche agli uomini, per rendere le
nostre voci più forti e autorevoli. “
Chi vuole aderire al  Comitato  Se Non Ora Quando di Fabrica di Roma può contattare l’Associazione Fab(b)rica delle Donne  nei giorni di lunedì e giovedì dalle ore 16,30 alle ore 18,00 presso la sede di P.za Marconi 11, oppure mandare una mail all’indirizzo faabbricadelledonne@gmail.com oppure telefonare al numero 3297946535
L’adesione non costa nulla e  può essere fatta esclusivamente per la partecipazione al Comitato   senza iscrizione all’Associazione che mette a disposizione la sede e i recapiti.


Il XXI secolo bigotto come il XVII
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Scritto da Gianni Pardo   
venerdì 24 giugno 2011
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"Il comitato nazionale «Se non ora quando» ha espresso sconcerto di fronte alla campagna pubblicitaria lanciata dal Partito democratico romano per lanciare la Festa dell'Unità di Roma”. L’immagine incriminata è nota. Le donne democratiche, da non confondere con quelle antidemocratiche, hanno fieramente protestato per questo uso strumentale del corpo della donna. E dire che l’immagine è spiritosa: gioca sul fatto che sarebbe cambiato il vento, ora a favore della sinistra. Inoltre vuole alludere alla famosa scena di Marilyn Monroe sulla griglia della metropolitana, in “Quando la moglie è in vacanza”. 
Non abbiamo simpatia per la sinistra; non abbiamo simpatia per le feste dell’Unità, sempre viste ricordando Guareschi e i suoi trinariciuti, ma qui si è costretti a difendere il Partito Democratico.
L’epoca contemporanea, le cui istituzioni e le cui idee fondanti risalgono alla Rivoluzione Francese, soffre di una eterogenesi dei fini che personalmente preferiamo chiamare eterogenesi dei risultati: si è partiti dalla volontà di liberarsi di tutti i pregiudizi (la Dea Ragione!) e si è arrivati ad una mentalità forse più oppressiva di quella che precede la Révolution.
Prima dell’Illuminismo la Norma Morale era dettata dalla religione. Non bisognava uccidere perché lo vietava il Quinto Comandamento; i figli dovevano rispettare i genitori perché l’imponeva il Quarto e andando a trovare un amico malato si obbediva ad uno degli imperative delle opere di misericordia. Con l’Illuminismo ci si sentì liberi dagli imperativi religiosi e i lazzaretti, tempio della pietà e del soccorso cristiani, divennero i moderni ospedali in cui lo Stato, in assenza di suore, si occupa della salute dei propri cittadini. Le norme passarono da una base religiosa ad una base prevalentemente giuridica: dal peccato al reato.
Nella vita civile si ebbe una sorta di attuazione dell’imperativo categorico: io non evito di ferire un altro uomo perché me lo vieta la religione, ma perché me lo vieta lo Stato e io stesso sento che non devo farlo. Lo sento perché immagino che lui ne soffrirebbe come ne soffrirei io al suo posto. Si è dunque passati dai Comandamenti al codice, dal codice all’imperativo categorico e dall’imperativo categorico all’empatia.
Questo ha indubbiamente rappresentato un grande progresso. L’umanità civile ha ripudiato la discriminazione della donna, il razzismo e perfino, meritoriamente, la crudeltà nei confronti degli animali. Ma le religioni cui arride troppo successo (basti pensare all’Islàm) arrivano ad un bigottismo neomedievale. Non ci si limita più all’empatia evidente, la si spinge fino a soccorrere chi non vuole essere soccorso. La modella che ha posato per la castissima foto sarà stata contenta del complimento fatto alle sue gambe e del denaro guadagnato, le anime belle del Comitato hanno immaginato che ella soffrisse di vedere “usare” la sua immagine. Bisognava protestare. E anche se la ragazza affermasse di essere stata perfettamente consenziente e per nulla ferita, le matrone ubriache di empatia direbbero che la poverina è talmente condizionata da non capire che la maltrattano. Ma loro la proteggeranno, che lo voglia o no. Qualcosa come le conversioni forzate dell’alto Medio Evo.
Questo atteggiamento – che non è solo di quel Comitato - ha condotto agli eccessi della political correctness. Gli americani non chiamano più bianchi i bianchi per paura che qualcuno li contrapponga ai neri. Questi del resto ora sono afro-americani. E i bianchi sono solo caucasici. Ai bambini non si può mettere un brutto voto: non importa che lo meritino, il fatto è che potrebbero soffrirne. Un cieco è stato chiamato cieco per tutta la vita ma le vestali e i sacerdoti dell’empatia si chiedono: come mi sentirei, se mi chiamassero cieco? Senza rendersi conto che, se fossero ciechi, ci avrebbero fatto l’abitudine. E senza rendersi conto che sono loro, cambiandolo, che rendono il termine precedente offensivo. È così che gli spazzini sono divenuti prima netturbini e poi operatori ecologici. In futuro che cosa diverranno, eliminatori di problemi casalinghi, raccoglitori di surplus indesiderati, artisti della scopa?
La nostra società è divenuta ipersensibile fino allo scrupolo ridicolo, fino all’invadenza, fino alla follia. La nuova religione ha i suoi fanatici che sarebbero lieti di accendere roghi. Se non si possono mostrare due gambe di ragazza in un manifesto, per favore, risuscitate Voltaire e tutto il Settecento francese. Ne abbiamo di nuovo bisogno.
giannipardo@libero.it, www.dailyblog.it

TRANQUILLI, NON C’E’ NESSUN INCIUCIO, ABBIAMO SEMPRE PIU’ VOGLIA DI MANDARLO A CASA

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Se c’è qualcuno che crede che Antonio Di Pietro possa diventare uno Scilipoti qualunque lo dica chiaramente. La cortesia  è un conto (il premier si è seduto accanto a lui, francamente non poteva prenderlo a pedate!), l’inciucio un altro. Se qualcuno pensa che Di Pietro possa aver fatto un intrallazzo con il presidente del Consiglio lo dichiari pubblicamente, lo posti su facebook, lo scriva a commento di questo blog oppure sul suo.
Chiunque conosca anche un po’ della sua storia, anche se non simpatizza per lui, non può pensare nulla di tutto ciò. Qualcuno dirà che se ne sono viste talmente tante che niente più è impossibile. E’ vero, di trasformisti è pieno il Parlamento, ma non si è mai visto un leader nato e cresciuto nel centrosinistra favorire  il suo principale avversario politico.
Qualcuno potrebbe citarmi Dini e Mastella, ma si tratta di un’altra questione come qualsiasi persona mastichi un po’ di politica potrà confermare. Si tratta di personaggi politici (non leader) sempre border line, al confine tra destra e sinistra che hanno contribuito allo squallore e al declino della classe dirigente del nostro Paese.
Di Pietro, se mi consentite, ha un’altra stoffa, un altro carattere e, soprattutto, un’altra coerenza. L’antiberlusconismo è stata una delle bandiere per il suo impegno sin dal suo ingresso in politica. Devo ricordare a qualcuno che Berlusconi gli propose di diventare ministro del suo primo governo, nel ’94, e che Antonio rifiutò?
Di Pietro è stato criticato anche perché nel suo intervento in aula ieri ha bacchettato il Pd. Io credo che abbia fatto bene. I re tentenna non hanno mai fatto la storia se non in negativo. Qualche mese fa un movimento tutto femminile assunse come slogan “se non ora quando”. Da allora una valanga di proteste nelle piazze e di voti nelle urne ha ormai chiarito che la maggioranza parlamentare non è più maggioranza nel Paese. Molti sondaggi, l’ultimo a Ballarò martedì scorso, ci dicono che una parte di cittadini preferisce ancora il centrodestra perché nell’opposizione le idee non sono ancora chiare. Non c’è un leader, non c’è un programma, non c’è una coalizione.
Ebbene, il “se non ora quando” non è infinito e il tempo a disposizione che ci hanno dato i cittadini potrebbe anche scadere. Inoltre dobbiamo impedire a Berlusconi di riorganizzare le sue truppe, mediatiche, lobbistiche e parlamentari. Proprio per questo è indispensabile che Bersani si metta immediatamente al lavoro. E’ necessario dare una risposta alle aspettative della nostra gente che aspetta soltanto chiarezza per dare la spallata finale, magari con una grandiosa manifestazione nazionale in autunno, a Berlusconi e ai suoi amici della P4.
Ma è arrivato anche il tempo della proposta, quella di Di Pietro molti l’hanno definita una svolta moderata. Io dico che si tratta semplicemente di un passaggio dalla sola protesta a una fase mista che coniughi la opposizione senza sconti alla proposta. Finché ci sarà questo governo continueremo a provare a mandarlo a casa, ma contemporaneamente spiegheremo cosa vogliamo fare quando siederemo noi nei banchi della maggioranza con una rinnovata coalizione di centrosinistra. I problemi del Paese aumentano e dobbiamo trovare subito la strada per cominciare a risolverli. SE NON ORA,QUANDO!

Finalmente ora anche alla sinistra piacciono le gambe delle donne

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Per lanciare la Festa dell’Unità, il Pd azzarda una citazione di Marilyn Monroe. Ma parte il coro moralista "de sinistra": dalle vetero femministe alla Camusso

Roma E per fortuna non hanno preso il «lato B». Della fresca ragazzotta scelta per il manifesto che pubblicizza la festa romana dell’Unità si vede tutt’altro: due gambette sgambettanti, forse vogliose di movimento, di corsa, scoperte da una folata impertinente. «Cambia il vento», ammicca la scritta evocando le recenti vittorie elettorali (presunte, se pensiamo al Pd).
Banale citazione da Marilyn Monroe del film Quando la moglie è in vacanza (Billy Wilder, 1955, vaporosa gonna bianca gonfiata dal vento del metrò). Segnale di ritrovata libertà, se non di libertarismo, dimostrazione che finalmente all’alba del nuovo millennio anche alla sinistra piacciono le gambe delle donne? Macché. Per carità. Lasciamo perdere.
Appena affisso, il manifesto pubblicitario ha sollevato - magari raggiungendo anche l’effetto voluto - il classico inutile polverone di proteste, distinguo, indignazioni.
Per prime si sono scandalizzate quelle del coordinamento «Se non ora quando?», le signore scese in piazza a difendere l’onore femminile messo in crisi dalle inchieste sulle «ragazze dell’Olgettina», che si sono definite «sconcertate, stupite e attonite». S’è quindi mobilitato il Telefono Rosa (sì, anche i telefoni hanno una dignità, e un presidente talvolta donna), «offeso» per l’evidente «lesione», che ha minacciato senza ironia il boicottaggio della festa se l’«oggetto misterioso» non verrà ritirato quanto prima. Poteva mancare la conferenza regionale e romana delle donne del Pd? Non poteva, e s’è dissociata «fortemente, ribadendo che l’uso strumentale del corpo delle donne è bandito dalla nostra cultura e azione politica». Chi mancava? Qualche pezzo grosso? Ce l’abbiamo: il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, interpellata sull’argomento ha trovato il tempo per dire la banalità tanto attesa e denunciare, nella società degli uomini, una latente «invidia delle donne e mancanza di originalità».
Sul web s’è così scatenata la caccia alle (delle?) streghe, con proteste grondanti collera e l’autoironica richiesta di «Tafazzi segretario».
Per fortuna, sia il movimento delle lesbiche e dei transessuali, sia i giovani pidini, hanno rimesso in piedi un minimo di senso della misura. Prendendo partito senz’altro per le gambette. Se si vuole spezzare una lancia in tal direzione non è però tanto per proteggere dalla furia erinnica la segreteria romana del Pd, che s’è costretta a una lacrimevole autodifesa («Un paio di gambe sono automaticamente equiparabili a un’immagine offensiva o volgare come quelle delle «Olgettine»? Qual è il confine oltre il quale comincia la mercificazione? È davvero riprovevole quella citazione di Marilyn? Perché non ne discutiamo alla festa?», ha guaito il segretario Miccoli).
Sembra di rivederli i compagni trinariciuti degli anni andati, inchiodati all’impagabile rito del «dibattito». «Compagne, cercate di capirci. Non volevamo offendervi! Discutiamone...». Eppure è dal Dopoguerra che in Italia si fronteggiano ancora le stesse due sinistre, lontane antropologicamente e dunque inconciliabili tra loro. Una, intrisa di moralismo bacchettone e femminismo anacronistico, ancora si autorappresenta triste, povera, possibilmente brutta e incline alla bruttezza, refrattario al senso estetico, alla joie de vivre come all’esprit de finesse. Un protocomunismo che si sposa alla perfezione con quanti, della religione, prediligono la parte autoflagellante. Il cilicio e la mortificazione. 
Piuttosto che le gambette «spontanee e frizzanti» (come le ha definite l’assessore provinciale del Pd, Prestipino), magari costoro avrebbero preferito la capigliatura della Bindi scossa dal vento.
Davvero torna in mente Moretti, quello del «continuiamo così, facciamoci del male».  

Se non ora quando un paese per donne? Il raduno di Siena

Sabato 25.06.2011 13:00
di Carlotta Addante

"whatWOMENwant. Donne o manichini?" è la mostra fotografica di Valentina Cusano, fotografa e direttore artistico presso l'Accademia dello Spettacolo di Milano. Le foto sono state esposte nel locale milanese "Le Maschere" dal 18 maggio al 21 giugno e sono in attesa di una nuova destinazione. La mostra è composta da una serie di fotografie di manichini di donna in vetrina e vuole denunciare la mercificazione del corpo femminile nella società moderna. “Vogliamo essere trattate come manichini o per quello che abbiamo dentro?", si è chiesta Valentina mentre usciva ogni notte per fotografare le vetrine in diverse città.



LE IMMAGINI


Le donne del comitato Se non ora quando, dopo il grande successo della manifestazione del 13 febbraio scorso, tornano a far sentire la loro voce il 9-10 luglio con una riunione nazionale aperta a tutti. "Molla tutto e vieni a Siena", è il leitmotiv del video di promozione dell'evento realizzato da Cristina Comencini con protagoniste le attrici Claudia Pandolfi e Valentina Lodovini.
"Se non ora quando è un grande patto tra donne dove confluiscono sia diverse associazioni femminili che donne singole - spiega ad Affaritaliani Laura Onofri dell'Associazione Di Nuovo. "Siena è la prima tappa dove riunirci tutte, anche chi è nato dopo il 13 febbraio, e iniziare a costruire insieme la nostra rete". I temi saranno ovviamente le donne, in particolare l'immagine distorta che di loro passa sui media ma anche i problemi relativi al mondo del lavoro e alla maternità.
I dati Istat parlano chiaro, come si può leggere sul sito del comitato dedicato all'evento senonoraquandosiena910luglio.wordpress.com: "le donne italiane studiano, si professionalizzano, raggiungono livelli di eccellenza in molti campi. Ma sono donne, vogliono esserlo, e questo basta, nel nostro Paese, perché non entrino nel mercato del lavoro (il 50% è senza occupazione) o perdano il lavoro, spesso precario, se scelgono di diventare madri".
"Saranno due giorni pieni - assicura Laura Onofri - e sicuramente interattivi perché dal successo a teatro dello spettacolo Libere di Cristina Comenicini abbiamo capito che serve un nuovo linguaggio delle donne e sulle donne". Perché è stata scelta proprio la città di Siena come luogo di ritrovo? "Prima di tutto perché a Siena abbiamo riscontrato una grande disponibilità, anche da parte del sindaco, tanto che ci è stata data una bellissima location, Santa Maria della Scala. Secondariamente non volevamo essere sempre romanocentriche e Siena è una città turistica di media dimensioni con molta ricettività alberghiera ed è un punto d'incontro comodo per tutte. E poi 25 anni fa a Siena c'è stata una riunione importante del movimento delle donne…”.
Appuntamento quindi per tutti, uomini compresi, il 9 e 10 luglio a Santa Maria della Scala a Siena perché SE NON ORA QUANDO UN PAESE PER DONNE?

Se non ora, quando? [lettera aperta a Concita De Gregorio]


Cara Concita,
ogni tanto mi è capitato di affacciarmi sul tuo blog, o sullo spazio dei commenti del giornale da te così brillantemente diretto sino ad ora, un giornale che, dico senza mezzi termini, non mi piaceva molto prima del tuo insediamento. In questi tre anni mi è capitato di leggerlo spesso, in unione all’altro che stabilmente gira per casa il Manifesto, parente stretto del primo PCI, parente insofferente all’epoca, e conseguentemente ripudiato. Ho deciso di scriverti perché, al di là delle considerazioni ovvie ribadite da più parti in questi giorni difficili, credo che la tua professionalità, ma ancor prima la tua onestà intellettuale di cui hai fornito esempi chiarissimi in questo periodo, ti imponga in parte di fare chiarezza sui fatti che, temo, ti abbiano veduto inconsapevole protagonista. Senza dilungarmi oltre misura, la tua uscita dal quotidiano fondato da Gramsci, ha tanto di epurazione vecchia maniera, pure un tantino sciocca se confermata, atto conseguente alle critiche nemmeno tanto velate di Massimo D’Alema quando, commentando alcuni attacchi a lui rivolti dal tuo giornale, in ossequio alla correttezza dell’informazione indipendente da tutto e dai tanti di cui ti sei fatta sempre carico, ha parlato testualmente  di manifestazioni di primitivismo politico pericoloso. Che poi è stato il tuo marchio di fabbrica per così dire; un giornale nuovo, mai appiattito sulle posizioni ufficiali del partito, esempio di giornalismo raro, di questi tempi. Valore aggiunto sempre più raro. A questo aggiungiamo, i rumors circa la prossima candidatura del proprietario ed editore Renato Soru con sempre D’Alema al centro delle operazioni, nonché un certo fastidio all’indipendenza dell’informazione tutta in generale, ecco allora che il quadro assume tinte fosche. E dico poco. In questa nota però vorrei riflettere su di un aspetto rimasto, secondo me, in secondo piano e che merita di essere evidenziato, per cui torno indietro di qualche giorno.  Il PD e non solo lui, ha probabilmente sottovalutato un elemento fondamentale riguardante, ma vorrei dire costituente, la bella affermazione delle amministrative prima e subito dopo, dei referendum, che hanno sicuramente sancito un declino probabilmente irreversibile, ed io lo spero in maniera forte, del berlusconismo e dei suoi derivati. Ma se andassimo ad analizzare in profondità quello che è accaduto, potremmo persino cogliere altri aspetti, non meno importanti della storia recentissima del paese. L’onda nuova e per alcuni aspetti anomala, del rinnovamento ha, secondo il mio pensiero, una data precisa. Mi riferisco alla grandiosa e colorata manifestazione delle donne del febbraio di quest’anno. Manifestazione che ha tenuto a battesimo il comitato se non ora quando, con la partecipazione attiva di molte donne della cultura e della società civile a cui, il giornale fondato da Antonio Gramsci da te diretto in maniera egregia in questi tre anni, ha dato voce e risonanza. Questo per dire che quella giornata bellissima ci appartiene, ti appartiene e insieme abbiamo il dovere, ma pure il diritto di riproporla continuamente nel quotidiano, nel vissuto delle persone tutte. Da lì, o perlomeno anche da lì, trae origine quel vento fresco e pulito, tanto portatore di cambiamento  che imperversa nel nostro paese, contribuendo da allora, a veri e propri attacchi di panico isterico delle destre. Manifestazioni scomposte che potrebbero determinare l’implosione dell’uomo di Arcore. Ora mi chiedo e ti chiedo soprattutto. Per come la so io, tu hai contribuito non poco a quel levarsi della brezza benefica a cui facciamo riferimento, avendo dato voce al comitato espresso dalla società civile, e alle tante voci dissonanti che poco spazio trovano nella stampa prezzolata di regime. Come puoi ora lasciare tutto in uno stato avvilente ed inquietante al tempo, senza fornire a  noi, che in quel vento abbiamo creduto e a cui continuiamo a guardare, come se non unica certamente decisiva speranza di svolta democratica. Magari colorata di arancione, sul modello di lotta che ha prodotto l’affermazione di un’altra bella persona come Giuliano Piasapia. Aria Nuova intitolavi così il tuo editoriale del 17 Maggio e mai titolo sembrò più indovinato; sappiamo poi come è andata. Ma l’opera è tutt’ora incompleta. Quello scenario da tanto atteso, deve necessariamente essere il trampolino per le prossime politiche, o comunque, costituire un bastione naturale contro l’arroganza ed il malcostume di certa politica sempre molto autoreferenziale e prepotente. Non puoi defilarti così, lasciando i tuoi tanti lettori nei dubbi amletici di sempre, nell’incertezza che coglie chi certi avvicendamenti li può solo osservare da lontano. La faccio breve: raccontaci la tua verità e qualunque essa sia, ti saremo grati per averci permesso di capire “altro”, ché a noi piccoli uomini, è spesso negato e precluso. Fallo presto, se non ora, quando?
Grazie. 
Con Simpatia,
Guido.

Liliana Meinero: "Faccio parte della maggioranza, ma non ne condivido ogni decisione in modo acritico"

La consigliera de "La Città Aperta" risponde alla lettera della signora Marta Bessone

Liliana Meinero
Gent.ma Sig.ra Bessone,
innanzi tutto devo dire che mi ha fatto molto piacere leggere le sue considerazioni di cittadina attenta a cio’ che avviene nella sua città: penso che una partecipazione attiva da parte di tutti ed un dialogo aperto con gli amministratori siano la chiave di svolta per una nuova politica fatta “dal basso” , non chiusa nei palazzi o nei centri decisionali, ma basata su un contatto diretto ed un confronto democratico continuo; non possiamo continuare a dare “ deleghe in bianco”.
Entrando nel merito della questione da lei posta e che mi riguarda vorrei chiarire la mia posizione: sì, faccio parte della maggioranza e sono d’accordo con lei sul fatto che il Sindaco avrebbe il dovere di ascoltare i Consiglieri: purtroppo sono l’unica rappresentante di un piccolo gruppo (la Città Aperta) ed il mio “potere contrattuale” è molto basso: nella politica contano i numeri!
Il Consiglio Comunale è come una grande famiglia: si condividono le scelte di fondo, cioè le linee-guida dettate dal programma a suo tempo sottoscritto, ma su certe questioni a volte ci si scontra: capita nelle migliori famiglie! Importante è condividere un percorso, ma altrettanto importante è il confronto dialettico continuo che, purtroppo o per fortuna, a volte si manifesta in modo piu’evidente per battaglie cui un singolo non puo’ rinunciare.
Di fronte alle scelte del Sindaco Valmaggia in merito alle nomine non ho potuto tacere né accettare il suo operato solo perchè appartengo alla maggioranza: il mio senso civico e morale non me lo hanno permesso: voglio essere coerente con me stessa e con le mie idee. Penso che far parte di una maggioranza significhi comunque porsi con atteggiamento critico e costruttivo e non avallare tutto pur di dare il senso di compattezza: non lo ritengo onesto. Quello della presenza femminile è un problema lontano dall’essere risolto: la mentalità predominante in politica è quella maschile e la cultura imperante non prevede che noi donne abbiamo le stesse possibilità date agli uomini (... non solo in politica!).
Le donne devono essere presenti nelle istituzioni e nei centri decisionali per poter incidere sulle scelte fatte: uscirne significa fare opinione e nulla piu’: quindi mi riconosco nella maggioranza di cui faccio parte, ma per questo non ritengo di dover supinamente ed in modo acritico condividere tutte le decisioni: l’apporto di tutti deve essere critico anche per rispetto nei confronti dei concittadini che si rappresentano.
Pertanto su questo e su altri temi ritengo di difendere la mia posizione e portare avanti le mie lotte perché ci credo e spero che, dall’interno, sia possibile almeno scalfire un po’ questa mentalità che non posso condividere. Non entro nel merito degli altri punti da lei evidenziati, altrettanto importanti, per non dilungarmi troppo: spero di aver chiarito la mia personale posizione all’interno della maggioranza di cui faccio parte e la invito a partecipare attivamente alla “res publica”, magari presenziando alle sedute del Consiglio Comunale e delle commissioni.
Se le interessano le tematiche della partecipazione delle donne la invito alle riunioni del gruppo, nato dopo la bellissima manifestazione del 13 febbraio a Cuneo, “SE NON ORA QUANDO” : ci troviamo il primo mercoledì di ogni mese alle ore 21 in Piazza Galimberti 5 c/o Altrospazio e stiamo portando avanti interessanti progetti politici e non solo in favore delle donne.
La ringrazio per l’attenzione: se desidera comunicare con i Consiglieri Comunali, sappia che ognuno di noi ha un proprio indirizzo mail formato dal nome e cognome del singolo:il mio è: liliana.meinero(at)comune.cuneo.it .
Liliana Meinero


  TESTE AL VENTO



di Vittoria Tola 25 giugno 2011

Ritengo che l'uso sessista e stereotipato della figura femminile, ma anche della figura maschile, non siano un incidente stupido di percorso, ma rivelino qualcos'altro.
Cambia il vento dice il manifesto della festa romana del Pd, c'è da chiedersi chi infastidisca questo vento politico di cambiamento?
Una giovane donna a cui alza le gonne, un uomo che lavora e che porta la cravatta che viene fatta volare per aria, a mò di cappio. Nell'una nè l'altro hanno un corpo intero nè tanto meno una faccia e naturalmente un cervello o delle convinzioni. Rappresentanti di un'Italia anonima che il Pd vuole trascinare nel cambiamento e alla Festa dell'Unità, il Pd come artefice del cambiamento stesso e di un nuovo corso politico.

Per liberarsi di Berlusconi, per tornare al governo. Da che si dovrebbe dedurre che il soggetto fondamentale del cambiamento sia il PD, ma tutti, ma proprio tutti e tutte sappiamo che non è cosi'. Il cambiamento l'ha prodotto la partecipazione e la sofferenza per le nostre condizione di vita e per il gorgo in cui è precipitato il paese  a cui i giovani, uomini e donne della scuola, dell'università, della cultura, dei cassintegrati della Fiom, dei precari, dei pastori sardi, dei terremotati abruzzesi, tutti rigorosamente uomini e donne, si sono opposti.

Fino a che le donne hanno unificato tutti e tutte nella manifestazione, nelle manifestazioni, del 13 febbraio per dire basta e suonare la riscossa, proseguita nelle elezioni amministrative e nella straordinaria partecipazione ai referendum dove le donne nei comitati, sopratutto dell'acqua, sono tornate centrali. E il Pd che pure contribuisce a questo percorso a Roma lo disconosce, se ne attribuisce con due manifesti il merito unico e riduce donne e uomini, sopratutto giovani, da soggetto a oggetto del cambiamento. Li decapita e ne fa un oggetto attraverso uno stereoptipo che per le donne non è altro che la solita immagine ammicante e sessista.

Un'idea di politica diversa e di buona politica -come tanta parte degli e delle italiane ha chiesto- non riescono ad esprimerla forse perchè non riescono a immaginarla. Per questo continuano con un uso stupido del corpo femminile e che Berlusconi e il berlusconismo hanno portato al limite estremo,come dimostra per esempio il filmato della Zanardo,che evidentemente il PD di Roma non ha mai visto. E continua a guardare in modo strabico il paese, per vederlo e capirlo  questo paese bisogna viverci e vederlo nella sua realtà  e non interpretarlo sempre e comunque attraverso l'italietta dei soliti noti e con l'idea che la politica si vende come qualunque merce. Questa è davvero la subalternità al berlusconismo che a sua volta interpreta la pancia profonda di molti, per fortuna non tutti, uomini italiani.

Se nel PD questi uomini esistono così come esistono donne intelligenti e capaci di capire cosa sta succedendo e che la comunicazione politica non è vendere creme depilatorie o cravate non smosse dal vento dentro rigidi doppiopetto è il momento, (se non ora quando?) di battere un colpo e di dire che attraverso le donne quel manifesto offende tutte e tutti coloro che si sono spesi, e hanno intenzione di continuare a spendersi, per il cambiamento della politica in Italia. Perchè sono loro ad aver sollevato quel vento che certo a tutto serve meno che a sollevare gonne o strizzare cravatte.


TRAPANI: LUNEDI
INCONTRO CGIL SU DONNE E LAVORO

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TRAPANI "Donne... se non ora quando. Lavoro, sviluppo, previdenza". É il tema dell'incontro che lo Spi - Cgil terrá lunedí alle 10, nella sala conferenze dell'Hotel Baia dei Mulini (Lungomare Dante Alighieri - Erice mare Tp). All'incontro, che sará presieduto dalla segretaria provinciale dello Spi - Cgil di Trapani Antonella Granello, interverranno il segretario generale dello Spi - Cgil Sicilia Saverio Piccione, la segretaria generale della Cgil di Trapani Mimma Argurio, la consigliera provinciale pari opportunitá Fina Maltese e la componente della segreteria provinciale dello Spi - Cgil Concetta Daidone. Le conclusioni dei lavori saranno affidate alla responsabile regionale del coordinamento donne dello Spi - Cgil Sicilia, Giuseppina Rotella. (ITALPRESS)