Oggi la Libia, ieri il Kosovo e l'Iraq
Perché questa guerra è giustificabile
Non è necessario essere pacifisti militanti per sostenere che la guerra sia una cosa orribile e ingiusta. Almeno sul piano etico, è difficile accettare che qualcuno possa decidere di bombardare e uccidere, anche quando i bersagli siano terroristi o dittatori. La guerra giusta è come il rischio zero nel nucleare: più grande è la falla nel sistema, più spazio c'è per polemiche e avvertenze prima dell'uso.
Ma l'orrore per la guerra non può tramutarsi in indifferenza verso massacri e impotenza della comunità internazionale di fronte a gravi violazioni dei diritti umani. Il mondo è lontano dall'ideale della pace universale di Kant: occorre quindi l'accettazione (anch'essa morale) di guerre giustificabili, se non giuste. È uno dei criteri fondanti delle Nazioni Unite: i diritti dei popoli sono più importanti della sovranità degli Stati. Le polemiche sull'intervento in Libia e il rinfacciarsi fra destra e sinistra il sostegno a questa guerra o la condanna di guerre precedenti (dal Kosovo all'Iraq) avrebbero meno senso se alcuni punti fossero condivisi.
In primo luogo il fatto che pochi interventi militari internazionali abbiano avuto un sostegno e una legittimazione così ampi quanto l'operazione «Odissea» in Libia, decisa dopo una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, con il sostegno della Lega araba e di molti Paesi europei. Si può argomentare sul «gallismo» dei francesi, sugli eccessi di protagonismo elettorale di Sarkozy, sulle divisioni non sorprendenti dell'Europa, sul recalcitrare della Lega araba dopo i primi missili, sull'opportunità o meno del comando Nato - necessario per il coordinamento delle operazioni, meno utile per le sensibilità dei Paesi arabi - ma sono appunti che non stravolgono la sostanza giuridica della decisione di bombardare la Libia. Tra l'altro, si tratta di un intervento multilaterale: non più soltanto occidentale, non più a guida americana. La Francia ha capito la posta in gioco e ha scommesso, con un occhio ai propri interessi, sul futuro della regione. Che potrà essere incerto, però sarà probabilmente senza alcuni dei dittatori di oggi.
Non è stato così per l'intervento in Iraq, deciso unilateralmente dagli Stati Uniti, con il falso pretesto delle armi di distruzione di massa in possesso di Saddam. Non è stato così nemmeno in Kosovo, poiché il bombardamento della Serbia di Milosevic fu deciso in ambito Nato, adottando la tesi di un intervento «difensivo». Solo successivamente intervennero le Nazioni Unite, con una risoluzione che fra l'altro rispettava l'integrità della Federazione jugoslava (così si chiamava ancora il Paese di Milosevic) e non prevedeva l'indipendenza del Kosovo.
L'intervento in Afghanistan fu legittimato dalle Nazioni Unite che dopo l'attentato alle Torri Gemelle affermarono la necessità di combattere con ogni mezzo il terrorismo. Valse per gli Usa il diritto all'autodifesa. Nella caduta di Kabul fu determinante l'Alleanza del Nord, la parte del popolo afghano che si opponeva ai talebani e che era doveroso aiutare. Furono sostenute dal consenso della comunità internazionale le operazioni in Somalia e a Timor Est. Purtroppo non si trovarono Paesi «volenterosi» per arrestare i genocidi in Ruanda e Cambogia.
Agli argomenti giuridici, si possono muovere obiezioni sul piano morale. Milosevic e Saddam erano meno rispettabili di Gheddafi? E nei confronti di Milosevic e di Saddam l'Occidente non aveva intrattenuto quel genere di rapporti ambigui (affari, forniture di armi, rispettabilità e riabilitazione politica) che oggi vengono ricordati a proposito del rais libico? Le vittime della pulizia etnica nella ex Jugoslavia o della dittatura di Saddam erano più innocenti dei cittadini di Bengasi?
La risposta, per quanto insoddisfacente, non può che essere politica. Se motivazioni morali e legittimazione giuridica dovrebbero essere argomenti condivisi, è la politica che stabilisce una gerarchia che offre il fianco alla polemica. Ed è la politica che - sempre a posteriori - stabilisce in base ai risultati la «convenienza» di un intervento. Nel caso dell'Iraq, è arduo negare le conseguenze dei bombardamenti sulla popolazione civile, lo stillicidio di attentati seguito all'occupazione militare, l'instabilità, il prezzo pagato dall'America e dall'Occidente in termini d'immagine ed esposizione al terrorismo. Per fare la guerra a Saddam si è scoperto il fronte afghano, si è permesso che il terrorismo accentuasse la presenza nel Paese, si sono forniti argomenti al fondamentalismo islamico.
Ma l'orrore per la guerra non può tramutarsi in indifferenza verso massacri e impotenza della comunità internazionale di fronte a gravi violazioni dei diritti umani. Il mondo è lontano dall'ideale della pace universale di Kant: occorre quindi l'accettazione (anch'essa morale) di guerre giustificabili, se non giuste. È uno dei criteri fondanti delle Nazioni Unite: i diritti dei popoli sono più importanti della sovranità degli Stati. Le polemiche sull'intervento in Libia e il rinfacciarsi fra destra e sinistra il sostegno a questa guerra o la condanna di guerre precedenti (dal Kosovo all'Iraq) avrebbero meno senso se alcuni punti fossero condivisi.
In primo luogo il fatto che pochi interventi militari internazionali abbiano avuto un sostegno e una legittimazione così ampi quanto l'operazione «Odissea» in Libia, decisa dopo una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, con il sostegno della Lega araba e di molti Paesi europei. Si può argomentare sul «gallismo» dei francesi, sugli eccessi di protagonismo elettorale di Sarkozy, sulle divisioni non sorprendenti dell'Europa, sul recalcitrare della Lega araba dopo i primi missili, sull'opportunità o meno del comando Nato - necessario per il coordinamento delle operazioni, meno utile per le sensibilità dei Paesi arabi - ma sono appunti che non stravolgono la sostanza giuridica della decisione di bombardare la Libia. Tra l'altro, si tratta di un intervento multilaterale: non più soltanto occidentale, non più a guida americana. La Francia ha capito la posta in gioco e ha scommesso, con un occhio ai propri interessi, sul futuro della regione. Che potrà essere incerto, però sarà probabilmente senza alcuni dei dittatori di oggi.
Non è stato così per l'intervento in Iraq, deciso unilateralmente dagli Stati Uniti, con il falso pretesto delle armi di distruzione di massa in possesso di Saddam. Non è stato così nemmeno in Kosovo, poiché il bombardamento della Serbia di Milosevic fu deciso in ambito Nato, adottando la tesi di un intervento «difensivo». Solo successivamente intervennero le Nazioni Unite, con una risoluzione che fra l'altro rispettava l'integrità della Federazione jugoslava (così si chiamava ancora il Paese di Milosevic) e non prevedeva l'indipendenza del Kosovo.
L'intervento in Afghanistan fu legittimato dalle Nazioni Unite che dopo l'attentato alle Torri Gemelle affermarono la necessità di combattere con ogni mezzo il terrorismo. Valse per gli Usa il diritto all'autodifesa. Nella caduta di Kabul fu determinante l'Alleanza del Nord, la parte del popolo afghano che si opponeva ai talebani e che era doveroso aiutare. Furono sostenute dal consenso della comunità internazionale le operazioni in Somalia e a Timor Est. Purtroppo non si trovarono Paesi «volenterosi» per arrestare i genocidi in Ruanda e Cambogia.
Agli argomenti giuridici, si possono muovere obiezioni sul piano morale. Milosevic e Saddam erano meno rispettabili di Gheddafi? E nei confronti di Milosevic e di Saddam l'Occidente non aveva intrattenuto quel genere di rapporti ambigui (affari, forniture di armi, rispettabilità e riabilitazione politica) che oggi vengono ricordati a proposito del rais libico? Le vittime della pulizia etnica nella ex Jugoslavia o della dittatura di Saddam erano più innocenti dei cittadini di Bengasi?
La risposta, per quanto insoddisfacente, non può che essere politica. Se motivazioni morali e legittimazione giuridica dovrebbero essere argomenti condivisi, è la politica che stabilisce una gerarchia che offre il fianco alla polemica. Ed è la politica che - sempre a posteriori - stabilisce in base ai risultati la «convenienza» di un intervento. Nel caso dell'Iraq, è arduo negare le conseguenze dei bombardamenti sulla popolazione civile, lo stillicidio di attentati seguito all'occupazione militare, l'instabilità, il prezzo pagato dall'America e dall'Occidente in termini d'immagine ed esposizione al terrorismo. Per fare la guerra a Saddam si è scoperto il fronte afghano, si è permesso che il terrorismo accentuasse la presenza nel Paese, si sono forniti argomenti al fondamentalismo islamico.
Nel caso del Kosovo, le durissime operazioni della polizia serba avrebbero portato Milosevic al Tribunale dell'Aia per crimini di guerra. Si decise di appoggiare la secessione organizzata dai guerriglieri kosovari. Il distacco del Kosovo completò il processo di disgregazione della Jugoslavia. Chi scrive fu critico nei confronti di un intervento giuridicamente approssimativo, ma occorre riconoscere la preoccupazione morale di non veder ripetersi i massacri della Bosnia e l'obiettivo politico - non scritto in nessuna risoluzione, esattamente come oggi per Gheddafi - di sbarazzarsi di Milosevic, considerato un pericoloso e permanente fattore d'instabilità. Anche se poi fu la democratica rivoluzione dei serbi a cacciarlo. Nel caso della Libia, molte condizioni giuridiche, politiche e morali sembrano rispettate. Senza contare che in Libia, come in larga parte del mondo arabo, è in atto una rivoluzione per affermare libertà e diritti.
Massimo Nava 24 marzo 2011
Italia in guerra: possibile lo sbarco in Libia
Nonostante la rassicurante propaganda dei massimi vertici politici e militari degli Stati membri della coalizione dei "volenterosi", si fanno sempre più insistenti, e credibili, le analisi di quanti ritengono che l'imposizione della no fly zone, perseguita con un ingente sforzo militare, altro non sia che il preludio all'attacco via terra degli eserciti in campo.In Italia, intanto, mentre il Senato ha dato il via libero ufficiale alla guerra approvando le mozioni presentate dalla maggioranza (frutto di mediazione fra PdL e Lega) e dal Partito Democratico, nelle piazze e sui balconi rispuntano le bandiere della pace e il movimento contro la guerra promette battaglia.
Le preoccupazioni di Mosca e i progetti del Pentagono - Superati, almeno per quanto concerne la comunicazione verso l'esterno, i dissidi fra il presidente Medvedev e Vladimir Putin (che aveva bollato l'operazione dei "volenterosi" come un'inaccettabile "crociata"), il Cremlino ha espresso ieri, attraverso una nota del ministero degli Esteri, la propria preoccupazione per le dichiarazioni dei vertici militari statunitensi che, fin dall'inizio dell'operazione "Odissea all'alba", hanno eluso qualsiasi domanda inerente la durata della campagna militare.Questo atteggiamento - secondo Mosca - prefigurerebbe un prolungarsi nei mesi dell'imposizione della no fly zone che, inevitabilmente, condurrebbe ad un attacco via terra delle truppe NATO.
Un'ipotesi che, peraltro, è stata paventata anche dall'ex comandante della Marina Militare americana Harlan Ullman; "La no fly zone da sola non basta. - ha spiegato l'alto ufficiale - E’ necessario mettere a punto una seconda fase delle operazioni per evitare un’impasse che rischia di trascinarsi troppo a lungo. [...] Un intervento via terra sotto l’egida delle Nazioni Unite".
Un'altra Serbia, un altro Iraq - Esattamente dodici anni fa, all'alba del 24 marzo 1999, ancora una volta a pochi chilometri dal territorio italiano, avevano inizio le operazioni militari della NATO che avrebbero preparato l'invasione della Jugoslavia, per salvaguardare "la popolazione kosovara"; solo oggi, a distanza di molto tempo, squarci di verità sono emersi in merito alla volontà degli Stati Uniti di intervenire a prescindere in Serbia, al fine di guadagnare una posizione strategicamente fondamentale per il controllo dell'area.
Anche allora i bombardieri della NATO decollarono dalle basi italiane, e gli stessi aerei militari del nostro Paese furono impegnati in operazioni di guerra. Nel 1999, come qualche anno più tardi in Iraq, l'attacco dal cielo fu solo il preludio di un intervento militare via terra.
Che questo possa essere il destino della guerra anche in Libia, lo ha confermato il generale Fabio Mini, ex capo di stato maggiore Nato per l'Europa del sud e comandante della KFOR della Nato in Kosovo.
"L'imposizione di una no-fly zone comporta l'eliminazione delle minacce per gli aerei che devono far rispettare l'area di non sorvolo. - ha spiegato in un'intervista rilasciata a "Il Manifesto" - Per cui, siccome nessuno ha mai accettato una no-fly zone - eccetto Saddam Hussein - quello che sta accadendo non è niente di più di ciò che si doveva fare".
"Nel caso in cui Gheddafi dovesse continuare a attaccare, - ha concluso - di sicuro il Consiglio di sicurezza si riunirà di nuovo per autorizzare anche l'intervento di terra. Spero di no, ma la mia esperienza mi dice che non c'è mai stata una no-fly zone che non sia stata seguita da un intervento di terra".
Torna il movimento contro la guerra - Mentre l'intervento in Libia assume sempre più i contorni di una guerra a tutti gli effetti, in tutta Italia crescono le iniziative e la mobilitazione contro l'operazione "Odissea all'alba".
Negli ultimi giorni si sono susseguiti presidi in moltissime città del Paese e, mentre ai balconi e alle finestre, grazie anche al tam tam di Facebook, tornano a sventolare le bandiere della pace, nel pomeriggio di oggi si terrà una manifestazione regionale della Sicilia, indetta da Giovani Comunisti e Federazione della Sinistra, di fronte alla base militare di Birgi (Trapani) da cui ancora stamattina sono decollati caccia militari diretti nei cieli libici.
Mattia Nesti
LIBIA: BERLUSCONI, ITALIA NON IN GUERRA E NON VUOLE ENTRARCI
(AGI) - Roma, 24 mar. - "Abbiamo ottenuto non solo il pieno coordinamento Nato di tutte le operazioni della missione ma anche l'applicazione puntuale della risoluzione dell'Onu. La coalizione e' impegnata a difendere la popolazione civile, l'Italia non e' entrata in guerra e non vuole entrarci". Lo afferma il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, in un colloquio con il Corriere della Sera. Sugli obiettivi della missione, il premier precisa che "era gia' tutto chiaro da sabato, quando la missione e' stata decisa. Ne ho parlato con il premier inglese David Cameron e con il segretario di stato americano Hillary Clinton ed erano perfettamente d'accordo".Per quanto riguarda l'affidamento del coordinamento delle operazioni alla Nato, Berlusconi commenta: "Quella della Nato e' un'assunzione piena di responsabilita'. Ripeto, sono tutti d'accordo, c'e' solo qualche resistenza da parte francese". Il presidente del Consiglio esprime poi soddisfazione per l'accordo trovato nella maggioranza sulla risoluzione in nove punti che impegna il governo italiano nella crisi libica: ci sono condizioni come quella sul "ritorno piu' rapido possibile ad uno stato di non conflittualita"', e sull'impegno dell'Unione Europea al "pattugliamento del Mediterraneo" contro l'immigrazione clandestina. "E' una mozione pienamente in linea con quanto pensa tutta la maggioranza - aggiunge il premier -.
Domani (oggi, ndr) saro' a Bruxelles e insistero' con i colleghi europei perche' vengano accettati gli impegni previsti nel documento". (AGI) .
Libia, Frattini: ''Non stiamo facendo la guerra, stiamo impedendo la guerra''
Roma - (Adnkronos/Ign) - Al Senato le comunicazioni del governo e il voto sulle risoluzioni. Polemiche per l'assenza di Berlusconi
Roma, 23 mar. (Adnkronos/Ign) - La crisi in Libia arriva al Senato con le comunicazioni del governo e il voto sulle cinque risoluzioni. Polemiche per l'assenza in Aula del premier Silvio Berlusconi che ha incaricato il ministro degli Esteri Franco Frattini e della Difesa Ignazio La Russa di riferire sulla risoluzione presentata da Pdl-Lega-Coesione Nazionale.
Le altre mozioni sono rispettivamente del Pd, dell'Idv, del Terzo Polo e dei Radicali. Frattini ha invitato la maggioranza ad accogliere alcuni punti contenuti nella risoluzione presentata dal Pd. Ma non c'è stata una convergenza bipartisan sulla proposta. La maggioranza e in particolare la Lega si è opposta alla richiesta di integrazioni auspicata dal titolare della Farnesina. L'opposizione, quindi, ha deciso di votare i propri documenti e la maggioranza di mettere al voto la propria risoluzione integrata con alcune parti del dispositivo elaborato dai democratici. Le componenti del Terzo polo hanno assunto una posizione o di astensione o di non partecipazione al voto.
Prima del voto sulle risoluzioni, il dibattito in Aula è stato aperto da Frattini. "Non vogliamo una Libia divisa in due" ha detto, sottolineando che questa soluzione "non sarebbe nell'interesse del popolo libico". Parlando dell'intervento della coalizione, Frattini ha ricordato che "non si tratta affatto di fare la guerra, ma di impedire la guerra e le sue nefaste conseguenze, si tratta di portare aiuto". Per il ministro, inoltre, "non è fondata la tesi secondo cui i contratti delle nostre imprese sarebbero stati meglio tutelati in caso di nostro mancato intervento".
Da parte sua, il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha precisato che si è intervenuti per fronteggiare la crisi con "una straordinaria accelerazione dei tempi operativi, come mai era successo prima nelle pur molteplici crisi internazionali degli ultimi anni". Accelerazione grazie alla quale "si è fermata quella che poteva diventare la strage di un popolo".
"Non c'è stato né entusiasmo né ripensamento: è stata una scelta logica quella di concedere le basi militari, perché indispensabili all'applicazione di ciò che la comunità internazionale ci chiedeva, dopo l'approvazione della risoluzione dell'Onu'' ha aggiunto. E la coalizione internazionale "vede sicuramente l'Italia con un grande ruolo politico rispetto agli altri Paesi" ha assicurato il ministro della Difesa.
Per quanto riguarda "i nostri tornado, sono in grado di oscurare e di colpire, per renderli inservibili, i radar nemici in Libia". Dunque, niente "bombe dirompenti" a bordo, ha sottolineato La Russa. "Abbiamo messo a disposizione quattro aerei tornado e quattro caccia F-16, questi con un compito di scorta, accompagnamento e messa in sicurezza". I Tornado "sono i primi ad arrivare in teatro e gli ultimi ad andare via" e "rendono possibile l'impiego di altri mezzi aerei, senza che questi corrano il pericolo di essere abbattuti dalla contraerea. Non appena si accendono i radar atti a individuare gli aerei della coalizione - ha concluso La Russa - i nostri tornado possono oscurarli semplicemente con un intervento di tipo elettromagnetico".
In totale, oggi sono stati 11 gli aerei dell'Aeronautica Militare italiana impegnati in missionenell'ambito dell'operazione 'Odyssey Dawn' sulla Libia. Nel dettaglio, lo Stato Maggiore della Difesa comunica che alle 14 sono decollati da Trapani due F-16 (con funzioni di difesa aerea e scorta), due Tornado ECR (Electronic Combat Reconnaissance) e un C130J con funzioni di rifornimento in volo (AAR - Air-to-Air Refuelling), rientrato dopo aver rifornito gli aerei. Alle 14.30 sono poi decollati due F-16 e 4 Tornado di cui due Tanker per il rifornimento in volo.
In Siria cade il muro della paura e si alza l'allarme terrorismo
di
B.S.K.
24 Marzo 2011
“Con Assad è proibito il disaccordo”, disse nel 1986 un collaboratore di Amine Gemayel, allora presidente del Libano, dopo un incontro a Damasco con Hafez al-Assad, allora presidente della Siria.
Quando nel 2000 il potere passò da Hafez al-Assad, deceduto in quell’anno, a suo figlio, l’attuale presidente siriano Bashar al-Assad, il popolo e la comunità internazionale furono illusi dall’abbaglio di un “presidente giovane” che avrebbe accolto le richieste del suo popolo in materia di riforme.
Quando nel 2000 il potere passò da Hafez al-Assad, deceduto in quell’anno, a suo figlio, l’attuale presidente siriano Bashar al-Assad, il popolo e la comunità internazionale furono illusi dall’abbaglio di un “presidente giovane” che avrebbe accolto le richieste del suo popolo in materia di riforme.
La posta in gioco era alta, e il regime siriano non poteva permettersi di giocare le carte sbagliate. Dunque, il regime è rimasto lo stesso – il Baath – così come il metodo di controllo del potere, affidato alle onnipresenti antenne dei servizi di sicurezza siriani, i Mukhbarat, e alla polizia politica. Dopo la caduta di Saddam Hussein in Iraq, quello siriano è rimasto l’ultimo baluardo del regime baathista. La Siria, oltre ad opprimere militarmente e politicamente il Libano, ha continuato a fare pressioni sull’Occidente, e in particolare sugli Stati Uniti, giocando la carta del “terrorismo”. Tuttavia, come accade in natura, il terremoto arabo che ha avuto il suo epicentro in Tunisia ha raggiunto anche a Damasco.
A seguito dei primi moti insurrezionali, in particolare in Egitto, il regime siriano si affrettò a ribadire che il “sistema era stabile”, mostrandosi a favore della caduta di Mubarak e accennando a un’alleanza con l’Iran per rafforzare il loro asse nella fase successiva. Ciò portò, lo scorso mese, alti funzionari del Ministero degli Esteri siriano a presentare un rapporto riguardante l’Egitto e gli altri paesi arabi, in cui veniva evidenziata proprio la necessità strategica di rafforzare l’alleanza con Teheran al fine di portare l’Egitto fuori dall’orbita filo-americana e inserirlo in quella siro-iraniana. Al fine di dare sfogo alle tensioni interne, il regime di Damasco aveva anche aperto l’accesso a Facebook e Youtube, non temendo tali strumenti mediatici vista la scarsa copertura di internet in Siria. Tuttavia, nell’arco di poche settimane, migliaia di utenti, molti dei quali probabilmente dall’estero, hanno iniziato a formare gruppi di incitamento a manifestazioni e appelli alla rivoluzione in Siria.
Sulla cresta dell’onda delle rivolte in Egitto, e incoraggiati dall’abbattimento del “muro della paura”, già lo scorso mese centinaia di siriani iniziarono a organizzare manifestazioni di protesta a Damasco e in altre aree del paese, sfidando il divieto di manifestazioni imposto dallo “stato d’emergenza” in vigore dal 1963. Contro lo “stato d’emergenza” si sono fino ad oggi espresse numerose Ong siriane, chiedendo anche l’approvazione di una legge che autorizzi la formazione di altri partiti politici oltre al Baath.
Il 17 febbraio scorso, decine di siriani manifestarono nel cuore di Damasco contro “l’oppressione” del regime. Gli slogan della manifestazione erano simili a quelli della piazza tunisina e di quella egiziana - “no al regime dittatoriale”, “no alla polizia politica”- e alcuni anche di carattere religioso. Due settimane prima, denuncia Human Rights Watch, le autorità siriane avevano aggredito 15 manifestanti siriani nella capitale, riunitisi per dimostrare la loro solidarietà al popolo egiziano.
In questo clima di fermento, tornano ad alzare la voce anche le varie associazioni siriane per i diritti umani, attive soprattutto fuori dal paese. Alcune settimane fa, si legge sul quotidiano arabo “Al-Quds al-Arabi”, Ayman Abdennour, attivista siriano residente a Dubai, scriveva sul suo sito che la Siria “ha bisogno di una nuova costituzione, che va riscritta da tutte le comunità, in modo da rispecchiare l’odierna società siriana, diversa da quella del 1973”, anno in cui fu promulgata per volere dell’allora presidente Hafez al-Assad. In un articolo della costituzione siriana, viene sancito che “il partito Baath è capo dello Stato e della comunità”.
Persistendo nel non voler ammettere la minaccia esistente per il suo regime, lo scorso 7 marzo il presidente Bashar al-Assad, in occasione del 48° anniversario dell’ascesa al potere del Baath in Siria – 8 marzo 1963 – ha emanato un’amnistia generale per tutti i detenuti che si erano macchiati di un crimine fino al 7 marzo 2011, escludendo però i “detenuti politici”, e dimostrando in questo modo non soltanto il rifiuto di un processo democratico ma soprattutto il timore che il suo regime possa cadere.
Tuttavia, la prima scintilla delle proteste in Siria si è avuta la scorsa settimana, ed è partita da Damasco.
Tuttavia, la prima scintilla delle proteste in Siria si è avuta la scorsa settimana, ed è partita da Damasco.
Tutto sembrerebbe scaturito da Facebook, e in particolare dalla formazione di un gruppo intitolato “La rivoluzione siriana contro Bashar al-Assad 2011”, con oltre 70 mila utenti. Spinti anche da questi incitamenti, venerdì scorso, dopo la preghiera nella moschea Omayyade di Damasco, centinaia di manifestanti si sono riversati in strada per chiedere “libertà”. L’intervento massiccio e violento delle forze di polizia del regime non si è fatto attendere, e si sono registrati alcuni scontri che hanno provocato anche alcune vittime.
È evidente dunque che “il muro della paura” è caduto anche in Siria, ed è questo il primo elemento che traspare dalle rivolte. Nei giorni passati, si sono moltiplicati gli appelli diffusi su Facebook. Migliaia di siriani, lunedì scorso, sono scesi in strada a Deraa, nel sud del paese per protestare contro il regime. Anche questa volta, sono intervenute le forze dell’ordine, ma il bilancio di 15 morti potrebbe rappresentare il punto di non ritorno per il regime. Il movimento di protesta è stato già soprannominato “Rivoluzione del 15 marzo”, e gli amministratori del gruppo su Facebook - “La rivoluzione siriana contro Bashar al-Assad” - hanno esortato l’Esercito siriano a unirsi al popolo.
La Siria, è noto, non è né la Libia né l’Egitto. Il suo regime ha dimostrato negli ultimi decenni di essere in grado di controllare il potere, e di non avere alcuno scrupolo nel farlo. Ma soprattutto, ciò che differenzia il regime di Damasco dalla Libia e dall’Egitto sono le carte che ha da giocare, tre in particolare: l’asse di ferro con l’Iran, la sua posizione nei confronti di Israele e infine, ma non per ultima, la questione terrorismo. È questa la carta che Damasco ha fino ad oggi utilizzato come asso nella manica per tenere in costante allerta l’Occidente, e in particolare gli Stati Uniti. Sentendosi minacciato, il regime di Damasco, come ha già fatto in Libano, non esiterebbe a riutilizzarla.
Italia 150: ok Senato unanime a dl, si' anche da Lega
Hanno votato si' 238 senatori, ora decreto passa alla camera
24 marzo, 15:53
ROMA - Il Senato approva all'unanimita' con 238 voti a favore la conversione in legge del decreto che ha istituito la giornata del 17 marzo 2011 festa nazionale per la ricorrenza dei 150 anni dell'Unita' d'Italia. Il provvedimento e' stato votato anche dalla Lega nord che in dichiarazione di voto aveva detto che non si opponeva al decreto che ora passa all'esame della Camera.
150 Anni Unità d'Italia: Maggiore dignità al ruolo della "donna nel Risorgimento
Precari: manifestazione a Roma il 9 aprile
Data:24 marzo 2011. | Autore: Noemi Diverio |
Sull’onda emotiva della protesta delle donne tenutasi il 13 febbraio, anche i precari hanno deciso di dire basta e scenderanno compatti in piazza a Roma il 9 Aprile per dar sfogo a tutta la loro frustrazione. Stop ai contratti che non offrono garanzie, ai lavoratori sottopagati, agli stage gratuiti finalizzati solo ad avere manodopera gratis.
La vita non aspetta
I giovani (ma non solo)sono stufi di non poter fare progetti per il futuro, di non potersi costruire una famiglia, di studiare per poi trovarsi ad alimentare le fila dei disoccupati. Anche lo slogan richiama una soluzione immediata molto simile al “se non ora quando” delle donne stufe dei compromessi: “Il nostro tempo è adesso. La vita non aspetta. Una frase che racchiude tutta l’esasperazione di una generazione senza via d’uscita che combatte per vedere i propri sogni realizzati. Dalle pagine de “Il fatto quotidiano” si apprende che non solo a Roma, ma anche in altre città d’Italia, si innalzerà un coro di voci di ragazzi che non fanno parte di gruppi sindacalisti (che per il momento non convincono) eccezion fatta per Ilaria Lani, della Cgil giovani. La provenienza degli organizzatori è varia ma sono tutti accumunati da una situazione di incertezza per il futuro data anche dalla presa di coscienza che non ci sono lauree e master veramente utili per essere inseriti nel tessuto lavorativo.
La parola a chi sa cosa significa essere precario
La parola chiave della manifestazione è il “presente”. Risposte subito, soluzioni subito. Si richiede un confronto aperto con chi conosca “dall’interno” il problema. Qualcuno che non si erga a sentenziare senza aver mai vissuto sulla propria pelle il dramma dell’essere senza lavoro, senza stipendio e senza futuro.
Non è più il momento di aspettare.
Libia: Gheddafi assedia Misurata, aereo libico abbattuto dai francesi
La guerra in Libia prosegue senza sosta. I raid alleati hanno preso di mira Tripoli e, in particolare, continuano a cercare di colpire il bunker del rais.Nel frattempo le truppe di Gheddafi hanno messo sotto assedio la città di Misurata che è ormai allo stremo: mancano acqua e corrente elettrica e sono migliaia i civili uccisi dalle milizie del colonnello. I ribelli mantengono, però, ancora il controllo del porto della città.Ieri un caccia francese è riuscito ad abbattere un aereo libicoche si stava levando in volo per bombardare gli oppositori di Gheddafi.
Pubblicato il 25 Mar 2011
Libia, Sarkozy provoca ancora: "Intesa con Gb" L'Italia si arrabbia: "Abbiamo proposte diverse"
Dietrofront di Francia e Gran Bretagna: ora puntano alla via politica. Ma Frattini: "Anche noi abbiamo idee". Domenica la guida di "tutte le operazioni militari" in Libia alla Nato. Berlusconi: "Sono assolutamente soddisfatto". La Ue è pronta a impedire che gli introiti provenienti da gas e petrolio finiscano nelle tasche di Gheddafi
Frattini ha delle idee "Anche l’Italia ha le sue idee e le sue proposte, e le farà valere nelle sedi opportune e nei prossimi appuntamenti discutendole con i nostri partner" riferisconoautorevoli fonti della Farnesina commentando l’annuncio del presidente francese Sarkozy di un’iniziativa "politica e diplomatica" franco-britannica sulla crisi libica. "Qualsiasi soluzione politica a ogni modo - osservano le stesse fonti - dovrà necessariamente passare per il consenso dei Paesi Ue, della coalizione e dunque anche dell’Italia".
Tutto alla Nato Domenica, intanto, la Nato assumerà la guida di "tutte le operazioni militari in Libia". La decisione sarà finalizzata domenica, come confermano il ministro degli Esteri, Franco Frattini e fonti dell'Alleanza Atlantica. "Ciò significa - hanno precisato dall'Alleanza - che non ci sarà più la coalizione dei volenterosi e quella della Nato, ma solo una coalizione internazionale a guida Nato". L’Alleanza atlantica guida già le operazioni per assicurare il rispetto dell’embargo delle armi contro la Libia e l’interdizione e quella, concordata ieri, per l’interdizione della no-fly zone nei cieli libici. "Il prossimo passo sarà la presa di controllo di tutte le operazioni militari relative alla Libia", hanno riferito le fonti. "La Nato opererà per la piena implementazione della risoluzione 1973 dell’Onu non andando oltre", hanno precisato. Domani e domenica il comitato militare della Nato metterà a punto il piano militare per assumere la guida di tutte le operazioni, incluso le decisioni sulle regole di ingaggio. Domenica pomeriggio dovrebbe poi riunirsi il Consiglio atlantico dell’Alleanza per mettere il timbro politico sulle decisioni.
Berlusconi soddisfatto Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha espresso soddisfazione per le decisioni assunte alla Nato sul comando della missione in Libia. Ai giornalisti che gli chiedevano se fosse soddisfatto per i nuovi sviluppi, il premier, lasciando l’albergo per recarsi alla seconda giornata dei lavori del Consiglio europeo, ha risposto sorridente: "Assolutamente sì". E poi ha aggiunto: "Non avete ancora capito? Governare è fare, non dichiarare...".
Berlusconi soddisfatto Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha espresso soddisfazione per le decisioni assunte alla Nato sul comando della missione in Libia. Ai giornalisti che gli chiedevano se fosse soddisfatto per i nuovi sviluppi, il premier, lasciando l’albergo per recarsi alla seconda giornata dei lavori del Consiglio europeo, ha risposto sorridente: "Assolutamente sì". E poi ha aggiunto: "Non avete ancora capito? Governare è fare, non dichiarare...".
Gb: forze speciali in Libia Per quanto ufficialmente tutti escludano operazioni di terra in Libia, 350 militari delle forze speciali britanniche sarebbero già operativi nel paese. Secondo quanto scrive il Mail oltre ai 250 uomini già presenti da diverso tempo in Libia questa settimana hanno passato la frontiera un centinaio di uomini del Gruppo di supporto forze speciale (Sfsg). Un alto ufficiale britannico ha spiegato: "Il nostro scopo è mantenere un basso profilo e fornire quelle informazioni che possano facilitare la situazione e aiutare le altre agenzie (l’aviazione, ndr) a individuare e distruggere gli obbiettivi".
Ue pronta a bloccare gas e petrolio Intanto l’Unione Europea è pronta a formulare e adottare nuove sanzioni contro la Libia, in particolare introducendo misure destinate ad assicurare che gli introiti provenienti da petrolio e gas non finiscano nelle tasche del regime di Gheddafi: i paesi Ue presenteranno proposte in questo senso al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Lo ha confermato il presidente Herman Van Rompuy al termine del vertice europeo a Bruxelles: "Vogliamo bloccare il flusso dei ricavi dalle vendite di petrolio e gas. Maggiore assistenza umanitaria se necessario, perchè la situazione rimane preoccupante. E una conferma dei nostri obiettivi politici: Gheddafi deve andarsene, e ci deve essere una transizione politica guidata dai libici". Van Ropuy ha parlato di Ue unita e determinata, ma grandi discussioni ci sono state nella lunga notte del vertice sul blocco. La posizione tedesca si è sempre attestata sulla necessità di una decisione della Ue da non subordinare a nuove scelte Onu data la probabile opposizione di Russia e Cina. Ma un embargo su petrolio e gas (nella forma del congelamento dei pagamenti visto che attualmente le forniture sono bloccate) solo in territorio Ue non avrebbe grande significato dal momento che potrebbe facilmente essere aggirato.
Ue pronta a bloccare gas e petrolio Intanto l’Unione Europea è pronta a formulare e adottare nuove sanzioni contro la Libia, in particolare introducendo misure destinate ad assicurare che gli introiti provenienti da petrolio e gas non finiscano nelle tasche del regime di Gheddafi: i paesi Ue presenteranno proposte in questo senso al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Lo ha confermato il presidente Herman Van Rompuy al termine del vertice europeo a Bruxelles: "Vogliamo bloccare il flusso dei ricavi dalle vendite di petrolio e gas. Maggiore assistenza umanitaria se necessario, perchè la situazione rimane preoccupante. E una conferma dei nostri obiettivi politici: Gheddafi deve andarsene, e ci deve essere una transizione politica guidata dai libici". Van Ropuy ha parlato di Ue unita e determinata, ma grandi discussioni ci sono state nella lunga notte del vertice sul blocco. La posizione tedesca si è sempre attestata sulla necessità di una decisione della Ue da non subordinare a nuove scelte Onu data la probabile opposizione di Russia e Cina. Ma un embargo su petrolio e gas (nella forma del congelamento dei pagamenti visto che attualmente le forniture sono bloccate) solo in territorio Ue non avrebbe grande significato dal momento che potrebbe facilmente essere aggirato.
Libia/ Clinton: Forze Gheddafi arretrano ma restano una minaccia
"Coalizione resti vigile, però partecipazione Usa sarà limitata"
Washington, 25 mar. (TMNews) - Le forze fedeli al colonnello Muammar Gheddafi hanno arretrato ma restano una minaccia: è quanto ha detto ieri il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, che ha reso omaggio al contributo arabo alla coalizione internazionale entrata in azione contro il regime del colonnello. "Abbiamo fatto progressi importanti in soli cinque giorni", ha affermato il capo della diplomazia di Washington, sottolineando che "è stato impedito un massacro a Bengasi". "L'esercito dell'aria e le difese di Gheddafi sono stati resi in gran parte inefficaci, e la coalizione controlla il cielo libico", ha proseguito Hillary Clinton.
"Le truppe di Gheddafi sono state respinte, ma rimangono una grave minaccia per la sicurezza della popolazione", ha tuttavia osservato Hillary Clinton. La coalizione deve dunque "restare vigile e concentrata", ha insistito, anche se la partecipazione americana alle operazioni sarà "limitata nel tempo e negli obiettivi".
(fonte afp)
"Le truppe di Gheddafi sono state respinte, ma rimangono una grave minaccia per la sicurezza della popolazione", ha tuttavia osservato Hillary Clinton. La coalizione deve dunque "restare vigile e concentrata", ha insistito, anche se la partecipazione americana alle operazioni sarà "limitata nel tempo e negli obiettivi".
(fonte afp)
Libia/ Fedelissimi di Gheddafi trattano con Usa e Paesi arabi
Roma, 24 mar. (TMNews) - I fedelissimi del leader libico Muammar Gheddafi hanno avviato contatti con l'amministrazione americana e con alcuni Stati arabi per esplorare possibili vie di uscita dalla crisi in corso nel Paese del Nord Africa.
"Non mi sorprende se, data la forte pressione, alcuni abbiano avviato contatti, alla ricerca di eventuali via di uscita. Ma non entrerò nel dettaglio", ha detto all'emittente americana MSNBC Denis McDonough, stretto consigliere del Presidente Usa Barack Obama. Ieri, era stato lo stesso Segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, in un'intervista all'Abc, a riferire di contatti avviati da persone vicine a Gheddafi: "Abbiamo saputo che persone vicine (a Gheddafi) stanno contattando quanti conoscono in tutto il mondo, in Africa, in Medio Oriente, in Europa, in Nord America e altrove, chiedendo: 'Cosa facciamo? Come ne usciamo da tutto questo? Cosa accadrà?. Non sono al corrente di contatti avviati da Gheddafi, ma so di contatti avviati da persone che agiscono per suo conto".
Diverse fonti Usa hanno riferito alla Cnn che il capo dell'intelligence e cognato di Gheddafi, Abdullah Sanussi, ritenuto il consigliere più fidato dal leader libico, ha contatti quasi quotidiani con il Dipartimento di Stato Usa, mentre il ministro degli Esteri libico, Musa Kusa, avrebbe chiamato in diverse occasioni.
Anche alcuni Paesi arabi, alleati degli Usa, hanno riferito di essere stati contattati da fedelissimi del colonnello, anche se nessuno di loro ha parlato di un Gheddafi pronto a lasciare il Paese nè di possibili defezioni. "Ci hanno contattato, ma non è chiaro a quale scopo - ha detto una fonte citata dalla Cnn - non è chiaro l'obiettivo di queste chiamate". Una fonte dell'intelligence Usa ha confermato che non ci sono "indizi seri" del fatto che Gheddafi sia pronto a lasciare.
Ieri, Clinton ha ribadito, in un incontro con la stampa, che "Gheddafi ha una decisione da prendere, così come le persone che lo circondano". "Spetta a Gheddafi e ai suoi fedelissimi decidere quali passi fare e noi certamente faremo in modo che prendano la giusta decisione, non solo che si arrivi a un vero cessate il fuoco, ma che si ritirino della città, che pongano fine alle azioni militari e che si preparino a una transizione che non coinvolga Gheddafi".
Dal Cairo, anche il Segretario alla Difesa Robert Gates ha dichiarato che sono diverse le "possibili vie di uscita" per la crisi libica, "se ci sono defezioni importanti, altre defezioni dai parte dei fedelissimi del regime e se ci sono divisioni in famiglia".
(con fonte Afp)
"Non mi sorprende se, data la forte pressione, alcuni abbiano avviato contatti, alla ricerca di eventuali via di uscita. Ma non entrerò nel dettaglio", ha detto all'emittente americana MSNBC Denis McDonough, stretto consigliere del Presidente Usa Barack Obama. Ieri, era stato lo stesso Segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, in un'intervista all'Abc, a riferire di contatti avviati da persone vicine a Gheddafi: "Abbiamo saputo che persone vicine (a Gheddafi) stanno contattando quanti conoscono in tutto il mondo, in Africa, in Medio Oriente, in Europa, in Nord America e altrove, chiedendo: 'Cosa facciamo? Come ne usciamo da tutto questo? Cosa accadrà?. Non sono al corrente di contatti avviati da Gheddafi, ma so di contatti avviati da persone che agiscono per suo conto".
Diverse fonti Usa hanno riferito alla Cnn che il capo dell'intelligence e cognato di Gheddafi, Abdullah Sanussi, ritenuto il consigliere più fidato dal leader libico, ha contatti quasi quotidiani con il Dipartimento di Stato Usa, mentre il ministro degli Esteri libico, Musa Kusa, avrebbe chiamato in diverse occasioni.
Anche alcuni Paesi arabi, alleati degli Usa, hanno riferito di essere stati contattati da fedelissimi del colonnello, anche se nessuno di loro ha parlato di un Gheddafi pronto a lasciare il Paese nè di possibili defezioni. "Ci hanno contattato, ma non è chiaro a quale scopo - ha detto una fonte citata dalla Cnn - non è chiaro l'obiettivo di queste chiamate". Una fonte dell'intelligence Usa ha confermato che non ci sono "indizi seri" del fatto che Gheddafi sia pronto a lasciare.
Ieri, Clinton ha ribadito, in un incontro con la stampa, che "Gheddafi ha una decisione da prendere, così come le persone che lo circondano". "Spetta a Gheddafi e ai suoi fedelissimi decidere quali passi fare e noi certamente faremo in modo che prendano la giusta decisione, non solo che si arrivi a un vero cessate il fuoco, ma che si ritirino della città, che pongano fine alle azioni militari e che si preparino a una transizione che non coinvolga Gheddafi".
Dal Cairo, anche il Segretario alla Difesa Robert Gates ha dichiarato che sono diverse le "possibili vie di uscita" per la crisi libica, "se ci sono defezioni importanti, altre defezioni dai parte dei fedelissimi del regime e se ci sono divisioni in famiglia".
(con fonte Afp)
Bombe sulla roccaforte di Gheddafi, stranieri bloccati in Libia
La Camera approva l'intervento voluto dall'Onu, duro scontro tra Frattini e Di Pietro. Uomini del Raìs trattano con Usa e arabi
Roma, 24 mar. (TMNews) - Sono ripresi nuovamente i bombardamenti della coalizione internazionale su Sebha, una delle roccaforti del leader libico Muammar Gheddafi. Il regime ha accusato "l'aggressore colonialista" di avere fatto "molte vittime civili" e ha mostrato in tv 18 corpi carbonizzati dalle bombe. Nel Paese, secondo l'Organizzazione mondiale delle migrazioni, si trovano bloccati almeno 800mila stranieri. Sul fronte politico è ancora aperta la discussione sul ruolo della Nato mentre all'Italia è andato il comando delle forze navali congiunte che faranno rispettare l'embargo sulle armi. Alla Camera intanto duro scontro tra il ministro degli Esteri Franco Frattini e il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, poco prima del voto finale con cui l'aula ha approvato sulla questione Libia, grazie ai voti della Lega, sia la mozione di maggioranza che quella presentata dalle opposizioni.
Il testo di Pdl e Lega è passato con appena 7 voti di maggioranza. Di Pietro ha attaccato duramente il governo definendo "dei conigli" sia Berlusconi, che non era in aula, sia Frattini. Il titolare della Farnesina è uscito dall'aula proprio mentre l'ex Pm citava una sua intervista di gennaio in cui elogiava Gheddafi.
Nel frattempo uomini dell'amministrazione americana hanno fatto sapere che i fedelissimi del Raìs hanno avviato contatti con gli Usa e con alcuni Stati arabi per esplorare possibili vie di uscita dalla crisi. "Non mi sorprende se, data la forte pressione, alcuni abbiano avviato contatti, alla ricerca di eventuali via di uscita. Ma non entrerò nel dettaglio", ha detto all'emittente americana MSNBC Denis McDonough, stretto consigliere del Presidente Usa Barack Obama.
Sulla linea della trattativa diplomatica ha insistito anche Silvio Berlusconi che ha invitato il rais libico a "ordinare il cessate il fuoco" per arrivare ad una mediazione politica. "L'Italia non è in guerra e non vuole entrarci - ha detto il premier in una intervista al Corriere della Sera. Intervenendo alla Camera il ministro della Difesa Ignazio la Russa, ha spiegato che gli aerei italiani sono usati contro i radar e che finora non hanno mai sparato. In tutto, ha detto, i nostri caccia hanno compiuto "10 missioni e 32 sortite".
Sul campo intanto le forze fedeli al regime di Muammar Gheddafi hanno bombardato il principale ospedale di Misurata La Francia apre a un intervento dell'Alleanza atlantica ma solo "per comodità" e poi rilancia: "Fieri di quanto fatto finora in Libia".
Maz-Bat
Il testo di Pdl e Lega è passato con appena 7 voti di maggioranza. Di Pietro ha attaccato duramente il governo definendo "dei conigli" sia Berlusconi, che non era in aula, sia Frattini. Il titolare della Farnesina è uscito dall'aula proprio mentre l'ex Pm citava una sua intervista di gennaio in cui elogiava Gheddafi.
Nel frattempo uomini dell'amministrazione americana hanno fatto sapere che i fedelissimi del Raìs hanno avviato contatti con gli Usa e con alcuni Stati arabi per esplorare possibili vie di uscita dalla crisi. "Non mi sorprende se, data la forte pressione, alcuni abbiano avviato contatti, alla ricerca di eventuali via di uscita. Ma non entrerò nel dettaglio", ha detto all'emittente americana MSNBC Denis McDonough, stretto consigliere del Presidente Usa Barack Obama.
Sulla linea della trattativa diplomatica ha insistito anche Silvio Berlusconi che ha invitato il rais libico a "ordinare il cessate il fuoco" per arrivare ad una mediazione politica. "L'Italia non è in guerra e non vuole entrarci - ha detto il premier in una intervista al Corriere della Sera. Intervenendo alla Camera il ministro della Difesa Ignazio la Russa, ha spiegato che gli aerei italiani sono usati contro i radar e che finora non hanno mai sparato. In tutto, ha detto, i nostri caccia hanno compiuto "10 missioni e 32 sortite".
Sul campo intanto le forze fedeli al regime di Muammar Gheddafi hanno bombardato il principale ospedale di Misurata La Francia apre a un intervento dell'Alleanza atlantica ma solo "per comodità" e poi rilancia: "Fieri di quanto fatto finora in Libia".
Maz-Bat
LIBIA: UE PRONTA A NUOVE SANZIONI SU GAS E PETROLIO |
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(ASCA) - Bruxelles, 25 mar - L'Unione europea propone nuove sanzioni su gas e petrolio nei confronti della Libia, ribadendo cheGheddafi deve lasciare la guida del paese nordafricano e che comunque le operazioni militari ''si concluderanno quando la popolazione civile sara' al sicuro dalla minaccia di attacchi e quando gli obiettivi della risoluzione 1973 saranno raggiunti''. E' quanto hanno deciso ieri a tarda sera i Ventisette paesi dell'Ue, riuniti a Bruxelles per il consueto Consiglio di primavera. L'Unione europea, su forte sollecitazione della Germania, e' quindi pronta ad adottare nuove sanzioni nei confronti della Libia, ''incluse quelle necessarie per impedire che gli introiti derivanti dalla vendita di petrolio e gas arrivino al regime di Gheddafi''. Una linea che i Paesi dell'Unione presenteranno al Consiglio di Sicurezza dell'Onu. L'Europa, quasi a voler mettere fine alle polemiche sull'eccessivo interventismo della Francia, nel documento finale riconosce che la riunione svoltasi a Parigi sabato scorso - con la quale e' stato dato il via all'azione militare in Libia - ha dato un ''contributo decisivo'' all'applicazione della risoluzione dell'Onu. Un'azione, quella avviata contro Gheddafi, che ha ''contribuito a salvare vite umane''. Nelle conclusioni si legge che quando la popolazione sara' al sicuro e al riparo dalla minaccia di attacchi ''le operazioni militari termineranno''. L'Ue sottolinea poi il ruolo ''cruciale'' dei Paesi arabi, e in particolare della Lega Araba, nella messa in atto della risoluzione del Palazzo di Vetro e nella ricerca di una '''soluzione politica'' della crisi. Tutto questo, viene precisato, con la nuova sollecitazione a Gheddafi ad ''andarsene immediatamente'' e con sullo sfondo la necessita' di salvaguardare la sovranita' e l'integrita' territoriale della Libia. Dall'Ue sembra essere arrivata anche una risposta alle pressioni dell'Italia in materia di profughi. L'Unione si e' impegnata a potenziare l'assistenza umanitaria, ricorrendo anche a mezzi navali, per una situazione che resta motivo di ''grande preoccupazione''. Questo significa, viene detto, per esempio piu' uomini e risorse, in particolare per le operazioni di Frontex davanti alle coste tunisine. fdv/cam/lv |
Sterminio in Libia a opera di Gheddafi, Onu: scomparse migliaia di persone
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25/3/2011 ROMA - Da Porta a Porta, di Bruno Vespa, del 24/25 marzo 2011: "Esperti dell'Onu parlano di migliaia di persone scomparse in Libia da alcuni mesi". Si teme una mattanza da parte degli uomini del dittatore Gheddafi. Sarebbe un ennesimo sterminio da parte del colonnello sanguinario. Altre notizie. Guerra nei cieli della Libia tra aerei francesi e velivoli di Gheddafi. ROMA - Guerra nei cieli della Libia, velivoli francesi avrebbero abbattuto aerei libici che stavano violando la no fly zone. Mentre continua il martellamento a suon di bombe da parte della coalizione occidenteale. Attacco terrestre per stanare Gheddafi, Sarkozy è pronto. Alleato non allineato. ROMA - La Francia balla da sola in Libia. Alleata non allineata. Sarkozy pronto all'attacco terrestre per stanare Gheddafi, poi cambia idea. "La risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell'Onu possiede una base giuridica estremamente larga da permettere delle forme di intervento con tiri al suolo, ma senza un dispiegamento di forze terrestri", ha detto il ministro francese della Difesa, Gerard Longuet. Si è inteso immediatamente che la Francia volesse invadere anche per via terrestre la Libia. Poi il ministro ha spiegato che intendeva fare riferimento solo alle incursioni aeree "contro obiettivi a terra". Libia, attacco al bunker di Gheddafi. Colonnello costretto a trattare la resa. ROMA - Attacco al bunker di Gheddafi (Al Arabija). Mentre i fedelissimi del rais contattano gli Stati Uniti (Cnn). Il colonnello vorrebbe trattare per salvarsi la vita. |
Ultimissime - Libia - Gheddafi e il potere da mantenere
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Gheddafi così lotta per il suo fine, il mantenimento del potere e da terrorista o difensore e finanziatore dei terroristi divenne un paladino dell’Occidente contro l’integralismo fanatico.
Oggi potrebbe tornare a finanziare gli integralisti, ad allearsi con Al Qaeda, portando il terrorismo dentro il Mediterraneo.
Che ci sia una guerra in corso per il controllo del petrolio, ma soprattutto per avere vantaggi in investimenti internazionali, non ci sono dubbi: Gheddafi lotta per vincere e morire, ma è pure un abile diplomatico, uno scaltro politico.
Se fosse veramente con le spalle al muro si dimetterebbe, si ritirerebbe in pensione, in qualche isola o in qualche stato.......fratello disposto ad accoglierlo con tutti i suoi soldi, con la solo contro parte dell'impunità per i suoi numerosi crimini.
E' in corso un conflitto per il controllo degli affari nel Mediterraneo?
Se così fosse ci troveremmo in piena guerra coloniale e per di più si utilizzerebbero dei metodi anacronistici, con la tecnica dello scontro armato con l'aiuto di terzi belligeranti.
Pubblicato da Arduino.Rossi a 08:06
MERKEL CHIEDE EMBARGO PETROLIFERO CONTRO LIBIA – Mentre il quinto giorno dell’operazioneOdissey Dawn in Libiavolge al termine, dai leader europei emergono varie proposte in merito a misure da varare controMuammar Gheddafi che possano facilitare la conclusione del conflitto. Durante un intervento al Bundestag, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha dichiarato che sarebbe necessario applicare un “embargo petrolifero completo” contro la Libia e “ampie restrizioni al commercio”. La cancelliera auspica di raggiungere “una posizione comune” con i partner europei su questo punto.
E’ scattato ieri, invece, l’embargo sulle armi, per impedire il rifornimento di armi al regime e l’invio di mercenari. Oggi Rinaldo Vieri, comandante delle forze navali Nato nel Mediterraneo, ha spiegato che verrà messo in atto un “embargo severo fino all’abbordaggio forzato delle navi sospette”. L’ammiraglio coordina navi, sottomarini e velivoli destinati al pattugliamento.
E’ scattato ieri, invece, l’embargo sulle armi, per impedire il rifornimento di armi al regime e l’invio di mercenari. Oggi Rinaldo Vieri, comandante delle forze navali Nato nel Mediterraneo, ha spiegato che verrà messo in atto un “embargo severo fino all’abbordaggio forzato delle navi sospette”. L’ammiraglio coordina navi, sottomarini e velivoli destinati al pattugliamento.
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