PER RIPRENDERCI LA NOSTRA DIGNITA'

venerdì 1 aprile 2011

1 APRILE: RASSEGNA STAMPA


Gheddafi, il regime perde pezzi
Lunedì in Italia esponente dei ribelli

Defezioni importanti tra le file governative, il ministro Mussa Kussa e l'ambasciatore all'Onu. Frattini incontrerà la prossima settimana un rappresentante degli insorti. La Nato assume il comando della missione, ancora bombardamenti di Gheddafi su Misurata. Il regime parla di almeno 40 morti tra gli abitanti della capitale

Gheddafi, il regime perde pezzi Lunedì in Italia esponente dei ribelli Il generale Charles Bouchard
ROMA - L'addio di Mussa Kussa, ministro degli Esteri e uomo chiave del regime, e dell'ambasciatore della Libia all'Onu (nominato a febbraio dopo l'addio del precedente), sembra l'inizio di un esodo di massa nella cerchia dei fedeli di Gheddafi. Kussa è volato nella nottata di ieri a Londra, insieme a consistenti faldoni di documenti segreti. La sua defezione, assieme a quelle, attese, di altri nomi eccellenti, e l'arrivo a Roma del rappresentante degli insorti sono elementi che lasciano intravedere la creazione di una nuova rete diplomatica per la Libia. E soprattutto di uno strumento in più per ottenere la resa di Gheddafi. Il premier britannico David Cameron ha parlato della scelta di Kussa come di "un grave colpo al regime", e di un "Gheddafi ormai in preda al terrore" per l'imminente caduta. La Gran Bretagna sta trattando segretamente con almeno altri sei membri della cerchia del colonnello per indurli ad abbandonare il leader, e anche la Casa Bianca ha parlato di "perdita significativa" e di "grosso smacco" per il regime.

Il campo di battaglia. La Nato è da oggi al comando delle operazioni militari in Libia. Ma il suo primo annuncio è stato quello di un'indagine su 40 vittime che i raid aerei della coalizione internazionale avrebbero fatto a Tripoli. La forza internazionale può contare su più di 100 aerei e su oltre una dozzina tra navi e sottomarini. Intanto Gheddafi, tornato a farsi sentire con una dichiarazione sulla "crociata" anti-islamica dell'Occidente, che rischia di creare una Libia "fuori controllo", ha promesso resistenza "fino alla fine" assieme ai suoi figli. Dichiarazioni che il colonnello ha accompagnato con nuovi attacchi contro la città di Misurata, in mano ai ribelli ma sotto assedio da 40 giorni, e dove oggi si segnalano venti morti, mentre l'area del promontorio ovest del Golfo della Sirte è tornata ormai quasi tutta in mano alle forze del raìs. Gli insorti si sono attestati dalle parti del polo petrolifero di Brega a sud della loro roccaforte, Bengasi. Nella guerra - che secondo una stima accreditata ha fatto finora mille morti - sono state neutralizzate quasi un quarto delle forze di Gheddafi: lo ha riferito il capo di stato maggiore delle Forze Armate Usa, Mike Mullen, avvertendo però che ciò non significa che il colonnello stia per crollare, almeno dal punto di vista militare. Da questo punto di vista, le capacità del regime sono ancora consistenti.

Il Cnt a Roma. Lunedì sarà a Roma Ali Al-Issawi, il 'ministro degli Esteri' del Consiglio nazionale transitorio libico. Incontrerà il titolare della Farnesina, Franco Frattini, un atto che consolida un rapporto già forte in un contesto di nuove reti diplomatiche intessute dai ribelli. Dopo aver incassato il riconoscimento della Francia, il Cnt guarda con insistenza all'Italia che oggi, attraverso la Farnesina, ribadisce di aver "tagliato tutti i contatti con il regime di Tripoli" ("Gheddafi è finito") e di aver "intensificato i rapporti" con gli insorti. Frattini sembra comunque convinto che debba essere l'Europa nel suo insieme a decidere sul riconoscimento della futura Libia, e non il singolo incontro. Ma le nuove alleanze tra il Consiglio nazionale di transizione e le cancellerie occidentali si muovono su binari certi, fondati sulla ormai riconosciuta credibilità del Cnt.

L'agenda dei colloqui. L'agenda dei colloqui di Roma è naturalmente riservata ma il tema principale non potrà che essere come liberarsi di Gheddafi. "Con l'incoraggiamento della comunità internazionale credo che l'Unione africana possa chiedere prestissimo al raìs di farsi da parte", ha ribadito Frattini. Ricordando che sull'esilio del leader libico "ci sono molte ipotesi, ma non c'è ancora una proposta formale, salvo forse quella dell'Uganda. E sulla possibile durata della guerra, appena iniziata, nessuno si pronuncia ancora.
(31 marzo 2011)

Farnesina: "Gheddafi è finito"

"Intensificati rapporti con i ribelli"

foto Dal Web
17:22 - L'Italia è convinta che "il regime di Gheddafi sia finito", ha "tagliato tutti i contatti con il regime di Tripoli" mentre "sta intensificando i contatti politici con il Consiglio nazionale transitorio di Bengasi". E' quanto ha detto il portavoce della Farnesina Maurizio Massari, aggiungendo: "Sono loro i nostri soli interlocutori". Massari ha poi auspicato che il Colonnello si convinca che "deve lasciare il Paese".

L'Italia, la Libia e il Mediterraneo.
Una strategia "soft"
Roberto Santoro

31 Marzo 2011
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Non credete a quelli che dicono che l'Italia avrà tutto da perdere dalla guerra in Libia, il petrolio, il bussiness e la sicurezza. ENI è in Libia dalla fine degli anni Cinquanta e non è la prima volta che deve fare i conti con gravi crisi internazionali né è così ingenua da non sapere come e dove diversificare. Non fidatevi delle cassandre dell'esodo biblico, dei trecentomila disperati che dovevano invadere le nostre coste mentre per adesso - senza nulla togliere a Lampedusa -  siamo al di sotto di quei 40.000 migranti che nel 2008 cercarono di entrare in Italia dalla Libia, prima del tanto vituperato "Accordo di amicizia" stretto con il Rais. Non prestate neppure il fianco a chi si mette troppo facilmente in testa l'elmetto coloniale e vuol rovesciare Gheddafi, visto che non è chiaro chi avremo di fronte dopo la caduta del Colonnello e considerando il fatto che quelli che hanno iniziato questa guerra non sanno bene se e come finirla.
In realtà, la vicinanza geografica con Tripoli gioca a nostro favore, come pure quella lunga storia che da Cartagine porta alla Jamaria, passando per la "Grande proletaria". L'Italia ha sempre avuto, e probabilmente continuerà ad avere, una certa influenza negli affari del nostro vicino, così come in tutto il Nordafrica e nell'antico mare nostrum.  La fluidità della situazione sul terreno e l'incertezza sull'esito del conflitto ovviamente complicano le cose e mettono a repentaglio interessi e rendite consolidate. Se per esempio la Libia dovesse disintegrasi in due o più entità territoriali rischiamo di perdere quello che avevamo guadagnato con il Rais e quello che avremmo potuto ottenere appoggiando i ribelli. Ma evocare lo scenario peggiore non significa, come invece è stato detto, che il governo italiano sulla Libia è stato ondivago e vile. E' un difficile equilibrio quello che dobbiamo trovare di fronte a uno scenario repentino che ha trasformato l'alleato (riabilitato) di ieri nel nemico (non dichiarato) di oggi, ed è un discorso che non vale solo per la Libia ma per tutto il Mediterraneo, il Nordafrica e il Medio Oriente, scosso dalle rivoluzioni più o meno "democratiche".
Da qui i nostri caccia che si alzano in volo "senza sparare un colpo". Da qui la compassione mostrata dal Cav. verso Gheddafi, il dittatore che non volevamo "disturbare" (Berlusconi, 19 marzo) per poi onorare la Risoluzione dell'Onu contro di lui, congelando anche il trattato di amicizia in attesa di tempi migliori, quando sapremo con chi ripristinarlo. Da qui l'altalena di dichiarazioni per cui un giorno (il 21 marzo scorso) la Farnesina mette in guardia "dall'emirato islamico di Bengasi" e l'altro annuncia una visita della delegazione del Consiglio Nazionale di Transizione a Roma (lunedì prossimo). Da qui la girandola di cifre sulle vittime civili del Rais, dai mille corpi gettati nelle presunte fosse comuni (Frattini, 23 marzo) alle "poche" centinaia di morti registrati nello stesso periodo da HRW.  Contraddizioni, si dirà, ma la storia e la politica di un Paese sono sempre qualcosa di contraddittorio ed è proprio compito di chi la fa, la storia, di trovare un equilibrio sopra la follia. E' tutta qui, secondo la rivista di intelligence Stratfor, la strategia seguita dal nostro Paese verso un altro stato che era diventato un importante partner economico e commerciale, oltre che essere il (sedicente) guardiano dei nostri confini.
Seguire i "Volenterosi" ma usare la NATO in funzione anti-anglofrancese, come ai tempi della Crisi di Suez. Far alzare i caccia dell'Alleanza dalle nostre basi e candidare Napoli a sede di "Comando Unificato", ma nello stesso tempo garantire una via di uscita a Gheddafi, un esilio disonorevole che non lo metta al riparo da una giusta condanna del tribunale penale internazionale. Se vogliamo tenerci i pozzi petroliferi al largo di Tripoli e nella Libia occidentale dobbiamo procedere su questa strada, tortuosa. Siamo il primo paese importatore di petrolio dallo stato africano (29%) e attualmente la Libia rappresenta per ENI il 15 per cento del totale dei suoi "output" di idrocarburi a livello globale, 108.000 barili al giorno, 8,1 miliardi di metri cubi di gas nel 2009, un gasdotto (il Greenstream) costato una fortuna al cane a sei zampe. Se non vogliamo finire del tutto schiavi di Mosca bisogna difendere i nostri interessi ed è auspicabile che alla Farnesina seguano minuto per minuto l'evoluzione della guerra, visto che di armi e sistemi di controllo e di sicurezza ai vincitori potremmo venderne tante quante ne abbiamo passate a Gheddafi: 900 milioni di dollari tra Finmeccanica e Intermarine Spa (senza contare quel miliardo di dollari che era in ballo prima che scoppiasse il finimondo). Così come sarebbe stupido perdere il valore degli investimenti del fondo sovrano libico in Italia, da ENI a UniCredit alla stessa Finmeccanica.
"L'Italia ha semplicemente troppi interessi in gioco in Libia per scegliere con decisione da che parte stare", scrive Stratfor, e dovremo usare tutte le accortezze più machiavelliche per far quadrare il cerchio e la botte, la nostra fedeltà agli alleati e il perseguire un legittimo interesse nazionale. In un momento in cui gli Usa non vanno oltre la guerra dal cielo (finora Obama ha speso 600 milioni di dollari per una semplice "deterrenza", Gheddafi arretra e avanza a piacimento), mentre francesi e inglesi dopo essere partiti all'arrembaggio non dicono se avranno il coraggio di andare fino in fondo mandando le loro truppe d'elite a rovesciare il rais (in questo caso speriamo che arrivino in tempo anche le nostre), l'Italia riafferma con decisione la sua fiducia nella NATO, si fa portatore delle ambasce astensionistiche di Bonn, tira dentro il conflitto la Turchia, l'unica a poter vestire decentemente la maschera dell'intervento umanitario. Chiediamo un cessate il fuoco e quei requisiti democratici fondamentali per legittimare i ribelli (elezioni, costituzione, società secolare), lasciando un corridoio strettissimo da cui Gheddafi, se solo non fosse un cane matto, potrebbe ancora uscire illeso.

Multimedia

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mobilitazione nazionale

''Non esiste guerra giusta''. Pacifisti in piazza in tutta Italia

No alla guerra, stop ai bombardamenti, cessate il fuoco. Il coordinamento 2 aprile chiama i cittadini italiani a manifestare contro l'intervento in Libia

Scendono in piazza i pacifisti per protestare contro la guerra in Libia. Una giornata di mobilitazione nazionale, che vedrà l'Italia percorsa da cortei e iniziative differenti tra loro. L'appuntamento è stato lanciato dal coordinamento ''2 Aprile, composto da Emergency e molte altre organizzazione sindacali e della cooperazione, avrà il suo momento centrale a Roma. Le parole d'ordine sono chiare: no alla guerra, stop ai bombardamenti, cessate il fuoco; con le rivoluzioni e le lotte per la libertà e democrazia dei popoli del Mediterraneo e dei paesi arabi.

L'appello
“Questa é dunque la domanda che vi poniamo, chiara, terribile, alla quale non ci si può sottrarre: dobbiamo porre fine alla razza umana o deve l'umanità rinunciare alla guerra?” Così scrivevano Bertrand Russel ed Albert Einstein nel loro famoso manifesto. Era il 1955, il momento nel quale il mondo viveva sotto la minaccia nucleare, l'equilibrio del terrore che si reggeva paradossalmente sulla lotta tra Usa e Urss.



Ancora guerra
I tempi sono cambiati ma le guerre si sono moltiplicate. Kossovo, Afghanistan, Iraq e ora Libia. Ragioni diverse, contesti storici differenti tra loro accomunati però dalle immagini di morti e sofferenze. I pacifisti italiani sono stati sempre in prima fila e ad ogni conflitto hanno marciato per cercare di fermare i massacri.



La mobilitazione nazionale
Con qualche ritardo, anche questa volta scendono in piazza. Una mobilitazione nazionale indetta da moltissime sigle che avrà il suo momento centrale a Roma, a Piazza Navona, ma che vedrà cortei e sit in svolgersi in tutta Italia. Partita da Emergency si è poi estesa anche alla Fiom, all'Arci, Legambiente, Cobas e molte altre organizzazioni che hanno sottoscritto l'appello visibile sul sito www.dueaprile.org.



Parole d'ordine
Le parole d'ordine sono chiare: no alla guerra, stop ai bombardamenti, cessate il fuoco; con le rivoluzioni e le lotte per la libertà e democrazia dei popoli del Mediterraneo e dei paesi arabi; contro tutti i dittatori, i regimi, le occupazioni militari, le repressioni in corso; accoglienza, asilo e protezione per i migranti.



Responsabilità condivisa
Una piattaforma vasta, perchè il conflitto in Libia non suscita forse un'immediata repulsione. Una guerra civile nella quale sta intervenendo la Nato bombardando l'esercito di Gheddafi attuando la risoluzione dell'Onu in difesa delle popolazioni civili. Il movimento pacifista mette l'accento sulla scelta dei governanti che ancora una volta hanno scelto la guerra, proprio come Gheddafi bombarda il suo popolo e i migranti che cercano di lasciare il nordAfrica.



Non esiste guerra umanitaria
Una chiamata di responsabilità generalizzata che non può essere elusa dalla necessità dell'intervento umanitario. Sul sito dell'iniziativa viene sottolineato che “la guerra è sempre stata distruzione di pezzi di umanità, uccisione di nostri simili. Ogni guerra umanitaria è in realtà un crimine contro l'umanità”.
(ami)

Guerra in Libia, Gheddafi e Berlusconi: intervista di Frattini alla BBC

Ovunque andiamo, ci facciamo riconoscere”. Un vecchio cliché, che accompagna gli italiani in giro per il mondo, ma che dopo l’intervista del Ministro degli Esteri, Franco Frattini, assume un nuovo significato. Intervistato da Jeremy Paxman, Frattini ha regalato alcuni colpi da maestro, davvero notevoli. Qui sopra trovate il video dell’intervista, mentre a questo link la traduzione in italiano (sostanzialmente fedele alla trascrizione inglese). Di seguito, ecco il meglio dell’intervista.
Paxman chiede a Frattini dove debba andare in esilio Gheddafi. Frattini risponde che è meglio non dirlo, per non pregiudicare la buona riuscita dell’esilio. L’intervistatore chiede come mai l’Italia non si fosse offerta e il Ministro replica dicendo che il nostro paese non vuole un dittatore. “Perchè non chiedete che compaia dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia?”, chiede il giornalista. E Frattini replica dicendo che Gheddafi dovrebbe presentarsi alla Corte. Paxman allora chiede se il motivo per la mancato esilio in Italia del dittatore libico sia la necessità, da parte del nostro paese, di consegnarlo alla “giustizia internazionale”. Frattini risponde che l’Italia, come ogni altro paese, sarebbe obbligata a consegnare Gheddafi alla Corte.
A questo punto, il giornalista inglese fa una domanda ovvia: se, potenzialmente, ogni paese dovesse consegnare Gheddafi alla giustizia internazionale, perchè qualche nazione dovrebbe ospitarlo? Frattini replica dicendo che è proprio per questo motivo che non ci sono offerte ufficiali da parte di altri paesi. La logica inizia lentamente a scomparire. L’intervista continua con altre perle frattiniane… (seguiteci dopo il salto)
Paxman: Però lei pensa che qualcun altro dovrebbe prenderlo…
Frattini: Sì…
P: Ma dice che non sa quale paese vorrebbe che lo ospitasse.
F: Non lo so, perché non ci sono offerte ufficiali.
Chiaro, no? L’Italia crede che Gheddafi dovrebbe andare in esilio da qualche parte, ma non in Italia, perchè lo si dovrebbe consegnare alla Corte Internazionale di Giustizia. Allora potrebbe andare in altri paesi, ma anche in quel caso andrebbe consegnato alla Corte. E quindi, dove potrebbe andare il dittatore? Non si sa, non ci sono offerte da parte di altri paesi. L’apice dell’intervista è raggiunto quando si parla del Presidente del Consiglio:
P: La aiuta nelle occasioni internazionali avere un primo ministro che è visto come un pagliaccio?
F: Gli italiani hanno avuto molte occasioni di esprimere un giudizio sul mio primo ministro. Ha vinto. Penso che gli italiani siano in grado di decidere da soli.
P: Ma lei conosce la sua reputazione, con la storia delle feste e tutto: non le rende il lavoro più difficile?
F: Forse persone che non lo conoscono davvero e correttamente (sic).
P: Lei è mai andato a uno dei suoi party?
F: Beh… Il mio primo ministro è in grado di difendersi da solo, ma la gente non lo conosce.
Notate come Frattini, leggero come una piuma, non risponda a nessuna delle domande del giornalista inglese. Non funzionano le classiche risposte usate in Italia (”ha vinto le elezioni”, “la gente non lo conosce”, ecc.). Notate anche come viene definito Berlusconi da Paxman: un pagliaccio. Poi ci si domanda come mai l’Italia nel mondo non conti nulla.

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