PER RIPRENDERCI LA NOSTRA DIGNITA'

domenica 27 marzo 2011

27 MARZO: RASSEGNA STAMPA



Guerra in Libia, Obama: “Possiamo essere orgogliosi delle vite che salviamo”
obama libia
Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha parlato oggi in un’intervista radiofonica dell’operazione lanciata dagli alleati in Libia, il cui controllo è stato trasferito alla NATO. “Ogni statunitense può essere orgoglioso delle vite che abbiamo salvato” ha dichiarato Obama, il quale ha ribadito la decisione di autorizzare la partecipazione delle forze armate americane per salvare il popolo libico dalla brutalità di Mu’ammar Gheddafi.
Abbiamo fatto progressi significativi“, ha continuato, aggiungendo che le difese aeree del leader libico sono state cancellate e le sue forze “non stanno più avanzando“. Obama ha dichiarato che gli Stati Uniti “non devono e non possono intervenire ogni volta si presenti una crisi in qualche parte del mondo” precisando però che “quando qualcuno come Gheddafi minaccia un bagno di sangue che può destabilizzare un’intera regione, e quando la comunità internazionale è preparata per salvare, insieme, migliaia di persone, allora è nel nostro interesse agire”.

Comunicato dell'Associazione per la Liberazione degli Operai sulla guerra in Libia

Sarebbe stato meglio perdere Bengasi combattendo che passare dal dominio di un padrone libico a quello di un padrone occidentale, assetato di petrolio. Ma questa è una questione che solo gli insorti possono risolvere. La santa alleanza dei padroni europei ed americani, la loro aggressione armata alla Libia viene giustificata con la scusa di proteggere i civili, le donne e i bambini. Una menzogna.

Le compagnie petrolifere, i loro manager e gli azionisti e i governi che ne difendono gli interessi, si stanno facendo, sulla pelle della popolazione libica, una spietata concorrenza per accaparrarsi i pozzi petroliferi della regione. Chi faceva fino ad ieri affari diretti con Gheddafi partecipa alla guerra recalcitrante, non vuol essere messo da parte, ma nemmeno vuol abbandonare definitivamente il socio di affari al suo destino. I padroni italiani e Berlusconi non sanno che pesci pigliare, sono stati ancora una volta salvati dall’opposizione, sempre pronta a sostenere ogni intervento militare a condizione che sia definito “a scopo umanitario”. “L’intervento è stato chiesto dagli insorti”, dichiarano per salvarsi la coscienza, ma ci sono altri insorti che non volevano nessuna ingerenza straniera, che volevano vedersela loro con Gheddafi fino alle estreme conseguenze, ma questi è stato conveniente non ascoltarli, come poteva essere giustificato l’intervento armato da gente che si dichiara, a parole, contro la guerra?

I padroni francesi non vedevano l’ora di scalzare i padroni italiani negli affari libici e si sono subito precipitati a bombardare, sempre per “difendere i civili”. E pensare che sono milioni i civili minacciati dai loro governi, ammazzati da truppe straniere, ma nessuno si oppone, anzi i massacri vengono giustificati. Le risoluzioni dell’ONU, quando conviene alla cosiddetta comunità internazionale, disattese. Grozny è stata rasa al suolo e fanno finta di piangere per Bengasi. Il petrolio del Caucaso non poteva essere tolto di mano ai russi, quello libico è più a portata di mano. La guerra contro Gheddafi ha prodotto l’effetto opposto. A Tripoli si sventola la bandiera dell’antimperialismo, del patriottismo anticoloniale, ora è più facile per il regime attaccare gli insorti come agenti stranieri. Se un mese fa nelle strade della capitale i manifestanti furono mitragliati dai mercenari, sollevando opposizione e rabbia, ora, per gli uomini del RAIS, sarà più facile eliminare gli oppositori in nome di una Libia libera ed anticoloniale. Ma sempre sotto il suo tallone.
Noi, operai di uno dei paesi più compromessi nell’aver sostenuto Gheddafi, sudditi di un governo che strizzava l’occhio a Gheddafi mentre ammazzava i manifestanti, abbiamo il dovere di schierarci contro la guerra che i nostri padroni e i loro governi dichiarano contro chiunque. In qualunque modo essa venga giustificata sarà sempre una guerra voluta dai padroni per i loro profitti.
Noi operai guardiamo con ammirazione gli insorti, i manifestanti, gli operai libici che hanno avuto il coraggio di sfidare il regime ed ancora lo sfidano. Abbiamo tanto da imparare, mentre loro hanno combattuto e combattono per buttar giù Gheddafi, noi ci teniamo al governo uno che lo ha abbracciato e gli ha baciato la mano.
Il vento di rivolta attraverserà il Mediterraneo ...

22 marzo 2011
Associazione per la Liberazione degli Opera
Operai Contro


Guerra in Libia, Berlusconi alla Merkel: “Hai fatto bene a non entrarci”
Silvio Berlusconi a Bruxelles, per partecipare al vertice dell’Ue sulla guerra in Libia, rimane in silenzio e ai cronisti rivolge solo qualche laconica battuta: Non avete ancora capito che governare è fare, non dichiarare”, ma con il cancelliere tedesco Angela Merkel sembra confidarsi: Questo è un vertice fatto di chiacchiere. Io sto zitto e aspetto il momento giusto per passare ai fatti”. Il presidente del Consiglio italiano è l’unico leader europeo che non risponde del proprio operato al summit e cerca di evitare le domande scomode dei giornalisti sui suoi rapporti personali con il colonnello Muammar Gheddafi, nonché su questioni spinose come il Patto di stabilità.
Pubblicamente, Silvio Berlusconi si dichiara soddisfatto della conduzione dell’operazione militare “Odissea all’Alba” sotto la nuova guida Nato e promette agli alleati l’impiego in missione di altri quattro aerei e quattro navi, tra cui annovera anche la portaerei Garibaldi. Ma da chi assiste alle riunioni del consiglio europeo trapela il dramma personale e politico di un Berlusconi isolato dalle grandi potenze europee, marginalizzato dagli altri leader. Uno dei membri della comunità ha raccontato che “il premier è entrato nella sala e, al posto di scambiare i normali convenevoli con gli altri leader, scuro in viso si è seduto e ha iniziato a leggere”.

INTERVISTA A ABIS: PER SONDAGGI 'NO' A GUERRA IN LIBIA
Di MIRIAM GIANGIACOMO Guerra in Libia, favorevoli o contrari? Dopo l'esplosione del conflitto, questo è l'interrogativo che maggiormente rimbalza su giornali e televisioni. Per sapere come la pensano gli italiani e per avere un quadro della situazione, il Clandestinoweb ha intervistato il professor Mario Abis.
Professor Abis, in questi giorni si rincorrono i dati relativi all'opinione pubblica riguardo alla guerra in Libia. Cosa ci puo' dire a riguardo?
"Le cifre stanno decisamente e rapidamente cambiando. Attualmente gli intervistati che dichiarano di essere contrari alla guerra in Libia si aggirano intorno al 50%. Come spiegare questo? Al di la' dell'evidente realta' storica che fa' degli italiani un popolo storicamente refrattario ai conflitti, gioca molto anche il fatto che, riguardo alla guerra in Libia, sentono direttamente sulla propria pelle gli effetti negativi, dal momento che vedono crescere il prezzo della benzina giorno dopo giorno. La forte disinformazione operata dai media e la confusione sollevata dalle Istituzioni ha determinato invece la notevole crescita degli indecisi, che si aggirano intorno al 25-30%, numero dovuto al fatto che di questa guerra se ne sa effettivamente poco o niente. Il si' al conflitto, invece, viene dichiarato da circa il 20% degli intervistati".
Un altro quesito che ricorre spesso in questi giorni è: cosa pensano gli italiani riguardo al fatto di costruire nel loro Paese centrali nucleari?
"Ovviamente, dopo la tragedia avvenuta in Giappone, gli animi sono molto scossi. Non dimentichiamo che gli italiani sono di natura molto apprensivi. Credo sia questo che ha fatto crescere del 20/30% il numero degli indecisi, che ha raggiunto quota 30-35%. Per il resto, i favorevoli si aggirano intorno al 25-30% e i contrari al 35-40%".


Scetticismo sulla guerra in Libia

La ragione per cui vi sono tante divisioni sulla guerra in Libia è dovuta alla confusione e alla frettolosità delle decisioni interventiste che ci sono state fin dall’inizio.

Da settimane è stato osservato che si tratta di una situazione fluida e incerta, e tale ancora rimane, con tanti interrogativi. Tutte le conoscenze su quanto sta accadendo ci vengono dall’Occidente. Nulla trapela dal mondo arabo, se si eccettuano quelle notizie che ci vengono trasmesse da Al Jazira, emittente televisiva gestita da sunniti.

Se la Germania, la Russia, la Cina, l’India sono dichiaratamente contrarie a questa guerra, (ché di guerra vera e propria si tratta), ci sono delle ragioni. Putin, sotto l’onda di tale avvenimento, nel contesto di una parte del panorama geo-politico del Nord Africa e del Medio Oriente in preda alle fiamme, ha dichiarato che intende rafforzare gli armamenti. E allora ci si chiede: “Ma dove stiamo andando a parare?” E’ come se si fosse rotto qualcosa. Dall’America parte l’iniziativa di intervenire su un’insurrezione interna a quello Stato del mondo musulmano, poi, dopo il colloquio tra Gates, Putin e Mednev, avvenuto a Mosca in questi giorni, la stessa si tira indietro e cede l’iniziativa delle azioni militari alla Nato sotto la direzione di un comitato politico composto dai Paesi della coalizione occidentale. C’è di mezzo anche il nostro Paese che non sente questa guerra. Non la sente neanche la maggioranza di governo. Si trova ad avere dato la propria adesione perché facciamo parte della Nato, ma per il resto non ha interesse a bombardare la Libia (molto presente nella nostra economia) per partecipare poi (non si sa in che misura) alla sua ricostruzione. Già sono state pubblicate prove che ad armare le mani dei ribelli di Bengasi c’è la Francia e fra i rivoltosi vi sono persone che hanno rapporti con Al Qaeda. Ma è sotto gli occhi di tutti che l’Onu, sotto pressione della Francia e dell’America ha imposto la “no fly zone” sul cielo della Libia, proprio quando Gheddafi era giunto quasi alle porte di Bengasi per liberare la città dai rivoltosi. L’Onu ha intimato la “no fly zone” per la salvaguardia dei civili; ma i bombardamenti della Francia sono andati oltre e hanno continuato a colpire il palazzo e il bunker di Gheddafi con 60 vittime fra i civili. Ma allora questa è una guerra contro Gheddafi che non è compresa nella soluzione dell’Onu. E tutto questo si compie senza trattative, senza un opportuno dialogo con il Raìs, in uno scenario dove nello Yemen, nel Bahrein, in Siria, in Algeria, in Marocco, nell’Arabia Saudita, vi sono focolai accesi di rivolta che rompono gli equilibri esistenti e fomentano una destabilizzazione i cui equilibri potrebbero sfuggire di mano ai Paesi dell’Occidente e quindi anche all’America. Già il recentissimo attentato a Gerusalemme (quaranta morti), riporta in Israele l’incubo del terrorismo. 




Obama e Berlusconi lo bombardano, ma Gheddafi resta un amico

di Mario Ajello
Obama dice di "non voler uccidere Gheddafi". Berlusconi dice di "essere addolorato" per il fatto di fare la guerra a Gheddafi che "è, resta e resterà mio amico". E l'altra sera, a un gruppo di Responsabili, i suoi nuovi sostenitori, il Cavaliere ha addirittura mostrato, tutto contento e tutto commosso, le foto della sua fratellanza "ancora molto viva" con il Rais a cui sta buttando in testa le bombe, in questa guerra che non si chiama guerra e che stanno combattendo anche gli italiani ma senza volerla combattere e solidarizzando con il nemico da abbattere. Abbattere? No, stavolta - secondo la dottrina Obama - si fa la guerra ma non con l'intento di far del male al nemico - nemico? Non chiamiamolo così rudemente, si tratta soltanto di un dirimpettaio o di un diversamente amico per dirla con una formula alla moda - bensì con il proposito di farlo ragionare, di intenerirlo, di dirgli magari: ti dò una stanzetta a villa Certosa con tante buone compagnie femminili, più Apicella, il finto vulcano che erutta e i piatti prelibati del cuoco Michele, ma spostati dalla Libia, così verrai presto rimpianto un pò come fanno gli italiani con la Prima Repubblica. Insomma l'attaccare Gheddafi sì, no, nì, però, ma poco poco, ma umanitariamente, ma senza fargli del male, ma senza interferire troppo e senza sparare più di tanto è una tipica ipocrisia italiana. In questo, il buon Obama è proprio dei nostri



Le urla di Emam: «Stuprata dagli uomini del raìs»
di Fausto Biloslavo
Tripoli Eman al Obaidi ha la sfortuna di essere nata a Bengasi, roccaforte dei ribelli. La sua è una terribile storia che svela la faccia più sporca di questa guerra fatta di rapimenti, violenze e torture. Anche i ribelli non scherzano. In un video che si sono girati da soli mostrano come strappano il cuore ad uno dei miliziani di Gheddafi usandolo come trofeo.
Una settimana dopo il via degli attacchi i libici pro Gheddafi bollano gli alleati come «crociati colonialisti». Tajoura, sobborgo di Tripoli è stato di nuovo bombardato. Il radar che avevamo visto intatto 24 ore prima, ieri bruciava. A 180 chilometri ad est dalla capitale l’enclave ribelle di Misurata è sotto attacco delle truppe fedeli a Gheddafi. Le bombe alleate non sono riuscite ad allentare l’assedio. L’obiettivo principale dei governativi è il porto, unica via di rifornimento e di fuga.
Nella tragica storia della guerra in Libia, ieri mattina, è entrata in scena Eman al Obaidi. Arrivata chissà come nell’albergo Rixos che a Tripoli ospita la stampa internazionale. La donna sui 35 anni, visibilmente scossa, è piombata in mezzo ai giornalisti urlando: «Mi hanno fermato ad un posto di blocco i kataeb. Per due giorni sono stata picchiata e seviziata da 15 miliziani di Gheddafi». Eman ha pochi vestiti sporchi addosso e mostra i segni neri lasciati sulle sue caviglie dalle manette. Il viso è rovinato dalle abrasioni. Sulle gambe ci fa vedere dei tagli e rivoli di sangue. «Guardatemi in faccia, guardate il mio corpo. Questi sono i segni delle violenze subite» spiega piangendo la donna. Sul primo momento siamo sbigottiti. Eman sostiene di essere stata presa ad un posto di blocco della capitale assieme ad altre 12 persone. L’accento arabo è proprio quello di Bengasi. Il nome del clan è lo stesso di Abdul Fattah Younis al Obaidi, l’ex ministro dell’Interno di Gheddafi passato con i ribelli. Sostiene di essere riuscita a fuggire, ma non riusciamo a capire come sia arrivata all’albergo, dove si esce e si entra solo con accompagnatori di regime. Forse qualcuno l’ha aiutata dall’interno.
Eman inizia a raccontare la sua storia, quando piombano come falchi gli uomini della polizia segreta che ci controllano. Un agente in borghese, con un lunga cicatrice sulla fronte, cerca di farla smettere buttandosi addosso alla povera disgraziata. Un altro tira fuori una pistola. Si mettono in mezzo anche i camerieri filo Gheddafi. Un’inserviente prende un coltello puntandolo verso la gola della donna: «Traditrice. Stai dicendo menzogne». La polizia segreta usa le maniere forti con i giornalisti. L’inviato del Financial Times viene buttato a terra e riempito di calci. Al cameraman della Cnn fracassano la telecamera. Con me ci provano, ma resisto e salvo le immagini.
Gli sgherri cercano di infilarle un cappuccio in testa, ma lei si dimena. La portano di peso in giardino e continua ad urlare che vuole denunciare alla stampa le sevizie dei miliziani di Gheddafi. Lo stesso vescovo di Tripoli, Giovanni Martinelli, ha rivelato che ben prima dei raid, all’inizio della rivolta, gli oppositori sparivano nel nulla durante la notte.
Alla fine la donna viene trascinata fuori dall’albergo. Eman continua ad urlare fra i singhiozzi le nefandezze subite. Uno sgherro in borghese cerca di tapparle la bocca con la mano. I governativi giurano che è ubriaca e va subito ricoverata in ospedale. La fanno entrare a forza in una berlina bianca con al volante un giovane miliziano di Gheddafi. Lei piange e dice: «Mi riportano in prigione. Aiutatemi vi prego». Per la coraggiosa Eman, nessuno può fare più nulla.



GUERRA LIBIA - Piano italo-tedesco: "Gheddafi in esilio"

TRIPOLI - L'avanzata dei ribelli non si arresta dopo la riconquista di Agedabia e Brega anche grazie all'incessante potenza di fuoco che gli alleati stanno scaricando sugli obiettivi militari del regime. Infatti sembra che ormai gli equilibri si stiano decisamente spostando in favore dei ribelli con la conseguenze di un chiaro indebolimento dell'autorità e della forza di Muammar Gheddafi.
Tanto è vero che il governo libico ha chiesto un nuovo cessate il fuoco e una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Secondo il portavoce governativo, Mussa Ibrahim, gli attacchi alleati avrebbero causato decine di morti anche fra i civili, perciò ha rinnovato l'invito alla tregua.
Intanto, l'Italia comincia a muoversi con un piano diplomatico ben preciso che dovrebbe garantire l'incolumità di Gheddafi. Il ministro Frattini, di concerto con il collega tedesco, confermando che "non si può pensare ad una soluzione che contempli la permanenza di Gheddafi al potere" ha annunciato che si sta mettendo su un piano che preveda l'esilio del Raìs.
In questo senso, sostiene Frattini, "l'Unione Africana si è già fatta carico di trovare una soluzione".Il piano italo-tedesco sarà presentato al vertice di Londra in programma per martedì prossimo dove s siederanno attorno ad un tavolo i ministri degli esteri della cosiddetta 'coalizione dei volenterosi'.
Il piano comprende, ha detto Frattini, "il cessate il fuoco monitorato dall'Onu, ampie consultazioni con le tribù libiche e un corridoio umanitario permanente a cui stiamo già lavorando con il governo turco".

La sconfitta dell’Italia in Libia

Written by admin Punti di Svista mar 27, 2011


Bisognerebbe cominciare a fare qualche riflessione sulla “campagna” di Libia intrapresa con impressionante mobilitazione di mezzi aerei e navali dall’Occidente che è sempre capeggiato dagli USA anche se il ridicolo e pericoloso capo dell’Eliseo si scalmana e vorrebbe farne una guerra tutta sua, una vendetta personale per le centrali nucleari che Gheddafi non gli ha fatto costruire in Libia e per la enorme commessa di aerei che non sarebbe stata onorata. Gheddafi ha preferito continuare a fare affari e stringere accordi con l’Italia che gli ha salvato la vita sopra i cieli di Ustica e che da quaranta anni è presente in Libia con migliaia e migliaia di ingegneri, tecnici, imprenditori, artigiani. Dalla Libia si diparte il metanodotto, una grandiosa opera di pace che attraversa il Canale di Sicilia e da decenni rifornisce l’Italia del prezioso gas algerino. Sarkozy era ed è furioso per il quasi monopolio italiano di tantissime attività imprenditoriali di stampo non colonialistico: ha invidia per l’Eni che vorrebbe sostituire con la Total e della Finmeccanica e di tutta la miriade di imprenditori che si occupano di tantissime aspetti della vita economica del piccolo ma ricco e prospero paese: sei milioni di abitanti e tre milioni di stranieri occupati, una iperoccupazione dovuta al genio di Gheddafi e della sua amministrazione che ha fatto fare passi di gigante alla Libia mentre il resto dell’Africa boccheggia e si contorce in preda a spaventosi problemi anche di fame e mentre la Tunisia e l’Egitto offrono ai loro cittadini soltanto la via della fuga in Europa.
La prima riflessione riguarda l’Italia ed i suoi servizi segreti. L’Italia è stata colta di sorpresa mentre Usa, GB e Francia organizzavano da mesi l’insurrezione ed avevano già elaborato piani esecutivi dettagliati. L’Italia è stata esclusa da ogni informazione. Il progetto “insurrezionale” si è sviluppato con la precisione di un meccanismo ben congegnato.
Da Bengasi l’insurrezione è dilagata in tutta la Cirenaica ed ha colto di sorpresa il governo. Non ho dubbi che per realizzare questi risultati tutte le persone leali con Gheddafi della Cirenaica siano state trucidate per fare una sorta di pulizia etnica. Quando i rivoltosi parlano di diecimila morti a Bengasi attribuite a Gheddafi penso che si tratti di loro vittime sacrificate per rendere sicuro il loro controllo del governo che si sono affrettati ad insediare e che a quanto pare era già stato riconosciuto dall’Occidente.
La seconda riflessione riguarda il gruppo dirigente italiano. Ieri sera Fabrizio Cicchitto riconosceva il carattere coloniale ed antiitaliano della guerra a Gheddafi. Il governo ha sbandato e pur essendo irritato per essere stato messo di fronte a fatti “epocali” e comprendendo il reale significato della iniziativa francese non ha avuto il coraggio di schierarsi accanto alla Merkel o addirittura di assumere una posizione ancora più chiara di difesa della integrità dello Stato libico e del suo diritto di regolare le sue questioni senza interferenze esterne. Anche se il governo avesse voluto assumere un atteggiamento più consono alla tutela dei nostri interessi e della pace nel Mediterraneo non avrebbe potuto con una opposizione che fa sciacallaggio, che rimprovera a Berlusconi di avere baciato la mano di Gheddafi e che fa di tutto per segnalarsi agli USA come più fedele esecutrice della volontà imperiale. Ricordate il bombardamento di Belgrado ad opera del governo D’Alema? Il governo si è trovato stretto tra la pressione dell’Occidente e il tallonamento della sua opposizione. Ha sbandato, continua a sbandare. Intanto c’è chi ha pensato di tenerlo occupato e sotto pressione inviando in Italia migliaia e migliaia di tunisini che, all’indomani di una “rivoluzione” che defenestra BenAlì “decidono” di venire tutti in Italia.
Sembra chiaro un obiettivo strategico che la Corte Imperiale di Obama si è data: distruggere Gheddafi e l’autonomia della Libia, vendicarsi delle basi militari USA ed inglesi che Gheddafi estromise quaranta anni fa. L’Impero ha la memoria di un elefante. Non dimentica. E’ chiaro che il dopo Gheddafi sarà molto americano, molto inglese e molto francese. Il popolo libico tornerà alla povertà antecedente il lungo regno della Yamarihiya. Sarà ridotto in miseria come è accaduto agli irakeni dopo l’omicidio di Sadam Hussein e l’instaurazione di un governo petainista. Il simbolo della nuova era è dato dalla presenza di una immensa base militare USA grande quanto il Vaticano che troneggia e deturpa il centro storico di Bagdad.
Ieri l’ineffabile premio Nobel per la pace Obama ha dichiarato la sua menzogna davanti al mondo: ha detto che l’intervento degli alleati ha salvato tante vite umane. Non è vero! I missili scagliati sulla Libia hanno ucciso migliaia di persone ed altre ne ucciderà l’uranio impoverito di cui sono stati caricati. Tripoli, come Kabul, come Beirut, come Belgrado,
come Bagdad, come Mogadiscio, è ridotta ad un cumulo di macerie. Tutte le infrastrutture civili sono state demolite. La ricostruzione servirà per fare arricchire le imprese che saranno scelte dagli USA. Gli inglesi finalmente potranno tornare a spadroneggiare in Libia dalla quale il coraggioso e valoroso Gheddafi li aveva cacciati via.
Il piano italo-tedesco annunziato da Frattini, ammesso che esista, non funzionerà. Arriva fuori tempo massimo. L’Italia si è squalificata per non avere saputo difendere la libertà della Libia ed i suoi vitali interessi nel mediterraneo. Si farà quello che è già stato deciso alla Casa Bianca.
Viviamo in un mondo in cui, con cadenza quasi biennale, un piccolo Stato di cultura diversa da quella occidentale viene preso in pugno e stritolato. L’Impero come Polifemo ad uno ad uno uccide e divora i compagni di Ulisse. Oggi è la volta della Libia che scompare dalla carta geografica e torna ad essere un segno geometrico tracciato sulla carta dell’Africa. Domani a chi toccherà? Sarà la volta del Venezuela o dell’Iran? Oppure della Birmania dove una cattivissima giunta militare tiene sotto controllo la signora Aung e si rifiuta di fare installare le basi militare e nucleari che servono agli USA per minacciare da presso la Cina? Succederà qualcosa in Tibet? La guerra permamente al pianeta terra è la politica degli USA. Protetti da due oceani e mai bombardati non conoscono sulla propria carne gli orrori della guerra che fanno conoscere alle loro vittime. Usano soldati professionisti reclutati nelle zone di disoccupazione del paese molti dei quali finiscono suicidi o in grandissima miseria quando ritornano in “patria”. Ma le multinazionali e le banche accumulano potere e tanto tanto denaro.
Pietro Ancona



Tra i pacifisti di Roma anche le "Gheddafine"




Manifestazione pro Gheddafi a Roma. A sorpresa assieme ad uno sparuto gruppo di giovani libici c'erano anche alcune "gheddafine", le ragazze assoldate lo scorso anno da un'agenzia di hostess per partecipare a una serata organizzata in onore del leader libico Gheddafi. Sugli striscioni e sulle bandiere verdi slogan come "Stop alle bombe in Libia", "We Love Libya" e ancora "No alle bombe 'umanitarie', apriamo un canale diplomatico". Una ventina di "gheddafine" erano state invitate a febbraio a Tripoli per incontrare il leader libico, ma il viaggio è stato annullato a causa delle rivolte popolari contro il regime.



di bombe, parole e ipocrisia Ma è così difficile uccidere Gheddafi?

I 'volenterosi' sono in Libia più per motivi interni che per eliminare il Raìs. Così son guai / PANSA






on rispetto parlando, Muammar Gheddafi, il rais libico, mi ricorda un vecchio signore della mia città. Era rimasto vedovo e stava invecchiando male. Pretendeva di comandare sui figli, sulle nuore, sui nipoti. Imponeva la propria volontà, contando sul fatto che il portafoglio lo teneva stretto lui. La sua era diventata un dittatura famigliare asfissiante. I parenti non ne potevano più. Un giorno si riunirono per decidere che cosa fare. Fu una dibattito lungo, ma senza costrutto. La conclusione venne espressa dalla nuora più giovane. Disse: «Non abbiamo alternative. Il vecchio o lo ammazziamo o lo manteniamo».
 Fatte le debite proporzioni, è questo il problema che l’Occidente ha di fronte a proposito di Gheddafi. Sino a oggi, la Coalizione dei Volonterosi si è rivelata un baraccone inconcludente. Siamo al decimo giorno di guerra, vediamo schierata davanti alla Libia una flotta di navi e sottomarini, si alzano decine di aerei supersonici, viene sparata una pioggia di missili che più micidiali non si può. Eppure non si riesce a cavare il ragno dal buco. Nel senso che Gheddafi sta sempre al suo posto. Lancia proclami demenziali. Minaccia stermini e vendette sanguinarie. Blocca le forniture di petrolio e di gas necessarie a molti paesi, a cominciare dall’Italia.
Non sono un esperto di politica internazionale. Ma come tanti altri comuni mortali ho avvertito subito l’ipocrisia reticente dei Volonterosi. Tutti, a cominciare dalla Francia e dalla Gran Bretagna, si sono sempre rifiutati di spiegare che cosa intendono fare per risolvere il rebus Gheddafi. Soltanto venerdì sera, il presidente Usa, Barack Obama, ci ha gentilmente informati che lui non vuole uccidere il rais libico. Ma sembra che l’abbia detto soltanto per calmare i repubblicani e una quota dei democratici che non vogliono vedere gli Stati Uniti impegnati in una terza guerra, dopo l’Iraq e l’Afghanistan. D’altra parte, sappiamo tutti che Gheddafi non ha nessuna intenzione di lasciare il potere. Sin dal primo giorno di guerra, lo ha confermato con chiarezza apprezzabile Silvio Berlusconi, il politico europeo che conosce meglio il leader libico. Da giovedì si sente parlare di una via d’uscita diplomatica. Francia e Gran Bretagna ne hanno in mente una. L’Italia, per bocca del ministro degli Esteri, ha subito dichiarato che anche noi abbiamo escogitato qualche stratagemma indolore.
Ma venerdì sera si è conosciuto un altro indizio del fatto che Gheddafi non pensa affatto di mollare il mazzo. E tanto meno scappare in qualche paese dove non possa essere raggiunto da un mandato di cattura spiccato dal procuratore della Corte penale internazionale. Ce lo ha offerto uno scoop di Tv 7, il programma della Rai guidato da Monica Maggioni. Grazie all’inviato del Tg1 a Tripoli, Duilio Giammaria, è stato intervistato a lungo il portavoce del governo libico: un giovanottone di 36 anni, molto abile e sorridente affabulatore.

IL LIBERATORE - Il portavoce ha spiegato che Gheddafi non si ritirerà mai perché non è soltanto il capo dello Stato libico, ma il leader liberatore della Libia dal colonialismo occidentale. A sentir lui, il rais può ancora cambiare in meglio il paese, grazie a una Costituzione democratica, però non può farlo sotto le bombe dei Volonterosi. Le atrocità, i crimini, le uccisioni dei civili sono invenzioni delle potenze occidentali. Il governo del Colonnello si è trovato di fronte a bande criminali, quelle che sparano a  Misurata e a Bengasi. E si è difeso come avrebbe fatto qualsiasi altro capo di Stato.
Quando Monica Maggioni gli ha domandato che cosa pensasse Gheddafi delle proposte diplomatiche di cui si parla, il portavoce sì è ben guardato dal rispondere. Però ha indicato alcune condizioni irrinunciabili. Elencandole così: una sola Libia e unita, niente spartizione del paese in due; nessun intervento militare dall’esterno; il petrolio è della Libia e deve restare alla Libia.
Non credo che il personaggio intervistato da Giammaria ci offrisse un bla bla personale.
Il suo discorso era realistico e determinato. Ha persino aggiunto che in Libia ci sono molte cose da rinnovare per farne un paese moderno. Ha pure ammesso che il governo Gheddafi ha compiuto un errore nel rapporto con i media. Doveva portare subito sui luoghi degli scontri con le bande criminali i giornalisti di tutto il mondo. Affinché constatassero con i loro occhi in che modo e con quali intenzioni si muovono i delinquenti che noi chiamiamo rivoltosi o insorgenti.
Il portavoce del governo libico fa bene il proprio mestiere, che comprende anche la propaganda. Ma non è fumo negli occhi quello che ci ha offerto. Gheddafi ha una fortissima intenzione di resistere e questo farà sino a quando gli sarà possibile.  Al sottoscritto è sembrata una campana a morto per le velleità odierne della Coalizione dei Volonterosi. Che per il momento sembra impantanata in una serie di controversie oziose.

CHI COMANDA CHI? - Chi comanda l’operazione Libia? L’accoppiata franco-inglese o la Nato? A chi spetta il comando militare e a chi la guida politica? Domande che fino ad oggi non hanno trovato una risposta chiara. Malgrado le infinite riunioni che servono soltanto a dare in pasto qualche frattaglia ai telegiornali pubblici e privati.
Ma allora si ritorna al punto di partenza. Gheddafi lo vogliamo mantenere in sella o lo ammazziamo? Il rais è più astuto di dieci diavoli. Ma non credo che sarebbe difficile accopparlo.
In caso contrario, dovremo riconoscere che ha vinto lui. E sarà prudente mettersi in coda per baciargli la mano o l’anello.



Proposta dell'Italia agli alleati
«Dialogo con tutte le tribù»

Roma caldeggia una soluzione politica





Il ministro degli Esteri Franco Frattini
ROMA - Non solo Bengasi. Franco Frattini non lo dirà necessariamente così, ma questa è la linea che si consolida nel governo italiano in vista della conferenza di martedì a Londra tra i ministri degli Esteri dei Paesi più interessati alla guerra civile in corso in Libia. Gli interlocutori della comunità internazionale, secondo il titolare della Farnesina, non dovrebbero essere soltanto i membri del Consiglio formato nel capoluogo della Cirenaica e dell'insurrezione contro Muammar el Gheddafi, ma anche rappresentanti delle tribù libiche e altri soggetti politici esistenti o potenziali. Mentre gli insorti combattono contro le forze di regime e aerei francesi attaccano l'aviazione del Colonnello, il governo italiano tende a sottolineare la necessità di un «cessate il fuoco» che crei le condizioni di un «dialogo di riconciliazione nazionale». La fine dei combattimenti è un obiettivo della risoluzione 1973 dell'Onu che ha autorizzato «tutte le misure» adatte a proteggere i civili dalla repressione di Gheddafi. Tempi e modi della realizzazione però non sono indifferenti per i prossimi assetti dell'attuale Gimahiria.

Il Foglio, quotidiano che con Silvio Berlusconi ha legami diretti, ha attribuito al Cavaliere l'idea di proporre una riunione a Napoli ai primi ministri degli Stati impegnati nelle operazioni sulla Libia destinate a passare sotto comando Nato. Al momento a Napoli, sede scelta per il comando, è previsto il 13 aprile un incontro ministeriale del cosiddetto «5+5» con cinque Stati della sponda Nord e cinque della sponda Sud del Mediterraneo. La conferenza internazionale più prossima è quella di Londra. Lì le sfumature sugli interlocutori in Libia andranno tenute presenti quanto il contenzioso con la Francia, tuttora in atto, sul comitato politico che dovrebbe affiancare il coordinamento delle operazioni militari affidato alla Nato (stasera a Bruxelles il Consiglio atlantico, nel quale per l'Italia c'è l'ambasciatore Riccardo Sessa, deve decidere con quali mezzi e compiti agirà ciascun Paese impegnato sulla Libia). Frattini non intende formulare la tesi su Bengasi in modo da irritare i ribelli. Da giorni mette in evidenza di aver avuto «contatti con il presidente del governo provvisorio libico, l'ex ministro della Giustizia Jalil», la riapertura del consolato d'Italia e l'invio di cibo italiano via mare alla città del Consiglio nazionale di transizione.

«I vostri aerei in piena notte hanno distrutto i carri che si apprestavano a martirizzare Bengasi e a entrare nella città indifesa. Il popolo libico vi considera liberatori. La riconoscenza nei vostri riguardi sarà eterna», ha scritto Mahmoud Jibril, capo del Consiglio di transizione, in una lettera al presidente francese Nicolas Sarkozy. Frattini dice: «Ho avuto un colloquio con il professor Jibril e mi ha garantito non solo che manterranno tutti gli impegni internazionali verso i partner che vogliono una Libia unita, ma anche che rispetteranno i contratti petroliferi». La riconoscenza «eterna» per Parigi non è però elemento indifferente per Berlusconi, capo di governo del primo partner economico della Libia che riceve dalla Giamahiria circa un terzo del fabbisogno energetico.
Maurizio Caprara
27 marzo 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA





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