Il Comitato "Se non ora quando?" festeggia la Repubblica Italiana: quattro SI il 12 e 13 giugno al referendum
Quale migliore modo di festeggiare la Repubblica Italiana, nata con il referendum del 1946, che non il responso della Corte di Cassazione, con il quale si è confermata la legittimità del quesito referendario sul nucleare, di cui invano si è tentato di impedire il voto. Il Comitato Se non ora quando-Vallo di Diano, nel plaudire alla decisione della Corte, ribadisce la sua posizione sul prossimo appuntamento del 12 e 13 giugno, invitando a votare 4 SI e nel contempo augura Buona Festa della Repubblica e Buon Voto a Tutte/i.
Comitato Se non ora quando?
I comizi di Vendola non sono il programma
Cara Europa, sono uno di quegli italiani (non so quanti, spero non pochi) che lunedì pomeriggio è stato incollato per qualche ora alla tv, elettrodomestico che non amo, per seguire proiezioni e risultati elettorali; e più venivano confermate dalle urne le mie preferenze politiche, o ascoltavo i balbettii dei colonnelli di destra alle prese con la disfatta, più mi compiacevo e restavo con gli occhi fissi sul televisore. Poi, a un certo punto, il brusco riequilibrio fra gioia e preoccupazione: le parole di Vendola in piazza del Duomo. Capisco l’enfasi comiziesca, capisco anche l’incontenibilità, non voglio dire l’incontinenza, dei sentimenti, quando si vivono momenti come quelli di lunedì.
Ma francamente mi è parso eccessivo l’estremismo di certe affermazioni, come «vogliamo i fratelli islamici in tutta Italia». Ma chi gliel’ha detto? Anch’io, come Vendola, sono uomo del Sud e quindi naturalmente estraneo a ogni razzismo o esclusivismo culturale: siamo sempre stati porto di mare, nella nostra storia. Ma si rende conto Vendola che la manifestazione dei nostri sentimenti non deve mai essere estremizzata, se non vogliamo preoccupare quelli che non pensano e non sentono come noi? Riuscirà a capirlo, visto che si vuole candidare alle primarie per le elezioni politiche?
ALBERTO DE PAOLIS, ROMA
Caro De Paolis, credo proprio di sì, riuscirà a capirlo. Magari gettando uno sguardo alla prima pagina del Giornale di ieri, con un’enorme bandiera rossa del Che Guevara che quasi copre il Duomo, sullo sfondo. O alla prima pagina della Padania, con un faccione proprio di Vendola che invoca i “fratelli musulmani”. Vedrà come sia facile ai nostri avversari strumentalizzare le nostre note caratteriali: anche se, a giudicare dalle urne, la paura dei comunisti mangiabambini, della moschea al posto del Duomo, di zingaropoli, dei magistrati metastasi e dittatori, della stanza del buco, non hanno impressionato gli elettori. Anzi, molti sostengono che questo estremismo negativo ha sortito effetti negativi, innescando quella che lo stesso Vendola ha brillantemente definito la reazione del gusto, cioè il disgusto. Perciò inviterei Vendola a non andare oltre il semel in anno, affinché anche il suo estremismo positivo non abbia effetti negativi: per esempio, alle elezioni politiche, per le quali egli intende candidarsi da leader del centrosinistra. Credo che Vendola ne convenga, perché la sua intervista di ieri alla Stampa, rilasciata poco dopo il focoso comizio di piazza del Duomo, ha tutt’altri suoni e accenti. Nulla degli estremismi verbali che hanno fatto venire i brividi a lei, e a me, e probabilmente ad altri elettori di centrosinistra: che, essendo la metà del paese, e da lunedì anche più della metà, rappresentano naturalmente una varietà di posizioni culturali, non riducibili a programmi estremizzati. Debbo dirle che, seguendo Vendola nell’intervista alla Stampa, condivido prima di tutto l’analisi delle energie, degli sdegni e delle lotte che hanno determinato il paese a svoltare. In primo luogo le lotte dei precari per il lavoro, quelle dei giovani di “futuro è adesso” (io avrei particolareggiato: scuola e l’università, casa e lavoro), la rivolta delle donne contro l’umiliazione del bunga bunga elevato a religione della politica ridens, le vertenze nelle fabbriche, dalla Fiat ai cantieri navali, all’industria tessile, manifatturiera, alla piccola azienda commerciale e industriale, e anche artigiana e agricola. Affianco al disgusto per la mercificazione del corpo e dell’immagine femminile (lei ricorda la manifestazione oceanica delle donne di “Se non ora quando”, a piazza del Popolo? Ha letto che la destra ha perso perfino ad Arcore?), c’è stato il disgusto per le volgarità di femmine e maschietti stagionati, dal dito medio delle Santanchè agli Alì Babà di Tremonti, dalle folgori pseudoetiche di Giovanardi e Roccella alle fascistiche rimembranze di La Russa e Gasparri. Ma l’idea vendoliana di andare subito alle elezioni, se ha il vantaggio di non dare a Berlusconi i 40 giorni che gli demmo in attesa della stabilizzazione finanziaria e gli consentirono, il 14 dicembre, di recuperare uno straccio di maggioranza fra i “volenterosi” negli angiporti di Montecitorio, ha l’inconveniente di costringerci a non tentare nemmeno la riforma elettorale e a votare col cappio al collo del Porcellum.
Mi sembrerebbe un possibile suicidio.
Ma francamente mi è parso eccessivo l’estremismo di certe affermazioni, come «vogliamo i fratelli islamici in tutta Italia». Ma chi gliel’ha detto? Anch’io, come Vendola, sono uomo del Sud e quindi naturalmente estraneo a ogni razzismo o esclusivismo culturale: siamo sempre stati porto di mare, nella nostra storia. Ma si rende conto Vendola che la manifestazione dei nostri sentimenti non deve mai essere estremizzata, se non vogliamo preoccupare quelli che non pensano e non sentono come noi? Riuscirà a capirlo, visto che si vuole candidare alle primarie per le elezioni politiche?
ALBERTO DE PAOLIS, ROMA
Caro De Paolis, credo proprio di sì, riuscirà a capirlo. Magari gettando uno sguardo alla prima pagina del Giornale di ieri, con un’enorme bandiera rossa del Che Guevara che quasi copre il Duomo, sullo sfondo. O alla prima pagina della Padania, con un faccione proprio di Vendola che invoca i “fratelli musulmani”. Vedrà come sia facile ai nostri avversari strumentalizzare le nostre note caratteriali: anche se, a giudicare dalle urne, la paura dei comunisti mangiabambini, della moschea al posto del Duomo, di zingaropoli, dei magistrati metastasi e dittatori, della stanza del buco, non hanno impressionato gli elettori. Anzi, molti sostengono che questo estremismo negativo ha sortito effetti negativi, innescando quella che lo stesso Vendola ha brillantemente definito la reazione del gusto, cioè il disgusto. Perciò inviterei Vendola a non andare oltre il semel in anno, affinché anche il suo estremismo positivo non abbia effetti negativi: per esempio, alle elezioni politiche, per le quali egli intende candidarsi da leader del centrosinistra. Credo che Vendola ne convenga, perché la sua intervista di ieri alla Stampa, rilasciata poco dopo il focoso comizio di piazza del Duomo, ha tutt’altri suoni e accenti. Nulla degli estremismi verbali che hanno fatto venire i brividi a lei, e a me, e probabilmente ad altri elettori di centrosinistra: che, essendo la metà del paese, e da lunedì anche più della metà, rappresentano naturalmente una varietà di posizioni culturali, non riducibili a programmi estremizzati. Debbo dirle che, seguendo Vendola nell’intervista alla Stampa, condivido prima di tutto l’analisi delle energie, degli sdegni e delle lotte che hanno determinato il paese a svoltare. In primo luogo le lotte dei precari per il lavoro, quelle dei giovani di “futuro è adesso” (io avrei particolareggiato: scuola e l’università, casa e lavoro), la rivolta delle donne contro l’umiliazione del bunga bunga elevato a religione della politica ridens, le vertenze nelle fabbriche, dalla Fiat ai cantieri navali, all’industria tessile, manifatturiera, alla piccola azienda commerciale e industriale, e anche artigiana e agricola. Affianco al disgusto per la mercificazione del corpo e dell’immagine femminile (lei ricorda la manifestazione oceanica delle donne di “Se non ora quando”, a piazza del Popolo? Ha letto che la destra ha perso perfino ad Arcore?), c’è stato il disgusto per le volgarità di femmine e maschietti stagionati, dal dito medio delle Santanchè agli Alì Babà di Tremonti, dalle folgori pseudoetiche di Giovanardi e Roccella alle fascistiche rimembranze di La Russa e Gasparri. Ma l’idea vendoliana di andare subito alle elezioni, se ha il vantaggio di non dare a Berlusconi i 40 giorni che gli demmo in attesa della stabilizzazione finanziaria e gli consentirono, il 14 dicembre, di recuperare uno straccio di maggioranza fra i “volenterosi” negli angiporti di Montecitorio, ha l’inconveniente di costringerci a non tentare nemmeno la riforma elettorale e a votare col cappio al collo del Porcellum.
Mi sembrerebbe un possibile suicidio.