La missione impossibile delle donne in carriera
Inrassegna stampa su 23 maggio 2011 a 11:16La missione impossibile delle donne in carriera. Vera parità solo nel 2061
da La Repubblica 21 maggio 2011 — pagina 21
E’ un calcolo statistico. Una proiezione. Sembra un paradosso. La neutralità dei numeri viene usata per capire quanto tempo le donne dovranno apettare per raggiungere i vertici delle professioni. Il risultato? Sconfortante. Decine di anni, in alcuni ambiti secoli. “E’ il caso della magistratura, se le donne crescono a questo ritmo la parità si avrà nel 2601″.
Lo sostiene, grafici alla mano, la demografa Rossella Palomba, ricercatrice del Cnr, che ha provato a vedere quando le donne avranno i ruoli degli uomini. E il calcolo che ne viene fuori appare un miraggio. «Ovviamente se le donne e gli uomini continuassero a crescere nei posti al vertice ai ritmi attuali la parità non verrebbe mai raggiunta poiché si manterrebbe sempre lo stesso divario», spiega Rossella Palomba che porterà queste ed altre cifre al festival di antropologia contemporanea “Dialoghi sull’ uomo” che si terrà dal 27 al 29 maggio a Pistoia.
«Quindi bisogna fare delle ipotesi. Nel mondo scientifico accademico, ipotizzando che vengano promosse solo le donne, si dovrebbero attendere 63 anni. Invece se diamo agli uomini la possibilità di accedere alle posizioni di vertice della scala gerarchica ma con l’ inversione del tasso di crescita tra uomini e donne, data la disparità esistente, bisogna attendere l’ anno 2183». Va peggio nella magistratura, «le donne sono entrate in magistratura solo nel 1963, in cinquant’ anni solo poche hanno raggiunto i vertici direttivi, se crescono a questo ritmo la parità si raggiungerà nel 2601».
Per le altre carriere le scadenze non sono dietro l’ angolo: i professori ordinari nel 2063, i primari medici nel 2095, gli ingegneri professori ordinari nel 2094. Certo la demografa è consapevole di fare un esperimento “in vitro”, un’ ipotesi provocatoria, nella realtà le cose cambiano in continuazione ma i numeri estremizzano il divario, svelano l’ inganno. «Dicono alle donne di aspettare, che è solo questione di tempo ma le proiezioni rivelano che non è così». E a volte le cifre sono più efficaci di tante analisi. «Anche il mondo obiettivo dei numeri presenta pregiudizi, le misure sono neutre e perciò inadeguate a rappresentare la realtà», spiega Rossella Palomba che al festival di Pistoia mostra le carriere nella Pubblica amministrazione, in magistratura, nella ricerca scientifica.
«La questione dell’ uguaglianza implica molto fattori non solo oggettivi ma anche soggettivi. Però gli ostacoli esterni continuano a bloccare i percorsi delle donne. Basti pensare che il recente provvedimento voluto a livello europeo che prevede il 20% di donne nei Cda dal 2012 e 33% dal 2015 non è stato accolto con soddisfazione ma se ne sono messe subito in luce le difficoltà. Eppure è dimostrato che le società italiane quotate e non quotate, con almeno il 20% di donne nel top management hanno ottenuto nel triennio 2007-2009 una redditività superiore a quelle che hanno meno del 20% di presenza femminile». Quindi? «Le soluzioni sono politiche, non sono compito della statistica».
MARINA CAVALLIERI
Raccontare il Paese reale
Donne, lavoro e maternità nelle Marche
578 lavoratrici nel 2010 hanno lasciato il lavoro alla nascita di un figlio
Ogni anno anche nella nostra regione, tantissime donne lasciano il lavoro alla nascita di un figlio.
Secondo i dati forniti dalla Direzione Regionale del Lavoro e rielaborati dalla CGIL Marche, nel 2010, 578 lavoratrici si sono dimesse “volontariamente” nel primo anno di vita del bambino andando a convalidare le proprie dimissioni alla Direzione Provinciale del Lavoro. Ad esse si aggiungono le mamme lavoratrici che si dimettono dopo i 12 mesi di vita del bambino, non tenute alla convalida alla DPL, difficili da quantificare. Per non parlare delle tante lavoratrici precarie per le quali la maternità significa spesso la perdita di ogni speranza di rinnovo del contratto. Un fenomeno quello delle dimissioni che torna a crescere rispetto all’anno precedente quando le dimissioni sono state 552 (+4,7%).
In ogni caso, il fenomeno è di dimensioni tali da destare forti preoccupazioni: è come se ogni anno una grande impresa scomparisse nel nulla.
Si tratta di dati preoccupanti soprattutto in questo momento di crisi economica e occupazionale che penalizza particolarmente le donne. Infatti, anche nella nostra regione permane una situazione di forte incertezza nel mercato del lavoro: secondo i dati dell’Istat, nei primi 9 mesi del 2010 cala l’occupazione femminile in particolare il numero delle lavoratrici dipendenti, sia nell’industria che nei servizi. Diminuiscono il tasso di occupazione e quello di attività femminile, mentre aumenta la disoccupazione e lo scoraggiamento nella ricerca del lavoro.
Nelle Marche, nei primi 9 mesi del 2010, a seguito di crisi aziendali, sono state licenziate e iscritte nelle liste di mobilità 3.681 donne, pari al 44,7% del totale.
Una crisi che non risparmia le donne e che accresce le disuguaglianze e la precarietà.
Ma chi sono le lavoratrici che lasciano il lavoro alla nascita di un figlio, soprattutto in questo momento nel quale un posto di lavoro è tanto prezioso? Quali sono le ragioni che le portano a questa scelta di rinunciare a uno stipendio proprio nel momento in cui ce n’è più bisogno? Ma è veramente una libera scelta?
Età. La maggior parte delle donne è abbastanza giovane: il 62,1% di loro ha un’età compresa tra 26 e 35 anni e il 13,1% ha dai 19 ai 25 anni.
Figli. La maggior parte delle lavoratrici ha almeno un figlio o comunque presenta le dimissioni dopo la nascita del primo bambino (58,8%); significativo anche il numero delle donne che hanno due figli (32,0%) o più (6,4%). Più limitato il numero di coloro che lasciano il lavoro durante la gravidanza (2,8%).
Anzianità lavorativa. Le donne che lasciano il lavoro hanno generalmente una breve anzianità lavorativa: oltre il 90% di loro ha un’anzianità inferiore a 10 anni di cui la metà inferiore a 3 anni.
Dimensione aziendale. Le imprese dalle quali le lavoratrici provengono sono prevalentemente di piccole e piccolissime dimensioni, quasi sempre non sindacalizzate e dove è maggiore il senso di isolamento e la solitudine della lavoratrice: i due terzi delle aziende che le donne lasciano quando nasce un figlio ha meno di 15 dipendenti (68,7%)e il 19,9% ha tra 16 e 50 dipendenti.
Settore produttivo. Le donne dimissionarie provengono principalmente dai settori del commercio (24,9%) e dell’industria (23,0%), seguiti dai settori del credito e assicurazioni (2,8%) e dall’agricoltura (1,4%); per un significativo numero di lavoratrici non viene specificato il settore produttivo di provenienza.
Motivazioni. Tra i motivi della scelta di lasciare il posto di lavoro prevalgono le difficoltà connesse alla presenza, agli orari e ai costi e ai servizi: per la maggior parte delle donne la mancanza di posti nell’asilo nido, o comunque il mancato accoglimento del neonato al nido, rende incompatibile l’occupazione lavorativa e l’assistenza al bambino (27,5%). Di poco inferiore la percentuale di coloro che lasciano il lavoro non potendo contare sull’assistenza al neonato neanche da parte di una rete parentale di supporto (26,3%).
Significativo anche il numero delle donne che lascia il lavoro a causa degli elevati costi dei servizi di assistenza al bambino per asili nido, baby sitter, ecc. (8,7%) o per la mancata concessione del part time da parte dell’azienda (6,2%).
L’8,1% delle lavoratrici si dimette per passare ad altra azienda.
Ma poi c’è un 23,2% di donne che lascia il lavoro per “altre ragioni” non specificate: può trattarsi del desiderio di dedicarsi interamente alla famiglia e in particolare alla cura dei figli ma possono essere anche di ragioni connesse a difficoltà sul posto di lavoro (clima relazionale teso, pressioni psicologiche, attribuzione di mansioni inferiori, ecc.).
Dietro a questi numeri ci sono tante storie diverse, fatte di difficoltà e di speranze, di desiderio di maternità ma anche di rinuncia a esprimersi nel lavoro, di difficoltà di conciliare la propria vita lavorativa con quella familiare. Donne reali, molto diverse dall’avvilente e indegna rappresentazione mediatica quotidiana. Donne che scelgono di rinunciare a un lavoro, a un reddito, a una professionalità nonostante la grave crisi che sta attanagliando il Paese e la disoccupazione femminile crescente.
Le reali motivazioni di queste donne vanno conosciute e comprese per non lasciarle sole di fronte ad una scelta che può essere molto difficile.
Soprattutto occorre conoscere il fenomeno per poter intervenire in maniera efficace attraverso con politiche adeguate: con politiche attive del lavoro, politiche sociali ed educative, per garantire un’adeguata rete di servizi a partire da quelli per la prima infanzia.
Servizi che vanno difesi, pur nel quadro delle forti difficoltà nelle quali versano gli Enti locali a causa dei tagli definiti dal Governo, e potenziati, se si vuole riconoscere il valore sociale della maternità e al contempo sostenere l’occupazione femminile.
Ma è importante anche che anche sul versante culturale si affermi con più forza la logica della condivisione delle responsabilità familiari tra uomini e donne, superando l’idea che il lavoro di cura sia “naturalmente” femminile e che siano solo le donne a doversi far carico delle esigenze familiari. Solo così saranno possibili pari opportunità per donne e uomini nel lavoro e nella vita.
Queste sono le storie di tante donne del Paese reale. Donne, madri e lavoratrici i cui diritti vanno affermati e difesi, se si vuole che il Paese reale sia anche un Paese civile, moderno e con un futuro davanti.
Per queste ragioni, per affermare la dignità e la libertà delle donne e reagire al degrado della politica e della cultura, anche la CGIL delle Marche si è mobilitata assieme a tante altre donne e associazioni per le manifestazioni che si svolgeranno domenica 13 febbraio nelle varie città delle Marche, così come in tutte le città italiane.
Ancona, 9 febbraio 2011
La Segreteria della CGIL Marche
Donne, lavoro e maternità nelle Marche
578 lavoratrici nel 2010 hanno lasciato il lavoro alla nascita di un figlio
Ogni anno anche nella nostra regione, tantissime donne lasciano il lavoro alla nascita di un figlio.
Secondo i dati forniti dalla Direzione Regionale del Lavoro e rielaborati dalla CGIL Marche, nel 2010, 578 lavoratrici si sono dimesse “volontariamente” nel primo anno di vita del bambino andando a convalidare le proprie dimissioni alla Direzione Provinciale del Lavoro. Ad esse si aggiungono le mamme lavoratrici che si dimettono dopo i 12 mesi di vita del bambino, non tenute alla convalida alla DPL, difficili da quantificare. Per non parlare delle tante lavoratrici precarie per le quali la maternità significa spesso la perdita di ogni speranza di rinnovo del contratto. Un fenomeno quello delle dimissioni che torna a crescere rispetto all’anno precedente quando le dimissioni sono state 552 (+4,7%).
In ogni caso, il fenomeno è di dimensioni tali da destare forti preoccupazioni: è come se ogni anno una grande impresa scomparisse nel nulla.
Si tratta di dati preoccupanti soprattutto in questo momento di crisi economica e occupazionale che penalizza particolarmente le donne. Infatti, anche nella nostra regione permane una situazione di forte incertezza nel mercato del lavoro: secondo i dati dell’Istat, nei primi 9 mesi del 2010 cala l’occupazione femminile in particolare il numero delle lavoratrici dipendenti, sia nell’industria che nei servizi. Diminuiscono il tasso di occupazione e quello di attività femminile, mentre aumenta la disoccupazione e lo scoraggiamento nella ricerca del lavoro.
Nelle Marche, nei primi 9 mesi del 2010, a seguito di crisi aziendali, sono state licenziate e iscritte nelle liste di mobilità 3.681 donne, pari al 44,7% del totale.
Una crisi che non risparmia le donne e che accresce le disuguaglianze e la precarietà.
Ma chi sono le lavoratrici che lasciano il lavoro alla nascita di un figlio, soprattutto in questo momento nel quale un posto di lavoro è tanto prezioso? Quali sono le ragioni che le portano a questa scelta di rinunciare a uno stipendio proprio nel momento in cui ce n’è più bisogno? Ma è veramente una libera scelta?
Età. La maggior parte delle donne è abbastanza giovane: il 62,1% di loro ha un’età compresa tra 26 e 35 anni e il 13,1% ha dai 19 ai 25 anni.
Figli. La maggior parte delle lavoratrici ha almeno un figlio o comunque presenta le dimissioni dopo la nascita del primo bambino (58,8%); significativo anche il numero delle donne che hanno due figli (32,0%) o più (6,4%). Più limitato il numero di coloro che lasciano il lavoro durante la gravidanza (2,8%).
Anzianità lavorativa. Le donne che lasciano il lavoro hanno generalmente una breve anzianità lavorativa: oltre il 90% di loro ha un’anzianità inferiore a 10 anni di cui la metà inferiore a 3 anni.
Dimensione aziendale. Le imprese dalle quali le lavoratrici provengono sono prevalentemente di piccole e piccolissime dimensioni, quasi sempre non sindacalizzate e dove è maggiore il senso di isolamento e la solitudine della lavoratrice: i due terzi delle aziende che le donne lasciano quando nasce un figlio ha meno di 15 dipendenti (68,7%)e il 19,9% ha tra 16 e 50 dipendenti.
Settore produttivo. Le donne dimissionarie provengono principalmente dai settori del commercio (24,9%) e dell’industria (23,0%), seguiti dai settori del credito e assicurazioni (2,8%) e dall’agricoltura (1,4%); per un significativo numero di lavoratrici non viene specificato il settore produttivo di provenienza.
Motivazioni. Tra i motivi della scelta di lasciare il posto di lavoro prevalgono le difficoltà connesse alla presenza, agli orari e ai costi e ai servizi: per la maggior parte delle donne la mancanza di posti nell’asilo nido, o comunque il mancato accoglimento del neonato al nido, rende incompatibile l’occupazione lavorativa e l’assistenza al bambino (27,5%). Di poco inferiore la percentuale di coloro che lasciano il lavoro non potendo contare sull’assistenza al neonato neanche da parte di una rete parentale di supporto (26,3%).
Significativo anche il numero delle donne che lascia il lavoro a causa degli elevati costi dei servizi di assistenza al bambino per asili nido, baby sitter, ecc. (8,7%) o per la mancata concessione del part time da parte dell’azienda (6,2%).
L’8,1% delle lavoratrici si dimette per passare ad altra azienda.
Ma poi c’è un 23,2% di donne che lascia il lavoro per “altre ragioni” non specificate: può trattarsi del desiderio di dedicarsi interamente alla famiglia e in particolare alla cura dei figli ma possono essere anche di ragioni connesse a difficoltà sul posto di lavoro (clima relazionale teso, pressioni psicologiche, attribuzione di mansioni inferiori, ecc.).
Dietro a questi numeri ci sono tante storie diverse, fatte di difficoltà e di speranze, di desiderio di maternità ma anche di rinuncia a esprimersi nel lavoro, di difficoltà di conciliare la propria vita lavorativa con quella familiare. Donne reali, molto diverse dall’avvilente e indegna rappresentazione mediatica quotidiana. Donne che scelgono di rinunciare a un lavoro, a un reddito, a una professionalità nonostante la grave crisi che sta attanagliando il Paese e la disoccupazione femminile crescente.
Le reali motivazioni di queste donne vanno conosciute e comprese per non lasciarle sole di fronte ad una scelta che può essere molto difficile.
Soprattutto occorre conoscere il fenomeno per poter intervenire in maniera efficace attraverso con politiche adeguate: con politiche attive del lavoro, politiche sociali ed educative, per garantire un’adeguata rete di servizi a partire da quelli per la prima infanzia.
Servizi che vanno difesi, pur nel quadro delle forti difficoltà nelle quali versano gli Enti locali a causa dei tagli definiti dal Governo, e potenziati, se si vuole riconoscere il valore sociale della maternità e al contempo sostenere l’occupazione femminile.
Ma è importante anche che anche sul versante culturale si affermi con più forza la logica della condivisione delle responsabilità familiari tra uomini e donne, superando l’idea che il lavoro di cura sia “naturalmente” femminile e che siano solo le donne a doversi far carico delle esigenze familiari. Solo così saranno possibili pari opportunità per donne e uomini nel lavoro e nella vita.
Queste sono le storie di tante donne del Paese reale. Donne, madri e lavoratrici i cui diritti vanno affermati e difesi, se si vuole che il Paese reale sia anche un Paese civile, moderno e con un futuro davanti.
Per queste ragioni, per affermare la dignità e la libertà delle donne e reagire al degrado della politica e della cultura, anche la CGIL delle Marche si è mobilitata assieme a tante altre donne e associazioni per le manifestazioni che si svolgeranno domenica 13 febbraio nelle varie città delle Marche, così come in tutte le città italiane.
Ancona, 9 febbraio 2011
La Segreteria della CGIL Marche
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