Per il 150° dell’Unità d’Italia e per far sì che le celebrazioni non siano vuote e formali, bisogna dar seguito, come bene sottolinea il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a riflessioni storiografiche capaci di far rivivere il senso della storia italiana, tenendo conto delle persone in carne e ossa, del loro vissuto, soprattutto quando, come nel caso della partecipazione femminile, è rimasto come silente. La storia degli uomini e delle donne, spesso, è (stata) rinchiusa all’interno di eventi dominanti, presi come tratto oggettivo di tutta un’epoca. In realtà, l’approccio storico non è mai oggettivo di per sé, ma ovviamente esprime uno sguardo e indica una prospettiva. Il criterio per prendere atto dell’intervento delle donne è provocatoriamente proprio quello della soggettività, nel senso di s-coprirne la portata specifica, perché, come nel caso del Risorgimento italiano, è impossibile non registrarne la presenza, così fitta e anche socialmente trasversale: dalle intellettuali alle popolane, dalle borghesi alle operaie, dalle aristocratiche alle contadine. Ma in che modo? Appiattita sullo sfondo o archiviata come eccezione? Evidenzia la studiosa Gianna Pomata che la storia delle donne è, da una parte, una storia di confine e non solo in quanto spesso emarginata dalla storiografia ufficiale, ma, soprattutto, perché, così posizionata, permette paradossalmente una maggiore e profonda visibilità e, dall’altra parte, risulta essere una storia carsica che trova forme proprie, tutte da s-covare, senza farne mai, però, in modo riduttivo, una semplice storia particolare, ridotta magari a marginalità o chiusa e incorniciata in ritagli e medaglioni e, di fatto, contrapposta alla cosiddetta storia generale. Non si tratta, però, di rivendicarne la semplice registrazione come un’aggiunta, ma di coglierne la specificità, proprio per questo suo carattere carsico e di confine, offre la possibilità di mostrare ciò che è sottaciuto e di entrare così in ogni piano storico: da quello sociale a quello economico, al piano politico. Ora, questa lettura della storia è stata resa possibile nella contemporaneità, anche grazie ai Women’s studies, quale uno degli esiti più fecondi del Movimento delle Donne del 900. Nel senso che, quando un tale soggetto politico entra nella storia, si apre un mondo e, rendendo possibile la visibilità del corpo femminile, apre scenari e nuove geografie, rinnovando le stesse modalità della ricerca storica, attraverso, per esempio, l’uso di altre e/o nuove fonti, dai diari alle lettere, al vestiario. Da tale risorgenza soggettiva, scrive la storica Anna Rossi-Doria, si può delineare con chiarezza, in senso politico, la parabola di un lungo risorgimento delle donne: dal settembre 1791 al giugno 1946. E’ una datazione ben precisa che segna di sé la stessa modernità occidentale, espressa con la nozione privato/pubblico: dalla Dichiarazione del Diritti della Donna e della Cittadina di Olympe de Gouges al voto delle donne italiane. Il Risorgimento segna in Italia così quel passaggio e quel nodo politico, formativo dell’habitus nazionale, di cui poi la Resistenza al Nazifascismo esprimerà una nuova risorgenza costitutiva in tutti i sensi. Per questo le azioni, gli atti, le prese di posizione assumono un grande valore simbolico proprio sulla linea della modernità costituente. Dai cahiers de doleances ai salotti, ai circoli femminili e ai Comitati pro voto: una storia fitta che dilaga come una piena imprevista. L’invisibilità ufficiale è proprio nel non riconoscimento, delineando tutt’al più stereotipi (dalle filantrope alle artiste) che fanno scomparire, di fatto, nei documenti scritti, l’agire femminile. Il percorso emancipazionista (prima di sfociare nel processo di liberazione del secondo 900) passa attraverso le carbonare (dette “le giardiniere”), le mazziniane, le garibaldine attraverso azioni individuali, spesso quest’ultime accanto alle imprese degli eroi, ma anche attraverso azioni collettive, più proprie e autonome (dai comitati ai battaglioni femminili, alle scuole di mutuo soccorso). Una divisione dei ruoli, spesso riperpetuata come naturale, che mostra, però, la condizione storica della donna: dal diritto di famiglia patriarcale, ribadito dal Codice napoleonico (bisognerà in Italia aspettare il 1975 per il nuovo diritto di famiglia) a una certa mistica della femminilità, essenzialmente di servizio, come poi Mussolini riprenderà con le sue famose tre “M”: Moglie Madre Massaia. In realtà, la rottura si compie e da quel crinale le donne non solo emergono e si mostrano nella modernità, ma la segnano con la propria coscienza di sé, avviandone il cammino e lanciando così un testimone che arriva fino ai giorni nostri rispetto proprio alla dignità della donna in quanto persona. Da qui si può, allora, (ri)avviare la narrazione storica con nomi e cognomi.
Patrizia Caporossi
Filosofa e Storica delle Donne
Docente al Liceo “Rinaldini”
da" Corriere Adriatico"
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