PER RIPRENDERCI LA NOSTRA DIGNITA'

sabato 14 maggio 2011

14 MAGGIO: RASSEGNA STAMPA

Nel letto del nemico

Foggia – SE qualcuno mi chiedesse di commentare il modo di argomentare della politica italiana, avrei serie difficoltà a compiere una sintesi. Avvertirei uno disagio a comprendere cosa spinge un esponente politico ad attaccare l’avversario non sul campo delle idee, delle capacità, delle promesse mancate o dei finti proclami (sorrido pensando a quanti ne sentiamo quotidianamente, se solo qualcuno avesse il coraggio di raccoglierli per evidenziare il vuoto a perdere che caratterizza chi li pronuncia!). Eppure, ritornando all’interrogativo di partenza, ecco che al centro dell’argomentare non è l’amministrazione della cosa pubblica ma, nel rispetto delle commedie sexy degli anni settanta-ottanta, si indaga sulle abitudini sessuali dell’avversario.

Sia ben chiaro, lo scandalo eterosessuale non fa notizia, siamo abituati ad attempati signori circondati da ragazzine aspiranti starlet. Quindi, il popolo del viagra, al suono del “ce l’ho duro” di memoria leghista, è pronto a scagliarsi sulle scelte di una sessualità diversa. È consapevole di ciò il Presidente della nostra Regione, Nichi Vendola, che da tempo si trova a combattere gli attacchi dagli spalti avversari per la sua dichiarata omosessualità. Un esempio significativo risale al novembre scorso quando il Presidente del Consiglio dei Ministri annuncia che “è meglio amare le belle donne che essere gay“. Mi sembra di poterle collocare quelle parole.

Immagino la piazza di un paese, anche qualcuno dei nostri, un bar, una serie di tavolini e sedie e la frase che squarcia il silenzio. Nella sua leggerezza la parola è pronta a cogliere l’avversario accompagnata da sorrisi, smorfie, gomitate e quel solito alludere all’orecchio. Fa male, un dolore che è il peso del misconoscimento, dell’allontanamento dall’altro. Premesso che le scelte di condivisione del nostro letto dovrebbero appartenere esclusivamente a noi, esattamente come tutto ciò che rientra nella sfera personalissima; l’esternazione scelta è significativa, ma è solo una delle tante. Si pensi che nel giro di qualche giorno, nello scorso mese di febbraio, nel pieno Rubygate (che di squallido non ha da invidiare nulla a nessuno), emergono due poderosi attacchi a Vendola. Il primo proveniente dalle pagine della Padania del 10 febbraio, ove Giuseppe Reguzzoni dichiara: “[…]conati di vomito, impulsi di schifo a pensare che questa sarebbe l’alternativa democratica, uno dei possibili futuri premier di questo sciagurato paese”. Sciagurato paese, appunto. Quelli sono i giorni della grande mobilitazione femminile del “Se non ora quando”, appoggiata dal leader SEL, ecco che il Giornale assolve alla buona azione quotidiana, pubblicando le foto di un Vendola frequentante un campo nudista di oltre trent’anni fa. Che c’azzecca direbbe qualcuno. E io cerco di mutuarlo per capire (senza successo), quale colpa deve pagare una persona che, invece, dovrebbe essere giudicata per meriti o demeriti ottenuti nell’amministrazione della cosa comune. La forza di Vendola va avanti fin dal lontano 1985 da quando, giovane militante, rilasciò una dichiarazione che è stata portata avanti con la valenza dello stillicidio.

Ironia della sorte vuole che il Capezzone della prima ora, quello radicale, bisessuale, venne accostato alle idee del leader pugliese e attaccato dalla medesima stampa. Lo scenario muta quando lo stesso, folgorato sulla strada per Arcore, diviene addirittura estimatore delle veline. Ma le sorprese non sono mai troppe e domenica scorsa è giunto l’ultimo attacco. È stata sicuramente una sorpresa per molti. Durante un comizio a Bologna, Beppe Grillo, sorprende tutti salutando Vendola con l’appellativo “busone”. In bolognese quel termine equivale al più nostrano ricchione. Si, proprio lui, quello dei vaffa… a tutti coloro che non comprendono il popolo, classifica e giudica la sessualità. Nichi Vendola, in modo sobrio e dignitoso, si è limitato a sottolineare il contenitore omofobico e sessofobico di un discorso del genere.

In realtà, già nello scorso mese di novembre vi era stato un attacco tra i due personaggi. In quell’occasione, però, così come era doveroso, il tutto era rimasto nell’ambito della discussione politica. Nell’occasione più recente, evidentemente, il Metodo “Boffo” di feltriana memoria, ha fatto strada e allora giù, tutti ad abbattere il nemico, attaccando il privato. Ma perché non si chiede il conto a un eterosessuale delle sue preferenze, di indagare tra le lenzuola. Ieri come oggi, il sistema riproduce se stesso offrendo stereotipati cliché che generazione dopo generazione hanno accompagnato lacrime, sospiri, sofferenze. E per quante campagne mediatiche si possano fare, spesso non si alza un dito per aiutare chi si legge diverso dai canoni prestabiliti. O forse un dito si muove, ma solo per indicare il pollice verso.

Credo che magistrale sia stata la risposta che Nichi Vendola ha offerto durante una puntata di Annozero di Michele Santoro dello scorso febbraio. Il leader di SEL ha sintetizzato, in risposta alle solite accuse di un vecchio signore di Arcore, di non rimproverarsi nulla, di non doversi vergognare, di essere riuscito a rompere una maledizione che si vuole raccolta in una frase di Oscar Wilde che guarda all’omosessualità come: “l’amore che non osa pronunciare il suo nome”.

(A cura di Gianfranco Meneo)

Ancora una volta Striscia la Notizia si scaglia contro Lorella Zanardo, solidarietà da parte del Comitato Se non ora quando - Vallo di Diano

Ancora una volta Striscia la Notizia si scaglia contro Lorella Zanardo e il suo documentario Il corpo delle donne, come riporta la stessa Zanardo nel suo blog. In attesa di vedere il servizio che Striscia la Notizia metterà in onda,il Comitato nazionale Se non ora quando esprime solidarietà a Lorella Zanardo, perchè l’attacco a cui è stata più volte sottoposta è il medesimo che abbiamo subito in occasione della mobilitazione del 13 febbraio. E`un attacco che mostra quanto sia pretestuosa l’accusa di moralismo o elitarismo nei confronti di movimenti e singoli che criticano apertamente i modelli di rappresentazione della donna in Italia.
Come nel caso del 13 febbraio, ribadiamo la differenza tra la critica alla rappresentazione (e manipolazione) del corpo femminile e la critica alle donne inserite in questo sistema di rappresentazione. La confusione tra questi due punti di vista ha alimentato l’accusa di moralizzare e di distinguere tra donne per bene e donne per male. Da entrambe le accuse ci smarchiamo, esprimendo solidarietà a Lorella Zanardo e al suo prezioso lavoro, che per noi, componenti del Comitato- Vallo di Diano, è fonte inesauribile di spunti e riflessioni da mettere in campo ogniqualvolta facciamo visionare il suo video nei confronti pubblici.

Comitato Se non ora quando-Vallo di Diano

Pd, Udc, Fli e Psi insieme per una donna: se non ora quando?

Si chiama Iris Volante ed è uno dei sei candidati sindaco per il comune di Cassino (Frosinone). E’ appoggiata da una coalizione “spericolata” e ha scelto come slogan elettorale il motto delle manifestazioni femminili contro il premier. L’INTERVISTA



di Chiara Ribichini

Ha scelto come slogan elettorale un motto della piazza femminile dei nostri giorni. Quel “Se non ora quando” che, lo scorso 13 febbraio, ha portato nelle strade italiane e del mondo milioni di persone in difesa della dignità delle donne e contro il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Si chiama Iris Volante ed è uno dei sei candidati sindaco per Cassino, un comune in provincia di Frosinone ora commissariato dopo lo scioglimento della giunta di centrodestra per mancata approvazione del bilancio di previsione a causa dell'assenza del numero legale. I manifesti con la sua foto e con la scritta “Se non ora quando” campeggiano per le vie della cittadina di quasi 36 mila abitanti. E sulla pagina di Facebook del movimento nato dopo la manifestazione delle donne “offese dal caso Ruby” è stata subito accusata di aver rubato un motto che non le appartiene. “Mi dispiace che qualcuno l’abbia presa male. Io l’ho scelto perché lo trovo uno spot molto bello e che mi calza a pennello. Esprime al meglio ciò che sono e ciò che voglio essere per la mia città. Quel cambiamento che a Cassino non può più essere rimandato. Per questo dico: se non ora quando?”.

Lo slogan di Iris Volante parla dunque di cambiamento e, ovviamente, anche di donne. “Sono una ginecologa e proprio grazie al mio lavoro ho un rapporto molto forte con le donne. Per questo sento di poterle rappresentare nel miglior modo. Conosco le loro esigenze, i loro problemi, la loro forza e debolezza”. Il motto scelto dalla 57enne aspirante sindaco per i suoi manifesti elettorali non ha però alcun collegamento con il caso Ruby, nonostante finisca inevitabilmente per evocarlo. La manifestazione del 13 febbraio scorso era nata infatti proprio per difendere la dignità delle donne, offesa dalle feste di Arcore dettagliatamente riportate sui giornali (qui le foto delle ragazze del Rubygate). “Anche da parte mia sicuramente un po’ di indignazione c’è. Ripeto: sono una ginecologa e per me la procreazione e tutto ciò che ruota intorno a questa hanno un valore molto alto”.

Iris Volante, mamma di tre figlie e nonna di un nipotino, potrebbe essere la prima donna a conquistare la poltrona di primo cittadino di Cassino dal 1946. “Il mio principale avversario è Carmelo Palumbo, che è un medico come me ed è appoggiato da 10 liste civiche più il Pdl”. Lei, invece, è sostenuta da una coalizione decisamente “spericolata” che mette insieme Pd, Fli, Udc e Psi, oltre a due liste civiche. “Posso sembrare il coniglio uscito dal cappello. Ma non è così. Sono la prova, la testimonianza che se c’è un obiettivo comune è possibile mettere da parte le divisioni per dare vita a una grande ed eterogenea coalizione che possa rappresentare l’alternativa”. E assicura: “Ognuno di noi ha rinunciato a qualcosa per andare incontro all’altro in nome del cambiamento. E nessuno ha preteso in cambio poltrone. Insieme, diversi e uniti, siamo la risposta a un centrodestra diviso che approda alle elezioni con quattro raggruppamenti”.

A sostegno di Iris Volante sono sbarcati a Cassino anche i big della politica (guarda le foto su Facebook): dal leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini al capogruppo Fli alla Camera Benedetto Della Vedova fino al presidente del Copasir Massimo D’Alema, che approderà il 10 maggio all’Iris Garden, un piccolo locale e punto di ritrovo per i sostenitori della 57enne aspirante sindaco. Il programma elettorale della candidata a cavallo tra destra, centro e sinistra “è vario ed eterogeneo come la nostra coalizione. Punta soprattutto ai servizi sociali ma è partito dal basso. Per tre mesi con il mio partito di appartenenza, l’Udc, abbiamo raccolto nei gazebo le richieste dei cittadini”. Cosa desiderano i cittadini di Cassino? Legalità, trasparenza e raccolta differenziata. In fondo la Campania e l’incubo rifiuti non sono così distanti.

The Women of Berlusconi’s Italy


ITALIAN PRIME Minister Silvio Berlusconi moves back and forth, from one eighteen-year-old girl to another: once the blonde Noemi Letizia from Casoria, Naples, then the Moroccan Karima el-Mahroug, or Ruby the Heart Stealer as she calls herself on Facebook. Italian politics have been revolving around “Sultan” Berlusconi’s favorites for two years, ever since his appearance at Letizia’s birthday party in April 2009 finally started to shed light on his hidden and lively passions. Italians became accustomed to reports of scandals filled with odd characters, both female and male, depicting an almost definitive connection between political and economic power and the abuse of women’s bodies, within a system embraced by Berlusconi’s leadership.
Berlusconi used women’s bodies to pay homage to another “Sultan,” Muammar Qaddafi, during the visit of Libyan leader in Rome at the end of August 2010. Indeed, it is quite hard to forget the five hundred young Italian women selected through a casting agency to attend Qaddafi’s speech inviting them to convert to Islam. Similar episodes must have occurred during the dinners in which the Italian prime minister surrounded himself with young guests (often hired as the female audience for Qaddafi) to celebrate his political successes.
But inquiries into Berlusconi’s private parties in the past two years revealed far more pressing details: pictures from his summer residence of Villa Certosa in Sardinia, where Italian and foreign politicians used to share their time with dozens of half-naked people; a businessman who managed to hire and embank loads of escorts to satisfy the prime minister’s needs and obtain his favors; political sinecures and show business careers for compliant girls, requiring nothing more than a phone call to the headquarters of Italian public broadcasting services.
No wonder Italy has collapsed into the inglorious and severe charges pending over Berlusconi’s head: the prime minister is being tried in court for abuses of power and child prostitution. The case, which opened on April 6, will reconvene on May 31.
“If Not Now, When?”
The entrance of Berlusconi’s personal life into public debate may have at least one positive side effect: it has led Italian women, and some men as well, to a new spirit of commitment. Besides demanding dignity and respect, these people draw attention to women’s issues beyond the bounds of the active yet relatively small niche of feminists groups born in the seventies.
A new political and cultural movement—independent from political parties—has shaken Italian public opinion and called for action in the streets, leading to a large demonstration on February 13 in several Italian and European cities: “If not now, when?” read the slogan, quoting the title of Primo Levi’s famous novel.
The journalists, philosophers, social scientists, and writers who debated prior to the protest revealed the different dimensions of the problem, with echoes of sexual emancipation, utilitarian visions of the body, and the intersection of private and public matters. The liberal intellectual class had to face the phenomenon of young women who, in full self-knowledge and freedom, choose to achieve their objectives (whether enrichment or a career) through sex. Is there a proper way to comment on their behavior, or to judge those who encourage it?
There were two questions in particular that public opinion couldn’t resolve—issues that make dialogue among different political and moral perspectives difficult to achieve. The first issue is political: does Berlusconi have the right, beyond the facts of criminal law, to behave in the privacy of his mansion according to his own standards? Should he enjoy the freedom to have sex parties and pay for the performance of women any way he wants? The second issue is moral: should what is occurring at Villa Certosa or at Berlusconi’s Villa San Martino in Arcore (near Milan) concern us with regard to how younger generations perceive the relationship of the body and sexuality to money—a perception often actively supported by parents’ ambitions for their children?
Unfortunately, the divisions and opposing viewpoints on these issues do little to illuminate the problems they seek to address, and instead hide an inability to unveil the cause of Italian malaise and its real repercussions.
Women Seeking Benefits
Since in many ways the latest scandal is a classic case of a sex-money-power exchange, the debate around it has revived the ancient conflict within feminist groups on prostitution, a practice that enjoys an ambiguous status in Italy, where it is neither prohibited nor legalized. But there is something different about the latest “gender wars.” First of all, some question whether women who serve the “Sultan” are really prostitutes at all. Pia Covre, leader of the Committee for the Civil Rights of Prostitutes, does not believe so; she has argued that there’s a difference between sex workers and women (or girls) who offer “temporary exchanges of sex for gifts or money and careers”—“women who seek benefits through their natural resources, perhaps the only ones that have, in order to improve their social status.” Nor does the sex worker label convince Karima el-Mahroug, who complains that she was treated “like a prostitute” by the media.
If it’s not prostitution, how would we define such relationships? Descriptions of the events involving Berlusconi in 2009 often used the term “escort,” a less explicit and more sophisticated word than “prostitute,” since it suggests an informal accompaniment. But euphemisms like this are insufficient; the actual nature of Berlusconi’s relationship to these young women is likely to escape any normal categorization.
A shift in perspective is the only way to address the issue of deciding what can legitimately be sold without establishing undue divisions between “good” and “bad” women. The limits should be drawn not with regard to the “supply” of sexual services, but to the “demand” for services by clients. Apart from his public role and the age of the girls involved in the case, should a wealthy a powerful man like Berlusconi receive the same treatment under law and common sense as ordinary punters, whatever their socioeconomic status? Do standard sex rates, political careers, and show business jobs have equal exchange values?
The prime minister is not an ordinary client. He shares with the common john a passion for variety, and a desire to be reassured about his own power through access to a beautiful female body. But while the typical relationship between client and prostitute ends with the performance (indeed, the lack of “commitment” beyond that is part of the reason for its demand), Berlusconi wants “to make every woman feel special,” to commit to his “guests” beyond a cash exchange through a system of dependent patronage (with the corresponding risk of blackmail).
If we stress the issue of what is marketable and what is not, considering the client (or the not-quite-client Berlusconi) instead of the prostitute (or the not-quite-prostitutes in Arcore), suddenly everything becomes clearer and simpler. We already have a prohibition on bending public affairs to individual whims and desires.
Berlusconi as a Client
This still leaves the second issue open: why shouldn’t an attractive young woman freely use her “luck” for her own purposes? Those who consider this a menace to women’s and men’s dignity are accused of moralizing—of falling into an outmoded, liberal way of thinking that fails to cope with the less predictable outcomes of sexual liberation. Once again, we need to examine the question from another angle. Charges of moralization may hide a larger inability of Italians to relate to a horizon of shared values.
Still, there is no decisive answer to the question above. Girls who tap a bit of money out of Berlusconi’s pockets by virtue of their bodies do not see the problem; they are blind to any moral issue at stake. They argue that what they do is fine because no one forces them to. Their families and partners sometimes even approve of what they do. In this formulation, freedom of choice seems to be the only thing that matters. This is not so far from the feminist slogan, “my body is mine”—in short, the key to everything is me. Retrograde denunciations of the women at issue have only lent more support to this kind of argument. Who are these bigoted and churchy men and women to criticize what younger people do? And thus is reality overthrown, and real sexual liberation said to be found in the chance to visit Villa San Martino.
To understand why it’s difficult to overcome this division, we must acknowledge a context where our common ground has become difficult to discern. Those critical of Berlusconi’s “escorts” describe a loss of dignity, and call on women to recover it. But “dignity” is a dusty old word; it does not belong to our common understanding anymore. How do you encourage young people facing new social restrictions to fight for “dignity,” as if this were a meaningful battle? What kind of currency is dignity where individualism and freedom have often become pure and simple selfishness, where earning a thousand euro a month means that you have finally made it?
It’s doubtful that some new argument alone will lead girls to pursue other ends than those that a visit to Arcore might bring. But a shift in perspective at least gives us an idea of what our common ground should be: in short, a ground where morality doesn’t sound so odd, where it is appropriate to argue over whether a behavior is moral or not. This is an important matter for all those who don’t believe that values come from God, but who also don’t believe in bending values to the volubility of individual desires. If the problem of our moral ground isn’t addressed, we’ll crash once more against the walls of the prime minister’s mansions and miss the opportunity to deal with the values that are at stake.

Nanni Moretti, finalmente femminista.


Habemus papam è uno dei film più femministi che mi sia capitato di vedere. Sembrebbe difficile leggere in un’ottica femminile un film che è tutto giocato nel campo degli uomini, che ci mostra praticamente quasi solo questi bellissimi, a volte tenerissimi e a volte disperatamente perdutamente stronzi uomini di una certa età, a volte proprio vecchi. E invece è proprio di questo Moretti parla, di come è cambiata nell’immaginario di tutti, di tutte e di tutti, la figura dei due sessi, la loro relazione reciproca. La trama ormai la sanno tutti: il papa appena eletto esita tra accettare e non accettare, per tre giorni gira per la città, e poi finisce nell’unico modo in cui non potrebbe finire nella realtà, e nell’unico modo in cui potrebbe finire in questo film.
Come per l’appunto propone il titolo di un libro che non ho letto, ma che viene pubblicizzato in questi giorni sui giornali, “Cosa è rimasto del padre”, Moretti ci illustra con cura e affetto quanto poco è rimasto del padre, di tutti i padri, e anche di chi nell’immaginario collettivo era l’arcipadre, il Santo Padre, il rappresentante in terra del Padre Celeste. Che non c’è più. Non c’è proprio più. E questo i critici cinematografici lo hanno colto tutti; anche perché era difficile non coglierlo davanti alla finestra nera vuota dove il vento soffia tra due tende rosse; la prova che è possibile fotografare il nulla, l’assenza, se si è un grande artista. Moretti, che non sopravvaluta il suo pubblico, ce lo ha proprio voluto sottolineare con quella scena, non sia che lo perdessimo. Ci ha mostrato come sono veramente gli uomini di potere e il potere maschile, dopo che sono stati visti con l’ottica impietosa, dissacrante, libertaria della generazione che era giovane negli anni ‘70. Di come i loro giochi di potere sono alla fine giochi innocui, pallavolo di ragazzini che rimangono tali per sempre anche in abito talare e nella dignità della porpora. E ancora di più, naturalmente, nella dignità della giacca e cravatta, per cui il film ci parla anche che so, dei Cuccia, dei Ciampi, dei Bernheim, dei Napolitano, di quegli uomini anziani che nella vita sono stati persone serie, non utilizzatori finali di bamboline sedicenni, macchiette che la loro immaturità adolescenziale la esibiscono da soli. Questa rappresentazione degli uomini di potere non è impietosa, tutt’altro, è piena di pietà e carità. Ci spiega che questi maschi di potere non vanno odiati, esecrati e denunciati come oppressori: possono anche essere compresi, e perfino amati, se si coglie in loro con adeguato spirito materno il bambino ancora presente in loro, il bambino che ha cercato di essere buono, più buono che poteva, ha cercato di fare del suo meglio, come meglio non poteva. Ma alla fine non c’è riuscito, non poteva riuscirci. Perché non era un padre, era appunto, un bambino nell’anima. A nessuno, neanche ai maschi, si può chiedere più di quanto possano dare. E soprattutto, non si può chiedere ai maschi quello che proprio non possono più dare: la guida rassicurante del branco degli umani. Questo è facile da vedere nel film di Moretti. Meno facile è vedere perché Moretti ci dice che sono le donne la causa, e che sono le donne quelle chiamate a sanare. Ma se si guarda bene, c’è anche questo. E’ noto che Moretti è un maniaco della precisione. Ogni scena, ogni parola, ogni espressione è stata chiaramente centellinata in questo film, dove però tutto scorre come se fosse un filmino girato da un ragazzino con la sua prima videocamera. Sono le donne la causa. O meglio, è quello che gli uomini provano verso le donne, un misto di amore ma anche di violenza non sempre districabili, la ragione che li rende incapaci ad essere guide spirituali, padri. Margherita Buy sta guidando, i bambini dietro iniziano la loro piccola baruffa che finisce con la domanda della bambina al Papa: ma tu, quando eri piccolo, le bambine, le picchiavi? Risposta, seria, tremenda, pesantissima, definitiva: “Si”. Questa è l’unica ammissione di colpa, l’unica ragione della confusione di quest’uomo il cui viso, in ogni sua espressione, non è altro che bontà e desiderio di comprendere, un Michel Piccoli che ci ricorda quasi graficamente il un Papa di quando eravamo bambini, papa Giovanni. E allora? Se il papa non può fare più il Papa per via di questo peccato originale, come faremo? Eh, la soluzione c’è. Naturalmente gli uomini non la possono ammettere, loro che so no sempre i più bravi di tutti. Anche le loro donne sarebbero brave, come dice nel film lo psichiatra impersonato da Moretti. Sua moglie è brava, bravissima, sarebbe brava quanto lui se non avesse questa fissa del “deficit di accudimento”. Ecco, le donne non appaiono mai abbastanza brave soprattutto perché hanno questa fissazione, che gli uomini non capiscono. Il deficit di accudimento. Un deficit di accudimento che loro, le ragazze, continuano a voler sanare, nell’individuo e nel pianeta. E’ una ragazza che offre il telefono al vecchio papa che il giovanotto del bar ha liquidato sbrigativamente. E’ Margherita Buy che dice a Michel Piccoli che lui ha un deficit di accudimento. Ed è una cavolata ovvia, se si riferisce all’infanzia del Papa ( e con questo il nostro amico Moretti ridimensiona a dovere anche un’altra grande istituzione culturale, la psicanalisi). Ma non è più una cavolata se la si interpreta ad indicare il fatto che il maschio, specie se anziano e dell’altra generazione, non sa accudire, anche se sta imparando a farlo. E’ un deficit di accudimento attivo, un deficit di capacità di prendersi cura ciò che rende impossibile ai maschi continuare a guidare un mondo che ha bisogno non più di guida paterna, come quando l’umanità conquistava il pianeta, ma di comprensione materna e di cura, di recupero, di rigenerazione.
Ringrazio Moretti per essersi spinto delicatamente al limite massimo cui poteva spingersi senza diventare un ideologo del femminismo, cosa che sarebbe stata grottesca. E soprattutto lo ringrazio perché rende sopportabile questo primo maggio di beatificazione del nostro penultimo Papa, che altrimenti mi avrebbe fatto un pochino disperare.
di Elisabetta Addis

Siracusa: nasce il Comitato SNOQ

Tra i primi obiettivi la modifica dello statuto comunale allargato alla presenza femminile.

Siracusa, mercoledì 4 maggio 2011 – La mobilitazione nazionale delle donne, avvenuta in molte città italiane così come all’estero il 13 febbraio, ha dato vita ad un grande evento testimonianza di molteplicità e pluralità di culture, di genere, di generazioni, politiche, sociali e professionali.
Da quella positiva esperienza è nato il comitato SNOQ di Siracusa, un sodalizio trasversale di donne che si riconoscono nei valori e degli obiettivi fondanti del movimento nazionale, per il perseguimento e la costruzione di un cammino comune.
Libertà, forza e autonomia delle donne in tutti i campi, il coinvolgimento delle diverse associazioni di donne e delle organizzazioni professionali delle donne, l’adesione a titolo personale delle donne dei partiti e dei sindacati, la pluralità politica, culturale e di credo, l’esplicita attenzione alle giovani e ai giovani e l’utilizzo di un linguaggio trasversale e plurale nella comunicazione.
Data la natura apartitica e trasversale dell’aggregazione, il comitato siracusano, così come stabilito in sede nazionale, non parteciperà a manifestazioni ed eventi di partiti o altre singole associazioni e non sarà associato a simboli politici e sindacali. Il neo costituito comitato siracusano incontrerà la stampa sabato 7 maggio, alle ore 11.00, presso il Biblios Café in via del Consiglio Reginale.
“Crediamo fermamente. – afferma Barbara Graffiotti la portavoce – che sia arrivato per le donne il momento di unirsi e testimoniare con il proprio impegno, risorse e professionalità, che la nostra dignità e i nostri diritti siano valori inestimabili da salvaguardare e tutelare, favorendo la partecipazione ed il coinvolgimento di tutte le donne nel tessuto sociale e produttivo della città.
A tale scopo tra i nostri primi obiettivi, – continua – vi è quello dell’approvazione della modifica allo statuto comunale, in relazione alla scelta dei componenti la Giunta, per inserirvi l’obbligatorietà della presenza femminile”.
Il tema come si ricorderà, in discussione durante la seduta straordinaria del Consiglio Comunale del 26 aprile, fu subito ritirato e rimandato a data da destinarsi, provvedimento che diede origine ad un animato e a tratti polemico confronto tra i consiglieri di maggioranza ed opposizione, conclusosi con l’intervento “riequilibrante” dell’assessore comunale alle PP.OO. Mariella Muti che in quell’occasione ha garantito il proprio impegno “affinché il provvedimento, con la opportuna attenzione che merita, torni al più presto al centro dei lavori del Consiglio”.
Dello stesso avviso anche Michela Firenze resp. territorio e ambiente del Comitato, – “mi sento profondamente indignata ed offesa per le parole pronunciate durante la seduta da alcuni consiglieri comunali per i quali evidentemente il medioevo non è ancora passato di moda.., noi donne non chiediamo privilegi ma soltanto l’applicazione delle leggi che in Italia esistono e spesso sono disattese. Nella maggior parte dei casi basterebbe il semplice rispetto della Costituzione per garantire alle cittadine italiane uguale dignità e pari opportunità in famiglia, sul lavoro e in ogni ambito sociale”.
Info blog www.senonoraquandosiracusa.wordpress.com mail senonoraquandosiracusa@gmail.com

Una carta d’identità per SNOQ


La mobilitazione delle donne del 13 febbraio in tante città e centri italiani e all’estero è stato un grande evento di popolo, ricchissimo per la molteplicità e pluralità di culture, di genere, di generazioni, politiche, sociali, professionali, delle persone convenute. Nella preparazione e nella gestione della giornata si sono messe insieme energie disparate, si sono accese e incontrate spontaneamente speranze e aspettative diverse.
Dal 13 febbraio non si torna indietro. Non vogliamo tornare indietro. La novità e la forza di SeNonOraQuando è dovuta a caratteristiche preziose e inedite che vanno riaffermate o se necessario promosse ovunque.
Tali caratteristiche qualificanti e originali di SNOQ saranno presenti e fondanti in tutti i comitati che desiderano definirsi e riconoscersi con quel nome e partecipare alla costruzione di un cammino comune.
Esse sono:
a) la libertà, la forza e l’autonomia delle donne in tutti i campi
b) il coinvolgimento delle diverse associazioni di donne e delle organizzazioni professionali delle donne
c) l’adesione a titolo personale delle donne dei partiti e dei sindacati
d) la pluralità politica, culturale e di credo
e) l’esplicita attenzione alle giovani e ai giovani
f) l’utilizzo di un linguaggio trasversale e plurale nella comunicazione.
Di conseguenza il logo SNOQ non può essere usato per iniziative o manifestazioni di partiti o altre singole associazioni. Analogamente sono assenti dai comitati SNOQ simboli politici e sindacali.
Naturalmente lo sforzo di ciascun comitato sarà volto a favorire la partecipazione e il coinvolgimento di tutte le donne.

Ai Comitati “Se Non Ora Quando?”


Quella del 13 febbraio è stata una straordinaria mobilitazione di popolo, guidata dalle donne, sull’intero territorio nazionale e non solo. Questo vuole dire che è stata affermata la loro centralità nella vita del nostro paese. Intorno alle loro parole si sono coagulati ed espressi aspirazioni, esigenze, sentimenti profondi e diffusi, una qualità politica nuova. E’ apparso chiaro che le donne costituiscono la risorsa più viva del paese e che la loro forza e le loro ragioni sono indispensabili per porre termine al declino della vita culturale, economica civile e politica dell’Italia.
Il piacere del ritrovarsi assieme, nel rispetto della libertà e differenza di ciascuna, ha segnato quella giornata ed ha reso evidente che dimensione collettiva e libertà individuale non sono in contrasto e che è possibile stabilire un nuovo legame tra coscienza di sé e azione collettiva. Una nuova stagione del movimento delle donne italiane è possibile.
Questo senso di novità e di speranza può e deve essere rafforzato individuando delle proposte in grado di delineare il profilo di un paese per donne, per contribuire alla rinascita dell’Italia; proposte che cominciamo a formulare e vi inviamo con l’intenzione di promuovere una discussione generale su questi temi e per imporli con la nostra forza all’attenzione dell’opinione pubblica, delle istituzioni, dei partiti e delle forze sociali.

Al centro è la necessità di chiarire quale senso politico abbia oggi affermare la parità e la differenza tra uomini e donne. Tale chiarezza è precondizione di qualsiasi altro discorso, a cominciare da quello sulla violenza e la discriminazione quotidiana contro le donne.
Al momento ci paiono ineludibili alcune questioni:
a) La precarietà nel lavoro che da condizione sociale diventa precarietà esistenziale e incide profondamente nelle relazioni sociali e familiari, in particolare per le donne, e ne condiziona il futuro.
b) Il nodo che strozza insieme al lavoro la scelta della maternità, questione cardine intorno alla quale girano altre. Per questo abbiamo parlato di 1) ripristino delle norme contro le dimissioni in bianco; 2) congedo di maternità universale a carico della fiscalità generale; 3) congedo di paternità obbligatorio. Per questo pensiamo vada ripreso il discorso sugli asili nido( copertura 33% secondo i parametri europei) e in genere sui servizi all’infanzia. Per questo vanno difesi e rilanciati i consultori.
c) La rappresentanza deve essere paritaria a tutti i livelli e in tutti i campi (aziende, istituzioni); in particolare la rappresentanza politica delle donne può essere occasione per un rinnovamento profondo del concetto stesso di rappresentanza, che deve tornare a basarsi sul rapporto tra eletti/e e elettrici/elettori.
d) L’immagine e la rappresentazione delle donne nei media e nella pubblicità sono da tempo al centro di una riflessione che si è estesa e ha visto il coinvolgimento delle donne che lavorano in questo settore strategico: è necessario riaprire ed allargare la discussione sulle modalità della comunicazione e sui modelli dominanti negli ultimi anni. Va sottolineata la necessità di nuovi strumenti per la tutela della dignità di tutti.
Per discutere di questi punti, per costruire una rete dei comitati esistenti e promuovere azioni comuni, vi proponiamo la convocazione di un incontro nazionale a Roma nella prima metà di luglio.