LAVORO- DONNE- “DONNE DEMOCRAZIA E RAPPRESENTANZA”- CAMUSSO (CGIL): “ E’ IL TEMPO DELLA RESPONSABILITA’: CAMBIARE AGENDA POLITICA E RIPRISTINARE LEGGE CONTRO DIMISSIONI IN BIANCO”
“La storia non si ripete, le cose non ritornano mai uguali e questo ci pone grandi interrogativi e la necessità di riscoprire le parole “necessarie” : così il segretario generale CGIL, Susanna Camusso, intervenendo alla seconda Assemblea Flai CGIL che si è tenuta oggi, a Roma, dal titolo: “Donne Democrazia e Rappresentanza”.
Camusso, che ha fatto riferimento ai “femminismi”ha ricordato la doppia e a volte variegata valenza delle parole: “il fatto di definirsi “diverse”- ha rilevato- vuol dire essere differenti o venire, per questo, discriminate? Il femminismo del nuovo millennio- ha rilevato- ha la possibilità di completare il pensiero che si è fermato alle soglie del lavoro e non ha provato a chiedersi se il lavoro è neutro oppure no, se ha una connotazione di genere oppure no”. Per Camusso è necessario provare ad avere una idea del lavoro nuova: “partendo dalla considerazione- ha affermato- che il concetto di lavoro che abbiamo oggi non piace troppo neanche agli uomini”.
“La seconda parola che bisognerebbe provare a coniugare nuovamente– ha proseguito il segretario CGIL – è la parola tempo, che è la cifra che ha sempre riguardato la vita delle donne, che si chiama conciliazione ma che è anche il tempo dell’urgenza politica, è il tempo di “se non ora quando”, è il tempo del “nostro tempo adesso” dei giovani del 9 aprile, è oltre il tempo che ti hanno destinato… e allora è una cifra della politica. E dunque come lo coniughiamo? Lavoro e tempo si coniugano con un'altra parola che è “l’ora della responsabilità”. Siamo in un momento in cui non basta capire la crisi, le contrapposizione che viviamo sono enormi: è dunque il tempo della responsabilità”. “Guardando i nostri 50 anni di storia – ha ribadito il segretario CGIL- possiamo capire che le grandi date che hanno fatto la storia avevano per protagonisti alcuni giovani e alcune donne. Il palcoscenico non è dunque più di chi lo sta occupando adesso, sia per sesso che per età”.
"Se il tempo non arriva il rischio è tornare alla rassegnazione di questi due o tre anni. Possiamo forse toglierci le macerie che ci hanno messo addosso e sgombrare il palcoscenico dove i soggetti dovranno essere due la cui somma dei punti di vista produce un cambiamento. Se il soggetto rimane uno solo vuol dire che uno non vede l’altro”.
Rispondendo poi ad una sollecitazione sulla “doppia preferenza” Camusso ha affermato: “Io vorrei un Parlamento dove i componenti fossero eletti dai cittadini e non nominati dal loro segretario di partito. Mancano i valori. In questa stagione non abbiamo un Parlamento. Se noi tornassimo ad avere un Parlamento rappresentativo potremmo ritornare a ricordare che esistono, tra le altre cose, donne e uomini.” Sulla doppia preferenza: “perché noi siamo la seconda scelta? Il tema per la politica sia tornare a rappresentare elettori e cittadini in carne ed ossa, persone che rappresentano la realità i territori e uomini e donne”.
"L’Appuntamento- ha concluso Camusso- è al 6 maggio, perché, come ho detto, è l’ora della responsabilità. Non basta dire cosa abbiamo fatto, dobbiamo fare perché la “nottata da sola non passa”. “Le lavoratrici e i lavoratori sono chiamati a cambiare il mondo perché c’è qualcun altro che non lo cambia”. “Vogliamo svuotare i luoghi di lavoro”- ha asserito. “Noi non stiamo facendo uno sciopero identitario, vorremmo invece a parlare a tutti i lavoratori e le lavoratrici, anche a quelle delle altre organizzazioni.
Per Camusso: “Bisogna invertire questa situazione e cambiare l’agenda politica, non ce la facciamo più a dire che la legge è uguale per tutti. Cambiare l’agenda politica è un imperativo categorico, è difendere il lavoro, è smetterla di pensare che esista un lavoro senza diritti. A partire dalla legge contro le dimissioni in bianco "per dire che il lavoro femminile non è in vendita". E poi fisco e retribuzioni: " La disparità salariale è enorme: le retribuzioni dei grandi manager - ha osservato infine -sono così alte che devono scendere mentre quelle dei lavoratori devono crescere". "Intervenire sul fisco, visto che le tasse le pagano lavoratori pensionati e le imprese manifatturiere- ha concluso- è una straordinaria questione di giustizia sociale"(12/04/2011-ITL/ITNET)
Festival del Giornalismo, l’intervento d’apertura di Roberto Saviano
Delegittimazione. Attacchi personali. Screditamento attraverso lo strumento del gossip. E’ tutto questo la “
macchina del fango” dipinta ieri sera da
Roberto Saviano che ha inaugurato il
Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia. “
Basta mettersi contro certi poteri – ha affermato –
per vedere i propri fatti privati, come possono essere un calzino color turchese o una vecchia foto di vacanze su una spiaggia nudista, sottoposti a una gogna pubblica. Questo meccanismo si nutre di una tendenza tipica del nostro paese: se uno emerge, è perchè è stato favorito; se uno si espone, è perchè è un narciso; e se uno ha ambizioni, è perchè è un opportunista”.
Il suo intervento, durato poco meno di un’ora e mezza, s’è comunque concluso con una citazione all’insegna della speranza: quella dei ragazzi di Locri che davanti alla bestialità della n’drangheta risposero con un eloquente “
E ora infangateci tutti”. “
Per ogni critica, per ogni gesto di coraggio e per ogni resistenza – ha puntualizzato –
si sa già che cosa capita: per cui, senza paura, davanti al “tutti facciamo schifo”, al “siamo tutti uguali, lo fanno tutti”, bisogna replicare come hanno fatto quei giovani. Perchè se fossimo tutti uguali, nessuno sarebbe più costretto a fare uno sforzo per cercare di essere migliore. L’unico modo per fermare la “macchina del fango”, che sta scardinando ogni possibile patto di fiducia all’interno del Paese, è riconoscerla, è non darle credito, è capire che si deve fare muro contro la maldicenza non diventandone un veicolo di diffusione. In gioco, del resto, c’è anche la libertà di stampa che in Italia è sempre più compromessa dalla certezza che non si è mai criticati per quanto si dice, ma attraverso la demolizione della dignità degli individui considerati nemici”.
La diffamazione è sempre stata al centro della sua ricerca in quanto figlio di una terra “in cui chiunque – ha proseguito – decida di ostacolare il potere criminale viene calunniato. Quello della “macchina del fango” è un sistema semplice che funziona talmente bene da essere diventato una regola. In un attimo si fabbricano dossier, e si attivano politici-faccendieri e giornalisti conniventi che frequentemente si giustificano dicendo che fanno solo il loro lavoro. Una scusa che non regge: esiste una differenza fondamentale tra le inchieste e la denigrazione. Le prime raccolgono una molteplicità di notizie per mostrarle ai lettori, la seconda ne prende una sola, privata, e la rende pubblica. Beninteso: non perchè si tratta di un reato o magari di qualcosa che riguarda il ruolo che la tal persona ha nelle istituzioni. Conta esclusivamente che la “rivelazione” metta in difficoltà chi è preso di mira; questi si deve sentire intimidito e costretto a difendersi”. Di esempi, lo scrittore che vive sotto scorta dal 2006, ne ha fatti diversi. “Un paio di mesi fa – ha detto – la manifestazione delle donne “Se non ora, quando?” è stata bollata come “bacchettona” quando era esattamente il contrario. E poi gli attacchi all’allora direttore di Avvenire Dino Boffo per le sue critiche al premier e al presidente della Camera Gianfranco Fini per avere dissentito su giustizia e legalità rispetto alle posizioni assunte dal Pdl”. Ma non mancano anche episodi più lontani nel tempo. Protagonisti Pier Paolo Pasolini e Giovanni Falcone. “Solo il giorno – ha spiegato – della strage di Capaci le polemiche sono cessate. Prima era stato continuamente bacchettato non per il suo operato, ma per la sua immagine. In certi salotti palermitani si arrivò a dire che, in occasione del fallito attentato all’Adduara dell’estate del 1989, la bomba l’aveva messa lui per attirare l’attenzione. E poi, con sei lettere anonime, fu accusato di avere usato un collaboratore di giustizia come killer di stato per stanare i corleonesi. Ma ci rendiamo conto?”.
L’autore di Gomorra e del recente “
Vieni via con me”, tratto dall’evento televisivo dell’anno, ha anche sottolineato che la privacy è sacra. Per tutti. “
Il problema – ha tirato le somme –
è che se si candidano le proprie amiche, si può finire vittima di ricatti ed estorsioni. E allora questo smette di essere un fatto privato e diventa una forma di condizionamento della vita di un’intera nazione”. (Marco Fornara)
Grillo piange il morto sbagliato
“I partiti parlano, ma sono morti e ai morti si portano i fiori”. Il
funerale della politica organizzato ieri dai grillini torinesi non ha risparmiato nessuno. Nel camposanto allestito a piazza Castello per celebrare (o invocare) il “decesso” dei partiti politici italiani, gli adepti del comico genovese non hanno lesinato bordate alla cosiddetta “casta”: dal Fli (
“nato morto”), all’Idv (
“predicavano bene ma non c’hanno mai azzeccato”), passando ovviamente per Pd (
“pensavano dormisse invece era morto”), al Pdl (
“stroncato dal bunga bunga”).
Ma stavolta non si tratta dell’ennesima trovata – divertente anche se un po’ demagogica – del MoVimento 5 Stelle. Perché dietro al legittimo sdegno nei confronti dell’attuale classe politica (e il riciclo di Piero Fassino al Palazzo Civico giustifica ampiamente qualche manifestazione di accesa insofferenza), si palesa un’
aggressione alla struttura della rappresentanza democratica italiana.
“I cittadini sono stanchi e non si sentono più rappresentati dai partiti, indipendentemente dallo schieramento – si legge sul sito ufficiale del MoVimento –
Sono strutture inefficaci che rappresentano una concezione vecchia della politica, una casta, distante e separata dai Cittadini, che beneficia dei soldi pubblici senza apportare benessere, innovazione e cambiamento per un Paese che è ormai sull’orlo del fallimento”. I grillini mettono in discussione non i vertici, la legge elettorale o i metodi di selezione della classe dirigente, ma lo stesso strumento dei partiti come veicolo della rappresentanza popolare. Slogan non molto dissimili da quelli contro
“i parrucconi della politica” di berlusconiana memoria (e infatti il Cav ha sempre fondato “movimenti”, non partiti).
Ma
l’articolo 49 della Costituzione parla chiaro:
i partiti sono l’unico soggetto riconosciuto dalla Carta per
“concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Che senso ha allora – ci si chiede – scendere in piazza “
a difesa della Costituzione” contro le invettive di Berlusconi, come hanno fatto gli Amici di Beppe Grillo a Torino il 12 marzo, se venti giorni dopo si organizza un’altra manifestazione che – con la sacrosanta intenzione di sbeffeggiare gli attuali leader politici – manda in soffitta uno dei passi caratterizzanti del testo costituzionale?
Chi, come i candidati delle liste 5 stelle, vuole portare un po’ di aria pulita all’interno dei consigli comunali attraverso la “democrazia diretta”, dovrebbe forse tenere conto di quali sono gli strumenti democratici previsti dallo Stato.
Non si può difendere la Costituzione a commi alterni. Altrimenti, più che MoVimento, si genera confusione.