Se non ora…chissà quando
Creato il 19 aprile 2011 da Albertocapece
Il 13 febbraio scorso un milione di donne (e uomini) hanno riempito le piazze italiane nella manifestazione “Se non ora Quando?” per protestare contro l’arretramento della condizione delle donne in Italia, la denigrazione della loro immagine proposta ossessivamente dai media come un oggetto sessuale, e l’uso strumentale dei loro corpi da parte del potere. La partecipazione altissima faceva sperare nel risveglio collettivo delle coscienze operata soprattutto dalle donne italiane. Eppure lavata l’onta dell’offesa alla donna italiana, l’indignazione, la rabbia, la partecipazione popolare ha avuto una battuta di arresto. Le coscienze delle donne (e degli uomini) sono tornate silenti, addormentate, ignave?
Sono trascorsi due mesi e in un altro giorno 13, quello di aprile, il processo breve è stato approvato con un colpo mortale alla democrazia italiana; che la legge sia fatta per proteggere Berlusconi dai suoi processi lo dicono ormai senza alcun pudore i parlamentari del pdl che non si curano più di presentare quella legge iniqua per una riforma della giustizia: l’abnorme è diventato norma. L’approvazione della legge sarebbe una legittima difesa per “gli attacchi” della magistratura, ovvero i legittimi processi, a Berlusconi. Così senza ritegno è ammesso lo scardinamento di uno dei principi fondanti di tutte le democrazie: l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Dal 13 aprile è lecito che un singolo in virtù di una posizione di potere, pieghi un interno sistema giudiziario a suo uso e consumo e chissenefrega se andranno al macero migliaia di processi, se migliaia di italiani e italiane non otterranno giustizia, comprese le vittime di stalking, molestie sessuali, stupro, mutilazioni genitali. Gli incensurati potranno avvantaggiarsi della prescrizione breve, e le statistiche ci dicono molto bene quanto degli odiosi reati sessuali siano responsabili soprattutto uomini cosiddetti per bene. Così come manager e imprenditori incensurati sono responsabili, per esempio, di stragi dolose o colpose nel lavoro o nell’edilizia.
In nome del riconoscimento di quelle responsabilità davanti al Parlamento il 13 aprile, alcune donne ricordando le vittime di Viareggio, del terremoto de l’Aquila, e di altri delitti che hanno provocato decine di morti, hanno gridato il loro sdegno, la loro rabbia, chiedendo giustizia per quelle morti, per quei corpi straziati.
Ma erano poche, troppo poche per la gravità e l’oltraggio della democrazia e al diritto alla giustizia. Quelle donne sono state lasciate sole. Dove erano tutte le altre, quelle del 13 febbraio che hanno denunciato (e a ragione) l’ umiliazione della loro dignità per essere ridotte nell’immaginario collettivo, alla dimensione sessuale. Eppure se le piazze sono state riempite il 13 febbraio scorso la molla è stata proprio una questione legata alla sessualità. Gli scandali del premier e i suoi affari con numerose prostitute, di cui almeno due minorenni, e le ex amanti a cui sono stati concessi incarichi politici: ma è solo sul corpo che a noi donne interessa rivendicare la libertà e il rispetto della dignità? Pare sia così.
Del resto la catatonia del Paese rispetto alla gravissima violazione del principio di uguaglianza rischia di diventare carta bianca per il clan di Berlusconi e dei suoi parlamentari, per fondare una sorta di principato a tutto servizio del princeps: ma per le italiane e gli italiani, è accettabile ogni arbitrio purché si astenga dalla pratica dello ius primae noctis? La dignità della donna è stata difesa dalle italiane e dagli italiani il 13 febbraio scorso, quando si è risposto agli insulti del premier, e la faccia è stata salvata davanti all’Europa, se poi dal 13 aprile siamo tutti suoi sudditi, ha ben poca importanza: siamo sudditi ma con un certo decoro!
Il quaquaraquà cosmico e l’opposizione minima
Cara Europa, giornali radio e telegiornali ci hanno bombardato in questi giorni di attacchi ai giudici comunisti, anzi brigatisti, e di professori comunisti che attraverso libri comunisti «inculcano» nei ragazzi valori contrari a quelli della famiglia, che perciò farà meglio a togliere i figli dalle scuole dello stato e mandarli alle scuole cattoliche. Sono parole del «quaquaraquà cosmico» di Arcore, come lo ha definito Roberto Vecchioni, professore di latino e greco e vincitore dell’ultimo Festival di San Remo. Ma io capisco l’esigenza di Berlusconi di sfuggire ai giudici di Milano per i reati di cui è accusato e di raccontare bubbole anticomuniste ai suoi elettori conservatori e disposti a ogni forma di fascismo; e capisco anche l’esigenza di farsi perdonare dalla Chiesa i suoi rapporti sessuali con minorenni e no (sarà questa la “famiglia” dei cui valori egli parla?) e perciò si trasforma in propagandista della scuola cattolica. Ma cosa fanno i partiti, i sindacati (se ancora esistono), gli intellettuali, i giovani, le famiglie appunto, per difendere l’Italia dal grande quaquaraquà, che affonda il paese per salvare se stesso?
ILARIO ASSUNTA, MILANO
Caro Assunta, la sua domanda ha contribuito a farmi scrivere l’articolo, che trova in altra parte del giornale, sul 18 aprile. Allora c’era davvero il comunismo staliniano, c’era la cortina di ferro dalla Finlandia a Trieste. C’erano il Patto Atlantico e il Patto di Varsavia.
Nel mio ricordo di quei giorni, per me giovanilissimi, c’è soprattutto – visto che lei richiama Vecchioni – la mobilitazione da una parte e dall’altra degli uomini di cultura: com’era successo 24 anni prima tra i firmatari del manifesto Gentile per Mussolini e i firmatari del manifesto Croce per lo stato liberaldemocratico.
Anche nel 1948 accadde la stessa cosa. Dalla parte del Fronte popolare si schierarono Alvaro, Quasimodo, Bontempelli, Repaci, Aleramo, D’Amico, De Ruggiero, Jovine, Purificato, Savinio, Bigiaretti, Bo, Bassani, Jemolo, De Cespedes, Ungaretti (che poi dichiarò di aver votato Dc). Dalla parte della coalizione degasperiana, Gaetano De Sanctis, autore della bozza, Croce, Einaudi, Silone, Arangio Ruiz, Gorresio, Antoni, Salvatorelli, Calosso, Branca, Gonella, La Pira, Angioletti, Stuparich, Parri, e tanti altri sull’uno e l’altro fronte. Adesso non so se esistano ancora tanti e tali uomini di pensiero, in ogni casi quelli che ci sono mi sembrano un po’ addormentati. Nel senso che non si svegliano per battaglie comuni, ma preferiscono muoversi come singoli, con genialità individuali, vedi Scalfari, Sartori, Veronesi, per citare, altri con estemporaneità come quella di Asor Rosa che invoca carabinieri e poliziotti per difendere la società libera, o della professoressa Paola Mastrocola, che scrive bei libri sulla scuola, insegna italiano vicino Torino e c’informa d’aver appena ascoltato «una stupenda lezione di Umberto Eco su memoria e oblio, sulla virtù del dimenticare». Una virtù che non userei per le parole di Berlusconi.
Mi chiedo quando gli uomini e le donne di cultura usciranno dal loro personalissimo impegno per lanciare tutti insieme il manifesto che sia di collante al centrosinistra. Non penso ai convegni dell’Eliseo, cinquant’anni dopo quelli che vi tenevano gli “Amici del Mondo”, che appunto contribuirono a fare il collante del primo centrosinistra; penso a incontri coi giovani, gli insegnanti, i magistrati, le famiglie, i precari a vita. Oggi, per esempio, l’Unione degli studenti tiene manifestazioni in 50 città, la parola d’ordine è “Siamo stanchi di questo governo che taglia miliardi alla scuola pubblica e se ne vanta”. Mi piacerebbe che gli studenti incontrassero in piazza gli uomini di pensiero e che facessero insieme un tratto di strada. Il modello, fin qui insuperato, resta quello del “Se non ora quando”, il milione di donne e uomini, giovani e anziani che si riunì a febbraio per iniziativa delle donne, dopo l’oltraggio del bunga bunga. L’oltraggio alle istituzioni non è meno grave di quello alla femminilità.
ILARIO ASSUNTA, MILANO
Caro Assunta, la sua domanda ha contribuito a farmi scrivere l’articolo, che trova in altra parte del giornale, sul 18 aprile. Allora c’era davvero il comunismo staliniano, c’era la cortina di ferro dalla Finlandia a Trieste. C’erano il Patto Atlantico e il Patto di Varsavia.
Nel mio ricordo di quei giorni, per me giovanilissimi, c’è soprattutto – visto che lei richiama Vecchioni – la mobilitazione da una parte e dall’altra degli uomini di cultura: com’era successo 24 anni prima tra i firmatari del manifesto Gentile per Mussolini e i firmatari del manifesto Croce per lo stato liberaldemocratico.
Anche nel 1948 accadde la stessa cosa. Dalla parte del Fronte popolare si schierarono Alvaro, Quasimodo, Bontempelli, Repaci, Aleramo, D’Amico, De Ruggiero, Jovine, Purificato, Savinio, Bigiaretti, Bo, Bassani, Jemolo, De Cespedes, Ungaretti (che poi dichiarò di aver votato Dc). Dalla parte della coalizione degasperiana, Gaetano De Sanctis, autore della bozza, Croce, Einaudi, Silone, Arangio Ruiz, Gorresio, Antoni, Salvatorelli, Calosso, Branca, Gonella, La Pira, Angioletti, Stuparich, Parri, e tanti altri sull’uno e l’altro fronte. Adesso non so se esistano ancora tanti e tali uomini di pensiero, in ogni casi quelli che ci sono mi sembrano un po’ addormentati. Nel senso che non si svegliano per battaglie comuni, ma preferiscono muoversi come singoli, con genialità individuali, vedi Scalfari, Sartori, Veronesi, per citare, altri con estemporaneità come quella di Asor Rosa che invoca carabinieri e poliziotti per difendere la società libera, o della professoressa Paola Mastrocola, che scrive bei libri sulla scuola, insegna italiano vicino Torino e c’informa d’aver appena ascoltato «una stupenda lezione di Umberto Eco su memoria e oblio, sulla virtù del dimenticare». Una virtù che non userei per le parole di Berlusconi.
Mi chiedo quando gli uomini e le donne di cultura usciranno dal loro personalissimo impegno per lanciare tutti insieme il manifesto che sia di collante al centrosinistra. Non penso ai convegni dell’Eliseo, cinquant’anni dopo quelli che vi tenevano gli “Amici del Mondo”, che appunto contribuirono a fare il collante del primo centrosinistra; penso a incontri coi giovani, gli insegnanti, i magistrati, le famiglie, i precari a vita. Oggi, per esempio, l’Unione degli studenti tiene manifestazioni in 50 città, la parola d’ordine è “Siamo stanchi di questo governo che taglia miliardi alla scuola pubblica e se ne vanta”. Mi piacerebbe che gli studenti incontrassero in piazza gli uomini di pensiero e che facessero insieme un tratto di strada. Il modello, fin qui insuperato, resta quello del “Se non ora quando”, il milione di donne e uomini, giovani e anziani che si riunì a febbraio per iniziativa delle donne, dopo l’oltraggio del bunga bunga. L’oltraggio alle istituzioni non è meno grave di quello alla femminilità.
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