Immigrati: 'Avvenire', la Ue non ha politica sulle migrazioni
ultimo aggiornamento: 08 aprile, ore 11:16
Roma, 8 apr. - (Adnkronos) - "L'Unione europea non ha una politica sulle migrazioni, anche se la questione ha dimensioni, appunto, continentali". Lo riporta l'Avvenire in un editoriale sull'emergenza immigrati e sulle posizioni di Italia e Francia per gestire la situazione. "Le migrazioni investono l'Unione da Sud (e sono in prima linea Italia, Grecia, Malta) - prosegue il quotidiano - ma anche da Est. Non avendo una strategia la Ue, non ne hanno una degna di tal nome i singoli Stati. L'Italia aveva arruolato Gheddafi, pagando cari i suoi servigi. E ora? La Grecia - prosegue l'Avvenire - pensa di costruire un muro sul confine con la Turchia, proprio mentre gli Usa registrano il fallimento del muro lungo il confine con il Messico. Malta un po' respinge e un po' accoglie".
Libia, Frattini a Washington: “Ipotesi esilio per Gheddafi”
07 apr, 2011
“Italia e Stati Uniti stanno lavorando all’ipotesi dell’esilio di Gheddafi e dei suoi familiari, perché non può esserci nessuna transizione con il rais. Gli Stati Uniti hanno riconosciuto il nostro paese come un partner chiave nell’ambito di questa crisi così difficile”.
E’ quanto dichiarato dal ministro degli Affari Esteri, Franco Frattini, al termine dell’incontro a Washington con il segretario di Stato americano, Hillary Clinton.
Le consultazioni di Frattini sulla crisi libica proseguiranno l’11 aprile a Londra in occasione di una visita bilaterale ed il 14 e 15 alla riunione ministeriale Nato a Berlino. E di Libia si discuterà anche a Roma il 26 aprile in un vertice italo-francese a cui parteciperanno il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e il Presidente della Repubblica francese, Nicolas Sarkozy.
E’ quanto dichiarato dal ministro degli Affari Esteri, Franco Frattini, al termine dell’incontro a Washington con il segretario di Stato americano, Hillary Clinton.
Le consultazioni di Frattini sulla crisi libica proseguiranno l’11 aprile a Londra in occasione di una visita bilaterale ed il 14 e 15 alla riunione ministeriale Nato a Berlino. E di Libia si discuterà anche a Roma il 26 aprile in un vertice italo-francese a cui parteciperanno il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e il Presidente della Repubblica francese, Nicolas Sarkozy.
Libia: truppe Gheddafi tentano di entrare a Misurata. Nato chiede a Italia azione bombardamento
La Nato intanto chiede all'Italia di autorizzare le azioni da bombardamento, ma il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha opposto il veto.
Secondo alcune fonti locali, gli aerei della coalizione avrebbero colpito per sbaglio alcuni reparti degli insorti che erano contemporaneamente presi di mira dalle artiglierie di Gheddafi.
Libia. La realpolitik dell’ex funzionario Nato piacentino Gasparini
Libia: la guerra e la pace vista da Piacenza. La realpolitik di ex funzionario Nato di Piacenza
“Gheddafi farà una brutta fine, è solo una questione di tempo. Ma veramente pensa di vincere contro tutto il mondo occidentale? Il massimo di speranza di vita per lui è finire in una cella all’Aja, oltretutto godrebbe di alcuni benefici, lo sapevate che gli alti ufficiali incarcerati per crimini di guerra hanno l’attendente? Come Doenitz a Norimberga”. A parlare è Emilio Gasparini, funzionario Nato in pensione, da poco tornato a Piacenza.
A Bruxelles si è occupato per più di trent’anni di economia dei paesi dell’est presso la Direzione economica. Prima del dicembre del 1991, questi funzionari venivano chiamati “sovietologi”. “Sin dal 1979 avevo previsto il crollo dell’Urss, come analista economico avevo indicato il 1992, sbagliando di qualche mese. E al quartier generale della Nato già intorno al 1985 circolava la convinzione che dopo la lotta al comunismo sarebbero arrivate nuove emergenze. Eravamo ben consci della polveriera nordafricana e mediorientale: la forte pressione demografica e gli altissimi tassi di disoccupazione, uniti a un’economia stagnante e a un potere politico autoritario hanno fatto esplodere l’intera regione. Rendiamoci conto che in questi paesi c’è il 70 % della popolazione che ha meno di 30 anni e una disoccupazione giovanile che sfiora il 50 %”, spiega l’ex analista Nato sottolineando che “non parlo in nome della Nato”.
C’è infatti un rigido regolamento di sicurezza all’interno dell’Alleanza atlantica fatto di riservatezza e lealtà eterna:“Siamo funzionari a vita: nel regolamento c’è soltanto la distinzione fra funzionari in attività e “altri funzionari”.
Diversamente dal professor Del Boca, Emilio Gasparini evidenzia l’impossibilità di dialogare con “certi soggetti”, rievocando alcuni drammatici episodi della storia contemporanea. “Hitler, nel ’45, con i Sovietici già padroni di Berlino, spostava delle divisioni che non esistevano, convinto di poter ancora cambiare le sorti della guerra; “Com’è dolce il sapore della vittoria”, diceva invece nel 2003 Saddam Hussein, con gli anglo-americani alle porte di Baghdad: Gheddafi, come Hitler e Saddam, è ormai fuori dalla realtà. Tuttavia prima dell’intervento Nato, l’opzione dell’esilio dorato non è stata mai presa seriamente in considerazione dai governi occidentali. Bisognava proporgli chiaramente un salvacondotto per lui e la sua famiglia e la garanzia di conservare il suo tesoro. Adesso è tardi per negoziare, lo liquideranno”.
Da quando è cominciata la guerra in Libia, il diciassette marzo scorso, abbiamo assistito a un susseguirsi di rovesciamenti di fronte. Entrati in azione gli aerei francesi e inglesi sembrava che Gheddafi avesse i giorni contati. L’iniziativa è tornata in seguito ai lealisti, nonostante la pioggia di missili (nel primo giorno di operazioni sono stati lanciati circa 120 Tomawak), poi di nuovo agli insorti, per arenarsi ora intorno a Brega e Misurata, città ormai devastate dal conflitto. “Senza gli aerei della coalizione gli insorti sarebbero stati spazzati via e tuttavia è impossibile prevedere quando finirà il conflitto; c’è il rischio concreto di un incancrenimento della guerra: l’aviazione di Gheddafi è stata neutralizzata, ma gli aerei della Nato non riescono a piegare l’esercito e a distruggere i mezzi pesanti del rais perché il colonnello li ha nascosti, sotterrandoli intorno alle città. Pare che Tripoli sia circondata da carri armati, dissimulati sotto la sabbia, che servono da contraerea”.
Una fase di stallo in cui non è da escludere, secondo il funzionario in pensione, un intervento più massiccio delle forze Nato. “Se le misure si dimostrassero insufficienti è possibile che la Nato intensifichi l’impegno militare, dando armi ai ribelli per esempio, cosa che non è stata ancora fatta. L’ipotesi di un intervento terrestre mi sembra non praticabile, la Germania e la Turchia non lo permetterebbero. Ma che alcuni paesi facenti parte della Nato intervengano a terra attraverso azioni di commando non è da escludere, come sta facendo la Francia proprio ora in Costa d’Avorio.”
Intanto sono arrivati i primi “danni collaterali” della Nato, con una cinquantina di vittime civili fra Brega e Tripoli. ”Sono purtroppo inevitabili: Gheddafi, come Saddam Hussein prima di lui e come i Talebani ancora adesso, usa i civili come ostaggi. L’intento del regime è quello di favorire le vittime civili per disgustare l’opinione pubblica mondiale e spingere la Nato al ritiro. Ma bisogna fare in fretta, Gheddafi non deve vincere questa guerra perché come lui stesso ha dichiarato andrà a prendere i ribelli casa per casa e taglierà loro la testa: la guerra è cominciata e ora bisogna andare in fino in fondo, lo chiedono innanzitutto gli insorti del Consiglio Nazionale di Transizione che premono per un intervento occidentale più muscolare”.
Alla domanda se l’intervento dell’Occidente sia stato motivato anche per motivi extra umanitari, come il controllo delle risorse naturali della Libia, Emilio Gasparini non fa una piega. “Le guerre si combattono sempre per motivi economici e politici, e la politica è un’alchimia di principi e interessi”. Mentre sull’interventismo francese, il funzionario Nato commenta:”La Francia ha premuto subito per un’interpretazione estensiva della no-fly zone, in base al principio che per difendere i civili bisogna far fuori Gheddafi. Ma ci sono motivazioni nazionali meno confessabili: la ricerca da parte di Sarkozy di una nuova popolarità interna attraverso l’ideale nazionalista, sempreverde, di “grandeur” e gli interessi economici in ballo. Avendo perso i contratti petroliferi in Iraq, data la sua non partecipazione all’invasione anglo-americana nel 2003, la Francia ha cercato ora di garantirsi in Libia una via preferenziale per l’approvvigionamento di materie energetiche.
Tuttavia gli altri paesi Nato, Gran Bretagna in testa, hanno rifiutato di farsi guidare dalla Francia, così si è giunti al comando atlantico, unico strumento internazionale credibile e maggiormente efficace dal punto di vista militare perché si tratta di mettere in pratica i “defense plans policy”, i piani militari pensati a Bruxelles oltre vent’anni fa e aggiornati continuamente che coordinano le forze armate di ventotto paesi”.
La resa dei conti fra Occidente e Gheddafi ha anche radici profonde e specifiche, come ricorda il funzionario. “Gheddafi è stato un criminale internazionale, ha foraggiato il terrorismo, prendendo di mira inglesi e americani. Non dimentichiamoci dell’attentato all’aereo di linea PanAm 103 esploso sopra Lockerbie nel 1988 che causò la morte di 189 persone e quello alla discoteca La Belle di Berlino frequentato per lo più da marines americani”.
E l’Italia? “Ne esce perdente. Non ha nessun interesse ad andare in guerra contro Gheddafi, si è impegnata in questo fronte per solidarietà con gli altri paesi Nato e per motivi esclusivamente umanitari. Con Gheddafi avevamo relazioni stravaganti ma normali: bloccava l’immigrazione selvaggia e i rapporti commerciali erano corretti. Ora i francesi bombardano e Lampedusa è colma di disperati, mentre Sarkozy non vuole accettare neanche qualche centinaio di immigrati che ha fermato al confine di Ventimiglia la settimana scorsa”.
Con riluttanza, l’Italia è entrata in guerra e il quattro aprile ha riconosciuto ufficialmente il Consiglio Nazionale di Transizione, il contro governo di Bengazi autoproclamatosi lo scorso cinque marzo come unico legittimo rappresentante della repubblica libica. Come bandiera ha scelto di rispolverare l’antico vessillo di re Idris, primo monarca della Libia decolonizzata. Alcuni osservatori e analisti hanno subito avanzato dubbi sulla supposta “genuinità democratica” degli insorti, data quasi per scontata dall’opinione pubblica occidentale, condizionata dalle rivoluzioni tunisine e egiziane. Ma il Consiglio è un organo in cui sono confluiti pezzi di regime gheddafiano ed è presieduto dall’ex ministro della giustizia del rais. “ Si può reagire all’oppressione senza essere democratici. E’ una guerra complessa in cui l’aspetto tribale non è secondario e quando scoppia la pentola etnica anche coloro che facevano parte del regime rispondono all’etnicità. E’ successo la stessa cosa in ex-Jugoslavia: i generali croati si sono schierati con il nuovo Stato croato”.
Chi nutre forti dubbi sugli obiettivi dell’intervento occidentale e sugli insorti (che fino a qualche settimana fa gran parte dell’opinione pubblica chiamava “ribelli”) è la dottoressa tripolitana Faten Ismail, residente a Piacenza con il marito Mohamed Shatel dal 2003. Piacenza Sera l’ha intervistata nella prossima puntata (2-continua).
A Bruxelles si è occupato per più di trent’anni di economia dei paesi dell’est presso la Direzione economica. Prima del dicembre del 1991, questi funzionari venivano chiamati “sovietologi”. “Sin dal 1979 avevo previsto il crollo dell’Urss, come analista economico avevo indicato il 1992, sbagliando di qualche mese. E al quartier generale della Nato già intorno al 1985 circolava la convinzione che dopo la lotta al comunismo sarebbero arrivate nuove emergenze. Eravamo ben consci della polveriera nordafricana e mediorientale: la forte pressione demografica e gli altissimi tassi di disoccupazione, uniti a un’economia stagnante e a un potere politico autoritario hanno fatto esplodere l’intera regione. Rendiamoci conto che in questi paesi c’è il 70 % della popolazione che ha meno di 30 anni e una disoccupazione giovanile che sfiora il 50 %”, spiega l’ex analista Nato sottolineando che “non parlo in nome della Nato”.
C’è infatti un rigido regolamento di sicurezza all’interno dell’Alleanza atlantica fatto di riservatezza e lealtà eterna:“Siamo funzionari a vita: nel regolamento c’è soltanto la distinzione fra funzionari in attività e “altri funzionari”.
Diversamente dal professor Del Boca, Emilio Gasparini evidenzia l’impossibilità di dialogare con “certi soggetti”, rievocando alcuni drammatici episodi della storia contemporanea. “Hitler, nel ’45, con i Sovietici già padroni di Berlino, spostava delle divisioni che non esistevano, convinto di poter ancora cambiare le sorti della guerra; “Com’è dolce il sapore della vittoria”, diceva invece nel 2003 Saddam Hussein, con gli anglo-americani alle porte di Baghdad: Gheddafi, come Hitler e Saddam, è ormai fuori dalla realtà. Tuttavia prima dell’intervento Nato, l’opzione dell’esilio dorato non è stata mai presa seriamente in considerazione dai governi occidentali. Bisognava proporgli chiaramente un salvacondotto per lui e la sua famiglia e la garanzia di conservare il suo tesoro. Adesso è tardi per negoziare, lo liquideranno”.
Da quando è cominciata la guerra in Libia, il diciassette marzo scorso, abbiamo assistito a un susseguirsi di rovesciamenti di fronte. Entrati in azione gli aerei francesi e inglesi sembrava che Gheddafi avesse i giorni contati. L’iniziativa è tornata in seguito ai lealisti, nonostante la pioggia di missili (nel primo giorno di operazioni sono stati lanciati circa 120 Tomawak), poi di nuovo agli insorti, per arenarsi ora intorno a Brega e Misurata, città ormai devastate dal conflitto. “Senza gli aerei della coalizione gli insorti sarebbero stati spazzati via e tuttavia è impossibile prevedere quando finirà il conflitto; c’è il rischio concreto di un incancrenimento della guerra: l’aviazione di Gheddafi è stata neutralizzata, ma gli aerei della Nato non riescono a piegare l’esercito e a distruggere i mezzi pesanti del rais perché il colonnello li ha nascosti, sotterrandoli intorno alle città. Pare che Tripoli sia circondata da carri armati, dissimulati sotto la sabbia, che servono da contraerea”.
Una fase di stallo in cui non è da escludere, secondo il funzionario in pensione, un intervento più massiccio delle forze Nato. “Se le misure si dimostrassero insufficienti è possibile che la Nato intensifichi l’impegno militare, dando armi ai ribelli per esempio, cosa che non è stata ancora fatta. L’ipotesi di un intervento terrestre mi sembra non praticabile, la Germania e la Turchia non lo permetterebbero. Ma che alcuni paesi facenti parte della Nato intervengano a terra attraverso azioni di commando non è da escludere, come sta facendo la Francia proprio ora in Costa d’Avorio.”
Intanto sono arrivati i primi “danni collaterali” della Nato, con una cinquantina di vittime civili fra Brega e Tripoli. ”Sono purtroppo inevitabili: Gheddafi, come Saddam Hussein prima di lui e come i Talebani ancora adesso, usa i civili come ostaggi. L’intento del regime è quello di favorire le vittime civili per disgustare l’opinione pubblica mondiale e spingere la Nato al ritiro. Ma bisogna fare in fretta, Gheddafi non deve vincere questa guerra perché come lui stesso ha dichiarato andrà a prendere i ribelli casa per casa e taglierà loro la testa: la guerra è cominciata e ora bisogna andare in fino in fondo, lo chiedono innanzitutto gli insorti del Consiglio Nazionale di Transizione che premono per un intervento occidentale più muscolare”.
Alla domanda se l’intervento dell’Occidente sia stato motivato anche per motivi extra umanitari, come il controllo delle risorse naturali della Libia, Emilio Gasparini non fa una piega. “Le guerre si combattono sempre per motivi economici e politici, e la politica è un’alchimia di principi e interessi”. Mentre sull’interventismo francese, il funzionario Nato commenta:”La Francia ha premuto subito per un’interpretazione estensiva della no-fly zone, in base al principio che per difendere i civili bisogna far fuori Gheddafi. Ma ci sono motivazioni nazionali meno confessabili: la ricerca da parte di Sarkozy di una nuova popolarità interna attraverso l’ideale nazionalista, sempreverde, di “grandeur” e gli interessi economici in ballo. Avendo perso i contratti petroliferi in Iraq, data la sua non partecipazione all’invasione anglo-americana nel 2003, la Francia ha cercato ora di garantirsi in Libia una via preferenziale per l’approvvigionamento di materie energetiche.
Tuttavia gli altri paesi Nato, Gran Bretagna in testa, hanno rifiutato di farsi guidare dalla Francia, così si è giunti al comando atlantico, unico strumento internazionale credibile e maggiormente efficace dal punto di vista militare perché si tratta di mettere in pratica i “defense plans policy”, i piani militari pensati a Bruxelles oltre vent’anni fa e aggiornati continuamente che coordinano le forze armate di ventotto paesi”.
La resa dei conti fra Occidente e Gheddafi ha anche radici profonde e specifiche, come ricorda il funzionario. “Gheddafi è stato un criminale internazionale, ha foraggiato il terrorismo, prendendo di mira inglesi e americani. Non dimentichiamoci dell’attentato all’aereo di linea PanAm 103 esploso sopra Lockerbie nel 1988 che causò la morte di 189 persone e quello alla discoteca La Belle di Berlino frequentato per lo più da marines americani”.
E l’Italia? “Ne esce perdente. Non ha nessun interesse ad andare in guerra contro Gheddafi, si è impegnata in questo fronte per solidarietà con gli altri paesi Nato e per motivi esclusivamente umanitari. Con Gheddafi avevamo relazioni stravaganti ma normali: bloccava l’immigrazione selvaggia e i rapporti commerciali erano corretti. Ora i francesi bombardano e Lampedusa è colma di disperati, mentre Sarkozy non vuole accettare neanche qualche centinaio di immigrati che ha fermato al confine di Ventimiglia la settimana scorsa”.
Con riluttanza, l’Italia è entrata in guerra e il quattro aprile ha riconosciuto ufficialmente il Consiglio Nazionale di Transizione, il contro governo di Bengazi autoproclamatosi lo scorso cinque marzo come unico legittimo rappresentante della repubblica libica. Come bandiera ha scelto di rispolverare l’antico vessillo di re Idris, primo monarca della Libia decolonizzata. Alcuni osservatori e analisti hanno subito avanzato dubbi sulla supposta “genuinità democratica” degli insorti, data quasi per scontata dall’opinione pubblica occidentale, condizionata dalle rivoluzioni tunisine e egiziane. Ma il Consiglio è un organo in cui sono confluiti pezzi di regime gheddafiano ed è presieduto dall’ex ministro della giustizia del rais. “ Si può reagire all’oppressione senza essere democratici. E’ una guerra complessa in cui l’aspetto tribale non è secondario e quando scoppia la pentola etnica anche coloro che facevano parte del regime rispondono all’etnicità. E’ successo la stessa cosa in ex-Jugoslavia: i generali croati si sono schierati con il nuovo Stato croato”.
Chi nutre forti dubbi sugli obiettivi dell’intervento occidentale e sugli insorti (che fino a qualche settimana fa gran parte dell’opinione pubblica chiamava “ribelli”) è la dottoressa tripolitana Faten Ismail, residente a Piacenza con il marito Mohamed Shatel dal 2003. Piacenza Sera l’ha intervistata nella prossima puntata (2-continua).
Libia/ Comandante ribelli ammette: arrivate armi dal Qatar
Generale Yunis: si tratta di armamento anti carro
Roma, 8 apr. (TMNews) - Uno dei comandanti militari dei ribelli libici, il generale Abdul Fatah Yunis, ha ammesso ieri per la prima volta che i combattenti dell'opposizione al regime di Muammar Gheddafi hanno ricevuto armi da paesi stranieri. Secondo quanto si legge sull'emittente panaraba al Jazeera, si tratterebbe di armi anti carro del Qatar.
Il Qatar è uno dei tre paesi, assieme a Francia e Italia, ad avere riconosciuto ufficialmente il Consiglio nazionale di transizione di Bengasi.
Il Qatar è uno dei tre paesi, assieme a Francia e Italia, ad avere riconosciuto ufficialmente il Consiglio nazionale di transizione di Bengasi.
Unità speciale della Francia dispersa nel deserto libico
GUERRA. La città di Misurata allo stremo, l'Onu chiede una tregua per portare aiuti agli abitanti
Parigi imbarazzata, ma non è l'unica ad avere commandos sul terreno Fuoco amico della Nato
Parigi imbarazzata, ma non è l'unica ad avere commandos sul terreno Fuoco amico della Nato
TRIPOLI
Un commando delle forze speciali francesi in missione segreta in una regione desertica nel sud-ovest della Libia, vicino al confine con l'Algeria, è stato dato per disperso. La notizia ha creato un certo imbarazzo nel governo francese che si è trincerato dietro a un «no comment»; mentre la Nato si è affrettata a ribadire di «non avere truppe sul terreno», in osservanza della risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu.
Più o meno tutti i Paesi della coalizione internazionale hanno escluso l'impiego di soldati sul terreno; ma sul teatro libico sono presenti corpi speciali britannici, agenti della Cia, addestratori militari spagnoli e di Paesi arabi. Le forze speciali francesi si trovavano nella zona desertica frontaliera di Al Hamada Al Hamrah per contrastare «contrabbandieri, mercenari, terroristi ed esponenti del regime libico». Sono intanto a quota 108 le missioni degli aerei messi a disposizione dell'Italia.
Intanto, vi è stato ancora «fuoco amico» sull'esercito della Rivoluzione in Libia. È quello dei caccia della Nato. È la seconda volta in cinque giorni. Almeno 13 morti sabato, almeno sette ieri. Sempre nella cittadina di al Brega, osso duro petrolifero, persa e riconquistata più volte dai due fronti, e ora in mano alle forze del Colonnello Gheddafi, da una settimana. I cannoneggiamenti delle forze lealiste hanno causato ieri almeno altri cinque morti e 25 feriti anche a Misurata, la «città martire» della guerra civile in Libia, dove la crisi umanitaria è sempre più drammatica. Misurata è isolata da settimane per l'assedio delle forze governative. E l'Onu ha chiesto una tregua per dare respiro a questa città di 300 mila abitanti, che non hanno più viveri.
Il fronte della battaglia si è ieri intanto esteso anche ai campi petroliferi nel Sud del Paese, con uno strascico di accuse da Tripoli alla Nato, che le ha rispedite al mittente. La posizione dell'Alleanza Atlantica si fa sempre più scomoda, dopo che appena due giorni fa il capo militare dei ribelli, il generale Abdel Fattah Younes, ex ministro degli interni di Gheddafi, ha affermato che «la Nato si sta muovendo con molta lentezza».
La Nato si sta mostrando «inefficace» e ha permesso la morte inutile di tantissimi libici che hanno dovuto subire la forza militare di Gheddafi «e da quando è entrata in campo in Libia» siamo finiti di nuovo in mano al Rais. Era meglio quando l'offensiva militare era di Usa, inglesi e francesi», rincara la dose l'ex-ministro del petrolio del Rais, Fathi Bin Shawati, rifugiato a Malta.
Un commando delle forze speciali francesi in missione segreta in una regione desertica nel sud-ovest della Libia, vicino al confine con l'Algeria, è stato dato per disperso. La notizia ha creato un certo imbarazzo nel governo francese che si è trincerato dietro a un «no comment»; mentre la Nato si è affrettata a ribadire di «non avere truppe sul terreno», in osservanza della risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu.
Più o meno tutti i Paesi della coalizione internazionale hanno escluso l'impiego di soldati sul terreno; ma sul teatro libico sono presenti corpi speciali britannici, agenti della Cia, addestratori militari spagnoli e di Paesi arabi. Le forze speciali francesi si trovavano nella zona desertica frontaliera di Al Hamada Al Hamrah per contrastare «contrabbandieri, mercenari, terroristi ed esponenti del regime libico». Sono intanto a quota 108 le missioni degli aerei messi a disposizione dell'Italia.
Intanto, vi è stato ancora «fuoco amico» sull'esercito della Rivoluzione in Libia. È quello dei caccia della Nato. È la seconda volta in cinque giorni. Almeno 13 morti sabato, almeno sette ieri. Sempre nella cittadina di al Brega, osso duro petrolifero, persa e riconquistata più volte dai due fronti, e ora in mano alle forze del Colonnello Gheddafi, da una settimana. I cannoneggiamenti delle forze lealiste hanno causato ieri almeno altri cinque morti e 25 feriti anche a Misurata, la «città martire» della guerra civile in Libia, dove la crisi umanitaria è sempre più drammatica. Misurata è isolata da settimane per l'assedio delle forze governative. E l'Onu ha chiesto una tregua per dare respiro a questa città di 300 mila abitanti, che non hanno più viveri.
Il fronte della battaglia si è ieri intanto esteso anche ai campi petroliferi nel Sud del Paese, con uno strascico di accuse da Tripoli alla Nato, che le ha rispedite al mittente. La posizione dell'Alleanza Atlantica si fa sempre più scomoda, dopo che appena due giorni fa il capo militare dei ribelli, il generale Abdel Fattah Younes, ex ministro degli interni di Gheddafi, ha affermato che «la Nato si sta muovendo con molta lentezza».
La Nato si sta mostrando «inefficace» e ha permesso la morte inutile di tantissimi libici che hanno dovuto subire la forza militare di Gheddafi «e da quando è entrata in campo in Libia» siamo finiti di nuovo in mano al Rais. Era meglio quando l'offensiva militare era di Usa, inglesi e francesi», rincara la dose l'ex-ministro del petrolio del Rais, Fathi Bin Shawati, rifugiato a Malta.
LIBIA: ITALIA SEMPRE PIU’ PROTAGONISTA
Scritto da ugi
(AGENPARL) – Roma, 07 apr – L’Italia sta conducendo con contatti continui con le principali cancellerie dei paesi Nato la difficile trattativa per la transizione della Libia dal totalitarismo autoritario di Gheddafi ad una forma di democrazia rispettosa dei diritti dei cittadini e delle libertà fondamentali, per la costruzione di istituzioni che possano garantire la partecipazione diretta dei cittadini alla vita dello Stato libico. Il riconoscimento del Governo transitorio di Bengasi è un punto importante ed è stato compreso perché la trattativa italiana con Gheddafi continua per evitare ulteriori spargimenti di sangue.
Gli Usa sono in contatto con l’Italia sulla base di uno schema operativo che il Governo italiano ha elaborato per raggiungere pacificamente il trapasso del regime. Primo: ritiro del mandato di cattura internazionale contro Gheddafi, così come era stato anticipato dall’Agenparl. Secondo: sistemazione degli aspetti finanziari delle proprietà riferibili alla famiglia di Gheddafi, essendo ogni altra risorsa riconducibile allo stato della nuova Libia. Terzo: garanzia di improcedibilità nei confronti di Gheddafi e di tutta la famiglia a livello internazionale. Naturalmente vi sono delle resistenze in questa trattativa sulla base dei punti sopra indicati, insistendosi sulla presenza anche simbolica di un membro della famiglia di Gheddafi nella nuova struttura di Governo: il che non è accettabile perché verrebbero meno le ragioni della nuova Libia che può sorgere soltanto da uno stacco dal passato regime per nuove istituzioni.
L’azione di Berlusconi su Gheddafi è stata determinante ed incisiva per creare le condizioni del dialogo. Naturalmente occorre una compattezza della comunità internazionale impegnata in Libia a cui l’Italia fa riferimento nella sua azione. Una soluzione non è a portata di mano ma non può essere d’altra parte in questo momento di ordine militare. La soluzione deve essere diplomatica al fine di evitare di creare un focolaio nel Sud del Mediterraneo che potrebbe avere delle ripercussioni non lievi in tutta la regione. L’opzione di invio di armi ha solo la funzione di deterrente anche perché Gheddafi sa che un’altra soluzione al di fuori di quella proposta dall’Italia non potrebbe avere futuro e sarebbe gravissimo come responsabilità nei confronti della nuova Libia.
Vittime civili in Libia, la Nato alla fine si scusa
Tra Ajabiya e Brega i raid dell'Alleanza colpiscono le forze anti-Gheddafi. Esplosioni a Tripoli. Gli insorti: la Nato faccia di più
di Redazione · 08 aprile 2011
Alla fine, il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen, ci ha ripensato e ha chiesto scusa ai ribelli libici. Il segretario dell’Alleanza Atlantica ha espresso il suo rammarico per le vittime causate dal raid aereo su una colonna di ribelli a Brega, nell'est della Libia. «E'stato uno sciagurato incidente, mi dispiace moltissimo per i morti». Il gesto è arrivato dopo che l'ammiraglio Russell Harding, vice comandante dell'operazione «Unified Protector» condotta dalla Nato in Libia, in un incontro stampa in collegamento tra Bruxelles e Napoli ha detto sostanzialmente che l'Alleanza non aveva nulla di cui farsi perdonare. «Non voglio chiedere scusa per le morti di civili per due: primo perché vedendoli dall'alto non possiamo identificare di che natura siano i mezzi e secondo perché vedendo quei veicoli che si spostavano avanti e indietro potevamo presupporre che fossero di forze leali al colonnello Gheddafi».
«L'ITALIA DEVE BOMBARDARE» - Dagli ambienti Nato, poi, arrivano pressioni all'Italia affinché partecipi «attivamente» alla missione anche con l'esecuzione di bombardamenti. Una sollecitazione in tal senso è arrivata anche dal Consiglio Transitorio dei ribelli a Bengasi, che hanno convocato il nostro rappresentante in Cirenaica, Guido De Sancits, insieme con i colleghi britannico e francese. I tre si sono incontrari con Ali al-Isawi, responsabile dei rapporti con l'estero.
LA COMMISSIONE D'INCHIESTA – Domenica partirà la commissione di inchiesta delle Nazioni Unite sulle violazioni dei diritti umani nella crisi in Libia. Lo ha annunciato a Ginevra l'egiziano Cherif Bassiouni, presidente della commissione, istituita a fine febbraio da una risoluzione del Consiglio Onu dei diritti umani. La squadra di esperti intende recarsi «nell'est e nell'ovest del Paese» così come in Tunisia ed Egitto, ha detto Bassiouni. Le date esatte della missione non sono state rese note, ma i membri della commissione partiranno domenica e torneranno entro la fine del mese, ha detto Bassiouni in una conferenza stampa. «Un'inchiesta deve essere giusta, imparziale e indipendente. E questo è quello che intendiamo fare», ha detto Bassiouni. La squadra di esperti intende avere accesso ad ogni possibile fonte di informazione. La Commissione internazionale di inchiesta ha ricevuto per mandato di indagare tutte le presunte violazioni dei diritti umani in Libia, di stabilirne i fatti e le circostanze e se possibile identificare i responsabili. La commissione dovrà presentare un rapporto in occasione della prossima sessione del Consiglio in giugno.
Immigranti
250 “fora dai ball”, dentro al Mediterraneo.
giovedì 7 aprile 2011 di Carlo Forin
I profughi eritrei, etiopi, sudanesi, ivoriani partiti da Zuwara sono finiti “fora dai ball”, come preconizzava il figlio di Bossi con quel suo giochino "Rimbalza il clandestino su facebook". Dicono che fossero proprio quelli venuti in Italia nel maggio 2009, riconsegnati a Gheddafi e tenuti in cattività fino al febbraio 2011.
Dove li metto, adesso che voi non state ai patti?- deve aver detto l’inventore del bunga bunga.
Fora dai ball!-, ha risposto Bossi padre. E lui li ha sparati fuori, visto che non volevano neppure combattere per lui contro chi lo vuole “fora dai ball” –come ha testimoniato un sopravvissuto-.
L’8 agosto 2009 venne approvata in Italia quella Legge di sicurezza, che cominciò subito a svelare la sua efficacia facendo inghiottire i primi profughi.
Intendiamoci: non sono andato a controllare i documenti dei primi traversatori e degli ultimi per verificare che siano proprio gli stessi, come sostiene Andrea Segre su Il Fatto Quotidiano di oggi, 7 aprile 2011. Può essere che non lo siano.
Nessun dubbio, invece, che la politica dei respingimenti sia la stessa. Irrido e respingo il ministro degli Interni Maroni, col suo accordo-non accordo firmato, ma non scritto, con Tunisi: non governa col mio consenso.
Intanto che il nostro Parlamento si occupa di rendere elastica la Legge sui processi (più corti o più lunghi) e vara l’Amnistia per tener fuori dal carcere l’emmerdeur, votando in 300 che Ruby-Karima sia proprio nipote di Mubarak, sono andati “fora dai ball” sicuramente i profughi disperati.
Io mi vergogno di venir rappresentato da uno che potrebbe stando alle accuse dei processi in corso qualora fosse condannato, star meglio in carcere, da una maggioranza di prezzolati e mi domando se il 30% di Italiani “silviati” ed il 10% di leghisti di fronte agli annegati si sentano moralmente a disagio, come lo sono ideologicamente.
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