PER RIPRENDERCI LA NOSTRA DIGNITA'

giovedì 24 febbraio 2011

20 FEBBRAIO: RASSEGNA STAMPA

PERCHE’ SCENDERE IN PIAZZA di Elisabetta Addis

Inrassegna stampa su 20 febbraio 2011 a 22:21

Articolo uscito sulla Nuova Sardegna venerdì 10 febbraio

La maldestra proposta di Berlusconi all’opposizione, col suo ” no alla patrimoniale“, e la mobilitazione delle donne italiane e degli uomini loro amici promossa per il 13 febbraio parlano della stessa cosa: come si esce dall’impasse in cui ci troviamo da quindici anni, per cui il nostro Stato può solo tagliare, mai spendere. E’ questo che ha condotto all’anomalia italiana: occupazione femminile tra le più basse d’Europa, tassi di disoccupazione tra i più alti, natalità abbondantemente al disotto dei desideri. Chiunque si candidi a governare l’Italia deve dirci, finalmente, dove troverà le risorse per fare le riforme di cui si sente il bisogno da quindici anni. Non attraverso un federalismo finto che aumenta le tasse, ma con una scelta limpida e comprensibile agli elettori.
L e donne italiane sono socialmente “deboli”, anche se sono politicamente e intellettualmente “forti. Troppe donne italiane non hanno, e non trovano se lo cercano, lavoro retribuito; se lo trovano è precario o sottoqualificato rispetto ai loro titoli di studio. Non ci sono, per chi ha lavoro, politiche che aiutano la genitorialità, e non è giusto fare figli se non si è indipendenti e sicure. È anche da questa questione nazionale che nasce la mobilitazione dell 13 febbraio.
Una delle cause principali di questa situazione è lo Stato sociale italiano asimmetrico, lavorista e familista. Lo Stato Sociale italiano spende troppo in trasferimenti monetari e troppo poco in servizi, e quindi non offre impiego alle donne. Si finanzia con i contributi a carico dei lavoratori e delle imprese grandi e legali e cioè tassa, e quindi riduce, l’uso di lavoro, anzichè finanziarsi con l’imposizione fiscale. Bisogna riformare profondamente lo Stato sociale e la pubblica amministrazione, utilizzando idee, competenze e sistemi di incentivi adeguati, non con intenti moralisti e punitivi. Non si tratta di scegliere tra Stato sociale liberale e piccolo (come negli Usa) o socialdemocratico e grande (come nel Nord Europa): si tratta di creare uno Stato sociale equilibrato e simmetrico che tratti equamente uomini e donne, senza aumentare, anzi, diminuendo la pressione fiscale.
Tra chi ha governato per il centro- sinistra ci sono state prevalentemente persone oneste e competenti. Tuttavia non sono state efficaci quanto era necessario e quanto speravamo. Anche perchè potevano solo trasferire risorse da un settore all’altro. Non si può spendere anche (ma non solo) perchè l’Italia ha fatto a suo tempo la scelta giusta di entrare nell’Euro. Per fare questo ha il dovere di rimanere entro i parametri del patto si stabilità: deficit al 3% del Pil, debito al 60% ( che comunque superiamo) . l’Italia 15 anni fa era fuori, per nostra fortuna Prodi l’ha fatta rientrare. Nell’Euro e in Europa l’Italia vuole e deve restare, pena il disastro economico. Ma è tempo oggi di dire a noi stessi e all’Europa che le generazioni di oggi non possono continuare per sempre a pagare gli errori dei governanti di ieri.
Si può scaricare in parte il nostro onere sull’intera Europa con una qualche forma di obbligazione Europea. Si deve tassare e spendere meno ma soprattutto diversamente. Patrimoniale, tassa sulla plusvalenza immobiliare, prelievo sulla proprietà mobiliare, sono proposte che indicano una via di uscita: chiedono che i più abbienti saldino almeno in parte questo conto che fa da palla al piede alla nostra economia e società da più di venti anni. Altrimenti, come da trent’anni, il conto lo pagano le donne.
Scenderemo in piazza il 13 febbraio perché da anni troviamo umiliante il fatto che siano prevalentemente uomini a scegliere chi deve rappresentare le donne , e doppiamente umiliante che il premier facesse queste scelte usando come parametro l’aspetto fisico, e probabilmente anche la disponibilità a organizzare festini. Questa è concorrenza sleale fatta agli uomini e alle donne competenti che dovrebbero governare l’Italia. Ma scenderemo in piazza anche perché, come cittadine italiane, chiediamo, esigiamo, una nuova guida politica che abbia coscienza del fatto che si deve uscire dall’impasse creato dalla croce del debito , senza uscire dall’Euro e dall’Europa. Berlusconi dicendo no alla patrimoniale mostra ancora una volta di non essere capace di fornire questa guida.
Elisabetta Addis
Economista, del Gruppo Di Nuovo

«Siamo un milione»: La piazza è delle donne

Inrassegna stampa su 20 febbraio 2011 a 11:39
di Monica Guerzoni, Corriere della Sera, 14 febbraio 2011
ROMA – Angela Finocchiaro scende dal palco e quasi non crede al «regalo meraviglioso» che le donne di piazza del Popolo hanno fatto a loro stesse e al Paese, al «movimento spontaneo che è nato» sull’ onda del caso Ruby e che «andrà avanti», fino a cambiare il volto delle istituzioni: «Adesso dobbiamo andare al governo». Un premier donna? «Sì che sarebbe bello…», invoca una svolta l’ attrice che ha gridato, dal palco, «siamo un milione». «Se non ora, quando?». Novanta secondi di silenzio e l’ interrogativo, la cui risposta è «adesso!», rimbalza in 230 città, da Roma a Milano, da Napoli a Palermo, da Padova a Firenze, da New York al Mozambico. Centinaia di migliaia di donne ma anche tanti uomini, anziani, bambini, scendono nelle piazze e chiedono le dimissioni di Berlusconi, scrivendo una nuova pagina politica e di storia del costume. Non c’ è un vessillo di partito, qualcuno parla di «rivoluzione culturale» e certo i volti, le voci, gli striscioni raccontano un’ Italia che vuole cambiare ed evocano un risveglio, una riscossa più civica che femminista. Antiberlusconismo, sì. Ma più che un’ ossessione, come in tante manifestazioni di sinistra o del popolo viola, sembra ansia di recuperare il tempo perduto. Lo dice la storia della ragazza modenese in piazza perché sa «cosa vuol dire essere toccata da un uomo che potrebbe essere tuo nonno», lo conferma l’ infermiera di 39 anni, appena rimasta incinta: «Non posso dirlo al lavoro sennò mi licenziano». Le sciarpe bianche, gli ombrelli rossi delle prostitute. I fischi al nome di Giuliano Ferrara, che ha denunciato il «moralismo» della piazza. I cartelli fai da te. «Sono la nonna di Mubarak», ha scritto una signora dai capelli bianchi. E un’ altra: «Napolitano, una Clio tutta la vita. Berlusconi, una escort tutte le notti». Protesta rabbiosa, pacifica, colorata. «Vogliamo un Paese che rispetta le donne», invoca il maxistriscione rosa issato sul Pincio. E un cartello bianco: «Dio non è in vendita, come farai?». Sullo stesso palco la poetessa Patrizia Cavalli e l’ attrice Isabella Ragonese, la femminista storica e la dirigente finiana, unite da un «basta» trasversale che ridisegna il profilo delle opposizioni. Per l’ avvocato Giulia Bongiorno, di Fli, è un trionfo: «Il festino hard non può essere il criterio di selezione della classe dirigente. Vi accusano di moralismo perché hanno paura di voi. Se quel che nasce qui prosegue, si crea qualcosa di travolgente». I primi a essere travolti dall’ onda delle donne sono i leader del Pd, cacciati dal retropalco. Franceschini fa appena in tempo ad approdare in una piazza che «va ben oltre i confini tradizionali del centrosinistra» e il suo tempo è già scaduto. Licia Conte, comitato organizzatore, lo prega di accomodarsi oltre le transenne: «Non vogliamo che diventi la piazza dei partiti, i leader vadano tra la gente». Fuori tutti e fine di un’ era. Fuori Bersani, fuori Veltroni, fuori D’ Alema, fotografati tra la folla con le rispettive mogli. Il Pd è ammesso, ma solo al femminile. Ci sono Bindi, Finocchiaro, Turco, Melandri. E poi attrici come Valeria Solarino e Sabrina Impacciatore. Commuove l’ appello «alle autorità civili e religiose» di suor Eugenia Bonetti, una vita tra le ragazze abusate. La protesta, nata dal passaparola, vive delle angosce e dei sogni delle persone comuni. La studentessa Sofia Sabatino ha scritto a Ruby contro un modello sociale «dove tutto può essere comprato», dove le ragazze sono «sempre più nude e sempre più in silenzio». La regista Cristina Comencini grida «lavoro e libertà ci sono dovuti, adesso». E anche per Susanna Camusso, segretaria generale della Cgil, «la misura è colma». Francesca Izzo, una delle ideatrici, dà appuntamento all’ 8 marzo: «Da questa piazza non si torna indietro. Ci impegniamo a costruire gli Stati generali delle donne italiane…».

Un milione di donne: via Berlusconi

Inrassegna stampa su 20 febbraio 2011 a 11:34
di Maria Novella De Luca, La Repubblica, 14 febbraio 2011
C’ È LA voce di Nada che canta “Ma che freddo fa” mentre piazza del Popolo si svuota, e la manifestazione delle donne invade la città. FACCE giovani, adulte, anziane, con le rughe, senza, semplici, belle, immigrate, bambine, bambini, studenti, nonni, padri, famiglie, madri, sorelle. Sorrisi, abbracci, è stata una festa, anzi festa grande. Ballano tutte e tutti andando via, sul palco, sotto il palco, quante generazioni camminano per mano, «adesso basta, riprendiamoci il futuro». Il pomeriggio non è nemmeno freddo, il cielo ha i colori rosati dello striscione che ancora avvolge la terrazza del Pincio, quella bandiera srotolata giù dopo 90 secondi di silenzio perfetto ma denso come mille voci, con la scritta che sintetizza tutto: “Vogliamo un paese che rispetti le donne, se non ora quando?”. E poi sì, il grido liberatorio della piazza piena fino all’ inverosimile, migliaia di persone che alzano le mani e dicono: “Adesso”, sulle note di Patti Smith e di People have the power. Quasi duecentomila a Roma, un milione in tutto il mondo: è stata un successo la grande giornata di mobilitazione per il rispetto delle donne, organizzata dal comitato “Se non ora quando”, con i toni della festa sì, ma della festa seria, «sono Lia ho settant’ anni e mantengo ancora figli e nipoti”, «sono Giulia, ho 40 anni, non voglio che mia figlia cresca in un paese dove il Premier porta in Parlamento le sue escort». Nessun simbolo, ma centinaia di sciarpe bianche, gli ombrelli rossi dei comitati delle prostitute e tanti cartelli scritti a mano che parlano di vergogna, di corpi violati, ma anche delle conquiste delle donne, una bambina mostra una foto di Rita Levi Montalcini, sotto c’ è scritto: “Da grande voglio essere lei, non Rubyo la Minetti”. Sul palco arrivano le voci e la fatica di vivere delle donne italiane, parlano Susanna Camusso, Giulia Bongiorno, Alessandra Bocchetti, Cristina Comencini, Francesca Izzo, Isabella Ragonese, Suzanne Diku, Suor Eugenia Bonetti, missionaria dell’ ordine della Consolata. «Non ne possiamo più», grida suor Eugenia nel suo abito monastico grigio ferro, e le sue parole scuotono la piazza fino nelle viscere, qualcuno, anche, si asciuga le lacrime, quando Eugenia Bonetti racconta delle nuove schiave, della tratta, del mercato del corpo delle donne. Ci sono le studentesse nella folla così folta che quasi non si respira, quelle che animano e fanno vivere il movimento nelle università, sui tetti. Applaudono Sofia Sabatino, che legge una lettera indirizzata a Ruby, simbolo ormai forse estremo dello stile Arcore, ma pur sempre, ancora, una diciottenne. «Tu hai la stessa nostra età, ma sembra che tu stia dall’ altra parte della barricata. La televisione e la società ci hanno obbligato a scegliere tra corpo e mente. Ma la libertà esiste solo se corpo e mente stanno insieme». Angela Finocchiaro tiene il filo rosso degli interventi, l’ ironia contagia testee cuori. Si cita la scrittrice Rosetta Loy: “Le parole fra noi leggere”, la poetessa Patrizia Cavalli recita la sua orazione civile, “Patria”. Ci sono le madri e le figlie. Quelle che si ricordano le fiaccolate contro gli stupri, e le lunghe marce notturne per riprendersi le città ostaggio della violenza. «Se non ricominciamo a parlare, a farci sentite – ragiona Rosanna Brunelli, prepensionata della Pubblica Amministrazione – torneremo lì, a quegli anni, quando la violenza sessuale era una legge contro la morale e non contro la persona…». Sembra impossibile, ma chissà. La gente continua ad arrivare a ondate, in molti restano fuori, la ressa è forte, inspiegabilmente il traffico non è stato bloccato fin dopo l’ inizio della manifestazione, forse per imperizia del Comune, forse perché il successo è andato oltre il previsto, qualcuno parla espressamente di «tentativo di boicottaggio» di questo pomeriggio così intenso e vero. Un corteo si stacca, prova a “sfondare” verso Montecitorio, ma è solo una frangia, uno spezzone. Lunetta Savinio legge uno dei “Monologhi della vagina”, si ride, ma si pensa anche, Lia e Ada hanno i capelli bianchi e sono qui con tre nipoti, «il problema non è Ruby, i nostri ragazzi sono sani, sanno che il sesso e l’ amore non sono quella roba là, il problema è un governo che li condanna a non avere futuro». Ed è infatti il vivere quotidiano di un paese stremato che tracima dalle parole delle donne lette sul palco. «Scrivo perché sono disoccupata e aspetto un figlio». «Sono qui perché ho tre figli in tre scuole diverse, un marito che ha orari diversi, i supermercati che chiudono quando esco dall’ ufficio, ma a nessuno importa niente». «Combatto perché so cosa vuol dire essere toccata da un uomo che potrebbe essere tuo nonno». I politici ci sono, ma restano dietro il palco. Rosy Bindi attraversa la piazza, in molti la fermano, vogliono parlare, chiedono. Rita Riccardi, insegnante di inglese precaria: «Sono qui perché Berlusconi se ne deve andare, ho due figlie di 27 e 21 anni e un avvenire totalmente incerto». E un po’ ovunque spuntano i cartelli con musi di maiale e Berlusconi ritratto mentre sibila: “Oink oink”, il verso dei suini nei fumetti. Gli applausi sono per tutte. Susanna Camusso, segretario della Cgil quando dice «il Paese che vorremmo è quello che rappresentiamo noi», Alessandra Bocchetti, voce storica del femminismo che afferma, «vogliamo donne ministro che escano dalle grandi università, non dal letto sfatto di un potente». Ma ci sono anche loro, mariti, compagni, padri. «Non esiste differenza di sesso quando si parla di dignità- s’ infervora Guido Rametti, qui con Maria e Giulia, moglie e figlia – il paese reale è molto diverso da quel luogo perverso che raccontano Berlusconi e i suoi». La piazza si svuota, lentamente, è quasi buio, lo sguardo corre in avanti: adesso c’ è l’ 8 marzo, poi, gli Stati generali delle donne italiane. Per continuare ad uscire dal silenzio.

13 febbraio: l’urlo delle donne

Inimmagini, rassegna stampa su 14 febbraio 2011 a 14:26
Un fiume di donne in piazza. La protesta in 230 città. “Siamo più di un milione” - Corriere della Sera
Un milione di donne: via Berlusconi. La protesta supera ogni attesa e invade 230 città – La Repubblica
La sfida delle donne. Cortei anti-premier in tutta Italia: “siamo un milione, vogliamo rispetto” - La Stampa
Ruby, la protesta delle donne. A Roma piazza del popolo piena - Il Messaggero
E’ solo l’inizio. Oltre un milione di donne nelle piazze d’Italia e del mondo: “Difendiamo la dignità di tutti” - L’Unità

Trasmissione su Radio Popolare Roma

Inrassegna stampa su 14 febbraio 2011 a 09:04
“Se non ora quando”, con questo slogan le donne italiane scendono in piazza domenica 13 febbraio a Roma e in altre 117 città. Ne parliamo con Nicoletta Dentico presidentessa di Filomena la Rete delle donne e membro del comitato “Se non ora quando”, Francesca Koch vicepresidente della Casa internazionale delle donne, Stefano Ciccone dell’associazione Maschile/Plurale, Pina Adorno presidente della Consulta dei consultori di Roma e Tania Rispoli di Info sex escatelier.
Ascolta la trasmissione su Radio Popolare http://www.radiopopolareroma.it/node/3944

Suore e puttane

Inrassegna stampa su 10 febbraio 2011 a 11:28
di Concita De Gregorio, l’Unità, 8 febbraio 2011
Nel disperato e spaventato tentativo di far sembrare la manifestazione di domenica prossima una piccola cosa, una cosa di donne, sono scese in campo le truppe da combattimento dei sostenitori e dei fiancheggiatori dell’Arcore style. Quelli che, a partire dall’anziano Ostellino, spiegano che ogni donna è seduta sulla sua fortuna dunque che male c’è, è sempre andata così, l’Italia in fondo è veramente un bordello abbiamo letto di nuovo ieri sul Corriere.
I più raffinati, per così dire, schierano donne a denigrare altre donne nel tentativo di scatenare quella che, se solo si scatenasse, chiamerebbero entusiasti una rissa da pollaio. Il sottotesto, il retropensiero divertito di chi manda in tv e mette in prima pagina le Santanchè da combattimento è il seguente: ecco, guardate, donne contro donne. Come se le donne non rispondessero alle categorie di ogni essere umano e non ce ne fossero di ladre e di oneste, di servili e di libere, di capaci e di inette. Gli argomenti più in voga, per denigrare chi crede che le donne siano capaci per prime di reagire al “sistema” piuttosto che adattarvisi, sono i seguenti: sono femministe, moraliste. Predicavano il libero amore ora si atteggiano a suore. Le brave ragazze contro le prostitute, le madri contro le puttane, il mondo diviso in Maria e Maddalena così come i libri sacri ci insegnano, come gli uomini in fondo desiderano. Le puttane per strada offendono il decoro urbano, in villa sono accompagnate dagli autisti.
Il femminismo e il moralismo non c’entrano: molte suore hanno firmato il nostro appello e parecchie prostitute, preti e libertini come se aveste la pazienza di leggerci capireste. Ammesso che l’obiettivo sia capire, naturalmente.
Carla Corso, una donna di 65 anni che è stata ed è leader del comitato per i diritti civili delle prostitute, ci racconta oggi perché aderisce alla manifestazione. Dice, a un certo punto: “Noi eravamo in lotta contro il mondo, volevamo rompere l’ipocrisia, queste ragazze non sono contro ma sono funzionali al sistema”. Il femminismo è stato un movimento politico portatore di diritti. Le ragazze che negli anni Settanta non erano nate, quelle che come me andavano alle elementari non hanno combattuto quella battaglia: ne hanno goduto i frutti. Ma i diritti non sono dati per sempre, vanno difesi: con la cultura, con la consapevolezza.
Scrivevo anni fa le storie vere di Dalia, la ragazzina dell’Est venduta dalla nonna a 12 anni, di Cristina, la studentessa che fiera di farlo rivendica il suo diritto a fare la puttana. La libertà consiste nel darsi il destino che si vuole. Credo che il “sistema” di cui parla Lele Mora e che da decenni è un modello di referimento per generazioni di ragazze – quelle sulle copertine dei rotocalchi, in tv – proponga come strada per la realizzazione di sé una libertà condizionata alla sottomissione. Un mondo di cortigiane, dice Carla Corso. Il problema non è mai chi vende, è chi compra. L’amore è gratis, si può fare in quanti e come si vuole. Anche vendersi è lecito. E’ l’acquisto all’ingrosso, della società intera, che fa schifo. In specie se si comprano adolescenti: che siano consenzienti, e i loro padri con loro, non migliora. Peggiora piuttosto la responsabilità di chi dovrebbe indicare altri orizzonti e non lo fa. Di chi cavalca la sua privata debolezza spacciandola per legge di vita.

Il grande errore è andare in piazza per conto di altri

Inrassegna stampa su 10 febbraio 2011 a 11:17
di Luisa Muraro, Corriere della Sera, 10 febbraio 2011
Viva le manifestazioni che sono l’espressione collettiva di un pensiero e di un sentire, garantita costituzionalmente. E ben vengano. Sia chiaro però che non esiste pensiero collettivo: si pensa in prima persona o non si pensa. Le masse fatte di persone che non pensano in prima persona, sono cieche o manipolate. Sto citando la filosofa Simone Weil. E pensare non è reagire al detto di altri con un sì o con un no, ma situarsi con il proprio desiderio e interesse nei confronti di quello che accade.
Attenzione anche al fascino dei grandi numeri cui ci siamo abituati con la Rete. È abbastanza ovvio che i grandi numeri non rendono giusta una posizione. Ma rendiamoci conto di una cosa meno ovvia e cioè che firmare o manifestare in massa non può rimpiazzare che si faccia in prima persona tutto quello che si può fare nei contesti in cui ci troviamo a vivere.
Qui spunta un primo interrogativo sulla manifestazione del 13. Secondo me, c’è il pericolo che la manifestazione venga usata da quelli che a suo tempo non hanno fatto quello che avrebbero dovuto fare. Che cosa? Il lavoro proprio di una classe dirigente, che era d’intercettare e bloccare un uomo come Berlusconi che non era adatto agli uffici politici, neanche dal punto di vista strettamente legale. Siamo in una democrazia costituzionale e rappresentativa: la piazza non dovrebbe essere necessaria quando si tratta di scegliere e cambiare gli uomini al governo. Se la piazza è diventata necessaria, vuol dire che qualcuno o molti non hanno fatto quello che dovevano fare quando sarebbe stato efficace, ed è esattamente così che è andata.
A questo punto della faccenda si fa appello alle donne. Che senso ha? Come altre, io ci ho visto una strumentalizzazione dei loro sentimenti. Il sentire femminile, per me, è una cosa profonda e delicata che attiene alla vita del corpo sociale. Comunemente le donne, e io sono una di loro, detestano la prostituzione. Ed è su questo sentire che, dopo l’ultimo scandalo berlusconiano, si è fatto leva: gesto criticabile perché il nostro sentire immediato, in sé giusto, non può tradursi in atti politici senza le necessarie mediazioni. Queste sono mancate. Le critiche avanzate da alcune femministe in proposito sono state accolte, per fortuna. Andando avanti in questa direzione, deve diventare chiaro che lo scambio tra soldi e sesso, sesso e potere è una pratica diffusa tra gli uomini, compresi i politici sia di destra sia di sinistra. E che il capo del governo, da questo punto di vista, non è un’eccezione. Grazie a quella presa di coscienza accanto alle donne scenderanno in piazza anche uomini a manifestare la loro distanza da un sessismo che ancora imbeve di sé la cultura politica e non soltanto.
Ma questa è anche la ragione per cui bisogna insistere con le critiche. Che una decida di partecipare oppure di stare altrove e altrimenti, in ogni caso la discussione in corso tra donne significa non consegnarci ciecamente a operazioni politiche nelle mani di uomini i cui orizzonti non oltrepassano la bottega del politico vecchia maniera. La forza non vista ma reale del femminismo italiano sta trasformando il momento presente in un confronto che fa luce anche sulla sua ricchezza di pensiero. L’essere altrove e altrimenti, è una figura fondante del femminismo: marca la differenza femminile e opera una rottura nei confronti di cose già decise da altri. Ma non meno importante è anche il desiderio di esserci nel mondo e di contare con tutte le proprie qualità. Qui tocchiamo un altro punto delicato del dibattito presente, per me il più delicato. Ascoltando e leggendo, mi sono resa conto che partecipare alla manifestazione significa, per molte, sentire di esserci e di essere attive. Agli occhi di queste, molte delle quali giovani, una come me che critica e non aderisce di slancio, appare fredda e distaccata. Una simile impressione mi dispiace e mi fa torto. Ma resisto alla voglia di spiegare quanto, come e dove intensamente io ci sono anche in questa congiuntura, preferisco affrontare questo nodo del protagonismo femminile che sembra dividerci tra donne.
La rivolta femminile degli anni Settanta è nota per le sue manifestazioni pubbliche ma il suo aspetto non appariscente è stato e rimane molto più efficace. Questo aspetto riguarda l’esserci in prima persona con il proprio desiderio, non delegare niente di essenziale ad altri ma creare relazioni di fiducia e trasformare la propria esistenza in una libera impresa. Insomma, dare vita a un’economia di mercato non dominata dal profitto ma dalla forza dei desideri. Una manifestazione come quella di domenica prossima entra in questo gioco? Ci vai, per te. Non andarci contro qualcuno per conto di altri.

La scelta di esserci delle cittadine dalla vita normale

Inrassegna stampa su 10 febbraio 2011 a 11:14
di Maria Laura Rodotà, COrriere della Sera, 10 febbraio 2011
Care donne intelligenti, care donne pensanti, care donne impegnate e/o palpitanti, care donne (e qualche caro uomo) dei distinguo, che manifestate, non manifestate, discutete del perché manifestare; avete parlato con le donne (e con qualche uomo) mai invitate a intervenire sui giornali, con quelle e con quelli che nelle piazze di domenica 13 saranno maggioranza? Voi ne concionate come se si trattasse di un esamino di condotta e quoziente intellettivo per le donne italiane. Come se fosse un convegno con autocoscienza. Come se fosse una riflessione psico-filosofica o socio-moral-politica, o un troppo sollecitato mea culpa. Mi dispiace, non ci sto. Per me quella manifestazione non è quello, e non ha neanche ha le parole e le scarpette delle donne eccellenti che la promuovono. Ha la faccia di Manuela, che fa il medico ospedaliero e arriverà con sua figlia dopo una notte di guardia; di Nadia, ricercatrice scesa dai tetti che diceva «io con quelle sciurette non ci vado» e poi ha deciso di esserci; di Antonella, che fa la mamma e l’impiegata e domenica, per una volta, non cucina. Non sono radical chic. Sono cittadine. O meglio, vogliono tornare a esserlo.
Cittadine, e abitanti di un Paese civile. Non femminucce strumentalizzate (di questo le accusano, come se fossero minus habens); persone che vogliono essere strumento di un cambiamento. O perlomeno testimoniare un disagio fortissimo. Ed essere parte di quella che è stata definita «rivolta della decenza». Decenza, non bacchettonismo. Anche se basta poco per essere definite bacchettone, in questa Italia che ha perso il senso del pazzesco; dove tutto, anche gli anziani governanti con le minorenni, può venire relativizzato. E forse è questo che disturba, di queste donne che si danno appuntamento domenica. Il non voler relativizzare, il non badare a polemiche e rivalità, l’andare in piazza per un motivo chiaro: chiedere le dimissioni di Silvio Berlusconi. L’appello delle promotrici della manifestazione è vago e a tratti stucchevole. Si conclude con un «è tempo di dimostrare amicizia verso le donne» francamente patetico, neanche un’associazione cinofila chiederebbe in questi termini solidarietà per gli amici a quattro zampe. Però chi va domenica non ci fa caso; va per protestare e recuperare l’onore perduto, in qualche modo.
Per onore, sì, non per moralismo. Alcune tra le più colte, sulla prostituzione femminile, apprezzano il pensiero di Luisa Muraro. Ma oggi come oggi trovano più attuali le considerazioni di José Mourinho. Le sue accuse (va bene, parlava d’altro, ma ha lasciato il segno) di «prostituzione intellettuale» fanno riflettere sulla società italiana più di tante tristi liti sulla disponibilità delle donne. E tante donne, ora, vorrebbero cominciare a sentirsi, anche loro, Special Ones, e non pezzi di ricambio. E loro, quelle normali, a parlarci paiono più consapevoli di tante polemiste (e polemisti). Dicono che per la prima volta nella nostra storia il mondo guarderà le donne italiane. Dicono che uno scatto d’orgoglio e una prova di forza sarebbero necessari per salvare la dignità di questo Paese; fuori dall’Italia e dentro di noi. Ieri un’amica – normale, non radical chic, appassionata di storia militare – citava un uomo eterosessuale, maschilista, bellicoso e sbevazzone, Winston Churchill. Scherzando parafrasava un suo celebre discorso del 1940: «Contemplando i pericoli con occhio disilluso, vedo grandi motivi per una vigilanza intensa e un’azione, ma nessuno per il panico e la disperazione…. Prepariamoci al nostro dovere, e comportiamoci in modo tale che, se la Repubblica italiana dovesse durare mille anni, le donne diranno “questa fu l’ora migliore”». Non sappiamo se domenica dopo pranzo sarà la «finest hour» delle italiane; ma sarà un’ora decente, nonostante tutto, probabilmente.

Voglio dire sono italiana senza dovermi più vergognare

Inrassegna stampa su 10 febbraio 2011 a 11:01
di Simonetta Agnello Hornby, La Repubblica, 9 febbraio 2011
ALCUNI MESI FA, a Londra, in un’ intervista, mi fu chiesto cosa pensassi dell’ ultima di Berlusconi: aveva intercesso presso la questura a favore di una ragazzina marocchina accusata di furto. Pensai che il premier avesse sentito la notizia alla radio – un’ immigrata che ruba per fame, vittimizzata dalla polizia (da avvocato dei minori conosco bene quel tipo di “razzismo istituzionale”) – e d’ impulso si fosse mobilitato per lei. “L’ intervento a favore di un’ emigrante islamica è un bel gesto,” dissi. Quando andai in Sicilia fui rimproverata da amici e parenti per le incaute parole: la ragazzina che avevo immaginato povera e indifesa era Ruby. Vivo all’ estero da quarant’ anni. Ho trasmesso ai miei figli un’ orgogliosa appartenenza alla Sicilia e all’ Italia. Mille volte ho difeso il mio paese dalle critiche degli stranieri, sostenendo che abbiamo sani princìpi morali e che la corruzione e il clientelismo diminuiranno- ci vuole tempo. Ora non posso più. Non soltanto Berlusconi ha corroso il senso etico degli italiani, ma ha inflitto a noi donne un’ ulteriore umiliazione: ci ha strappato la dignità. Questo settantenne dal volto rifatto non lesina commenti offensivi sull’ aspetto fisico delle deputate dell’ opposizione, e sceglie candidate e ministre giovani e belle; ostenta la propria debordante sessualità e tratta le donne (e ne parla) come oggetti di piacere, colmandole di regali in proporzione al grado di soddisfazione che ne ottiene. Agli incontri internazionali si comporta da cafone e imbarazza gli statisti con battute a sfondo sessuale. Le sue capacità comunicative da intrattenitore condite con una accattivante volgarità macchiettistica, l’ imprevedibilità del comportamento, la schiacciante superiorità dei media da lui controllati e l’ assenza di un’ opposizione compatta hanno mantenuto alta la sua popolarità permettendogli di offrire agli elettori una pruriginosa telenovela sulle gesta del maschio italiano che non si arrende alla vecchiaia e si gode giovani voluttuose. Una formula vincente. Il suo esempio ‘ giocoso’ ha reso accettabile lussuria e promiscuità tra vecchi e giovani; ha ‘ elevato’ la prostituta al rango di escort e nobilitato, trasformandolo in ‘ regalo’ , il pagamento per prestazioni sessuali. Ma quel che è peggio, Berlusconi ha infangato la propria carica istituzionale commettendo un abuso di potere bizzarro e squallido – protagonista, per l’ appunto, Ruby. Altro che marocchina! Altro che nipote di Mubarak! Altro che un’ amicizia basata su ‘ rispetto e affetto filiale’ da parte di Ruby e di balorda generosità da parte di lui! Le feste ‘ distensive’ ad Arcore sono oscene – non importa se vi si commettevano atti sessuali e non importa di che tipo. Alcune di quelle ‘ ospiti’ maniate e toccate erano povere, altre straniere. Una aveva la figlia malata. Cosa speravano di ottenere? Denari, certo. Una carriera di velina? Un’ automobile? Un appartamento? C’ erano anche ambiziose ragazze della borghesia. Pure loro volevano regali? E di che genere? Forse una candidatura? Un posto in tv o in un’ azienda di Berlusconi? Scavando nel passato a noi noto, emergono genitori che spingono le figlie a intrattenere ‘ Papi’ e diventare sue amiche. E a partecipare alle sue feste. Ora sappiamo di che tipo di festa si tratta. Non sappiamo, però, quanti dei suoi cortigiani lo scopiazzano e godono della sua protezione. E non sappiamo nemmeno quante famiglie italiane incoraggiano le figlie a denudarsi e a farsi toccare da chi ha potere – anche a copulare, se è il caso – perché è il modo più rapido ed efficace per trovare lavoro. Basta, signor Berlusconi. Quando è troppo è troppo. Non voglio più sentirmi dire che il mio paese va alla deriva, perché c’ è lei al governo. Non voglio più sentirmi dire che noi italiani deteniamo in Europa il primato del degrado morale. Fra due settimane porterò i nipotini a Roma, per la prima volta. Voglio camminare a testa alta, con loro, e dire “Nonna è italiana” senza vergognarmi del mio presidente del Consiglio. Se ne vada, signor Berlusconi. E lo faccia presto.

“La nostra dignità è quella del paese”

Inrassegna stampa su 10 febbraio 2011 a 10:57
di Laura Pertici, La Repubblica, 9 febbraio 2011
Berlusconi può cadere anche grazie alla dignità delle donne. Alla loro presa di coscienza. Anna Finocchiaro, presidente dei senatori Pd, aRepubblica Tv parla ovviamente di politica. Dunque delle 117 piazze che domenica saranno unite da un coro: “Se non ora, quando?”.
La mobilitazione cresce di giorno in giorno.
“E` un grande fatto politico. Perle dimensioni, perla sua natura spontanea, perché non ci sono patronati di partiti. In passato il movimento delle donne ha pagato le divisioni, oggi invece ciascuna firma l’ appello dell`altra, prevale la necessità di fare massa critica”.
Cosa vuol dire per l`Italia?
“La dignità delle donne corrisponde per una volta a quella del Paese. La loro identità, faticosamente costruita, le donne vogliono difenderla. Sono in fondo la parte più vivace della società, lo dimostra qualsiasi statistica su scuola e professioni. E` per questo che un tale movimento può portare il presidente del Consiglio alle dimissioni”.
Le donne del bunga bunga non sono libere di scegliere?
“Certo che sono libere. Così come qualsiasi donna adulta che voglia prostituirsi senza costrizioni. Ii problema è la concezione che Berlusconi ha del mondo femminile: usate per proprio capriccio, le donne gli vengono procacciate, lui ne diventa l`utilizzatore finale e poi le destina a cariche pubbliche. Ho sempre pensato che le donne nelle istituzioni non possono che far bene, ma non se sono oggetto di mercato. Le nostre figlie hanno lavorato per veder riconosciute le loro capacità, non per essere selezionate. Non si tratta quindi di una rivendicazione di genere, per questo a manifestare saranno anche gli uomini”.
Intanto Berlusconi annuncia la “scossa”economica, oltre che il ritorno al processo breve.
“Chiunque abbia conosciuto la natura del potere berlusconiano non può pensare che tutto finisca senza colpi di coda. La modifica dell`articolo 41 della Costituzione è solo uno show, i tempi sarebbero lunghissimi. In quanto al processo breve, l`opposizione sarà dura anche perché si possa tornare a cogliere il senso vero delle parole: processo breve non significa che la giustizia in Italia riprenderà a funzionare, bensì che il capo del governo non andrà a giudizio”.
Il patto c on la Lega ancora non si scioglie. Che fine farà il federalismo?
“La Lega tiene al laccio il premier e se lo porta in giro come un giocattolino. Ma sbaglia, non è con lui che può fare il federalismo, perché il premier e Tremonti hanno in testa un Paese in cui gli enti locali non contano niente e il potere rimane di poche persone, magari solo due. Per adesso Bossi sta cercando di raccogliere il maggior utile possibile prima delle elezioni, per poterlo spendere nei comizi. Non si arriverà alla fine della legislatura. Berlusconi è un uomo accerchiato”.

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