PER RIPRENDERCI LA NOSTRA DIGNITA'

giovedì 24 febbraio 2011

23 FEBBRAIO: RASSEGNA STAMPA

Dopo il 13 l’otto marzo. Le donne non si fermano

Inrassegna stampa su 23 febbraio 2011 a 10:18
di Fabrizia Bagozzi, Europa, 15 febbraio 2011
Di fronte al milione di donne e uomini anti bunga bunga nelle oltre duecentotrenta piazze italiane il Cavaliere tenta la controffensiva schierando le fedelissime Gelmini, Brambilla e Prestigiacomo e correndo a Mattino 5 per spiegare alle spettatrici quanto quelle piazze siano faziose e prone ai teoremi giudiziari. Perché, dice «ho sempre valorizzato le donne che hanno una marcia in più».
Ma mentre a lui manca il fiato, loro, le ragazze che nel fai da te più totale hanno mobilitato una gigantesca massa di persone – un anticipo di san Valentino per Silvio – invece lo riprendono. E dopo una notte passata a festeggiare “stanche ma felici”, si godono il successo e annunciano fin da oggi che il 13 febbraio non è un punto di arrivo, ma di partenza. «Sentivamo che stavamo raccogliendo un onda che partiva dal basso e che poteva avere molto seguito, ma non ci aspettavamo questi numeri. A Milano eravamo centomila», dice la scrittrice Iaia Caputo, una delle animatrici della piazza milanese. Dunque sono stupite, ma di «uno stupore consapevole ». E «consapevoli anche del fatto che tutta la gente che ha animato le mobilitazioni ci consegna una responsabilità, quella di dare un seguito, di andare avanti ».
E così sarà. Intanto, le promotrici annunciano che il comitato Se non ora quando 13 febbraio diventa permanente «per valorizzare le energie che si sono straordinariamente espresse domenica scorsa nelle nostre città». E perché «è il momento di impegnarsi per cambiare culture e politiche e per abbattere vecchi steccati e divisioni». Fra venerdì e lunedì Roma e Milano ci saranno le prime riunioni per capire come rilanciare. A partire dall’otto marzo che mai come ora può diventare un’occasione per mettere al centro le donne fuori dalle ritualità di prammatica.
A Roma, prima di piazza del Popolo gremita, le Dinuoviste poi confluite nel comitato Se non ora quando pensavano a un otto marzo all’Ambra Jovinelli con lo spettacolo Libere, scritto da Cristina Comencini e diretto da Francesca Comencini, che è di fatto il manifesto “politico” della mobilitazione di domenica. «Ma con queste adesioni si tratta di capire come fare, come organizzarsi», spiega Patrizia Cafiero. A Milano, invece, è in ballo un’assemblea pubblica nei giorni a ridosso dell’otto marzo. E, in prospettiva, a livello nazionale, l’idea di una sorta di Stati generali delle donne su cui già da tempo Dinuovo e Le Filomene stanno ragionando, ma che da adesso in poi diventa una prospettiva più che concreta. Dopo cioè questa domenica, che ha preso tutti alla sprovvista per i numeri fuori da ogni previsione e per i modi. Perché se è vero che nelle piazze c’era molta sinistra – ma non solo militante – è anche vero che c’era tanto altro, orientato altrove ma con il bisogno di esserci. In mobilitazioni che nella maggior parte dei casi sono state gentili, equilibrate, senza bandiere di partito o etichette. Magari «ancora un po’ vittimiste», come fa notare qualche femminista d’antan che c’era per curiosare e non per partecipare.
Contro Berlusconi nel suo modo di trattare le donne e non contro le donne, a dispetto di ciò che dichiara Prestigiacomo. Mobilitazioni che, se anche fossero partite dai salotti come sostiene Gelmini, comunque sono cresciute popolari e non sono al momento confinabili al solo recinto della sinistra. E che dovrebbero anche nelle intenzioni rimanere tali, anzi allargarsi ancora.
Nel frattempo, mentre le piazze stracolme delle donne (e degli uomini) fanno il giro delle televisioni e dei giornali di tutto il mondo, dopo l’endorsement del direttore di Avvenire Marco Tarquinio, l’Osservatore romano dà la notizia. La politica italiana si divide. E, aspettando Sanremo (oggi la prima serata) Elisabetta Canalis e Belen Rodriguez fanno sapere che non avrebbero manifestato. Gianni Morandi invece sì.

Non basta la protesta d’un giorno. Ora vanno costruiti i passi successivi

Inrassegna stampa su 23 febbraio 2011 a 10:14
di Viviana Daloisio, Avvenire, 15 febbraio 2011
Andare in piazza solo per un giorno non è sufficiente, anzi rischia di passare per un’iniziativa strumentale, politica. Mentre le donne hanno ragione a far sentire la propria voce, perché nel Paese una “questione femminile” «esiste eccome», spiega il segretario confederale Liliana Ocmin, responsabile del settore donne e giovani della Cisl.

L’Italia s’è desta

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 22:56
di Paolo Flores d’Arcais, il Fatto quotidiano, 15 febbraio 2011
Per essere solo “un gruppetto di signore radical chic”, come dice la povera Gelmini, si sono moltiplicate che neppure i pani e i pesci, visto che il loro appello ha riempito in modo straripante duecentocinquanta piazze d’Italia come da anni quelle città non ricordavano. Con centinaia di migliaia di donne e di uomini, di giovani e di anziani, numeri calcolati con pudico minimalismo, che non rendono giustizia al mare di partecipazione totalmente auto-organizzata che ha percorso la Penisola.
Con una indignazione carica di entusiasmo, festosa di passione civile, colorata di allegria, solare di determinazione, che i tristi “mutandari” di Ferrara e Santanchè non possono neppure immaginare e meno che mai capire, cupi nel loro odio per tutto ciò che in Italia c’è ancora – e ogni giorno cresce – di dignità, serietà, libertà, gioia di lottare e di vivere. “Faziose”, hanno ripetuto i lanzichenecchi di regime che più che mai intasano totalitariamente il video. Se ne facciano una ragione: domenica, detto molto sobriamente e senza fanfare, l’Italia s’è desta.
Il difficile comincia ora. Quella incontenibile volontà di liberazione che ha illuminato di serena e fraterna indignazione i volti e gli animi delle italiane e degli italiani migliori, può suonare la diana della fine del regime ma può anche disperdersi nella morta gora di una politica consegnata una volta di più al monopolio inetto dei politici di mestiere.
(Sì, migliori. Facciamola questa parentesi: in piazza domenica c’era proprio l’Italia migliore, moralmente e umanamente migliore. Perché avere timore di dirlo, di fronte all’Italia del “porco è bello!”, che spaccia da libertà sessuale il servizio a pagamento per virilità posticce e da meritocrazia la nomina nei Parlamenti e nei ministeri delle epigone nostrane – ma avide – di Monica Lewinsky?).
Le animatrici di “se non ora quando?” non facciano dunque l’errore compiuto dai girotondi, e poi dai viola, e dal movimento degli studenti, e da tutti i movimenti di lotta che hanno mantenuto civile e vivo questo paese nel “quasi ventennio” cupo che abbiamo vissuto, non deleghino ai soli partiti il momento elettorale, perché quello è il pallottoliere che alla fine decide i governi e le leggi, la realizzazione o la distruzione della nostra Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza. Dieci anni di movimenti trovino la lucidità di discuterne seriamente adesso, tra loro, di come essere protagonisti anche il giorno delle urne. I partiti non bastano, lo hanno mostrato al di là di ogni ragionevole dubbio.

Donne in piazza, scontro governo-opposizioni

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 22:37
di Roberta D’Angelo, Avvenire, 15 febbraio 2011
Non era di partito e forse per questo faceva ancora più impressione, ma la manifestazione dal titolo ‘se non ora quando?’ ha portato una folla inimmaginabile di donne nelle piazze italiane (in al­cuni casi anche all’estero) e il giorno dopo viene considerato un «grande successo politico» – malgrado la dichiarata volontà ini­ziale – andato «oltre le più ottimistiche pre­visioni».
A tracciare il bilancio «esaltante» sono le organizzatrici della sfida al premier. E a soffrirne oltremodo è proprio quel Silvio Berlusconi che sulla piazza e sul consenso spontaneo (per gran parte femminile) fon­da le sue radici. Ma il capo del governo con­testa con forza l’apoliticità dell’iniziativa, bollata anzi come «faziosa» e orchestrata dal­la sinistra, pronta questa a trarre comunque vantaggi dall’invasione rosa. Parole su cui in coro replicano il Pd e gli altri partiti di op­posizione. Berlusconi però non si convince. «Mi è sem­brato un pretesto per sostenere il teorema giudiziario che non ha nessun riscontro nel­la realtà: una mobilitazione di parte, fazio­sa, contro la mia persona da parte di una si­nistra che cavalca qualsiasi mezzo per ab­battermi », spiega il premier. Insomma, «u­na vergogna». Perché, dice il premier, «le donne che mi hanno conosciuto sanno con quanto rispetto io mi rapporto con loro». Non politica nelle intenzioni del giorno pri­ma, ma diverse erano le rappresentanze spontanee dei partiti di opposizione nei cor­tei. Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani par­la di una risposta della «parte migliore del Paese», quella che «ci aiuterà ad andare ol­tre Berlusconi», anche se «ora non aspettia­moci giorni facili». E anche Pier Ferdinando Casini si impressiona davanti ai numeri. «Imparerei a ri­spettare gli altri, piuttosto che insolentirli sempre». Ma a colpire di più, secondo Wal­ter Veltroni, è che Berlusconi ha perso «la ca­pacità di essere in relazione e di interpreta­re il Paese».
E la conseguenza è che ora si de­ve «voltare pagina». Non si preoccupa dell’interpretazione ber­lusconiana il suo predecessore. «Lasciamo che Berlusconi pensi che sono le solite don­ne di sinistra – concede ironico Romano Pro­di – . Dobbiamo lasciarlo alle sue convin­zioni: come dimostra la storia ci sono per­sone che hanno un potere molto forte e cre­dono che sia assoluto e carismatico e quin­di non riflettono mai se l’opposizione ha del­le ragioni». Se però le opposizioni esultano, la maggio­ranza fa quadrato. «Un’iniziativa nata e cre­sciuta nei salotti della cultura politica e del cinema», dice il ministro Mariastella Gelmi­ni. Nel coro, si leva solo la voce di Alessan­dra Mussolini, che pungola il premier. «Quel­la di domenica è stata una grande manife­stazione di popolo, con tanta gente comu­ne: occorre senza dubbio una riflessione», di­ce ai suoi. Non si lasciano smontare, comunque, le or­ganizzatrici, decise a rimanere sulla cresta dell’onda. «È andata oltre le più ottimistiche previsioni». Le promotrici si godono il risul­tato e cercano di non chiudere così la parti­ta, considerata anzi alle prime battute. «Il bi­lancio è esaltante – spiega Francesca Izzo, docente universitaria e una delle menti del Comitato promotore – parliamo di oltre 200 piazze, è un fatto straordinario. Non c’è mai stata una tale mobilitazione di popolo gui­data da donne nel nostro Paese». Per questo, dice, se ne può trarre un giudizio politico: «le parole d’ordine che erano state al centro della mobilitazione, gli obiettivi e i senti­menti hanno incontrato un’adesione larga e spontanea». E il successo è tanto più im­previsto in quanto le iniziative sono partite da un «comitato piccolo, composto da don­ne che non avevano certo la capacità di mo­bilitare più di un milione di persone. Vuol dire che l’esigenza che l’Italia diventi un Pae­se per donne è qualcosa di profondamente sentito».

E’ stato l’unico segnale di vitalità civile e sociale che l’Italia ha saputo dare

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 22:34
di Irene Tinagli, la Stampa, 15 febbraio 2011
Pur tra i mille distinguo e scetticismi della vigilia, la manifestazione di domenica ha mostrato una piazza pacifica, colorata, determinata ma composta, una piazza che ha riunito donne e uomini di ogni eta’ e di varia estrazione politica e sociale. Una manifestazione di questo genere la si puo’ criticare su vari fronti, ma non puo’ rappresentare una vergogna per nessuno.
Perche’ in un paese democratico nessuno dovrebbe vergognarsi di manifestare pacificamente un disagio, casomai dovrebbe riflettere chi, pur accorgendosi che qualcosa nonva, non ha il coraggio di farlo. Poi naturalmente si puo’ discutere sulle causedi tale disagio, sui modi di manifestarlo e sulle possibili soluzioni, ma restail fatto che le infinite discussioni portate avanti negli ultimi anni all’internodi redazioni, talk show o dei salotti buoni non hanno prodotto quello che hannoprodotto domenica le piazze italiane: l’immagine chiara e cristallina diun’Italia che non si riconosce piu’ in una societa’ rimasta ancorata a modellie stereotipi antiquati e consunti. Modelli che alterano non solo i rapporti trai sessi, ma le prospettive di crescita sociale ed economica di questo paese. Filosofeggiare o spaccare il capello in quattro sull’opportunita’ di una frase o di un cartello, o se era meglio farla fare agli uomini o farla prima o dopo, e’ certo lecito, ma non cambia una semplice realta’: che la manifestazione di domenica e’ stato l’unico segnale che l’Italia ha dato al mondo di una vitalita’ civile e sociale che sembrava aver perso, almeno agli occhi della stampa estera. Osservatori e commentatori internazionali da mesi si chiedevano: ma perche’ la societa’ italiana non reagisce, in un senso o nell’altro? Ecco, le donne e gli uomini in strada domenica hanno dato una risposta a questa domanda.

L’altolà delle donne al Cav

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 22:30
di Aldo Garzia, Terra, 15 febbraio 2011
Sono molto soddisfatte le organizzatrici delle manifestazioni di domenica all’insegna della parola d’ordine “Se non ora, quando?”. Per quantità e qualità la mobilitazione ha infatti superato le più rosee aspettative. «Siamo più di un milione. Ci siamo appena contate», aveva annunciato l’attrice Angela Finocchiaro dal palco di piazza del Popolo già a metà pomeriggio riferendosi al successo delle mobilitazioni in altre piazze, da Catania a Torino pe pure in alcune città straniere.

A noi il governo Adesso le donne non si fermano più

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 22:24
di Flavia Amabile, La Stampa, 15 febbraio 2011
A chi le liquida come un fenomeno folkloristico o una carnevalata della domenica destinata a spegnersi il lunedì mattina, a Silvio Berlusconi che le ha definite «faziose», le donne che hanno portato in piazza un milione di persone rispondono con i primi passi concreti. L’attrice Angela Finocchiaro l’aveva detto alla fine della manifestazione di domenica: «Ora vogliamo andare al governo». E un’altra attrice, Valeria Solarino ammette che l’unica strada è quella di «entrare nei partiti politici, nei sindacati, bisogna contare di più». L’obiettivo è ambizioso: per raggiungerlo, il Comitato «Se non ora quando» da ieri è diventato permanente e si è messo a studiare nuove iniziative. La prossima uscita sarà fra meno di un mese, l’8 marzo 2011, giornata mondiale della donna. «Vogliamo fare di questa data un grande appuntamento, per tenere il punto spiega Francesca Izzo, docente universitaria all’Orientale di Napoli e stratega della piazza di domenica Pensiamo che per le donne, e non solo per loro, ci sia la consapevolezza che ormai bisogna far cambiare questa società che non è cambiata negli ultimi due decenni, per rispondere alla più grande rivoluzione dei nostri tempi, che è quella femminile L’Italia non è adeguata, bisogna che cambi. Noi questo punto non lo molleremo».
Tutto bene, ma anche già sentito. Come si fa ad arrivare da queste parole al governo? «Dobbiamo intaccare il potere in tutti gli ambiti, da quello politico a quello economico, sociale, mediatico. Vogliamo costituire gli Statì Generali delle donne, una forza collettiva capace di intervenire ed essere protagonista e interlocutrice della scena pubblica».
Una lobby? «Molto di più che una lobby risponde Francesca Izzo è un processo che si apre e si deve sviluppare. Noi abbiamo lanciato delle proposte, poi sta a questo grande moto che si è prodotto di trovare le forme più adeguate. Abbiamo sollevato un coperchio, ed è questo che ha prodotto il risultato di ieri. Continueremo a lavorare, insieme a tante altre realtà. Tutte insieme. Questo è anche un modo diverso di affrontare i problemi della società rispetto all’immagine che fornisce il premier, non dividere ma creare collegamenti tra esperienze diverse per rendere migliore il Paese».
Insomma il bello deve ancora arrivare, promettono le donne del «Se non ora quando» che ieri erano entusiaste della risposta della piazza e decise ad andare avanti nel loro programma.
Lo dice anche Giulia Bongiorno, del Fli, che domenica era sul palco: «Sono assolutamente certa che ieri è stato l’inizio di qualcosa e non l’inizio e la fine». Ma anche uno come Filippo Rossi direttore di Fweb magazine che sulla rivista online dí Fare Futuro, la fondazione presieduta da Gianfranco Fini, è tornato a inneggiare alla piazza: «Non si può che scorgere in questa folla indignata il profilo di un’Italia nuova». Entusiasmo e attesa da parte del Pd. Romano Prodi ringrazia le donne che hanno dato il via ad una nuova era. Ma anche il segretario Pierluigi Ber-sani e poi Walter Veltroni e Dario Franceschini. Franceschini parla di «una svolta, perchè è la prima volta che, dall’inizio della legislatura, si esprime con nettezza una opinione pubblica contraria al governo».
«Ora c’è la parte più diffici le ha avvertito invece Emma Bonino cioè tradurre questo slancio in proposte o iniziative politiche. Ci adopereremo perchè questa grande corrispondenza di piazza poi trovi un incanalamento in proposte concrete».

«La prima volta tutta al femminile»

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 22:20
di Maria Luisa COlledani, Il Sole 24 Ore, 15 febbraio 2011
«Se questo è il risultato di venti giorni di lavoro, chissà che cosa si potrebbe costruire in un’intera legislatura». È l’interrogativo che resta a Francesca Izzo, una delle promotrici della manifestazione che domenica ha portato le donne nelle strade d’Italia e del mondo, da Roma a New York.
Hanno lavorato tre settimane all’associazione “Di nuovo”, donne diverse per provenienza, professione, estrazione e hanno scoperchiato un sentimento profondo che attraversa l’altra metà del cielo: «Sul palco, con quella fiumana femminile davanti – continua Izzo – ho capito che ci sono un sentimento comune, problemi e bisogni di tutte che vanno oltre la vicenda Ruby».
La voce di Francesca Izzo, docente di Storia delle dottrine politiche all’Orientale di Napoli, è pacata, i picchi li lascia alle emozioni: «L’Italia ha visto una mobilitazione di popolo guidata dalle donne, come non era mai successo nella storia repubblicana: non pretendiamo di risolvere i problemi del paese ma i cortei di domenica dicono che le difficoltà esistono e che si possono risolvere solo se le voci diventano una». Ai piedi del palco di piazza del Popolo le ragazze erano migliaia: «Le ho trovate bellissime – continua la docente – perché, per la prima volta nella loro vita, hanno capito che non porta lontano l’individualismo in cui sono cresciute, ma sono la forza comune, l’essere un’unica anima a saper superare il degrado anche materiale che caratterizza la condizione femminile in Italia». Senza la faziosità di cui ha parlato il presidente Berlusconi: «Non ci sono stati attacchi, non ci sono state parole scomposte. Se il premier definisce faziosa la manifestazione significa che non conosce il paese che guida: domenica le donne hanno solo detto ciò che hanno dentro».
Tanta energia va canalizzata, non deve rimanere un fuoco fatuo: «Ora la responsabilità è grande, anche se non ci vogliamo sostituire alla politica: il prossimo appuntamento è per l’8 marzo e lavoriamo agli stati generali delle donne aperti pure agli uomini». Questo è il vivere insieme: «La politica apre il cuore, costruisce, include, allarga, coinvolge mentre il volto odierno dell’Italia è un volto maschile ostile, chiuso, oppresso, che vivacchia di pigrizie intellettuali. Ancor più appariscente se si guarda il nostro paese da lontano».
Ma sotto c’è una ricchezza carsica e silenziosa, che ha portato le donne in piazza: «È il momento di mettere insieme i pezzi del puzzle – conclude Francesca Izzo -, è il momento del coraggio». Se non ora, quando?

Le donne della piazza: «È solo l’inizio, ora avanti»

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 22:18
di Mariolina Sesto, Il Sole 24 Ore, 15 febbraio 2011
Il giorno dopo le promotrici non stanno nella pelle: le foto e le riprese delle piazze contano più dei numeri. Si parla di un milione di donne scese a manifestare domenica in 230 città italiane e in oltre 50 all’estero per la propria dignità al grido di «Se non ora quando?», ma al quartier generale delle organizzatrici già è scattata la fase due. L’adesso, come urlava domenica la piazza. L’adesso è la trasformazione del piccolo gruppo di avanguardia in un “comitato permanente” che studierà nuove iniziative, soprattutto in vista dell’8 marzo, Giornata mondiale della donna.
«È stato un grande successo politico» ammettono con orgoglio Francesca Izzo, Francesca e Cristina Comencini, Valeria Fedeli e le altre del nucleo fondatore. Ma guai a farsi trascinare nel gioco delle strumentalizzazioni da parte dei partiti. Uno dei pilastri che hanno sorretto la piazza, oltre alla civiltà e alla dignità è stata l’assenza di colore politico. E forti di questa carta d’identità, le donne di “Se non ora quando” hanno rinviato al mittente le accuse di faziosità arrivate dal premier e dal governo. «Mi è sembrato un pretesto per sostenere il teorema giudiziario che non ha nessun riscontro nella realtà: una mobilitazione di parte, faziosa, contro la mia persona da parte di una sinistra che cavalca qualsiasi mezzo per abbattermi – ha protestato Silvio Berlusconi –. Tutte le donne che hanno avuto modo di conoscermi sanno con quanta considerazione e rispetto io mi rapporto con loro». Indignata la replica di Francesca Izzo che ha sintetizzato il pensiero delle altre aderenti al comitato: questo è «un modo di “regalare” alla cosiddetta sinistra una mobilitazione popolare che invece ha visto assieme figure, personalità ma anche gente comune provenienti da ambienti, culture, esperienze profondamente diverse. Se questa articolazione Berlusconi la considera una mobilitazione faziosa, ciò è un prodotto dell’accecamento di un premier che non capisce più il Paese che sta governando». Solitaria nel Pdl la voce di Alessandra Mussolini che invita a riflettere su quanto accaduto domenica: «Guai a liquidare quella manifestazione come la sfilata di facinorosi o radical chic. In piazza, ne sono convinta, c’erano anche molti elettori di centrodestra: da loro è venuta un’indicazione che dobbiamo saper cogliere».
Le donne, comunque, sono già oltre le polemiche e guardano al prossimo passo: gli stati generali che porranno una nuova agenda al paese. «Riuniremo il maggior numero possibile di associazioni di donne – spiega la sindacalista Valeria Fedeli – per mettere nero su bianco proposte concrete che riflettano le richieste emerse domenica in piazza». Come la Fedeli Flavia Perina, direttrice del Secolo d’Italia e deputata Fli – anche lei nel comitato delle organizzatrici – è ancora incredula per il successo oltre ogni aspettativa: «In piazza si respirava un risveglio di cittadinanza una collettiva assunzione di responsabilità». «Quello che ci ha stupite – aggiunge Fedeli – è stata la presenza di donne, uomini, famiglie intere che di solito non frequentano le manifestazioni. Come se lo scendere in campo a difesa della dignità della donna abbia convinto che era l’ora di esserci». La stessa molla che ha fatto salire sul palco suor Eugenia Bonetti, una vita dedicata alle donne immigrate che finiscono vittime della tratta di esseri umani per sfruttamento lavorativo e sessuale. «Sono scesa in piazza per dare loro voce – dice soddisfatta al telefono – è l’ora di dire basta a questo indegno mercato del mondo femminile».

Per la Gelmini la mia macellaia è una radical chic

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 22:16
di Cinzia Leone, Il Riformista, 15 febbraio 2011
Una parte di me deve assomigliare alla Gelmini, perché Lucia, Samoa e Vania, domenica a Roma a Piazza del Polpolo, non mi aspettavo di incontrarle. Che la mia portiera, la mia macellaia e l’infermiera dell’ospedale vicino casa che incontro tutte le mattine potessero essere delle radical chic me l’avevano sempre nascosto.

La piazza è delle donne

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 22:08
di Giorgio Salvetti, Il Manifesto, 15 febbraio 2011
E adesso quando? L’8 marzo. La manifestazione delle donne di domenica è stata un evento straordinario che non può certo rimanere confinato in quell’unica eccezionale giornata. E’ come se si fosse aperto uno squarcio nella coscienza del paese e ormai non si può più fare finta di non vedere. Siamo solo all’inizio. Per questo le organizzatrici della manifestazione hanno deciso di non chiudere bottega e di continuare a lavorare come comitato permanente. La prima scadenza è la festa della donna. Ne parliamo con Francesca Izzo.
Il giorno dopo l’incredibile successo già siete già pronte a rilanciare?
Siamo distrutte, anche perché ognuna di noi non fa questo di mestiere. Abbiamo anche il nostro lavoro. Ma abbiamo già deciso di fare un altro passo ancora più avanti. Il nostro comitato era fatto per organizzare questo evento e poteva sciogliersi il giorno dopo. Non sarà così. Ieri mattina abbiamo preso l’impegno di restare insieme e di continuare a lavorare.
Cosa avete in mente?
Lasciateci un attimo di respiro. E’ ancora tutto da definire e bisogna discuterne con tanti soggetti. Certo vogliamo rendere meno ovvio possibile il prossimo 8 marzo. Non pensiamo a manifestazioni altrettanto oceaniche, ma vogliamo continuare sull’onda aperta dalla giornata di domenica. Adesso che abbiamo fatto breccia si tratta di decidere le priorità e andare in profondità sui tanti temi che abbiamo sollevato.
Cosa è successo davvero in quelle 230 piazze?
Intanto è stata la più grande e diffusa manifestazione delle donne mai avvenuta in questo paese. Una cosa simile non era mai successa. Ovviamente ha una grande valenza politica. Si è tolta dal quadro o si è messo ai margini quell’idea dominante secondo cui le donne ormai hanno conquistato i loro diritti e che le lotte per la propria autodeterminazione possono continuare solo in una dimensione del tutto personale. In solitudine. Un’intera generazione di donne è cresciuta con questa idea in testa. Adesso è chiaro a tutte che da sole non ce la si fa. La solitudine ci toglie la voce e senza una dimensione collettiva si va incontro a un arretramento anche delle condizioni materiali delle donne.
Un successo così enorme spiazza tutti. Berlusconi traballa e straparla. E questo non stupisce. Come giudica nel complesso le reazioni della politica e della cultura italiana?
Quelle di Berlusconi, ma anche della Gelmini, sono reazioni scomposte e grottesche. Testimoniano un grande imbarazzo. Nel complesso registro molta attenzione. L’evento di domenica ha colpito molto e ha dimostrato che si può fare buona politica, discutere ad un livello alto e allo stesso tempo incontrare e far emergere un forte sentimento condiviso, popolare e trasversale. E’ stata una giornata che ci ha fatto uscire dall’apatia e dalla cupezza.
La trasversalità è una ricchezza, ma come si fa a tenere insieme tanti temi e tante soggettività diverse?
La presenza in quelle piazze è frutto di una scelta, molto voluta, pensata e difesa. Questo è un patrimonio comune che va sviluppato.
Non c’è il rischio che si tratti di un movimento carsico e che politici e media vi diano retta solo perché adesso non possono farne a meno?
Certo non ci affidiamo al loro buon cuore. Stiamo pensando anche a organizzare gli Stati generali della donna.
Non pensa che il modello Berlusconi sia ampiamente diffuso anche negli ambienti di sinistra, anche tra chi domenica era in piazza contro Silvio?
I problemi che denunciamo riguardo l’intera classe dirigente. Proprio per questo ho detto che Berlusconi fa un regalo alla sinistra se dice che quella era una piazza di sinistra. Era molto di più. Il problema riguarda tutti, ma c’è chi è sensibile a quello che diciamo e chi non lo è.
La piazza ha messo tutte d’accordo, anche al di là di qualche critica e distinguo interno al femminismo?
Credo che la piazza abbia parlato meglio di quanto potevamo fare tutte noi. Il dibattito però deve continuare in profondità, allargando la discussione anche oltre quei soggetti che abitualmente discutono di questo tema. Siamo riuscite ad aprire un dibattito alto sulle donne su tutti i giornali. E’ una cosa che non si vedeva da anni e di cui sono orgogliosa. Dobbiamo continuare, se non ora quando?

Chi ci chiama faziose non capisce il paese”

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 22:05
di Anna Rita Cillis, La Repubblica, 15 febbraio 2011
Manifestazione faziosa? Non ci sta Francesca Izzo, docente universitaria, tra le ideatrici della mobilitazione “Se non ora quando?”. E al premier Silvio Berlusconi, che ieri parlando della mobilitazione l’ha definita di parte, «di una sinistra che cavalca qualsiasi mezzo per abbattermi» risponde con un’immagine nitida: «Mi sembra un modo di regalare alla cosiddetta sinistra un evento popolare che ha visto assieme figure, personalità ma anche gente comune provenienti da ambienti, culture, esperienze profondamente diverse». Il premier è stato riduttivo dunque? «Sicuramente, la risposta sta nelle oltre duecento pi azze italiane dove si è raccolto un popolo vario, di posizioni opposte. Bollare questa marea di donne e uomini che ha invaso l’Italia come una minoranza faziosa, sobillata, vuol dire non comprendere il paese che si governa. La nostra è stata una manifestazione nuova». Nuova perché? «Per la prima volta sono scese in piazza un milione di persone e lo hanno fatto per le donne, non era mai accaduto prima. Come la legge Silvio Berlusconi mi sembra limitante, un modo cieco, vuol dire non aver capito il popolo che si governa, non voler capire cosa pensa». Il giudizio del premier regala alla sinistra una mobilitazione che ha raccolto gente di posizioni diversissime Al centrosinistra cosa chiedete invece? «Sarebbe meglio dire cosa chiediamo a tutti anche se un partedelcentrosinistrasi èdimostrata, nel corso degli anni, più sensibile verso le tematiche delle donne manon è abbastanza, non lo è stato». Secondo lei come mai? «Perché nonostante alcune aperture i risultati hanno sempre stentato ad arrivare, esistono nella nostra società dei tratti maschilisti molto accentuati, ancora troppo direi e vista la partecipazione di domenica non sono l’unica a pensarla così». Allora è meglio riformulare la domanda: a tutti cosa chiedete? «Diciamo che alle classi dirigenti chiediamo che finalmente ci vedano come risorsa straordinaria, che si occupino di noi». E per farlo? «Ci vuole un mutamento culturale, politico edi prospettiva, in fondo domenica la piazza sembrava quasi urlare alla classe dirigente “ci avete costretto a farlo”, “ci avete tirato peri capelli qui”». Nel vostro futuro c’è la politica? «Noivogliamo contare, questo è l’unico punto certo. Per questo abbiamo costituito un’associazione nazionale, ci saranno degli stati generale delle donne, chiediamo a tutte di non tornare a chiudersi in casa ma di partecipare attivamente e di farlo anche come singole». II collante pertenere tutti uniti, dopo domenica 13, quale sarà ora? «Il comitato resta in piedi, poi ci sarà l’appuntamento dell’8 marzo. Ma soprattutto stiamo lavorando alle priorità. Abbiamo detto che indietro non si torna e non lo faremo».

Presto altre piazze di donne, il “13 febbraio” sfida i politici

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 22:02
di GIOVANNA VITALE, La Repubblica, 15 febbraio 2011
Il comitato che ha organizzato le manifestazioni per la dignità femminile diventa permanente e prepara una nuova mobilitazione per l’8 marzo. Prodi: “Berlusconi pensi pure che sono tutte di sinistra”
ROMA – “Non è che l’inizio”. Sono ancora frastornate le “cattive ragazze” che domenica pomeriggio hanno portato in piazza un milione di persone 1. “Una realtà che non può essere elusa né minimizzata, con cui da oggi tutta la politica dovrà confrontarsi” si sono dette incontrandosi il giorno dopo, per ragionare a mente fredda su “come valorizzare quello straordinario patrimonio di energie, esperienze e culture diverse che, facendo rete, è finalmente diventato visibile”, spiega Nicoletta Dentico, presidente dell’associazione Filomena. “Fatte le debite proporzioni, è accaduto qualcosa di simile a quanto visto in piazza Tahrir”, incalza, “grazie al tamtam partito sul web una moltitudine di donne, uomini, giovani, vecchi, laici, cattolici, lavoratori e precari hanno deciso di uscire tutti insieme da casa per farsi sentire”.
Il passo successivo è la naturale evoluzione di quella piccola rivoluzione: il Comitato costituito per la manifestazione del 13 diventerà permanente. Pronto a organizzare – oltre agli Stati generali – una serie di iniziative che culmineranno, l’8 marzo, in un’altra giornata di mobilitazione generale. “È il momento per tutte e tutti di impegnarsi”, scrivono in una nota le anime del movimento, “di rivendicare anche in Italia ciò che è la normalità in tutta Europa, dove le donne contano, decidono, esistono e nessuno si sogna di proporle come puro elemento decorativo della politica o della società”. Un messaggio che ha travalicato i confini nazionali: “Si spaventino un po’ questi maschi, se fossi stata a Roma anch’io sarei stata in piazza”, ha detto Monica Bellucci. “Un milione di donne è sceso in campo per difendere la loro dignità e in senso ampio i diritti civili”, ha apprezzato Kerry Kennedy.
È la reazione furibonda del premier Berlusconi 2 a restituire la misura di un successo che ora interroga tutti. Ma se il leader del Pd, Pierluigi Bersani, preferisce sottolineare “le centinaia di migliaia di persone scese in piazza senza nessuno sforzo organizzativo”, dando vita a una “giornata che ci ha riabilitato davanti al mondo”, ci pensa Anna Finocchiaro a replicare: “Dalle tv di sua proprietà, senza contraddittorio, il premier ha tuonato contro la manifestazione di domenica: mi spiace contraddirlo, ma la vergogna è lui. Lì c’era un pezzo del Paese. Ascolti quel popolo e si dimetta”. Usa invece l’ironia Romano Prodi: “Lasciamo che Berlusconi pensi che sono le solite donne di sinistra”, motteggia l’ex premier, che in piazza ha invece visto “un’Italia tranquilla e positiva. Ma stanca. Le donne hanno dato un grande segnale al risveglio dell’Italia”. Ecco perché è necessario ascoltarle, esorta persino Alessandra Mussolini, in disaccordo “con chi dice che c’erano solo quelle di sinistra, le radical-chic: è stata una grande manifestazione di popolo, non comprenderlo sarebbe un errore”. Macché, “è stata strumentale e inutile”, l’ha subito corretta il collega Luca Barbareschi: “Le donne hanno sempre usato il loro corpo per fare carriera, in tutti i settori, in tutto il mondo”.

«Cacciare lui? Banale. Noi vogliamo cambiare tutto»

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 22:00
di Daniela Monti, Corriere della Sera, 15 febbraio 2011
Valeria Fedeli: inizia un movimento che ha l’ obiettivo di influenzare l’ agenda del Paese Disoccupazione femminile, precariato, maternità e paternità: anche la sinistra va svegliata su questi temi Una sera di fine gennaio abbiamo capito che era ora di una reazione forte, anche pubblica.
MILANO – E da oggi in poi? Incassato il successo del milione di donne in piazza, la domanda vera riguarda il futuro, i passi che verranno, la strategia per mettere a frutto tanto consenso. Ma c’ è una strategia? Quali sono le prossime tappe? È la sera di ieri quando Valeria Fedeli, sindacalista, uno dei membri del comitato «Di nuovo», promotore della manifestazione di domenica – insieme a tante altre, fra cui Francesca Izzo, Fabrizia Giuliani, Francesca e Cristina Comencini, Sara Ventroni – dopo una giornata convulsa prova a fermarsi a riflettere. È dalla mattina che riceve e risponde a mail delle donne del collettivo, «stiamo cercando una data che possa andare bene per tutte – dice – per trovarci e fare il punto. Questa settimana, possibilmente». Lavorano insieme da un anno e mezzo, discutendo su donne e precariato, squilibrio nell’ occupazione femminile fra Nord e Sud, disparità negli stipendi, lavoro e maternità. Dentro tutto questo, il caso Ruby ha avuto l’ effetto di un ciclone: «Una sera di fine gennaio abbiamo capito che era ora di reagire, anche pubblicamente, in modo forte». E infatti domenica in piazza del Popolo lei ha detto: «È arrivato il momento di prendersi la scena politica». Da dove si parte? «Da oggi noi del comitato, tutte insieme, dobbiamo assumerci la responsabilità di come andare avanti. La piazza – che onestamente ci ha travolte, in senso positivo – ci ha chiesto questo. La nostra intuizione è stata giusta: serviva una realtà capace di unire le tante associazioni di donne, così diverse l’ una dall’ altra, che lavorano in questo Paese per difendere e affermare professionalità e competenze femminili. Le abbiamo risvegliate e messe in connessione. Ed è successo quello che tutti hanno visto. Già oggi le organizzatrici delle piazze delle 230 città che domenica si sono riempite di gente hanno cominciato a scriverci: hanno entusiasmo, grande forza di cambiamento. Vogliono sapere». Prima mossa? «Non dobbiamo avere fretta. Ci sentiamo addosso la responsabilità di leggere correttamente ciò che è avvenuto, di corrispondere alla qualità e alla complessità della domanda che si è alzata dalla piazza. Che non è banalmente “via Berlusconi”, ma piuttosto “cambiamo il sistema”: nella scuola, nell’ impresa, nelle istituzioni. Dobbiamo individuare pochi e chiari obiettivi, che diano il segno del cambiamento. Affrettare una risposta significherebbe non riflettere, o non riflettere abbastanza. La nostra forza, la forza del comitato, nasce dall’ aver costruito tutto tutte insieme. Nel decidere come proseguire la dimensione collettiva non deve andare perduta». Sentirsi addosso la responsabilità, come dice, somiglia tanto ad un’ investitura. La piazza vi ha dato un mandato? «Lo abbiamo avvertito tutte, l’ altra sera, tornandocene a casa. E questa responsabilità deve restare collettiva. E, soprattutto, dobbiamo rispondere all’ allargamento che la piazza ci ha chiesto. Le giovani e giovanissime, per esempio: ce n’ erano tantissime di facce fresche, nuove. Io faccio la sindacalista, sono abituata a riconoscere quelli che solitamente si vedono ai nostri raduni. Domenica a Roma, ma mi dicono anche nelle altre città, c’ erano persone che abitualmente non vanno in piazza. Ecco: queste ragazze e ragazzi ci chiedono di mettere in primo piano il tema del rapporto fra giovani e lavoro, giovani e maternità, giovani e stato sociale. E poi è emersa in modo straordinario la necessità di cambiare la cultura di questo Paese». A quando il confronto con la politica? «Domenica è stata una giornata politica. Le donne hanno preso parola pubblicamente, hanno deciso di parlare insieme: questo per me, per noi, è politica. Ora vogliamo che la politica faccia i conti con quello che è avvenuto. Il dato vero è che indietro non si torna: le donne non sono più comparse, ma protagoniste. Politica è prendere voce costantemente per influenzare le scelte e l’ agenda di questo Paese. È quanto cercheremo di fare e non consentiremo più a nessuno di relegarci nelle seconde file». Francesca Izzo, dal palco di Roma, ha parlato degli Stati generali delle donne. Che significa? «Significa che adesso lavoriamo a proposte di contenuti e a una lista di priorità da presentare a tutti gli schieramenti, Sinistra compresa. Però nessuna fuga in avanti, lo ripeto. Questo è il mio pensiero, dobbiamo ancora discuterne insieme». (Sinceramente: quella di domenica era un piazza di sinistra? Valeria Fedeli, già più rilassata perché l’ intervista è finita, racconta delle ragazze che incontra di solito la mattina, quando va a prendere il giornale o il caffè; alcune, ieri, le hanno detto di aver sempre votato centrodestra ma di aver partecipato alla manifestazione e di avervi trovato «una piazza trasversale». «Berlusconi è la punta estrema di un costume diffuso. Lo dicono i dati: quelli sulla disoccupazione femminile, sul precariato, sui mancati investimenti nella maternità e sulla paternità, sul lavoro di cura appaltato completamente alle donne. Anche la sinistra deve essere svegliata su questi temi»).
****Il libro S’ intitola Il futuro è di tutti, ma è uno solo. I cambiamenti del mondo vissuti da una sindacalista pragmatica il libro di Valeria Fedeli pubblicato a gennaio da Ediesse, la casa editrice della Cgil. Il testo della Fedeli, che ha alle spalle dieci anni di pratica sindacale alla guida della Filtea Cgil e del sindacato tessile europeo, indaga i cambiamenti economici mondiali declinando i temi di innovazione, globalizzazione, etica, Europa, made in Italy, welfare, donne e giovani

«La sfida è partita: Più donne nella politica, più politica per le donne»

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 21:57
di Concita De Gregorio, L’Unità, 15 febbraio 2011
Da oggi chiunque voglia dare una prospettiva alla straordinaria energia che ha attraversato le piazze di domenica dovrà far questo: mettere le donne al centro della politica. Più donne nella politica e più politica per le donne. Il punto fondamentale, come sempre, è l’ascolto. La comprensione: quel che è accaduto domenica è un segnale precisissimo e potente, bisogna coglierlo. La reazione patetica del presidente del Consiglio e il silenzio di chi lo circonda mi fa pensare che a destra l’abbiano capito benissimo. Alle opposizioni di centrosinistra la piazza – questa piazza che non è di nessuno – chiede concretezza, risposte chiare, cambiamento. Unabella sfida. Comincerei a pensare a due o tre cose da fare, fossi un leader politico, poche perché se no non sono vere. Da leader sindacale questo intendo fare, di questo abbiamo discusso stamani in segreteria Cgil: mostrare che c’eravamo e abbiamo capito, dare un segno nell’attività quotidiana. Faremo una grande campagna contro le discriminazioni sulla maternità, riprenderemo la legge sulle dimissioni in bianco, metteremo la donna al centro del discorso sul lavoro precario”.
Susanna Camusso, partiamo dalla piazza. È stata una sorpresa la dimensione del successo?
«No, non è stata una sorpresa la quantità di persone. Piuttosto la diffusione, la presenza contemporanea in tutte le piazze d’Italia e in molte nel mondo. È il segno di un sentire diffuso, una novità anche per il movimento delle donne. Una richiesta corale, collettiva che giustamente gli osservatori stranieri interpretano come una grande svolta: la differenza di lettura dei giornali stranieri da quelli italiani, ieri, era impressionante. La trasversalità l’avevamo cercata. Quel che è accaduto è che la trasversalità ha portato in piazza non solo persone che si riconoscono in uno o nell’altro schieramento politico ma moltissima gente che a manifestare in strada non va mai, e che probabilmente si è nel tempo allontanata – delusa – dall’impegno collettivo. È stata la manifestazione meno organizzata che io abbia mai visto, non c’erano autobus né raduni, era una monumentale somma di persone singole. Molte donne mi hanno fermata per dirmi: io lo votavo. Ecco, c’erano tutte: anche quelle che al principio lo hanno votato. Si è rotto domenica il teorema su cui Berlusconi ha fondato il suo successo: il fascino che esercita ed il legame col mondo femminile. Non ha più la piazza, non ha più le donne».
Questo giustifica il nervosismo, la paura, la reazione che non coglie nel segno?
«Sentirlo dire “io amo le donne” mi è sembrato patetico. Tra l’altro cerca sempre e solo di salvare se stesso. Dire che erano radical chic significa non avere occhi per vedere. La verità è che non hanno la chiave per una risposta, questa volta: era una moltitudine di popolo, gli è stata sottratta la parola popolo. Fra riempire un teatro e riempire un paese c’è differenza. Il silenzio dei suoi alleati mi pare eloquente. Loro hanno capito. Cominciano a dubitare. Hanno il problema della loro collocazione futura. Lui si arrocca, e ci sarà il rischio del veleno nella coda. Il suo mondo però si sta sfaldando. Questo potrà avere conseguenze politiche concrete». La maggioranza si batte nelle urne.
Potrà il movimento tradursi in una trasformazione dell’elettorato?
«Certamente Berlusconi non si dimetterà per le piazze. Ma il movimento, se si consolida, può minare il fondamento del suo contratto. Su cosa fonda l’arroganza del non mi dimetto? Sui numeri parlamentari di cui dispone perché è in grado di mettere a disposizioni nuovi posti in futuro. Ma se il popolo non gli garantisce più il consenso, quale sarà allora la sua merce di scambio?»
Se il movimento si consolida, lei dice. Come, e scandendo quali rischi?
«Dandosi appuntamenti ravvicinati e non dimenticando mai il segnale di domenica. Che è prima di tutto una richiesta di amorpatrio, questo è in fondo il tema della dignità e del rispetto delle regole, della giustizia uguale per tutti dei diritti e dei doveri. Un paese che si possa amare di sentimento ricambiato. Poi una richiesta di cittadinanza per le donne: bisogna rimettere le donne al centro della politica, questo è il vero punto. In un modo nuovo, vero, autentico, forte. L’8 marzo, il prossimo appuntamento, sia il giorno della dignità del lavoro. Non a parole, in pratica: parliamo delle retribuzioni delle donne, di lavoro povero e invisibile, parliamo di conflitti in tema di maternità, di precarietà. È una linea che ci porta diritti al grande tema che abbiamo di fronte: non considerare la famiglia il fondamento della società, ma la persona. Perché finché la famiglia sarà al centro i diritti delle donne saranno subordinati a quello che si vuole sia il loro ruolo dentro le famiglie. Le donne al centro del nucleo familiare. Anche le politiche di conciliazione in questo senso possono essere una trappola che inchioda le donne a quel destino dato: ti diamo più tempo per fare tutto perché diamo per scontato che tu debba fare sia questo che quello. Il carico familiare è comunque tuo. Partiamo allora dalla paternità obbligatoria, per esempio. Donne e uomini come persone con gli stessi diritti e gli stessi doveri».
Un tema che chiama all’appello anche le forze di opposizione.
«Naturalmente. Un tema complesso e delicato, ma la realtà in cui viviamo lo è e dobbiamo affontarlo».
Crede che sia possibile un cambio di mentalità e di passo, in chi fa politica, senza un ricambio generazionale?
«Il ricambio generazionale è la risposta più semplice. Certo che la richiesta c’è, non si può ignorarla. Ma le piazze di domenica erano di nonne e nipoti, non credo il tema fosse solo quello del rinnovamento della classe politica. Della sua capacità di ascolto, piuttosto. È una piazza che vuole risposte, che pretende di essere ascoltata, che cerca chi la sappia rappresentare con gesti semplici e concreti. Chi capirà questo entrerà in un tempo nuovo. Del resto indietro ormai è impossibile andare, davvero. Indietro non si torna».

Il grido da Times Square: «Resignation, dimissioni!»

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 20:23
di Francesco Semprini, La Stampa, 14 febbraio 2011
Sit-in anche in Usa promosso da “Libertà e giustizia”. Tam tam sul web
«Manifestiamo la nostra solidarietà alla mobilitazione delle donne italiane che riempiono le piazze in questo giorno», spiega su Facebook Manuela Travaglianti, una delle organizzatrici. Lei e le sue amiche, Valeria Castelli ed Elena D’Amelia, sono dottoresse presso importanti atenei della City ma anche il cuore pulsante del circolo newyorkese del movimento che vedrà la luce tra pochi giorni.

Un tempo nuovo

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 20:08
di Concita De Gregorio, L’Unità, 14 febbraio 2011
«Le donne per strada danno alla luce un tempo nuovo. Voglio essere anche io con voi, credo di doverlo a Josè. Voglio firmare come Pilar Del Rio, come presidente della Fondazione Saramago». La lettera di Pilar Saramago arriva da Lanzarote che è già notte. Arriva insieme alla telefonata di Oscar Luigi Scalfaro che è con sua figlia Marianna e dice «grazie, le donne oggi in Italia si sono fatte onore. Vi ammiriamo tanto, vi mandiamo un saluto affettuoso». Arriva mentre i telefoni in redazione non smettono di squillare e migliaia di foto e di messaggi giungono sul sito, mentre da Berlino e da New York le radio chiedono un commento, mentre i bambini che hanno disegnato in piazza del Popolo con Lorenzo e Susanna Terranera, oggi, tutto il giorno, già sono a dormire. La piazza disegnata dai bambini resterà una delle immagini più belle: centinaia di metri di cartone che ora sono lì appoggiati alle pareti della piazza, un murale con mille occhi e mille sorrisi. C’erano due suore tedesche che volevano assolutamente la borsa con Piccoletta di Beatrice Alemagna per portarla alle sorelle. C’erano i violoncellisti che provavano il Dies Irae perché il giorno del giudizio arriverà, e sarà in vita. C’erano ragazzine che chiedevano autografi alla cantante famosa e lei che rispondeva “brave che siete venute”.
Uomini, moltissimi, padri coi bambini, giornalisti di tutto il mondo che intervistavano anziane scese da casa in ciabatte, «perché le manifestazioni sono una cosa faticosa e non sono più abituata».
C’era così tanta gente, a Roma, che nella piazza non si poteva entrare più già dalle tre del pomeriggio e allora i cortei spontanei sono andati altrove, verso Montecitorio e verso palazzo Chigi, coi palloncini e con gli adesivi che dicevano “L’amore è gratis”, “Sono nipote di mio zio”. Dalle città d’Italia e del mondo, mentre Maria Stella Gelmini diceva cose tipo «una piazza radical chic», arrivavano centinaia e centinaia di messaggi e quando tutti insieme abbiamo fatto silenzio per un minuto e mezzo, che è lunghissimo, e dopo alla domanda se non ora quando abbiamo risposto “Adesso” c’è stato qualcuno che ha riso e qualcun altro che ha pianto, molti si sono abbracciati, sconosciuti grati ad altri sconosciuti, e abbiamo saputo con certezza che sì, il vento si sta alzando, che non basterà mai più dire sono quattro femministe sono post sessantottini, sono moralisti, che le bugie e la propaganda non possono vincere la vita vera, che non importa se il Tg1 proprio stasera ha deciso di spiegare agli italiani come vive un egiziano tipo pur di mandare in onda il servizio sull’Italia che respira in coda al tg. Non importa, davvero. Non potranno far nulla perché la forza delle cose è qui, così evidente così potente: è quella – come dice Pilar Saramago – della gente che esce per strada e celebra il trionfo dei cittadini, delle donne che danno alla luce un tempo nuovo.
Adesso fanno silenzio, i dipendenti del Padrone chiamati in forze a suonare la grancassa. Fanno silenzio perché altro non possono fare.
Dal palco, dai palchi in tutta Italia si sono sentite le voci di uomini e donne, suore e ragazze, si è sentita Susanna Camusso dire «Si può cambiare perché il futuro è nostro e dovranno capirlo», sì dovranno capirlo. Veniva alla fine di una lunga serie di “vorrei”, il suo “si può cambiare”: tutti i nostri vorrei, sguardi limpidi una sola morale la giustizia per tutti la forza di dire no. Non sarà più la stessa, l’Italia, da oggi. Perché le donne, che in ogni luogo e in ogni epoca hanno dettato il tempo delle rivoluzioni, sono state capaci ancora una volta di rispondere all’appello sebbene esauste, deluse da questa politica, sfiduciate e mortificate. Ancora una volta hanno preso il soprabito per uscire, per camminare in piazze sgombre di insegne, di esibire i loro volti autentici, così diversi da quelli che vediamo in tv e di essere le protagoniste. Hanno preso la parola, chi ha spesso tribuna ha fatto un passo indietro per lasciarla a chi non può parlare mai. Ma da oggi, davvero, sarà un po’ più difficile per tutti raccontare la favola che gli stipendiati del sovrano si affannano a diffondere con tutti i mezzi – e sono molti – che hanno. Da oggi sappiamo con certezza che l’altra Italia si è rimessa in moto e non starà in silenzio. Ci hanno chiesto in tanti, ci hanno chiesto tutti: e adesso?
E adesso bisognerà che tutta questa forza trovi casa, che si senta e sia rappresentata da chi può farlo, nei luoghi che servono. Un giornale, un movimento, un gruppo di persone, un luogo in internet, un passa parola di casa in casa, un progetto di rinascita che sia capace di diventare progetto politico, perché la politica è qui, è nelle cose: la politica è dove i cittadini chiedono rispetto per il loro futuro. Le donne italiane sono state capaci di fare quello che da anni, da molti anni non avevamo visto accadere. È vero, dunque: hanno battuto un colpo. Adesso. Che sia la prima battuta di una nuova musica. Noi ci saremo, c’eravamo e resteremo. Grazie a tutte e tutti voi, che ci indicate il futuro.

«La mia generazione senza riti scopre che manifestare ha senso»

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 20:06
di Silvia Avallone, Corriere della Sera, 14 febbraio 2011
Sono le 15.30 e sono un minuscolo puntino in una folla immensa. Il ritrovo a Bologna era fissato un’ ora fa, ma il corteo stenta a partire: siamo in troppi. Ci sono tantissime donne di tutte le età, ma anche moltissimi uomini. Ci guardiamo in volto l’ un l’ altro, ci sorridiamo. Non ce lo aspettavamo, non potevamo immaginare un fiume simile di persone. Una provincia che di solito la domenica è semideserta, oggi assomiglia alla notte in cui l’ Italia ha vinto i Mondiali. Solo che la folla questa volta non grida e non scalcia. Quel che davvero sorprende è la sua compostezza. Fatichiamo a dirigerci verso via Indipendenza, accorrono persone da ogni strada laterale. «Siamo la forza sana di oggi e di domani» recita uno slogan. Ma gli slogan sono meno delle persone, le parole sono difficili da trovare: quello che stiamo vivendo è un’ esperienza inedita, fisica prima che verbale. Quando il corteo comincia a muoversi, gli organizzatori hanno già deciso la deviazione: non è possibile far passare questo fiume nell’ imbuto stretto di via dei Falegnami. Ci vuole Piazza Maggiore. Dalla terrazza del Pincio tutti vogliono immortalare questo momento. L’ aria è satura di allegria, di una semplicità disarmante. Il rapporto Censis del 2007 ci aveva definiti «mucillagine sociale»; ci avevano descritti fino all’ altro ieri come una società sfibrata, disabituata a riti collettivi. Eppure quel che vedo adesso dimostra il contrario. Mi trovo al centro di una marea di famiglie, bambini, coppie che si tengono per mano e sento la misura larga di questo evento, l’ emozione di vivere finalmente qualcosa che non ho mai vissuto prima. Sventola solo qualche tricolore, nessun’ altra bandiera. Siamo tutte persone normali, nella nostra nuda normalità. I negozi del centro sono vuoti. Non siamo consumatori oggi, siamo cittadini. Un’ intera società civile si è ritrovata insieme, spontaneamente. Siamo in piazza perché un piccolo gruppo di donne da principio, e poi un tam tam sempre più vasto, ha intercettato un bisogno profondo. Dalla finestre si affacciano gruppi di ragazzi, battono pentole e mestoli, gridano di gioia, come tifosi dopo una vittoria, e dalla strada i manifestanti rispondo con applausi. Si leva qualche coro, si sente la parola «dimettiti» intonata più volte. Ma prevalgono i sorrisi e gli applausi, questa è una folla contenta. Contenta di riconoscersi, di condividere uno stato d’ animo troppo ampio per poter essere rubricato soltanto come protesta. È qualcosa di più. Vogliamo mostrarci per quello che siamo: il Paese reale non è quello che si vede in tv; la nostra esistenza civile non si esaurisce negli scandali e nelle compravendite; la cultura dominante delle donne ridotte a oggetto e degli uomini ridotti a consumatori non ci rappresenta. Le scaramucce sul moralismo – lo scontro tra ipotetiche donne per bene e donne per male – sono rimaste allo stadio di pregiudizio della vigilia. Qui l’ aria che si respira è di unità e condivisione, non intorno a un nostalgico passato bensì intorno a un’ idea di futuro che si sta formando davanti ai nostri occhi. Quando raggiungiamo piazza Maggiore, il silenzio è assordante. La voce diffusa dagli altoparlanti di un furgoncino improvvisato è forte e chiara, elenca le discriminazioni e le violenze che le donne italiane continuano a subire ancora oggi nei luoghi di lavoro e nelle loro case. È un elenco secco che denuncia senza aggettivi né ideologie la realtà della condizione femminile in Italia, quella che si fa fatica ad accettare e ad ammettere. «Il Paese in cui le donne vivono bene è quello che ha una testa più larga e una cultura più grande» questa è l’ ultima frase che risuona nel megafono. Scatta l’ applauso, il più alto. Alle 18 le vie del centro sono ancora gremite e la gente non accenna a disperdersi. Telefono alle amiche di Roma e di Milano: la loro voce è entusiasta. «Sono contenta – mi dice una – perché finalmente ho condiviso quello che provo con tante persone. Spero solo sia l’ inizio di qualcosa di nuovo».

UN GRIDO AL PAESE

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 20:04
di NATALIA ASPESI, La Repubblica, 14 febbraio 2011
DUECENTOMILA a Roma, centomila a Milano e Torino, 50mila a Napoli, 30milaa Firenze, 20milaa Palermo, persino a Bergamo 2000. In tutte le 230 piazze italiane, più una trentina straniere, almeno un milione, forse di più, non ha importanza. Importa l’ immenso, forse inaspettato successo, il risveglio improvviso di chi sembrava rassegnato al silenzio, a subire, ad adeguarsi. Invece il messaggio delle donne, ‘ se non ora quando?’ , è corso veloce ovunque, e ha riempito le piazze come un richiamo ineludibile, finalmente sorridente, entusiasta, liberatorio. Basta, basta, basta! il basta delle donne al di là di bandiere e partiti, il basta contro questo governo e questo premier, il basta contro la mercificazione delle donne ma anche contro l’ avvilimento di tutto il paese. Il basta gridato da tutte, le giovani e meno giovani, le attrici e le disoccupate, le studentesse e le sindacaliste, le suore e le immigrate, le casalinghee le donne delle istituzioni, facce note ma soprattutto ignote, donne tutte belle finalmente, non per tacchi a spillo o scollature o sguardi seduttivi, ma per la passione, e l’ indignazione, e l’ irruenza, e la coscienza di sé, dei propri diritti espropriati e derisi: e uomini, tanti, finalmente non intimiditi o infastiditi dal protagonismo femminile, consci che il basta delle donne poteva avere, ha avuto, un suono più alto, più felice, più coraggioso, cui affiancarsi, da cui ripartire per cambiare finalmente lo stato del paese. In mano alle donne, ieri, la politica si è fatta più radicale e credibile, perché ha usato le parole, le voci, i gesti, non per le solite invettive e ironie e slogan e promesse che intorbidiscono e raggelano, ma per raccontare il disagio, la paura, la fatica, la rabbia, l’ umiliazione, che le donne vere sopportano ogni giorno, come lavoratrici senza lavoro, e madri senza sostegno pubblico, e professioniste la cui eccellenza non le esime dalla precarietà, e giovani donne che non possono fare figli perché senza sicurezze per il futuro, e donne che nessuno protegge dallo sfruttamento, dai maltrattamenti, dall’ amore assassino dei loro uomini. Si sa che l’ armata mediatica del berlusconismo che deve il suo imperio alla menzogna e alla capacità di confondere, aveva stabilito che la manifestazione di oggi sarebbe stata dettata dal bigottismo di donne così sfortunate da non poter fare le escort, e da una superba rivalsa contro le vittoriose ragazze di Arcore e altrove. Che delusione! Nessuna, delle tante donne che si sono alternate sul palco, emozionate eppure decise, forti, ha avuto parole arroganti di separazione tra le buone e le cattive. Al massimo è stato detto quello che anche le belle signore del Pdl dovrebbero condividere: che cioè i letti dei potenti più o meno ossessionati dal sesso non dovrebbero essere istantanee scorciatoie per entrare in ruoli pubblici di massima responsabilità. E per esempio la sempre improvvida Gelmini, prima ancora che le piazze cominciassero a riempirsi, annunciò che ci sarebbe stato solo un gruppetto di desolate radical chic, termine così stantio e irreale che forse gli esperti di slogan del governo dovrebbero modificare. Povera ministra da poco mamma e scrittrice di libri per l’ infanzia, oltre che falciatrice dell’ istruzione pubblica italiana. Davanti a quelle migliaia di persone in ogni piazza, a quel milione accorso al richiamo di un piccolo gruppo di donne arcistufe e finalmente decise a ribellarsi, cosa avrà pensato? Se persino le donne scese in piazza, persino i partiti dell’ opposizione, non si aspettavano un simile successo, figuriamoci gli altri: hanno cominciato a perdere la testa, e prima ancora che vengano dettate dal politburo governativo gli slogan denigratori per negare la realtà, han fatto la loro brutta figura, accusando curiosamente la manifestazione di essere antiberlusconiana: come infatti vistosamente, fortemente, appassionatamente, voleva essere. I cervelloni berlusconisti da poco tornati a galla come ultima trincea, terrorizzati da quelle piazze gremite, hanno parlato di “odioso sfruttamento delle donne per abbattere il premier” non avendo capito niente dell’ autentica civile autonoma rabbia femminile; c’ è chi ha vaneggiato di una contro-manifestazione da parte delle ministre in carica, “di orgoglio e di amore anche nelle sue perversioni”, e la solita sottosegretaria cattivissima, lei devota ad ogni sospiro del suo idolo e fan delle sue movimentate serate, ha accusato le centinaia di migliaia di donne in piazza “di essere solo strumenti degli uomini”, non si sa quali, ma di sicuro non dell’ ormai pericolante premier. Chissà se le tante donne intelligenti e libere che hanno trovato mille colte ragioni per disertare una manifestazione che non risultava loro sufficientemente femminile o femminista, si sono alla fine commosse nel vedere tante altre donne, più sbrigative e meno sofisticate, gridare insieme, senza divisioni, senza distinzioni, il loro bisogno di dignità e di cambiamento. Che poi la differenza è anche questa: le donne non berlusconiane sono in grado di scelte differenti, libere di agire secondo i loro principi in contrapposizione con altre anche se le divergenze sono capillari: nessuna delle signore berlusconiane, dai loro scranni di ministre, sottosegretarie, rappresentanti di partito, osano esprimere non si dice un dissenso, ma un lievissimo, simpatico dubbio. Loro sì, pare, sono al servizio del maschio padrone. Però una domenica come quella di ieri, così bella, e appassionata, e corale, dovrebbe mettere in guardia anche l’ opposizione. Le donne hanno detto basta a questo governo e al suo leader, ma resteranno vigili: dalle piazze ieri è venuta allo scoperto una riserva di energia, di intelligenza, di bellezza, di potere, di senso del futuro femminile, che parevano dispersi o rassegnati. Le donne promettono obiettivi ambiziosi, assicurano che non torneranno indietro, soprattutto che dopo una così straordinaria, spontanea prova di forza, niente, ma proprio niente, sarà più come prima.

Angry voices rise against Berlusconi

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 20:01
di Rachel Donadio e Elisabetta Povoledo, Herald Tribune, 14 febbraio 2011
With signs reading ‘‘ Enough!’’ and ‘‘ We want a country that respects women,’’ thousands took to the streets across Italy on Sunday in coordinated demonstrations against Prime Minister Silvio Berlusconi, but their outpouring of frustration appeared unlikely to bring about political change. Anti-Berlusconi protesters Sunday in Piazza del Popolo in Rome. Women rallied throughout Italy, saying the president’s behavior undermined their dignity and damaged the country.
The demonstrations — called ‘‘ If not now, when’’ after Primo Levi’s book about the Holocaust — captured the frustration of Italians angered at the role of women in Mr. Berlusconi’s Italy, as well as a deep pessimism about the future and what they see as a growing divide between the country’s ills and the government’s concerns.
‘‘ We’re not happy to be a second-rate country or an ugly television soap opera,’’ Susanna Camusso, the leader of Italy’s largest labor union, C. G. I. L., said, to rousing applause in central Piazza del Popolo, which was packed with demonstrators.
‘‘ We want a country in which it’s possible for women to live in dignity,’’ Ms. Camusso said, adding that a country that did not sustain women’s ‘‘ capacity for growth’’ was ‘‘ a country that goes backward.’’
In a sex scandal that has mesmerized Italians, a judge is expected to rule in the coming days on whether Mr. Berlusconi, 74, should be brought to trial on charges he paid for sex with a 17-yearold and intervened to help release her from custody after she was detained for theft inMay. Both deny wrongdoing.
Ms. Camusso was joined on stage, under mostly sunny skies, by a politician fromMr. Berlusconi’s center-right coalition, aRomanCatholic nun and aMoroccan immigrant, among others. In Rome, crowds spilled out into nearby streets, dancing to Aretha Franklin’s song ‘‘ Respect,’’ before a minute-and-a-half of silence and a collective scream of protest.
Scores of women turned out to protest in 233 other Italian cities, as well as 28 cities worldwide, like Paris and Tokyo. Organizers in Rome said that one million people had turned out around the world, but official counts were not available.
On television and in the press, Mr. Berlusconi and his defenders have dismissed the demonstrations as purely political, calling his critics moralists and puritans.
Giulia Bongiorno, the president of the Lower House justice committee who was elected with Mr. Berlusconi’s centerright coalition but broke away, responded on Sunday: ‘‘ To say this piazza is filled with ‘ moralists’ is a way of diminishing it,’’ she said.
Sister Eugenia Bonetti, a nun who works for the Catholic aid organization Caritas in Turin, said she was ‘‘ giving voice to the voiceless’’ — women who were victims of ‘‘ sexual exploitation’’ and human trafficking, who are brought to Italy to work as prostitutes. ‘‘ In their name, we say ‘ enough’ to all this,’’ she said.
Also in Piazza del Popolo, Ginevra Coppotelli, a Roman housewife, expressed an oft-heard complaint. ‘‘ Berlusconi has insulted women, and even worse, he’s given political positions to his whores,’’ she said, referring to a series of television showgirls who have become politicians in the centerright coalition. But her husband, Benedetto Bruno, a retired chemist with Italy’s Civil Protection Agency, captured how polarizing Mr. Berlusconi has become. ‘‘ People vote for him because he personifies defects that Italians have in their DNA,’’ he said. ‘‘ When you hear about what he does, 80 percent of men think, ‘ I wish I were in his place.’
‘‘I hate to say this, but Italians don’t want to respect laws, they don’t want to pay taxes, they want to do as they like, and he personifies this,’’ Mr. Bruno added.
Indeed, the demonstrations were not necessarily expected to translate into political change. ‘‘ Nothing will change,’’ said Livia Turco, a former Minister of Social Affairs in three center-left governments, as she stood in the square. Still, she called the demonstration a liberating act against ‘‘ a political class that hasn’t dealt with the tangible problems that women face.’’ ‘‘ It’s an important moment of civil protest that has to be built on,’’ she added.
In recent weeks, Mr. Berlusconi has survived a series of no-confidence votes and his center-right coalition has stood by him.
‘‘What saddens me the most is the idea that if we go to elections, things will probably stay the same,’’ said Adriana Paris, an elementary school teacher. ‘‘ Berlusconi has touched the bottom, and dragged Italy with it.’’ She was pessimistic about the country’s future. ‘‘ People have been anesthetized by this man,’’ she said.

Piazze piene a Cagliari, Nuoro e Carbonia

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 19:54
di FRANCESCO PINNA , L’Unione Sarda, 14 febbraio 2011
Nessuno aveva previsto che a Cagliari si sfiorassero le quattromila persone, così come pochi ipotizzavano che fossero in migliaia anche a Sassari, Oristano, Nuoro e Carbonia. Grandi numeri nelle undici piazze sarde che hanno ospitato la manifestazione “Se non ora quando”, organizzata spontaneamente anche grazie ai social forum su internet per difendere il ruolo delle donne dopo l’esplosione del caso Ruby. RICERCATRICE Piazza Amendola a Cagliari, a ridosso della Darsena che si affaccia sul porto, ha accolto ieri mattina quasi quattromila manifestanti. Sono arrivati con palloncini e ombrelli colorati, striscioni e volantini, tutti davanti ad un minuscolo palco dove, per ore, attori e musicisti hanno dato voce alla protesta. «Ma cosa c’è una festa?» ha chiesto alla mamma una bimba di cinque anni. «No, Elena, stiamo litigando con un signore che ha offeso tutte le donne, anche quelle che oggi non sono qui. Ma litigare è brutto, quindi lo facciamo con una festa». Così, nel prato che si trova ad un lato della piazza, Stefania Campus, 41 anni, medico di Pirri, ha spiegato alla figlioletta le ragioni della manifestazione. Un dialogo rubato tra due donne, una grande e una che si farà. DIMISSIONI Tutti a chiedere le dimissioni del premier Silvio Berlusconi, dopo lo scandalo dei festini con Ruby e l’avvio di un’indagine della Procura. Ad alternarsi, sul piccolo palco (dove non sono mancati i problemi d’amplificazione per via della quantità dei presenti), si sono alternati gli attori Rita Atzeri, Clara Murtas, Elio Turno Arthemalle e tanti altri, mentre la gente ha proseguito ad arrivare per ore, più di quanta le forze dell’ordine avessero previsto tanto che hanno dovuto spostare i mezzi di servizio. Niente bandiere di partiti, solo tricolori e quattro mori, ma con al collo sciarpe bianche, striscioni e mimose. Nutrita la presenza di militanti del centrosinistra, ma in piazza sono accorsi anche tanti operatori delle parrocchie cittadine, associazioni e gente comune. «È stato superato ogni limite» ha urlato Emanuela Ibba, ricercatrice cagliaritana di 37 anni con un cartello al collo: “Una notte di festini 7000 euro, sei mesi di ricerca 4000”. «Per dieci anni mi sono occupata di trovare delle cure alle malattie genetiche per 800 euro al mese. Da un anno sono stata costretta a trasferirmi negli Stati Uniti, dove guadagno quasi 40 mila dollari, ma vivo lontana da mio marito e non posso programmare un figlio. Le donne hanno anche un cervello, solo che qui si preferisce altro». Tra la gente anche molte attrici, musicisti del Teatro Lirico, giornaliste e magistrati. Numerose le associazioni che hanno aderito all’iniziativa: Amistanzia, Anpi, Arci, Art. 21 Liberi di, Progettare il Futuro, Cgil, Cineteca sarda, Società Umanitaria, Cuec, Donne in movimento, Federconsumatori, Socialismo Diritti e Riforme. «La misura è colma» ha detto Luisella Sassu, portavoce di “Se non ora quando”, «in pochissimo tempo abbiamo organizzato questa bella manifestazione, perché nel nostro Paese si è affermato un modello culturale che considera la donna un oggetto». A SASSARI Quasi in tremila, invece, hanno affollato piazza d’Italia a Sassari, dove si sono alternati il giornalista Celestino Tabasso, il cantante Carlo Doneddu e la scrittrice Bianca Pitzorno. Oltre ogni aspettativa anche le manifestazioni ad Alghero (che si è svolta al pomeriggio), Tempio, Iglesias, Gavoi, Loculi, Ozieri e La Maddalena. Parecchie centinaia di manifestanti anche nelle due manifestazioni galluresi, una organizzata a Tempio e l’altra a Olbia. Tante le immagini, le foto e i video che hanno fatto capolino nel web. Uno personaggi più citati, tra i volantini comparsi nei vari appuntamenti isolani, è la celebre Mafalda disegnata da Quino: c’era lei, esasperata, in molti manifesti a dire: «Basta!».

L’onda rosa invade il centro

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 19:52
di GRAZIA LONGO e EMANUELA MINUCCI, La Stampa, 14 febbraio 2011
TORINO. Bisognava esserci, ieri in piazza, per rendersi conto di che cosa significhi muoversi in mezzo a centomila persone. L’onda rosa, ma sarebbe meglio dire l’onda dell’indignazione (anti-Cavaliere, va da sé) ha travolto Torino. Sono bastate venti donne, (il comitato «Se non ora, quando?»), una rete virtuale e una rete di gomitoli di lana per mettere in scena una manifestazione di rara potenza. Proprio in forza della sua ricetta, che ha sostituito i partiti con la passione civile, assumendo una forza meta-politica.
Forse il megafono resta l’unico simulacro delle vecchie manifestazioni. Ma al posto degli striscioni ci sono gli ombrelli – da aprire all’invito lanciato da Giustina Iannelli «contro il fango che ci fanno piovere addosso». Al posto delle bandiere i gomitoli di lana colorata, fili rossi, bianchi, azzurri, verdi, per creare una rete di ritrovata dignità, «per salvarsi dal baratro». Per unirsi. È una manifestazione che pare nascere dal caso, un fiume che s’ingrossa come per un’alluvione di solidarietà, passaparola, «tu ci vieni oggi al corteo?».
Da piazza San Carlo la folla straripa sotto i portici per poi riesplodere in piazza Castello e poi ancora in via Po e piazza Vittorio. «Siamo 100 mila – urlano dal megafono – e siamo arrivate qui senza bandiere politiche solo per difendere la nostra dignità, per smetterla di farci calpestare».
Non è un 8 marzo. Non è un corteo rosa. Non è una manifestazione di genere. Parte dalle donne, ma coinvolge anche «voi uomini che meritate un applauso perché non ci trattereste mai come fa il premier Berlusconi». Le mimose si contano sulle dita di una mano. In compenso ci sono uomini barbuti con la parrucca platinata e il cartello al collo, «Prendimi: sono in vendita». Accanto a loro, mogli e fidanzate con la coccarda rosa shocking con su scritto «Se non ora, quando?».
Qualcuno raccoglie i soldi per la manifestazione, perché «qui è stato fatto tutto in casa, non c’è dietro nessun miliardario». E annuncia che presto arriveranno alle donne – magari via mail – anche piccole bandiere da esibire ai balconi, con lo slogan «Se non ora, quando?». Il tam-tam on line ha funzionato alla perfezione, e dire che a Torino erano solo venti le donne che hanno lavorato al progetto. E il risultato è stato come un 1° maggio di quelli ben riusciti. «È dai tempi in cui parlava Berlinguer – dice Laura Asnago, 67 anni insegnante in pensione – che non vedevo tanta gente fin sotto i portici».
La folla oceanica che ha trasformato Torino in una fra le più combattive anti-Arcore italiane è l’effetto della prima grande manifestazione spontanea maturata in rete. I politici ci sono, ma restano ai margini. Comparse. Solidali. Discreti. Qualcuno si mette a urlare: «C’è Berlusconi!». È un ragazzotto in vena di scherzi, che indossa la maschera del premier sopra la calzamaglia azzurra di Superman. «Quella la metterà per salire al Quirinale» commenta una signora in carrozzella.
Berlusconi-Batman a parte, i politici indossano soprattutto l’understatement. Sanno che la scena è della gente comune. Giovani, pensionati, sposi col passeggino. E, perché no, le veline mancate («Dio ce ne scampi»). Giovani e belle donne che indossano al collo il cartello: «Fra il mio lato A e il mio lato B ho scelto il mio lato C, il cervello». Accanto, signore con i capelli bianchi e le giacche in lana cotta, cartello con la scritta «Non mi arrendo». C’è anche Eugenia Bonetti, la missionaria delle Consolata che ha lavorato oltre vent’anni in Africa, e adesso annuncia: «Voglio dare voce a chi non ce l’ha, alle nuove schiave che vengono nel nostro Paese pensando di trovare un futuro migliore». Volano gli ombrelli, l’applauso inonda piazza Vittorio.

Più di un milione, le donne anti-premier hanno invaso l’Italia.

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 19:44
di Francesca Schianchi, La Stampa, 14 febbraio 2011
«Non si torna più indietro! Niente sarà più come prima se staremo assieme». Ululato della piazza piena, sventolio di cartelli, finisce il fiammeggiante intervento di una delle organizzatrici, Francesca Izzo, e termina così, tra canti, balli e la promessa di costruire gli Stati generali delle donne italiane, la manifestazione di ieri a Roma in difesa della dignità femminile che ha portato in piazza, in varie città, oltre un milione di persone.

Donne, un milione in piazza. Un solo urlo: «Adesso basta»

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 17:51
di Claudio Rizza, Il mattino, 14 febbraio 2011
Cortei anche all’estero. La Gelmini: poche radical chic. Stati generali l’8 marzo.
Stavolta non sono i soliti partiti a dare i numeri, sparando milioni fasulli come bruscolini. Stavolta le piazze sono lì, belle e gonfie, come l’incredibile Piazza del Popolo assediata da ogni lato, persino pericolosa se la folla dovesse ondeggiare.

Cinquantamila cuori a De Ferrari: «Ora basta, riprendiamoci la dignità»

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 17:43
di DONATELLA ALFONSO, La Repubblica, 14 febbraio 2011
E’ GENOVA che grida il suo nome con trentamila, forse cinquantamila, voci dopo aver taciuto per un minuto in nome di morti nella rivolta in Egitto, dove la gente un raìs l’ha scacciato, e qui chiede che un premier che non sa cosa sia il rispetto per le donne e i diritti, se ne vada.
Sono le donne e gli uomini che, mentre le organizzatrici lanciano numeri e soddisfazione dal palco inzuppato di pioggia, riempiono Caricamento, via San Lorenzo e De Ferrari, e tutti non ci stanno, in nome di quel “Se non ora quando” che li ha portati tutti insieme, per una manifestazione diversa da tutte le altre. Genova c’è, risponde come sa rispondere, quando in gioco ci sono le sfide più grandi.
«Alla prossima, certo, perché le cose belle non possono finire, perché questo è solo l’inizio», osserva Sergio Cofferati, ex segretario Cgil ed europarlamentare pd, uno dei pochi uomini che parlano dal palco.
Sì, sono le donne la maggioranza, sono le donne che vanno ringraziate, sono le voci delle donne quelle che prendono bordate di applausi: nel nome di parole che partono sempre con una “d”, come dignità, diritti, e ovviamente dimissioni, quelle di Berlusconi.
«Mandiamolo a casa, è un fatto personale!», urla, sollevando un’ovazione di «dimissioni, dimissioni», Manuela Arata presidente del Festival della Scienza.
«Rivediamoci qui per uno sciopero generale che porti questo governo ad andarsene», è il grido di Norma Bertullacelli a nome dei pacifisti genovesi. E se Roberta Pinotti, senatrice pd, legge le parole con cui da Facebook le è giunta la spinta di Federica Storace “una donna normale”, come si definisce, a fare qualcosa per il rispetto delle donne, lettera che ha portato ad interrogarsi su una mobilitazione che oraè questa piazzae tante altre in Italia, poche volte Fernanda Contri, vicepresidente emerito della Corte costituzionale, è parsa così commossa nel parlare di una Costituzione che sente «sua», e «che tutti noi dobbiamo difendere, nel momento in cui ci chiede di fare ogni cosa perché vengano garantiti i diritti di pari rappresentanza e si rimuovano gli ostacoli a consentirlo». Perché, spiega, è il tesoro della dignità che non si può perdere, quello che viene dal Risorgimento, la Resistenza, la Costituzione.
E’ lei a parlare per prima, facendo appello ai giovani che ci sono ma che sono un po’ minoranza, in mezzo a tante convintissime teste un po’ più grigie. La promessa di sole pian piano si trasforma in pioggia, ma Michela Tassistro, Laura Sicignano e Carla Peirolero si danno il cambio nel leggere testimonianze – comprese alcune frasi di Rita Levi Montalcini, che al telefono fa arrivare la sua convinta adesione – e nel dare la parola a chi interviene. Intanto, gli Gnu Quartet galvanizzano con una “Volta le carta” di De André che invita, appunto, a voltare pagina. Sciarpe bianche e “d” come dignità, anche sul petto dei maschi, e lo ribadisce un uomo di teatro come Pippo Delbono. «Sembra assurdo, ma in Europa ci tendiamo conto che persino in paesi lontani come la Lituania o Haiti sanno tutto sugli scandali italiani, è inaccettabile», dice Francesca Balzani, europarlamentare pd. Si vedono anche il deputato pd Mario Tillo, assessori dei vari enti e dei due sessi – Briano, Montaldo, Papi, Dagnino, Bertolotto – tanti sindacalisti, ma soprattutto donne, nonne, madri, figlie e tutti i loro compagni che vogliono dire basta. Sì, è una manifestazione diversa da tutte le altre, perché non ci sono bandiere, ma l’idea resta la stessa per tutti: basta sfruttamento, basta con «le labbra a canotto e le tette rifatte», come modello di donne. C’è anche chi grida “In galera, in galera” e quando tutto finisce comunque non vuole andar via, si continua a parlare, a lanciare idee e a dire “è solo l’inizio, rivediamoci”. Sicuramente una data certa è quella dell’8 marzo: per riempire di nuovo la piazza parlando di rispetto e dignità delle donne. E di dimissioni di un governo che tutto questo l’ha dimenticato.

Centomila sorelle d’ Italia

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 17:39
di CRISTINA ZAGARIA, La Repubblica, 14 febbraio 2011
«BASTA». Le lettere sono scritte con un pennarello rosso sulla fronte di una ragazza. Può avere 30-35 anni. Per mano tiene un bambino. È bella, ma non è solo questo. È MADRE. Ed è ricercatrice alla Facoltà di Lettere della Federico II: «Ogni giorno mi devo conquistare il mio lavoro precario – dice – con lo studio, i sacrifici, il tempo sottratto alla mia famiglia. Anche oggi, mi sono alzata alle sette, perché devo consegnare un progetto entro fine settimana. Ho lavorato come tutti i giorni e alle due sarò a casa, per pranzare con la mia famiglia. Ma oggi è anche il 13 febbraio e io scendo in piazza, con mio figlio. E domani lotterò come oggi, domani… è un altro giorno, da precaria e da donna che crede in se stessa e nel suo lavoro e che vuole vivere in un paese civile». Dice «basta» alla «violenza sul corpo della donna», ma «anche alle discriminazioni sul lavoro, alle ingiustizie, alle prevaricazioni, alle occasioni negate, alle donne che si svendono e agli uomini che le comprano» e se lo scrive sulla pelle. Ci mette la faccia. Ma il nome non lo dice: «Chiamami donna». E si perde tra la folla che ieri mattina ha invaso le strade di Napoli. Le organizzatrici della manifestazione “Se non ora, quando” dicono: «Siamo in centomila». La questura ridimensiona la cifra a 40 mila. Difficile fare una stima. Più facile raccontare cosa è accaduto. Descrivere la piazza che aveva voglia di “esserci”, di farsi sentire e di ascoltare. Le donne che ieri, a Napoli, sono scese a manifestare sentivano il bisogno di parlare, rivendicare, raccontare e raccontarsi, ma anche di ascoltare, per fare gruppo, per non sentirsi più sole. Anna Coppola, 50 anni, dirige un bed Nessuna bandiera di partito, solo un tricolore sventolato da un manifestante. Tanti i cartelli che chiedono le dimissioni di Berlusconi. Molte donne indossano magliette bianche con la scritta: “Mi riprendo il mio futuro”. A piazza Dante diverse attrici prendono la parola dal palco. La giornata del “Se non ora quando ” è stata organizzata dalla Cgil, del Pd, dell’ Udi e da decine di organizzazioni femministe e della sinistra. In piazza anche Sel e Idv. Ma non è la giornata dei partiti o delle sigle. È la giornata delle persone, delle donne che sbattono come piatti i coperchi delle pentole e usano le casseruole come tamburi. Oggetti quotidiani per la giornata dell’ indignazione, che non può e non vuole avere marchi. E così non ci sono bandiere, ma fiori di stoffa usati come vessilli, nastri di tulle rossi, manichini di plastica portati in processione, contro chi «crede che il corpo delle donna sia un oggetto senza anima». Lungo il percorso arrivano anche il sindaco Rosa Russo Iervolino, alcuni assessori comunali, tra cui Graziella Pagano, e il segretario della Cgil Campania Michele Gravano. Tutti ribadiscono: «Siamo qui come cittadini». «Napoli ha reagito con orgoglio. Una risposta inaspettata della città, che così onora la medaglia d’ oro della Resistenzae si schiera in favore della difesa della dignità del Parlamento, della magistratura e della dignità della donna. Il valore di questa manifestazione – commenta Rosa Iervolino, con un mazzetto di mimose appuntato sul bavero della giacca – è la partecipazione congiunta di donne e uomini, giovani e vecchi, intellettuali e operai». E ci sono tutte le donne che hanno voluto fortemente questa giornata. «Siamo 100 mila, tutte non a disposizione di Berlusconi» dice Elena Coccia, una degli organizzatori. «Secondo la questura eravamo 40 mila», aggiunge Teresa Potenza, della Camera del lavoro di Napoli, «abbiamo organizzato questa grande piazza dal niente, senza strumenti e senza nulla. Questo significa che c’ è una forte voglia di dissenso. Prendiamo l’ impegno di proseguire in questo dialogo di donne». Dal palco viene letto anche un messaggio della leader della Cgil, Susanna Camusso, che parla della manifestazione e di «donne vere». In piazza ci sono anche Stefania Cantatore dell’ Udi, Valeria Valente coordinatrice regionale delle donne del Pd, Teresa Armato, Angela Cortese, l’ attrice Rosaria De Cicco, che ha condotto dal palco legando in un unico filo gli interventi. E tra le tante sigle che sfilano in corteo, le “Mamme vulcaniche” che lottano contro la discarica a Terzigno, e gli “Artisti operai”. Piazza Dante non riesce a contenere la manifestazione. La folla si allunga fino al museo e giù in via Toledo. In via Simone Martini, qualcuno incolla su un manifesto del Pdl al posto del volto di Berlusconi quello di Cetto La Qualunque, il personaggio di Albanese. Gli studenti di Genovesi, Vico, Fonseca e Vittorio Emanuele appendono uno striscione sotto la sede del Pdl. Tra i cartelli Veronica Lario diventa un’ eroina (“Veronica siamo con te”) e il premier da “bavoso” a “nonno” e “porco”. Ma ci sono anche i volti di Aung San Suu Kyi e Nilde Iotti (sul sito www.napoli.repubblica.it le gallerie fotografiche e i video della manifestazione). I manifestanti cantano Fratelli d’ Italia e i bambini salgono sul palco con uno striscione: «Nonno, dai il buon esempio». C’ è anche Ruby in tanti striscioni (“Ruby? No lavoro”). Ma non c’ è solo l’ antiberlusconismo a unire la piazza. C’ è un’ energia diversa. C’ è qualcosa di più. Le ragazze dei collettivi femministi, con un nastro rosso al polso, tra i capelli, come sciarpa, tappezzano i vetri della fermata della metropolitana con slogan contro le mutilazioni genitali femminili, contro l’ indifferenza nei confronti della povertà e le vittime di malasanità, contro gli abusi e le violenze nei centri di identificazione per gli immigrati. La battaglia è su tutti i fronti. «Oggi è una data storica. 13 febbraio 2011, me la ricorderò. Ma oggi – dice Roberta Nicastro 31 anni, storica dell’ arte – è solo un giorno, non voglio che questa manifestazione resti solo un grande grido. Io manifesto quotidianamente lavorando e cercando di rendere migliore la mia vita e la realtà che mi circonda». Brunella Voto, 31 anni, sceneggiatrice di “Un posto al sole”: «Sono qui perché stanca di vedere calpestata la mia dignità». Un gruppo di insegnanti del liceo scientifico Calamandrei si ferma proprio sotto la statua di Dante. Per tutte parla Maria Migliaccio: «Noi facciamo tanto in classe. Sia chiaro non facciamo politica, se non nel senso greco del termine, ma insegniamo valori e modelli. Ma tutto quello che costruiamo con gli alunni in classe viene vanificato da mezz’ ora di televisione». Alice Iaccarino, 29 anni, cappotto rosso e lunghi capelli neri, fa l’ educatrice cinofila e va in giro con un cartello, “Io non sono una Barbie”. Camilla Cutolo, dipendente Wind, è in piazza con suo marito che porta a cavalcioni la loro bimba. La piccina sventola un cartello: “W le donne”. «Sono qui per mia figlia – dice Camilla – ma anche per me. È arrivato il momento di ribellarsi». Tanti anche gli uomini in piazza. Molti accompagnano le madri, le sorelle, le mogli. Ma non solo. Sergio Ceglio, avvocato, con la sua Leika, scatta foto. È il suo modo di essere in piazza. Scatta da vicino e sceglie i particolari, ferma sulla memoria digitale della sua macchina le donne di Napoli che chiedono dignità. Uno sguardo. Uno slogan in francese. Una primula tra i capelli di una ragazzina. «Siamo tutti chiamati in causa oggi. È una giornata per la dignità», dice Andrea Vele, avvocato. E Oliver Valentino: «Si ricomincia dalle donne». Uomini e donne. Famiglie, tante. Gruppi di amiche. Ecco la piazza di Napoli. Gigliola Siniscalchi, 70 anni, dirigente in pensione, manifesta con suo marito: «Non si può più rimanere a casa e subire. Sono qui per manifestare il mio disagio e per dire ai giovani che esiste un mondo diverso, normale, non di rappresentanza ma di sostanza». E Gigliola pensa al passato: «Una piazza così non la vedevo da molti anni, da quando c’ erano i partiti politici (e qui si ferma e sorride). Da quando c’ erano i grandi leader che ti facevano credere in grandi ideali. Stamattina in piazza non ci sono bandiere né partiti. L’ Italia è cambiata, ma c’ è finalmente una voglia nuova, la voglia di farsi sentire, di essere un’ Italia migliore». «Siamo persone comuni, siamo donne, mamme, lavoratrici precarie – interviene Dolores Molaro 46 anni – siamo donne che vogliono insegnare alle proprie figlie, ma anche ai propri figli a costruirsi un futuro migliore». E Marialuisa Firpo, grafica, in piazza con la figlia di dieci anni e la madre: «Siamo qui, tre generazioni, per dimostrare che la società civile è pronta a reagire». All’ una la manifestazione si scioglie. I gruppi si sparpagliano. Gli striscioni vengono riposti. Ma per strada, nelle trattorie, nelle cucine, sulle bacheche di Facebook si continua a parlare: «Oggi è il 13 febbraio e le donne sono scese in piazza».

Silvio ora basta, la storia siamo noi”

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 17:38
di LAURA MONTANARI, La Repubblica, 14 febbraio 2011
La storia siamo noi, nessuna si senta esclusa” avanza appeso al collo, su un cartello, fra le macchine imbottigliate del lungarno e la disperazione di quelli in motorino: “ma perché non hanno bloccato il traffico?”. Ci sono donne con la fascetta legata in fronte: “dignità”, “lavoro”, “diritti”. Ombrelli con l’invito a Berlusconi: “Dimettiti”. Nuvolette con: “l’Italia non è un bordello”. Adesivi con sopra: “Il Re è nudo e non ci piace”. In testa, lettera dopo lettera, il messaggio cuore della mobilitazione: “Rieccoci”. Sono tornate, streghe, donne, “io sono mia”.
La cronaca della protesta
Slogan che mancavano da anni nelle piazze e che riemergono da un corteo che non è un corteo, ma un’invasione imprevedibile: piazza dei Giudici è troppo piccola e quella dei Cavalleggeri non basta. Tracimano sul lungarno famiglie, bambini, uomini, donne che arrivano a saturare le strade che portano in piazza Duomo. “Siamo trentamila” dice una al megafono. “Sono diecimila” stima la polizia. Sono comunque cinque, dieci, venti volte più di quelle che si potevano immaginare alla vigilia di questa “Se non ora, quando?” in versione fiorentina. Lo si capisce dalla mancanza di una regia, lo si capisce dall’assenza di un palco, di un amplificatore.
Lorella Zanardo, regista del documentario-denuncia “Il corpo delle donne”, si spolmona dentro uno striminzito megafono in piazza della Repubblica, ma la sua voce scavalca al massimo le prime file. “Mancano le ragazze, dove sono quelle dei licei? quelle che guardano la televisione?” chiede una signora scrutando intorno. “Abbiamo ascoltato la voce delle sedicenni che sono qui in questa bellissima piazza di gente – dice invece Zanardo issandosi sui gradini della colonna a lato della piazza – Ci sono anche tanti uomini e sono contenta di questo. Ma ho una domanda per le donne: possiamo considerare questo un inizio? Cosa ci ha fatto aspettare tanto prima di venire qui?”.
In piazza c’è il segretario della Cgil Alessio Gramolati, il professor Massimo Livi Bacci, c’è il presidente della Regione Enrico Rossi: “Questa manifestazione non ha colore politico e non distingue tra buoni e cattivi. Semplicemente è una risposta a chi vuole ridurre tutto a merce e pubblicità”. “Non siamo a sua disposizione signor presidente del consiglio” si legge su un cartello rosso che sfila nel centro di Firenze. Altre migliaia di persone hanno popolato le manifestazioni di venticinque centri della Toscana, a Pisa per esempio erano in settemila. “Tutto questo non deve spegnersi domani” ha detto Lorella Zanardo da piazza della Repubblica. Non deve spegnersi l’impegno, la voglia di alzare la voce e dire “no che non siamo come la tv e la politica ci rappresentano”, cosce e lampeggiamenti da pubblicità. Poi si è spento il megafono e la gente è continuata ad arrivare in piazza della Repubblica e stava lì, senza mettere il game over sulla manifestazione. Come se qualcosa dovesse ancora succedere.

Siamo 50 mila, tutte in piazza Maggiore” e un lungo corteo rosa invade Bologna.

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 17:35
di Beppe Persichella, La Repubblica, 14 febbraio 2011
Bastano pochi metri per capire quanto fossero al ribasso le previsioni della vigilia. È la testa del corteo che prende la decisione: “Piazza Maggiore! Piazza Maggiore!” invocano le donne dietro allo striscione “Né perbene, né permale, unite, diverse, libere”. Il coro contagia tutti. Lungo via Marconi è ormai chiaro che non è più possibile rispettare il percorso autorizzato. Il lungo serpentone partito nel primo pomeriggio da una piazza XX Settembre stracolma, al coro di “Berlusconi dimissioni”, tira dritto verso via Ugo Bassi per fermarsi solo sulla soglia di San Petronio. E un’invasione pacifica, ordinata, che sfida il divieto di manifestare durante il fine settimana in piazza Maggiore. Le donne in testa, gli uomini in coda: la promessa viene più o meno rispettata, tra qualche malumore.
Quando il corteo arriva in piazza dei Martiri, la grande affluenza ha già scardinato tutti i piani. Tanta gente, anche per gli organizzatori. Si prende la decisione di evitare alcune vie, come Riva Reno, diventate troppo strette. “Siamo noi la maggioranza” gridano in coro dirette verso il crescentone. “Donne unite compatte e solidali, mandiamo a casa questi maiali”, “Berlusconi dimettiti” sono solo alcuni degli slogan amplificati dai megafoni. Un maialino di peluche con un cartello al collo: “Berlusconi a chi?”, una bimba in rappresentanza delle “piccole donne” che chiede un futuro senza premier, due ragazzi che scrivono: “Mi hai rovinato l’infanzia, dimettiti”. Via libera alla creatività sui cartelli: “Non siamo escort, non siamo madonne, siamo orgogliose di essere donne”, “Dignità, onore, non nani assurdi”, con le iniziali che compongono la parola “donna”. Mentre si decide di “conquistare” la piazza, la coda del corteo deve ancora partire. “Ma quanti siamo?” si chiedono le organizzatrici. Venticinquemila il primo conto, ma le persone continuano ad arrivare col treno, attraversano la strada e sono in piazza XX Settembre, poi in corteo.
Cinquantamila persone sarà la stima finale degli organizzatori, anche se per la Questura sono poco meno di diecimila. Le bandiere di partito rimangono a casa, gli slogan sono liberi. “Silvio bona lè, basta acsè” recita uno in dialetto bolognese, “Indignate a tempo indeterminato” un altro. I politici stanno in disparte. Ci sono Virginio Merola, Maurizio Cevenini, Amelia Frascaroli, Benedetto Zacchiroli, Salvatore Caronna. Mantiene la promessa anche Cinzia Cracchi, l’ex compagna di Delbono. “Alcune cose le ho vissute in prima persona, sulla mia pelle e so cosa vuol dire” spiega ai cronisti. Si sente vittima dell’abuso del potere maschile? “Assolutamente si”. Alle quattro e mezza il corteo entra in piazza Maggiore e il crescentone in pochi secondi si riempie. Alcuni volontari della Cgil, in fretta e furia, rimediano un camioncino, un microfono e qualche altoparlante. Pronta per intervenire Lella Costa, ma l’attrice, per protesta, minaccia di andarsene via. Non le va giù che gli uomini debbano stare in disparte. Altre donne la convincono a restare e dai gradoni di San Petronio cita Pasolini e lancia un appello agli uomini in piazza: “Se non ora quando? Spero lo capiate adesso, perché noi non vi aspettiamo più”. Il testimone passa all’attrice Marinella Manicardi, parla anche una giovane studentessa, viene letto il messaggio di Margherita Hack, intervengono associazioni e collettivi. Prima delle sei bisogna smobilitare tutto, sono in arrivo i fedeli per la messa di San Petronio. “Non perdiamoci di vista” chiede Katia Graziosi dell’Udi. La sfida parte da qui.

Ci siamo dette: «Ora basta. Così è nata la mobilitazione»

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 17:33
di Giovanna Vitale, La Repubblica, 14 febbraio 2011
ROMA – Cristina, Francesca, Fabrizia, Valeria: nessuna di loro poteva immaginare. Nemmeno nel più bello dei sogni il gruppo di amiche che circa un anno e mezzo fa si è ritrovato davanti a un bicchiere di vino-a discutere di quel che stava accadendo nel Paese, delle «vergini che si offrono al Drago» svelate da Veronica Lario dopo il caso Noemi, delle candidature europee di velinee starlette tv- aveva intravisto all’ orizzonte una piazza così. Eppure è proprio quella sera che nacque la piccola sfida che ha partorito la fiumana del Pincio: fondare un’ associazione al femminile giocando sul nome, “Di Nuovo”, per raccontare il ritorno delle donne ma in modo diverso, facendo qualcosa insieme. Hanno iniziato a riunirsi a cadenza settimanale. E ogni volta che si vedevano, per parlare e capire come dare una scossa, si aggiungeva qualche ospite in più. Finché il salotto di casa non è bastato: il primo incontro pubblico organizzato a meta marzo nella redazione di Reset, la rivista culturale di Giulio Bosetti presa in prestito nel cuore di Roma. Dove le sorelle Comencini, la sindacalista Valeria Fedeli, tre docenti universitarie di due generazioni diverse (Francesca Izzo, Fabrizia Giuliani e Serena Sapegno), la giornalista Licia Conte, le giovani poetesse Sara Ventroni ed Elisa Da Voglio, la regista Carlotta Cerquetti e la precaria Fabiana Pierbattista hanno tenuto a battesimo le “dinuoviste”. Da lì tutto è partito. Il primo appello per chiamare a raccolta le donne, «sempre più mortificate da rappresentazioni e discorsi pubblici fortemente lesivi della nostra dignità», poi tradotto in un testo teatrale che a cavallo dell’ estate Lunetta Savinoe Isabella Ragonese hanno portato in giro per l’ Italia; dibattiti e riunioni infuocate sul tema del «femminile ridotto ad accessorio maschile». Fino al 21 gennaio, quando lo scandalo di Rubye le altre ha fornito la spinta per misurarsi con qualcosa di più grande. «Quel venerdì sera ci eravamo date appuntamento a casa di Francesca Comencini» racconta Valeria Fedeli, vice segretario generale dei tessili Cgil, «e lì ci siamo dette: “Ragazze qui bisogna agire, non basta lo spettacolo Libere e i dibattiti nei teatri, dobbiamo lanciare una giornata di mobilitazione generale dove ciascuna, nella propria città, faccia quel che sente di fare». La mattina successiva, ospiti stavolta di Cristina, si sono ritrovate in cinque o sei per scrivere l’ appello diventato il manifesto della piazza. Sfidando il sarcasmo di chi sui blog titolava: “Ai Parioli si organizza la lotta delle donne!”. «Abbiamo capito che bisognava mettersi in rete, unirsi ad altri gruppi che avvertivano la nostra stessa urgenza», spiega Fabrizia Giuliani. «Ognuna di noi si è messa a contattare un pezzo del suo mondo, chi le donne cattoliche, chi quelle della cultura, del lavoro, le associazioni. Incontrasi non è stato difficile». Si deve a Francesca Izzo lo slogan preso a prestito da Primo Levi: « Se non ora quando? mi è venuto così, stava nelle mie orecchie e corrispondeva esattamente a quel che volevamo dire. Ci è piaciuto e lo abbiamo usato». Il resto è la cronaca di un pomeriggio da incorniciare eppure oscurato dal Tg1, la notizia data in fondo come qualcosa di trascurabile. «Ma adesso ci faremo sentire – minacciano le “dinuoviste” – da domani partirà una campagna di protesta contro il telegiornale di Minzolini. Mail, blog, internet. Stavolta non ci fermeremo».

«Ma oggi ha vinto la dignità, non c’ è solo il potere dei soldi»

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 17:31
La Repubblica, 14 febbraio 2011
ROMA – Difficile definirla una “radical chic”. Suor Eugenia Bonetti sorride delle polemiche. Dal palco romano per prima cosa ringrazia («Grazie a tutto il mondo femminile qui presente per chiedere il rispetto per la dignità della donna») e poi dice qualcosa di sé: «Sono una missionaria della Consolata, vissuta in Africa per 24 anni, dal 1993 impegnata in un centro Caritas di Torino dove ho conosciuto il mondo della notte e dove ho incontrato il volto, le storie, le sofferenze, la disperazione e la schiavitù di tante donne portate in Italia con il miraggio di una vita confortevole per poi trovarsi nelle mani della criminalità organizzata». Ha molto da dire sulla dignità delle donne suor Eugenia, e piazza del Popolo le tributa una verae propria ovazione. Lei, 72 anni, neppure stanca, lascia il palco e risponde alle interviste e agli apprezzamenti. Cosa pensa del Rubygate, suor Eugenia? «A me il “caso Ruby” non interessa più di tanto, nel senso che se tutti lavorassimo nella stessa direzione perché la dignità delle persone sia davvero al primo posto, allora il resto viene risolto da sé, e ciascuno si prende la propria responsabilità». Ma si aspettava un tale successo di questa manifestazione romana e della mobilitazione delle donne in tutt’ Italia? «È stata una bella manifestazione molto partecipata, l’ inizio di una presa di coscienza perché le donne continuino nel loro ruolo importantissimo nella società, nella famiglia, nella scuola, nei luoghi di lavoro. La presenza delle donne fa sempre la differenza». Com’ è successa tanta dimenticanza della dignità femminile in Italia? «Noi siamo stati troppo risolti nell’ esteriorità, nel potere, nei soldi, nella bellezza, e il valore intrinseco delle donne è stato giorno dopo giorno ignorato. Io sono venuta su questo palco per dare voce a chi non ha voce, alle nuove schiave che vengono nel nostro paese per trovare un futuro migliore. È per loro, e per tutte noi, che ho fatto questo appello, perché sia riconosciuta la dignità della donna». I festini di Arcore del premier Berlusconi sono la goccia che ha fatto traboccare il vaso dell’ indignazione, come recita uno degli striscioni in questa piazza? «Non siamo entrate, e non voglio farlo, né nella politica né nella polemica. Non tocca a me fare questa riflessione. Operiamo in questi campi. Da mio punto di vista, non ci sono interessi di parte. Ma c’ è l’ attenzione per la persona nella sua dignità, nel suo futuro, nella sua vita. È questo centrale e l’ ho subito detto quando ho accettato di venire qui». Però si è fatta un’ idea – dopo una mobilitazione così massiccia soprattutto perché in tante piazze, voluta dalle donne e che ha prodotto una risposta spontanea- sull’ insofferenza che cresce verso questo governo? «Vado al di là di tutto questo: al rispetto della donna soprattutto di quelle che hanno vissuto emergenze, difficoltà e la negazione della loro dignità». – g. c.

Le sciarpe bianche dilagano fino al Duomo: “Dignità prima di tutto”

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 17:29
di Cinzia Sasso, La Repubblica, 14 febbraio 2011
Teresa Mannino è incontenibile. Magrissima, infagottata in una giacca a vento, le mani intirizzite a reggere il copione: «Diciamo quanti siamo? No, non lo diciamo… basta guardarci!». Ed ecco i centomila che non si riesce a vederli tutti da quanti sono, che sventolano le sciarpe bianche, che battono le mani, che cantano a squarciagola Respect di Areta Franklin, Scandalo di Gianna Nannini, il Bella Ciao dei Modena City Ramblers. Tantissime donne, ma questo era scontato: in piazza Castello, a Milano – ma alla fine erano talmente in tanti che arrivavano fino a piazza Duomo – ci sono anche tantissimi uomini perché questa, dicono, «è una manifestazione per la nostra dignità». Uno di loro tiene in alto una gabbietta di cartone con dentro un piccolo Berlusconi e la scritta “I have a dream”. Una ragazza di colore sventola un “Sono la nipote di Obama, telefona all´ambasciata americana”. Una signora elegantissima ha preparato il suo tazebao a casa e si è lasciata andare: “Dimettiti, culo flaccido”. In piazza ci sono Nichi Vendola, Antonio Di Pietro e il candidato sindaco del centrosinistra Giuliano Pisapia. Ma stanno in disparte, perché, e lo sanno, questa non è la loro manifestazione. Questa è la manifestazione delle donne, quella che è partita proprio da Milano due settimane fa, quando alcune temerarie hanno provato a dare uno sbocco all´indignazione e hanno scoperto che, chiamate, le donne rispondevano eccome. Non spettavano altro. Il 29 gennaio, a riempirsi, era stata piazza della Scala. Ieri, nonostante anche tra le donne ci sia stato chi ha provato a dire che non andava bene farsi strumentalizzare, piazza Castello era dieci piazze della Scala. E non è finita qui. Emozionata, i capelli fradici, la voce rotta, dal palco lo dice Assunta Sarlo: «Ce lo dicono Il Cairo, la Tunisia, quello che possono le piazze. Continuare da qui ci fa bene e ci dà forza. Una forza condivisa, collettiva, che dobbiamo spendere su tutti i tavoli». Flavia Perina, che ha ancora addosso il badge del congresso di Fli, tra le prime, a destra, ad alzare la voce contro il velinismo, rilancia: «Se le quote rosa diventano le quote erotiche, questo non è un problema morale, è un problema politico. Che dobbiamo affrontare insieme». È una piazza piena di studentesse, operaie, insegnanti, professioniste, pensionate. C´è anche Franca, che ha 82 anni ed ha sempre votato a destra. Sul palco il primo saluto è quello di Claudia Mori: «Meno male che siamo in tante… non è vero che dignità è una parola fuori moda. Dignità è una parola bellissima».

L’opposizione applaude. Ministre contro i cortei.

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 17:27
di Mariolina Iossa, Corriere della Sera, 14 febbraio 2011
Interviene la politica sulle manifestazioni di ieri in difesa della dignità della donna. Interviene e dice la sua, la politica che era in piazza e quella che non c’era, la politica che ha appoggiato le proteste e quella che ne ha preso le distanze. Reagiscono con durezza le donne ministro del. governo Berlusconi. Molto critica Maria stella Gelmini (Istruzione), per la quale le donne che sono scese in piazza ieri «sono solo radical chic che manifestano per fini politici. Si tratta delle solite eroine snob della sinistra uscite dai loro salotti per tentare di strumentalizzare la questione femminile e attaccare un governo che ‘continua ad avere la fiducia degli italiani. Le organizzatrici se ne facciano una ragione, la loro battaglia non monta nel Paese».Attacca con durezza anche il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo: «Non mi piacciono le donne che manifestano contro altre donne e quelle scese in piazza non sono tutte ma solo quelle che si oppongono al governo».
Il limite della protesta, prosegue la Prestigiacomo, è stato «quello di essere strumentale ad un obiettivo politico di parte. Se l’Italia fosse quella descritta dalle donne in piazza non avremmo donne alla guida degli industriali, del maggior sindacato italiano, nel governo in ruoli chiave e con la maggiore rappresentanza in Parlamento della storia repubblicana».
Usa toni più sfumati Mara Carfagna, responsabile delle Pari Opportunità. Ritiene che «chi ha responsabilità di governo ha sempre il dovere di ascoltare la piazza e le domande che questa pone alla politica. Da domani continueremo a lavorare con maggiore vigore per le donne italiane, per garantire loro opportunità, servizi e sicurezza». E dice anche che le manifestazioni «hanno avuto il merito di sollevare un dibattito vivo e partecipato, di unire generazioni diverse nel discutere di condizione femminile e libertà». E tuttavia «spiace che l’occasione sia stata sprecata, trasformando questa iniziativa nell’ennesimo corteo contro il governo».
Falso, non c’erano bandiere di partito, replica l’opposizione. Quella di ieri è stata «una manifestazione spontanea con tante persone che dicono di non poterne più. Questo è l’inzio della spallata definitiva al governo», dice Dario France schini, capogruppo Pd alla Camera. In piazza, aggiunge il segretario Pierluigi Bersani, «ci sono donne, spesso accompagnate dai loro uomini, che interpretano il risveglio delle coscienze civili, come tante volte è successo nella storia del Paese».
Alle ministre replica con altrettanta fermezza Rosy Bindi: «Siamo qui tutte insieme per restituire dignità alle donne e al Paese, questo movimento non si fermerà, il Paese merita dí più e lo otterrà grazie alle donne». «Gelmini invece di offendere impari ad ascoltare, non si riempiono le piazze con poche radical chic», aggiunge Francesca Puglisi (Pd).
A Milano, Nichi Vendola dice che «non c’è cambiamento possibile se non si critica con veemenza, con passione e con razionalità quella logica di mercificazione, subordinazione e umiliazione del corpo delle donne».
A quello di Vendola si aggiunge l’entusiasmo di Romano Prodi, anche lui nel capoluogo lombardo: «C’è un’esigenza di dignità e un desiderio di serenità, credo che le donne abbiano dato un grande segnale al risveglio dell’Italia». E c’è persino chi, nel Pdl, non ci sta: Sara Giudice, l’«anti Minetti», consigliere di circoscrizione del Pdl, è in piazza a Milano. Dice: «Si può essere donne di destra con dignità, non siamo tutte veline. Questa è una manifestazione di donne perbene».

I 100 mila di Milano: l’ 8 marzo a febbraio

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 17:25
di Benedetta Argentieri e Annachiara Sacchi, Corriere della Sera, 14 febbraio 2011
MILANO – Il popolo delle sciarpe bianche arriva in piazza Castello sotto la pioggia, riempie tutte le strade intorno, si allunga per un chilometro, fino al Duomo. L’ attrice Teresa Mannino, dal palco, annuncia: «Macché sessantamila, siamo in centomila», e intanto osserva gli striscioni (in prima fila: «La parità è solo sulla carta»; «Veronica è libera, ora tocca a noi»), saluta le più anziane e i tanti uomini radunati «per ridare orgoglio e dignità al Paese» senza bandiere. Prendono parola le donne: Claudia Mori, Licia Maglietta, Maddalena Crippa, Flavia Perina, direttore del Secolo d’ Italia, Eva Cantarella, Silvia Ballestra, Daria Colombo, Ottavia Piccolo. E gli uomini: Massimo Cirri, Gad Lerner, Alessandro Robecchi. Per tre ore si discute, si balla, si canta. Arrivano anche i big della politica (Antonio di Pietro, Nichi Vendola, Paolo Ferrero) ma il microfono, questa volta, non è per loro. E appena smette di piovere, le sciarpe sostituiscono gli ombrelli, la piazza si colora di bianco. Una fiammata quando Franca Rame cita Giuseppe Cederna: «Mi vergogno di non riuscire a pensare al mio Paese senza vergogna». Applausi scroscianti. Interviene il premio Nobel Dario Fo: «Questa è una manifestazione per le donne e con le donne, e Berlusconi è dentro i nostri cuori, nel senso che ce li sballa». Boato: «Dimissioni!». E ancora letture, testimonianze, proposte che arrivano dalla città dello scandalo Ruby e della prima manifestazione «contro», il 29 gennaio, davanti alla Scala. «È una piazza straordinaria – commenta Assunta Sarlo, del comitato organizzatore – che continuerà a chiedere un’ altra Italia e un’ altra relazione tra uomo e donna». Il futuro. E una consapevolezza che arriva dalle più giovani: «Quest’ anno l’ 8 marzo è il 13 febbraio».

Il posto degli uomini. «Noi qui, indignatissimi»

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 17:21
di Manuela Modica
A Messina la voglia di chi vuole riscattare l’immagine ridicolizzata dal premier. «Anche la nostra dignità è lesa». E un tempo la città fu salvata da due donne…
Una piazza gremita di uomini. Per spalleggiare, accompagnare le donne? No, «perché non può che essere condivisibile l’indignazione», risponde Lillo Oceano, segretario della Cgil Messina. «Perché abbiamo avuto delle defaillance tra i padri, di recente, e dobbiamo bilanciare», aggiunge Giuseppe Restifo, docente di Storia Moderna.

Maria, tre figlie per mano: «Cresceranno come dico io»

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 17:10
di Massimiliano Amato, L’Unità, 14 febbraio 2011
A Salerno una manifestazione che non si vedeva da trent’anni. Volantini «verdi speranza» ovunque. «Abbiamo dormito tutti, e per troppi anni».
Salerno, corso Vittorio Emanuele, lo sciccoso boulevard dello struscio domenicale di una media città del Sud. Il serpentone è lungo, colorato, chiassoso. Ci sono le tammorre, le nacchere, i triccabballacche. Moltissime le signore anziane, con tanto di tatzebao. Una festa democratica, civile, composta, che raggiunge il suo culmine in Piazza Portanova, sotto le finestre del coordinamento provinciale del Pdl.

Perina: «Senza coraggio non ce la faremo mai»

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 16:58
di Natalia Lombardo, L’Unità, 14 febbraio 2011
La direttrice del Secolo è stata l’unica onorevole ammessa a parlare. «Un Paese che sostituisce le quote rosa con le quote erotiche è incivile».
«Ehi ragazze, mi sono emozionata pure io, non ho mai parlato davanti a così tanta gente, perché io sono…una giornalista. Ma questa piazza è bellissima, dimostra che l’Italia è migliore di come la rappresentano!». Flavia Perina è appena intervenuta, parlando d’un fiato e a braccio davanti alla folla di donne che da Piazza Castello dilaga fino al Duomo.

Più forti della pioggia. «Dimissioni, dimissioni»

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 16:51
di Laura Matteucci, L’Unità, 14 febbraio 2011
Le donne di Milano hanno invaso il centro, per ore, sotto una pioggia a tratti battente e poi fiacca, hanno ballato allegre Scandalo della Nannini e Bella ciao versione Modena City Ramblers, scandito più volte «vergogna/vergogna», «dimissioni/dimissioni». E la parola magica che le ha portate in piazza a migliaia: dignità. Perché, lo dice uno striscione, «la dignità delle donne è la dignità di una nazione». Chiedono etica e moralità, e dei moralismi vedi Ferrara non gliene frega niente a nessuna. Con le loro sciarpe bianche, i cartelli, gli slogan, colorate e commosse a guardarsi, a contarsi, si sono prese la statua a Garibaldi, la fontana davanti al Castello Sforzesco, e siccome in piazza non ci stavano più sono diventate un fiume fino a piazza Duomo. Le donne di Milano a vederle dal palco sembrava fossero tutte lì, e con loro gli uomini. I negozi che affacciano sulla piazza hanno chiuso le porte e fatto evacuare chi stava dentro dal retro, la copertura dei cellulari è saltata, e per qualcuno è arrivato un piccolo malore, perché «mai vista una ressa così», parola di nonna cartello-munita: «Giù le mani dalle mie nipotine». Ci sono le nonne, le mamme, le figlie, quelle che studiano, quelle che lavorano, precarie, disoccupate, casalinghe, quelle che hanno organizzato le piazze e continueranno a farlo, Iaia Caputo, Piera Landoni, Silvia Ballestra, Assunta Sarlo per dirne alcune: «È una piazza straordinaria, che chiede una bella politica, che crede in un’altra Italia e in un’altra relazione tra uomo e donna». Le donne della Cgil, donne note a molti e anche a molti meno. Passa Claudia Mori: «Tutte, dovrebbero esserci tutte. Qualcuno vuole indebolire le piazze con argomenti assurdi, ma la dignità delle donne non si tocca. La mercificazione oggi è insopportabile. Si può fare spettacolo, si può anche fare la velina, ma con dignità: ad esempio impedendo che la macchina da presa arrivi fin sotto le mutande».
Ci sono quelle un po’ consunte, amareggiate di doverci essere, ancora: «Ma tutte queste cose non ce l’eravamo già chiarite? – dice Ottavia Piccolo – Evidentemente non basta. E siccome oggi soffia un vento nuovo, eccomi». Quelle cui soprattutto il futuro appartiene, come Carlotta, per ora studentessa: «È necessario indignarci ogni giorno, riconoscendoci come esseri umani unici e liberi di scegliere».
Basta connivenze. Nella folla anche Sara Giudice, la pasionaria del Pdl che vuole le dimissioni di Nicole Minetti, sotto il palco anche Lucrezia Lante della Rovere, sul palco Maddalena Crippa: «Ma questi uomini sono figli delle donne, com’è che li educhiamo? Bisogna fare autocritica e farla finita con la connivenza». Hanno urlato più e più volte «adesso!» quando dal palco Teresa Mannino gridava «Se non ora, quando?», applaudito Di Pietro, travolto di abbracci Nichi Vendola: «La richiesta di cambiamento è forte, la politica deve saperla interpretare». Hanno annuito mentre dal palco si parlava di «trasmissioni spazzatura», sventolato cartelli per dire «Belle, laureate, abbronzate, ma non a disposizione», e per chiarire «Mia mamma mi ha insegnato a lavorare sodo, a rispettare le regole e aiutare i deboli: al governo siete tutti orfani?». E hanno dedicato un’ovazione all’arrivo di Dario Fo e Franca Rame, con un intervento centrato sulla vergogna.
La vergogna, soprattutto, «di chi non si vergogna».

Emma e le teenager: «Non siamo merce»

Inrassegna stampa, Senza categoria su 21 febbraio 2011 a 16:42
di Federica Fantozzi, L’Unità, 14 febbraio 2011
Vincitrice della nona edizione di «Amici», la Marrone diserta un pomeriggio pre-festival a Sanremo. «Nella vita non solo autografi, i valori vanno difesi».
Scrive il suo nome sopra un foglio macchiato di tempera teso da due 13enni. «Sono qui per metterci la faccia. Per dire a chi mi segue, alle mie amichette, come le chiamo: le donne che lavorano in tv non sono tette e culo. La nostra vita non è solo palchi e luci ma valori e ideali».

«Adesso non si torna più indietro». Il silenzio e poi l’urlo

Inrassegna stampa, Senza categoria su 21 febbraio 2011 a 16:13
di Maria Zegarelli, L’Unità, 14 febbraio 2011
Questa non è una pizza di moralisti come ha detto qualcuno, lo dicono per sminuire la vostra presenza qui. Si ha paura di voi”, perchè tutto questo può diventare “travolgente”. Non è moralismo, “un festino hard non può essere il criterio di selezione della classe dirigente. Oggi siamo e dobbiamo essere protagoniste, non comparse. L’unico contesto in cui vedo le donne protagoniste sono le barzellette, soprattutto se provengono da Arcore”. Chi tace, aggiunge, “diventa complice”. Allora, “se non ora quando?” chiede un’applauditissima Susanna Camusso, “perchè la misura è colma..perchè non accettiamo di vedere il nostro paese trasformato in una brutta telenovela televisiva”.

IL PAESE CHE VORREI

Inrassegna stampa su 21 febbraio 2011 a 09:47
Intervento di Susanna Camusso, Segretario Generale della CGIL, Piazza del Popolo, 13 Febbraio 2011
È la misura colma. È lo sguardo limpido su noi stesse. È il rispetto rivendicato. È la serenità di non dover mai dirci: siamo state zitte, non abbiamo visto. Abbiamo visto bene, comportamenti pubblici, scelte politiche, persino un linguaggio che ci vorrebbe umiliate, succubi, divise tra corpo e mente. Non si pensi di poter cancellare la nostra intelligenza, il nostro essere cittadine a pieno titolo. Non accettiamo di vedere il nostro Paese trasformato in una brutta telenovela. Perciò se non ora quando, per dire senza paura, a voce alta, il Paese che vorremmo? E allora io vorrei, vorrei un Paese che sa che le giovani donne, i loro progetti, la creatività, l’innovazione, sono il futuro. Vorrei che chi oggi dice che siamo puritane ricordasse i divieti che ha voluto, dalla fecondazione assistita alla pillola. Vorrei che sesso fosse una relazione tra pari e non un incarico politico. Vorrei un Paese con una sola morale, quella doppia offende e nasconde. Vorrei che la giustizia fosse uguale per tutte e per tutti.

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