Categoria: Associazioni
“Aderiamo tutti al Referendum week”
Sulla vicenda dei referendum il prossimo 12 e 13 giugno, interviene anche Rosanna Carpentieri, presidente del Comitato Cittadini per la Trasparenza e la Democrazia; in una nota ricorda che “l'associazione Articolo 21, insieme a tanti altri movimenti che hanno dato vita alla grande manifestazione per la costituzione del 12 marzo scorso, ha deciso di promuovere sulle piazze virtuali e sulle piazze reali Il “referendum week”, una settimana di campagna informativa per spiegare ai cittadini il significato dei referendum, chiedendo che le supreme magistrature tutelino la legalità costituzionale, impedendo che l'interesse privato possa continuare a soffocare l'interesse generale. Sono state scelte due date simboliche, ovvero il 25 aprile ed il primo maggio”.
La Carpentieri auspica infine anche l'adesione alla campagna da parte del mondo della comunicazione e dell'informazione.
La Carpentieri auspica infine anche l'adesione alla campagna da parte del mondo della comunicazione e dell'informazione.
«Misurata è libera». Gheddafi si
Lorenzo Bianchi
«L’ESERCITO ha ricevuto l’ordine di ritirarsi da Misurata», sussurra con un filo di voce Khaled Dorman, un soldato di Gheddafi. E’ ferito. Lo hanno soccorso in ospedale e poi lo hanno sistemato alla meglio sul cassone di un pick up. Il viadotto e l’edificio più alto della città, il ..
«L’ESERCITO ha ricevuto l’ordine di ritirarsi da Misurata», sussurra con un filo di voce Khaled Dorman, un soldato di Gheddafi. E’ ferito. Lo hanno soccorso in ospedale e poi lo hanno sistemato alla meglio sul cassone di un pick up. Il viadotto e l’edificio più alto della città, il ..
Lorenzo Bianchi
«L’ESERCITO ha ricevuto l’ordine di ritirarsi da Misurata», sussurra con un filo di voce Khaled Dorman, un soldato di Gheddafi. E’ ferito. Lo hanno soccorso in ospedale e poi lo hanno sistemato alla meglio sul cassone di un pick up. Il viadotto e l’edificio più alto della città, il Tameen, infestato da cecchini lealisti, cadono nelle mani dei nemici del Colonnello. Poco dopo un portavoce degli insorti, Gemal Salem, proclama trionfalmente: «Misurata è libera». Dopo un assedio durato due mesi i fedelissimi del raìs stanno ripiegando. Lasciano alle loro spalle un mare di sangue. Khalid Abu Salra, medico dell’ospedale «Hikma» tiene un macabro conteggio: «I morti sono 25 e i feriti più di 100. I 10 di questa mattina erano già il doppio dei caduti in un giorno normale». I rivoluzionari raccontano che le milizie del Colonnello hanno minato le strade, gli appartamenti e perfino i cadaveri: «Un cittadino era appena rientrato in casa sua. Quando ha aperto il frigo, un’esplosione lo ha investito ustionandogli il viso. La stessa cosa è accaduta quando abbiamo cercato di spostare i cadaveri».Un drone, un aereo senza pilota Predator statunitense, ha esordito alle 13 di ieri polverizzando un lanciarazzi che secondo la Nato aveva bersagliato «i civili a Misurata». In serata un nuovo raid della missione ‘Unified Protector’ ha disseminato Tripoli di forti esplosioni.
L’ORDINE di ritirarsi era stato anticipato venerdì notte dal viceministro degli esteri Khaled Kaim: «Attualmente l’esercito libico si trova di fronte a un ultimatum: se non riesce a risolvere il problema a Misurata, allora le tribù della regione, gli abitanti di Zliten, Tarhuna, Bani Walid e Tawargha, sostituiranno le truppe. La tattica dei militari era di ottenere una soluzione mirata, ma con i raid aerei (della Nato, ndr.) non funziona. Se ne occuperanno, con le buone o con le cattive, le tribù locali». Abdelsalam, un rivoltoso, irride la minaccia: «Alla periferia della città ci sono due villaggi popolati da fan di Gheddafi. Li abita circa l’uno per cento della popolazione». Il principe Idris al-Senussi, nipote del re deposto da Gheddafi nel 1969, legge nel ritiro il sintomo del fatto che il regime «è stato abbandonato dalla maggior parte delle tribù». « Il dietrofront — rincara — è stato voluto anche dalla sua. Ha deciso di ritirare le truppe per concentrarle nella roccaforte di Tripoli». La sua teoria trova subito una conferma indiretta. Nell’occidente del Paese è caduta Yafran, un ridotto dei rivoluzionari berberi. Nella notte di venerdì è stato colpito un bunker di fronte alla cittadella fortificata del Colonnello a Bab al-Aziziyah. Secondo il portavoce del governo Mussa Ibrahim sono caduti 3 civili.
SUL VERSANTE della diplomazia Mosca, coinvolgendo la Grecia, tenta di nuovo la strada impervia di un accordo sul cessate il fuoco. Il ministro degli esteri Serghej Lavrov ha parlato al telefono con il premier libico Al-Baghdadi Al-Mahmoudi e gli ha proposto l’invio di «osservatori per controllare l’applicazione della tregua».
«L’ESERCITO ha ricevuto l’ordine di ritirarsi da Misurata», sussurra con un filo di voce Khaled Dorman, un soldato di Gheddafi. E’ ferito. Lo hanno soccorso in ospedale e poi lo hanno sistemato alla meglio sul cassone di un pick up. Il viadotto e l’edificio più alto della città, il Tameen, infestato da cecchini lealisti, cadono nelle mani dei nemici del Colonnello. Poco dopo un portavoce degli insorti, Gemal Salem, proclama trionfalmente: «Misurata è libera». Dopo un assedio durato due mesi i fedelissimi del raìs stanno ripiegando. Lasciano alle loro spalle un mare di sangue. Khalid Abu Salra, medico dell’ospedale «Hikma» tiene un macabro conteggio: «I morti sono 25 e i feriti più di 100. I 10 di questa mattina erano già il doppio dei caduti in un giorno normale». I rivoluzionari raccontano che le milizie del Colonnello hanno minato le strade, gli appartamenti e perfino i cadaveri: «Un cittadino era appena rientrato in casa sua. Quando ha aperto il frigo, un’esplosione lo ha investito ustionandogli il viso. La stessa cosa è accaduta quando abbiamo cercato di spostare i cadaveri».Un drone, un aereo senza pilota Predator statunitense, ha esordito alle 13 di ieri polverizzando un lanciarazzi che secondo la Nato aveva bersagliato «i civili a Misurata». In serata un nuovo raid della missione ‘Unified Protector’ ha disseminato Tripoli di forti esplosioni.
L’ORDINE di ritirarsi era stato anticipato venerdì notte dal viceministro degli esteri Khaled Kaim: «Attualmente l’esercito libico si trova di fronte a un ultimatum: se non riesce a risolvere il problema a Misurata, allora le tribù della regione, gli abitanti di Zliten, Tarhuna, Bani Walid e Tawargha, sostituiranno le truppe. La tattica dei militari era di ottenere una soluzione mirata, ma con i raid aerei (della Nato, ndr.) non funziona. Se ne occuperanno, con le buone o con le cattive, le tribù locali». Abdelsalam, un rivoltoso, irride la minaccia: «Alla periferia della città ci sono due villaggi popolati da fan di Gheddafi. Li abita circa l’uno per cento della popolazione». Il principe Idris al-Senussi, nipote del re deposto da Gheddafi nel 1969, legge nel ritiro il sintomo del fatto che il regime «è stato abbandonato dalla maggior parte delle tribù». « Il dietrofront — rincara — è stato voluto anche dalla sua. Ha deciso di ritirare le truppe per concentrarle nella roccaforte di Tripoli». La sua teoria trova subito una conferma indiretta. Nell’occidente del Paese è caduta Yafran, un ridotto dei rivoluzionari berberi. Nella notte di venerdì è stato colpito un bunker di fronte alla cittadella fortificata del Colonnello a Bab al-Aziziyah. Secondo il portavoce del governo Mussa Ibrahim sono caduti 3 civili.
SUL VERSANTE della diplomazia Mosca, coinvolgendo la Grecia, tenta di nuovo la strada impervia di un accordo sul cessate il fuoco. Il ministro degli esteri Serghej Lavrov ha parlato al telefono con il premier libico Al-Baghdadi Al-Mahmoudi e gli ha proposto l’invio di «osservatori per controllare l’applicazione della tregua».
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in Siria: spari su funerale, altri dodici morti
Massacro nel venerdì santo: 112 civili uccisi. Obama: "Inaccettabile". Ban Ki-Moon: "Indagini sulle violenze"
Dopo il tragico bilancio di venerdì - le vittime sarebbero 112 - non cessa l'allarme in Siria. Ai funerali di alcune delle vittime della giornata precedente, a Izraa, nella provincia di Deraa a Douma, la polizia ha aperto il fuoco sulla folla con dei cecchini appostati sui tetti: i morti sarebbero dodici. Lo ha riferito la televisione al Arabiya e la notizia è stata confermata da alcuni testimoni oculari.
MASSACRO - Negli scontri di venerdì sarebbero 112 i civili uccisi dalla violenta repressione del regime di Bashar Assad nei confronti manifestanti, che continuano a chiedere maggiori libertà. Sale così a 318 il bilancio delle vittime dall’inizio della rivolta popolare, scoppiata il 15 marzo nella città di Daraa, nel Sud del Paese. Quella di venerdì è stata la giornata più sanguinosa dall’inizio delle proteste, con le forze della sicurezza che hanno sparato ad altezza uomo. Tra le vittime anche un bambino di 11 anni di Daraa. Il presidente americano Barack Obama, finora silenzioso, ha dovuto intervenire per condannare il "vergognoso" uso della violenza da parte di Assad. Il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon ha richiesto un'indagine "indipendente" sulle uccisioni.
VENERDì SANTO - Eppure la giornata di venerdì, ribattezzata su Facebook Venerdì Santo, doveva essere la più grande manifestazione pacifica da due mesi a questa parte. Il riferimento alle festività pasquali per i cristiani e la chiamata a scendere in piazza dopo la tradizionale preghiera islamica del venerdì era un modo per sottolineare come gli appartenenti alle due fedi religiosi fossero uniti nel chiedere un cambio nel regime di Damasco.
OBAMA: "VERGOGNOSE VIOLENZE" -Barack Obama ha condannato come "vergognoso" l’uso della violenza contro i manifestanti. Il presidente americano ha definito "non seria" la revoca dello stato d’emergenza annunciata giovedì 21 aprile da Bashar Assad. "Gli Stati Uniti condannano nei termini più forti possibili questo vergognoso uso della violenza per placare le proteste" spiega Obama in una nota.
BAN KI-MOON: "INDAGINI SUPERPARTES" - Anche il segretario generale delle Nazioni unite Ban Ki-moon ha chiesto che le violenze "si fermino immediatamente". Lo riferisce il portavoce dell'Onu Martin Nesirky, secondo cui il segretario ha richiesto "un'indagine indipendente, trasparente ed effettiva sulle uccisioni", ricordando alle autorità siriane i loro doveri di rispettare i diritti umani, tra cui il diritto di espressione, assemblee pacifiche e libertà di stampa.
MASSACRO - Negli scontri di venerdì sarebbero 112 i civili uccisi dalla violenta repressione del regime di Bashar Assad nei confronti manifestanti, che continuano a chiedere maggiori libertà. Sale così a 318 il bilancio delle vittime dall’inizio della rivolta popolare, scoppiata il 15 marzo nella città di Daraa, nel Sud del Paese. Quella di venerdì è stata la giornata più sanguinosa dall’inizio delle proteste, con le forze della sicurezza che hanno sparato ad altezza uomo. Tra le vittime anche un bambino di 11 anni di Daraa. Il presidente americano Barack Obama, finora silenzioso, ha dovuto intervenire per condannare il "vergognoso" uso della violenza da parte di Assad. Il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon ha richiesto un'indagine "indipendente" sulle uccisioni.
VENERDì SANTO - Eppure la giornata di venerdì, ribattezzata su Facebook Venerdì Santo, doveva essere la più grande manifestazione pacifica da due mesi a questa parte. Il riferimento alle festività pasquali per i cristiani e la chiamata a scendere in piazza dopo la tradizionale preghiera islamica del venerdì era un modo per sottolineare come gli appartenenti alle due fedi religiosi fossero uniti nel chiedere un cambio nel regime di Damasco.
OBAMA: "VERGOGNOSE VIOLENZE" -Barack Obama ha condannato come "vergognoso" l’uso della violenza contro i manifestanti. Il presidente americano ha definito "non seria" la revoca dello stato d’emergenza annunciata giovedì 21 aprile da Bashar Assad. "Gli Stati Uniti condannano nei termini più forti possibili questo vergognoso uso della violenza per placare le proteste" spiega Obama in una nota.
BAN KI-MOON: "INDAGINI SUPERPARTES" - Anche il segretario generale delle Nazioni unite Ban Ki-moon ha chiesto che le violenze "si fermino immediatamente". Lo riferisce il portavoce dell'Onu Martin Nesirky, secondo cui il segretario ha richiesto "un'indagine indipendente, trasparente ed effettiva sulle uccisioni", ricordando alle autorità siriane i loro doveri di rispettare i diritti umani, tra cui il diritto di espressione, assemblee pacifiche e libertà di stampa.
Costituzione e omofobia, lo stesso delirio machista
Cara Europa, è tornato Mussolini. Da Palazzo Chigi alla piazza, è tutto un insulto alle leggi, alle istituzioni, alle donne, ai diversi. L’aggressione all’onorevole Paola Concia e alla sua compagna tedesca, vicino a Montecitorio, fa rabbrividire quanto l’aggressione ai pm milanesi da parte di un oscuro ventriloquo di Berlusconi, o quanto la proposta di sabotaggio dell’articolo 1 della Costituzione da parte di un altro sconosciuto onorevole ventriloquo. Ma l’altra Italia che fa, perché non comincia la ribellione? Più che i carabinieri di Asor Rosa (anche se la questione della legalità esiste, eccome) sono i cittadini, a cominciare dai più forti intellettualmente e socialmente, a dover accendere il fuoco della rivolta. O dobbiamo aspettare il postberlusconismo, come aspettarono il postfascismo, per dover leggere che Mussolini aveva interpretato bene il carattere degli italiani, ingovernabili ma servili?
GIANFRANCO LUISI, ROMA
Caro professore, credo che le cose stiano come lei teme. Leggendo i particolari dell’aggressione all’onorevole Paola Concia e alla psicologa tedesca Ricarda Trautman («Lesbiche di m..., ai forni crematori vi debbono mandare...»), mentre le persone guardavano indifferenti, ho avuto davanti agli occhi il quadro dell’Italia di sempre: quella del Risorgimento, quando il sarcastico Giusti descriveva il patriota bastonato da «quattro forsennati a far di sì e dugento citrulli a dir di no»; l’Italia della Grande guerra, dove un popolo di inetti si fece trascinare al macello dei 600mila morti e del milione di mutilati e feriti da una minoranza di pazzi dannunziani e nazionalisti; l’Italia del 28 ottobre 1922, quando una marea di deputati popolari, socialisti, comunisti, radicali, repubblicani ecc. consentì a 30 deputati fascisti, sostenuti da nazionalisti e liberali codardi, di conquistare il governo.
La solidarietà verbale a Paola Concia e Ricarda Trautman, compresa la nostra (ma non quella del premier, che nella fogna fascista ritrova i suoi figli), è stata tanta, ma sono chiacchiere e stanno a zero. Se c’è una legge “etica” da votare con urgenza, perché invece del testamento biologico snaturato non si vota la legge antiomofobia, proposta dalla stessa Paola? Ecco, caro Alemanno, perché non basta definire «espressioni trogloditiche dell’imbecillità umana» il gesto di quella chiavica mascherata da uomo che s’aggira nella nostra città, forse nel nostro condominio, nel nostro bar.
Come non basta che il premier faccia scrivere ad altri quel che lui pensa dei pm, mentre il direttore del suo giornale annuncia in prima pagina che voterà per quel coraggioso.
Come non basta fingere di irridere al “costituzionalista” marchigiano che propone di picconare l’articolo 1 della Costituzione, o al “responsabile” che ne piccona un altro proponendo la “sfiducia costruttiva”, quando poi si collude con Scilipoti al punto di scrivere la prefazione al suo libro intitolato, guarda caso, Silvio Berlusconi. Lei immagina Giolitti che scrive la prefazione al “libro” di qualche ascaro del Sud, fatto eleggere deputato coi mazzieri del prefetto? Anche nel delinquere il leader politico dovrebbe aver stile, se non avesse animo da mercante.
E avrei una considerazione anche per Mara Carfagna, che ha chiesto scusa a Paola «a nome degli italiani per bene e del governo». Sa la bella ministra delle quotidiane violenze di padri islamici, specie pakistani, l’ultima dai giornali di ieri, sulle figlie studentesse, per quell’infame gelosia possessoria che è la carta d’identità delle sottoculture? Oppure quelle violenze allarmano e vengono represse solo se riguardano ragazze italiane? La politica delle pari opportunità vale anche per gli immigrati o questi hanno diritto di vita e di morte sulle “loro” donne, quasi fossero ancora nei paesi da dove sono fuggiti? C’è qualcuno tra “gli italiani per bene” che la nostalgia dei bei tempi induce a non vedere?
Ma, se si ferma qui, il discorso è sbagliato: come lei dice, non sfuggiremo al nuovo fascismo se la rivolta non verrà da noi stessi, dalla parte non affaristica o egoistica delle imprese, delle università, delle forze armate, del clero, delle professioni, della gioventù, delle donne. Quelle del milione di febbraio, che dicevano: «Se non ora quando». Ora, come avete dimostrato di poter fare.
GIANFRANCO LUISI, ROMA
Caro professore, credo che le cose stiano come lei teme. Leggendo i particolari dell’aggressione all’onorevole Paola Concia e alla psicologa tedesca Ricarda Trautman («Lesbiche di m..., ai forni crematori vi debbono mandare...»), mentre le persone guardavano indifferenti, ho avuto davanti agli occhi il quadro dell’Italia di sempre: quella del Risorgimento, quando il sarcastico Giusti descriveva il patriota bastonato da «quattro forsennati a far di sì e dugento citrulli a dir di no»; l’Italia della Grande guerra, dove un popolo di inetti si fece trascinare al macello dei 600mila morti e del milione di mutilati e feriti da una minoranza di pazzi dannunziani e nazionalisti; l’Italia del 28 ottobre 1922, quando una marea di deputati popolari, socialisti, comunisti, radicali, repubblicani ecc. consentì a 30 deputati fascisti, sostenuti da nazionalisti e liberali codardi, di conquistare il governo.
La solidarietà verbale a Paola Concia e Ricarda Trautman, compresa la nostra (ma non quella del premier, che nella fogna fascista ritrova i suoi figli), è stata tanta, ma sono chiacchiere e stanno a zero. Se c’è una legge “etica” da votare con urgenza, perché invece del testamento biologico snaturato non si vota la legge antiomofobia, proposta dalla stessa Paola? Ecco, caro Alemanno, perché non basta definire «espressioni trogloditiche dell’imbecillità umana» il gesto di quella chiavica mascherata da uomo che s’aggira nella nostra città, forse nel nostro condominio, nel nostro bar.
Come non basta che il premier faccia scrivere ad altri quel che lui pensa dei pm, mentre il direttore del suo giornale annuncia in prima pagina che voterà per quel coraggioso.
Come non basta fingere di irridere al “costituzionalista” marchigiano che propone di picconare l’articolo 1 della Costituzione, o al “responsabile” che ne piccona un altro proponendo la “sfiducia costruttiva”, quando poi si collude con Scilipoti al punto di scrivere la prefazione al suo libro intitolato, guarda caso, Silvio Berlusconi. Lei immagina Giolitti che scrive la prefazione al “libro” di qualche ascaro del Sud, fatto eleggere deputato coi mazzieri del prefetto? Anche nel delinquere il leader politico dovrebbe aver stile, se non avesse animo da mercante.
E avrei una considerazione anche per Mara Carfagna, che ha chiesto scusa a Paola «a nome degli italiani per bene e del governo». Sa la bella ministra delle quotidiane violenze di padri islamici, specie pakistani, l’ultima dai giornali di ieri, sulle figlie studentesse, per quell’infame gelosia possessoria che è la carta d’identità delle sottoculture? Oppure quelle violenze allarmano e vengono represse solo se riguardano ragazze italiane? La politica delle pari opportunità vale anche per gli immigrati o questi hanno diritto di vita e di morte sulle “loro” donne, quasi fossero ancora nei paesi da dove sono fuggiti? C’è qualcuno tra “gli italiani per bene” che la nostalgia dei bei tempi induce a non vedere?
Ma, se si ferma qui, il discorso è sbagliato: come lei dice, non sfuggiremo al nuovo fascismo se la rivolta non verrà da noi stessi, dalla parte non affaristica o egoistica delle imprese, delle università, delle forze armate, del clero, delle professioni, della gioventù, delle donne. Quelle del milione di febbraio, che dicevano: «Se non ora quando». Ora, come avete dimostrato di poter fare.