PER RIPRENDERCI LA NOSTRA DIGNITA'

sabato 26 febbraio 2011

26 FEBBRAIO: RASSEGNA STAMPA


8 MARZO- DONNE PDL - "FATTORE D.I°CONFERENZA NAZIONALE SU OCCUPAZIONE FEMMINILE E LAVORO"- LORENZIN(VICE RESP. P.O.PDL):" NON E' UNA RISPOSTA A MANIFESTAZIONI DI PIAZZA"

(2011-02-25)
  Si è appena concluso l’incontro con il Presidente Berluscon delle responsabili del settore Pari Opportunità e delle deputate PdL, a  Montecitorio.
“Abbiamo illustrato- ha spiegato la responsabile Pari Opportunità del PDL, On.le Barbara Saltamartini, in una nota- al Presidente Berlusconi il programma della manifestazione che si terrà il 5 marzo a Roma dal titolo “Fattore D. I° Conferenza Nazionale su Occupazione Femminile e Lavoro” che vedrà la partecipazione delle esponenti del Governo e di tutte le elette.

  Nel corso della Conferenza illustreremo le nostre proposte sul lavoro, che verranno poi dibattute nell’ambito della tavola rotonda a cui prenderanno parte il Ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, il Ministro per le Pari Opportunità, Mara Carfagna nonché le esponenti delle parti sociali.”

  L'incontro del 5 marzo, tiene a precisare Beatrice Lorenzin, vice-responsabile del settore Pari opportunita' del Pdl, ''non é' assolutamente una risposta alla manifestazione di piazza del 13 febbraio scorso. La nostra Conferenza trattera' la questione del lavoro femminile, a pochi giorni dalla Festa della donna, grazie anche all'intervento di alcuni ministri''.(25/02/2011-ITL/ITNET)

Direttore responsabile Maria Ferrante − sabato 26 febbraio 2011
da ITALIAN NETWORK





Le ministre Pdl e il bunga bunga

sabato, 26 febbraio 2011
Le ministre Pdl e il bunga bunga
Mi impressiona la direttiva berlusconiana riportata oggi da “Repubblica” e “Giornale”: mobilitare le donne del Pdl a sostegno del primo ministro nella sua vicenda giudiziaria privata. Che fingano tutte di credere alla panzana di Ruby nipote di Mubarak, umiliando la propria intelligenza, perchè la difesa pubblica del capo deve dispiegarsi in coerenza con le esigenze dei suoi legali. Al resto penseranno Silvio Berlusconi stesso, che ha già cominciato a scherzare dappertutto sul bunga bunga e a sostenere che lo vogliono imitare tutti, cominciando dalla sinistra; e il suo fido stratega mediatico Antonio Ricci, già impegnato a sostenere in tv che “così fan tutti”, non solo il suo principale. Avremo modo di ragionarci nei prossimi giorni, anche all’Infedele. ma intanto mi impressiona la prova di sudditanza richiesta da Berlusconi alle donne del suo partito. Un giorno ci racconteranno perchè si sono sentite costrette a offendere se stesse pur di assecondarlo.
da Gad Lerner IL BLOG DEL BASTARDO





 IN ITALIA, UN PROBLEMA DI SALUTE PUBBLICA ---- È la palude stigia che abbiamo fatto della nostra anima (di Roberta De Monticelli - Soggetti alla legge ma non al capo).

26 febbraio 2011, di Federico La Sala
Soggetti alla legge ma non al capo
di Roberta De Monticelli (Saturno, 25 febbraio 2011)
MENTRE UN VENTO di rivolta soffia a sud della Penisola, incendiando i paesi islamici dal Nord Africa all’Iran, ci si può chiedere se la millenaria riflessione occidentale sul potere, la legge e la disobbedienza potrà ancora aiutarci a decifrare il futuro di questa che già la nostra speranza chiama “la caduta dei tiranni”. Ma se rivolgiamo di nuovo lo sguardo al presente italiano, un dubbio ancora più forte ci assale. Ovvero se le categorie filosofiche dell’obbedienza e della disobbedienza, sulle quali si fonda in definitiva quanto di meglio abbiamo saputo dire sui fondamenti del potere politico nella coscienza delle persone, possano servirci ancora. In questa Italia, «terra di nefandezze, abiure, genuflessioni e pulcinellate». In questo nostro Paese che «attraverso Machiavelli, ha mostrato al mondo il volto demoniaco del potere»; «che ha inventato il fascismo»; dove «la politica si è definitivamente trasformata in crimine, ricatto, delazione, scandalo, imbroglio». Parole vigorose.
Parole di uno scrittore, Ermanno Rea, che si fa leggere d’un fiato dalla prima all’ultima pagina nel suo La fabbrica dell’obbedienza (Feltrinelli). Questa fabbrica è l’Italia. Rea attraversa la questione morale passando per i nostri classici, l’Unità tradita, il fascismo, il dopoguerra democristiano, la svolta degli anni Ottanta, fino al presente di «un regime così corrotto e maleodorante che non si sa più con quale aggettivo bollarlo».
UN CORREDO DI SUDDITANZA E MENZOGNA
MA QUESTO libro pone una domanda, semplice e per così dire spettacolare. La stessa dei saggi su Rinascimento Riforma e Controriforma di Bertrando Spaventa, che proprio dagli studi del filosofo napoletano trae ispirazione e respiro. Noi siamo stati i primi. Abbiamo inventato il cittadino responsabile con l’Umanesimo e il Rinascimento. Com’è successo che a questi centocinquant’anni di splendore sia seguita la nostra lunga servitù civile e morale, con il suo corredo di arti della sudditanza, della menzogna, dell’opportunismo e del cinismo, che ritroviamo tanto ben descritte nelle pagine dei nostri classici da Guicciardini a Leopardi?
Com’è potuto accadere che questa storia si sia inesorabilmente ripetuta dopo grandi, in qualche modo miracolose, accensioni di speranza? Il Risorgimento finì di morire col fascismo, e la Costituzione nata dalla Resistenza si vede oggi che fine rischia di fare. Ecco, sarebbe molto miope chi vedesse nella risposta di Rea una semplice riedizione di quella di Spaventa: colpa della Controriforma! Ciò che conta non è di chi o di cosa sia la colpa, ma l’analisi spietata di come si fabbrica la servitù del cuore e la prigionia della mente - che sono l’esatto contrario di tutte le figure di una coscienza delle leggi, antiche e moderne. Delle figure, cioè, dell’obbedienza e della disobbedienza. Del dovere e del diritto. Che stanno alla libertà dei cittadini come la sudditanza al potere illimitato sta alla libertà dei servi. L’opposizione è la stessa che corre fra “I care” e “me ne frego” - come già aveva notato don Milani nel suo L’obbedienza non è più una virtù.
A differenza della legge, il potere è «alla ricerca di un’obbedienza sempre contingente e perciò da rinnovare continuamente, senza mai esigere... una responsabilità totale, prolungata nel tempo». Che sia ottenuta con la dipendenza spirituale, con la tecnica della confessione e del perdono, oppure con la dipendenza materiale, il favore e il ricatto: la distruzione dello “spirito delle leggi” è una cosa sola con la polverizzazione dell’impegno personale. Cioè la riduzione della necessità del dovere alla contingenza della soggezione, del valore della promessa al prezzo dello scambio - in una parola, la demolizione della responsabilità personale, che obbedienza e disobbedienza autentiche presuppongono.
Ci aiuta a vederlo Raffaele Laudani con il suo Disobbedienza (Il Mulino): un testo che, come ogni prima lezione di filosofia del diritto, si apre nel duplice segno del Socrate platonico e dell’Antigone sofoclea. «E poiché sei venuto al mondo, sei stato allevato ed educato, come puoi dire di non essere, prima di tutto, creatura nostra, in tutto obbligato a noi, tu e i tuoi avi?».
SIAMO UNA FABBRICA DI SERVI VOLONTARI
QUESTO DICONO le leggi a Socrate, secondo un celeberrimo passo del platonico Critone. Più che padre e madre sono per Socrate le leggi, senza le quali non esiste Città dove ragione si oppone a ragione, ma solo la ragione del più forte, la guerra o il dispotismo. Perciò Socrate accetta la morte e non fugge, pur sapendo che la condanna è ingiusta. Howard Zinn, cantore americano della disobbedienza civile, non perdonava a Socrate il suo atto di obbedienza.
Eppure è proprio dai tempi dell’Umanesimo e del Discorso sulla servitù volontaria (1548) di Etienne La Boétie che lo sappiamo: un tiranno non ha altra forza che quella che gli conferiscono i suoi sudditi, perché non c’è altra fonte di sovranità che il libero volere degli individui. È questa coscienza, infine, che ha permesso di intendere non solo la disobbedienza, ma anche l’obbedienza come un modo della libertà: l’obbedienza, s’intende, alla legge e non al capo. L’auto-obbligazione responsabile dei cittadini, che ha dunque come ultima fonte di legittimità nient’altro che il rispetto della pari dignità di ognuno. In questa autolimitazione del potere che ci fa, governanti e governati, uguali di fronte alla legge,è il valore della legalità e il senso delle istituzioni democratiche. Come la divisione e la relativa autonomia dei poteri. Oggi respiriamo l’onda maleodorante fatta di abusi condoni favori tangenti impunità soprusi e perdoni. È la palude stigia che abbiamo fatto della nostra anima, con un sì dopo l’altro alla ventennale svendita della legalità in cambio di consenso.
Chiamiamola pure “democrazia bloccata”: Ermanno Rea ci insegna che l’impunità assurta a stile di vita non è che l’ultimo capitolo della storia di minorità morale e cinismo cui ha condotto l’intimo matrimonio delle coscienze e della Controriforma. Solo una parola cambieremmo, al titolo. Non la fabbrica dell’obbedienza, ma della servitù - questo abbiamo fatto e continuiamo a fare dell’Italia. Allora sarà più chiaro che non abbiamo scusanti: perché non c’è servitù se non volontaria.


> IN ITALIA, UN PROBLEMA DI SALUTE PUBBLICA ---- «Tu ci sarai?» 12 marzo 2011, manifestazione promossa da Articolo 21, Anpi, Libertà e Giustizia (di Alessandra Rubenni - «Destra e sinistra scendano in piazza a difesa della Carta»).
25 febbraio 2011, di Federico La Sala
«Destra e sinistra scendano in piazza a difesa della Carta»
Contro il premier e gli attacchi alla Costituzione, la manifestazione del 12 marzo promossa da Articolo 21, Anpi, Libertà e Giustizia. E che registra adesioni anche da destra, Farefuturo compreso, ma senza simboli di partito.
di Alessandra Rubenni (l’Unità, 25.02.2011)
In una mano la Costituzione, nell’altra il Tricolore. Dal pienone al Palasharp di Milano, il 5 febbraio scorso, alla piazza delle donne, l’agenda delle mobilitazioni contro il governo Berlusconi continua, nel segno della difesa della nostra Carta. Appuntamento il 12 marzo con il C-day, «A difesa della Costituzione». Per dire «basta» a chi mira a «oscurare i diritti della persona» e a una riforma della giustizia «per introdurre leggi a uso e consumo» del Cavaliere nazionale, come dicono i promotori della nuova adunata.
Niente bandiere né simboli di partito, punto d’arrivo la stessa piazza che il 13 marzo si è riempita all’inverosimile per la protesta delle donne. A quasi un mese di distanza, si replica con la giornata promossa da un cartello di associazioni, a cominciare da Articolo 21, con Cgil, Anpi, Libertà e Giustizia, Valigia Blu, Libera, Giuristi Democratici, Popolo Viola, Unione degli Universitari, ma anche Farefuturo (almeno in parte) come annuncia il direttore Filippo Rossi su Ffwebmagazine, il magazine della fondazione presieduta da Gianfranco Fini, come pure l’Idv. A sostenere la manifestazione, anche l’Unità che sul suo sito web ha chiesto: «Tu ci sarai?». Interrogativo al quale hanno risposto in migliaia, pronti a scendere in piazza.
Ancora prima come spiega il portavoce di Articolo 21, Giuseppe Giulietti questa mobilitazione, che si inserisce fra le tante che nelle scorse settimane hanno riempito le piazze di tutta Italia, è nata da diversi appelli e da un’idea di Vincenzo Vita, un senatore Pd, insieme a un esponente di destra, come Fabio Granata, deputato di Fli. «È la prima volta si unisce un mondo così variegato, che non sarà mai un partito né una coalizione di governo. Speriamo si uniscano a noi tanti semplici cittadini, ai quali chiediamo per un giorno di riconoscersi semplicemente nella Costituzione, contro il tentativo di chi vuole oscurarla e sottrarre diritti alla collettività», scandisce Giulietti.
La manifestazione principale, dunque, si svolgerà a Roma, con il corteo che partirà alle 14 da piazza della Repubblica per dirigersi verso piazza del Popolo. Con uno slogan che riprende quello del 13 febbraio: «Se non ora quando?». In contemporanea, i cortei e sit-in che si stanno organizzando a Firenze, Torino, Trieste, Pavia, ma anche a Sud, Bari, Lecce, Palermo, e all’estero, a partire da Londra e Praga, che per il tamtam puntano su facebook. Tutti i dettagli disponibili si trovano sul sito www.adifesadellacostituzione.it ( nei prossimi giorni anche su www.cday.it), che si arricchirà di informazioni man mano che la macchina organizzativa procederà nella messa a punto.
«Di fronte a un presidente del Consiglio che dice “questa volta nessuno mi potrà fermare”, usando tono e parole da resa dei conti più adeguati ad un film d’azione degli anni ’80 che ad un civile dibattito istituzionale, le possibilità sono poche», scrivono gli organizzatori. Ma ora, «si tratta di immaginarci da qui a trent’anni» e di immaginare quale Italia vogliamo consegnare ai nostri nipoti.


 IN ITALIA, UN PROBLEMA DI SALUTE PUBBLICA ---- Dice nulla che a far scendere in piazza masse di donne e di giovani sia la parola “Dignità”? (di Vittorio Cristelli - Rivoluzione di giovani per la dignità)
25 febbraio 2011, di Federico La Sala
Rivoluzione di giovani per la dignità
di Vittorio Cristelli (vita trentina”, 27 febbraio 2011)
L’Africa settentrionale è in fiamme. L’insurrezione, partita dalla Tunisi dove è sparito nel nulla il dittatore Ben Ali, ha infiammato l’Egitto mettendo in fuga Mubarak. E si è estesa poi allo Yemen e negli ultimi giorni sta mettendo sotto sopra la Libia di Gheddafi.
Quello che è importante precisare è che non si tratta di una ribellione di massa per il pane - anche se effettivamente il pane manca -, bensì per la dignità umana, la libertà e la democrazia. Tant’è vero che protagonisti e attori sono i giovani tra i 25 e i 35 anni, anche con un lavoro, seppure precario.
Questo è emerso da una riunione del Cipax (Centro interconfessionale per la pace) a Roma il 3 febbraio scorso. Il teologo tunisino Adnane Mokrani, che insegna all’Università Gregoriana di Roma, ha segnalato che si tratta di rivendicazione di “dignità, fiducia e speranza”. Tant’è vero che lo slogan dell’insurrezione scoppiata a Tunisi recitava: “Siamo pronti a mangiare anche solo pane e acqua, ma vogliamo libertà e dignità”.
La prima scintilla è apparsa già in ottobre nel deserto marocchino del Sahara, dove 20 mila persone si erano asserragliate in un distretto chiamato “il campo della dignità”. Una rivolta soffocata nel sangue e nel silenzio dei mass media l’8 novembre. Il teologo Mokrani ha individuato la “novità” nel gesto disperato del giovane 26enne tunisino Mohammed Bou’azizi, che il 17 dicembre si è dato fuoco per protestare contro la requisizione del suo banchetto di frutta e verdura. Non quindi per fame, ma per sete di dignità e giustizia.
La conferma è venuta da un comunicato della Conferenza episcopale del Nord Africa, emanato il 3 febbraio scorso. In esso i vescovi affermano che le manifestazioni rappresentano una rivendicazione di libertà e di dignità e nascono dalle “generazioni più giovani della nostra regione, che si traducono nella volontà che tutti siano riconosciuti come cittadini e cittadini responsabili”. Precisano inoltre che la rivolta non è mossa da vessilli di una fede dominante, ma unisce nella piazze cittadini di appartenenze diverse attorno ad obiettivi di cittadinanza ed è dunque una grande occasione laica di dialogo e convergenza.
Fa loro eco il gesuita egiziano p. Henry Boudlad dicendo che il vero protagonista è il popolo e specificando che “non è il popolo vissuto sempre nella paura e nella sottomissione, ma una categoria molto precisa: i giovani appena diplomati e tuttavia disoccupati, frustrati, senza impiego, senza alloggio, senza prospettive di un avvenire”.
Il teologo Mukrani ammonisce anche l’Occidente e segnatamente l’Italia perché “se pensa di lottare contro l’immigrazione clandestina sostenendo dittature che producono povertà e quindi emigrazione, è fuori strada”.
Il nostro ministro degli Interni Maroni ha pienamente ragione e diritto di sollecitare un maggiore coinvolgimento dell’Europa nell’affrontare l’emergenza di migliaia di maghrebini che fuggono dai loro paesi in crisi per rifugiarsi sulle coste italiane. Ma dovrà pur chiedersi se non è stato un errore madornale affidarsi ai dittatori per fermarli. E come spiegare l’uscita del premier Berlusconi che, a chi lo invitava a telefonare a Gheddafi, ha risposto di non volerlo “disturbare in questo momento”? Disturbare, mentre sta facendo che cosa? La risposta è rintracciabile nei comunicati quotidiani che parlano di centinaia tra morti e feriti nella repressione.
Ma un altro dato deve risvegliare i politici. I giovani anche in quei paesi non si informano attraverso i comunicati ufficiali dei governi in carica, ma attraverso Internet, You-Tube, Facebook e Twitter. Attraverso quei canali si parlano e organizzano le manifestazioni., Spero bene che non si procede a oscurare anche quei canali, perché allora si verificherebbe un trapianto di dittatura. E se quei canali fossero gli stessi che hanno fatto scendere in piazza i nostri giovani - studenti, ricercatori, diplomati e laureati, ma precari? La domanda è retorica.
Un ultimo rilievo. Dice nulla che a far scendere in piazza masse di donne e di giovani sia la parola “Dignità”?


 IN ITALIA, UN PROBLEMA DI SALUTE PUBBLICA: SI PARLA, SI VEDE, E SI SENTE "DOPPIO"! E DA TEMPO!!! ---- Smettere di piangere su stessi, avere coraggio. Elogio della disobbedienza e ritorno del Soggetto (di Eklisabetta Anbrosi)
25 febbraio 2011, di Federico La Sala
Elogio della disobbedienza
di Elisabetta Ambrosi (Europa, 25 febbraio 2011)
Critica del potere. Protesta. Rivolta. Sono queste le parole che rimbalzano da quei paesi del mediterraneo da troppo tempo ridotti al silenzio e alla povertà. Ma anche in Europa, e soprattutto nel nostro paese, riprende vigore il dissenso e, dopo un quindicennio di conformismo berlusconiano, si irrobustiscono le voci critiche. La trasgressione del senso comune sembra finalmente tornare un valore. Più che di rivoluzione però, nel nostro caso si assiste soprattutto al ritorno del Soggetto con la maiuscola, quello che sceglie secondo coscienza. E magari arriva a decidere che ciò che è ovvio per tutti (e insieme quello che i politici che dovrebbe rappresentarlo vanno dicendo), non fa per lui. Peggio, non corrisponde al vero, è falso.
Non si tratta però, con l’eccezione di Saviano, di un ritorno degli intellettuali, spariti da tempo dalla scena pubblica; ma di individui singoli che scelgono strade di radicale diversità: è il caso di Simone Perotti, di cui è appena uscito, per Chiare Lettere, Avanti tutta. Manifesto per una rivolta individuale, seguito del fortunato volume con cui l’autore quarantenne raccontava la sua decisione di lasciare il lavoro e vivere una vita sotto il segno della libertà. «Si può vivere con poco, e soprattutto si può vivere bene», continua a sostenere oggi Perotti, in pagine dove racconta dell’insensatezza di una vita breve, mortale e tuttavia spesa quasi interamente per lavorare in aziende brutte, disorganizzate, dove i talenti vengono sprecati. Luoghi dove si spreca contraddittoriamente quel denaro che appare al tempo stesso come l’unica divinità in circolazione.
Smettere di piangere su stessi, avere coraggio, fare scelte di libertà che vadano contro quello che appare socialmente ben visto, suggerisce invece Perotti. Una scelta difficile, perché se è vero che «il Sistema ci fa consumare, abitare, muovere in modo spesso insensato e disumano», al tempo stesso ci protegge dalla responsabilità: «Mettendoci al riparo dalle scelte, quel mondo ci assolve! Qualunque cosa capiti non è affar nostro, non è colpa nostra».
Il rapporto tra obbedienza al sistema, e insieme alla legge, e la loro violazione è al centro anche di un colto pamphlet dello studioso di politica Raffaele Laudani, Disobbedienza (Il Mulino), da ieri nelle librerie. Si tratta, secondo l’autore, di una relazione tormentata, perché se da un lato i miti fondativi della cultura occidentale - da Adamo ed Eva ad Antigone - fanno della rottura della norma il «punto di partenza del Soggetto moderno, l’atto che consente all’individuo di uscire dallo stato di minorità»; dall’altro, « dal punto di vista politico la disobbedienza resta un tabù, attività proibita e scabrosa».
Ma soprattutto - è un tema centrale di tutta la filosofia politica - se la legge si fonda sulla verità, la verità può non coincidere con l’opinione della maggioranza. In questa non coincidenza del vero con ciò che è creduto dai più, ma che spesso è politicamente e socialmente vincolante, sta il tormento del cittadino, diviso tra ascolto delle proprie intime convinzioni e la loro dissonanza con ciò che sembra giusto a tutti gli altri. Non è un caso che Simone Perotti racconti che il sentimento più diffuso di tutti i lettori che gli hanno scritto è il sollievo scaturito dalla scoperta di non essere pazzi, di non essere gli unici a vivere con dolore il contrasto tra ciò che si avverte come autentico e ciò che appare. Si tratta di un contrasto che ha sempre caratterizzato, scrive a sua volta Laudani, anche il pensiero cristiano, spesso combattuto, nonostante il principio del «dare a Cesare ciò che è di Cesare», tra l’obbedienza alla volontà di Dio e quella all’autorità statale. E che forse comincia ad essere oggi più avvertito, anche se la voce dei cattolici non allineati resta ancora flebile. Due sono le strade praticate per sottrarsi alla condizione di dipendenza da una tirannia (che può essere politica ma anche economico-sociale) e per riaffermare la propria condizione di esseri razionali e liberi.
La contestazione aperta al sistema, come hanno fatto nella storia, tra gli altri, il femminismo, il marxismo, il sessantotto fino ai contemporanei hacker; o la fuga da quel sistema, il ritiro in unazona remota e privata dove non sono in vigore norme che costringono all’inautenticità. Si tratta in entrambi i casi di scelte difficili, perché «la libertà non è a costo zero. E non è per tutti», sostiene Perotti. «Ogni giornata impone scelte, rimanda a noi la responsabilità di cosa fare, quando, a che costo, perché, come. Siamo individualmente e socialmente più esposti, non veniamo protetti da alcuno scudo condiviso» (anzi, aggiunge l’autore di Avanti tutta, «abbiamo perfino la responsabilità della felicità»).
Eppure, anche se non rivoluzionarie, le scelte dell’aperto dissenso, o della dissociazione silenziosa, sono capaci di cambiare la società e persino la storia. La disobbedienza, scrive Laudani, non è «soltanto una modalità di praticare il conflitto sociale (“Il progetto dell’esodo e della liberazione”) ma anche e soprattutto un modo d’essere della democrazia radicale». A differenza della rivoluzione violenta, è il «motore di un lungo processo di trasformazione che non mira alla presa del potere politico, quanto piuttosto alla crescita della nuova società nel guscio della vecchia». «Per capire quanto possa essere efficace un’arma come questa», ha scritto Hannah Arendt, una delle filosofe che più ha analizzato il tema della disobbedienza civile, «dobbiamo solo immaginare per un istante che cosa sarebbe accaduto a questi regimi se abbastanza gente avesse agito “irresponsabilmente”. Negando cioè il proprio sostegno, anche senza scatenare una ribellione o una resistenza attiva »


 IN ITALIA, UN PROBLEMA DI SALUTE PUBBLICA --- La fabbrica dell’obbedienza. Il lato oscuro e complice degli italiani (di Ermanno Rea). La ribellione che parte dalle donne (di Adriano Prosperi).
25 febbraio 2011, di Federico La Sala
La ribellione che parte dalle donne
di Adriano Prosperi (la Repubblica, 25 febbraio 2011
Se è vero che la legge sul "fine vita" è stata la moneta pagata da Berlusconi per rinsaldare il rapporto coi vertici vaticani nell’incontro celebrativo dei Patti Lateranensi, allora ha proprio ragione Ermanno Rea: ancora una volta la Chiesa di Roma si è rivelata come "la fabbrica dell’obbedienza". Eppure quest’ultimo libro di uno scrittore noto e amato (La fabbrica dell’obbedienza. Il lato oscuro e complice degli italiani, ed. Feltrinelli, marzo 2010) non è un libello anticlericale ma piuttosto una radiografia storica della debolezza morale dell’italiano.
La ricorrenza del 150° anniversario dell’unità politica impone a tutti una riflessione che vada al di là della cronaca del presente. Dalla ricca e interessante intervista di Simonetta Fiori a Emilio Gentile (Italiani senza padri, intervista sul Risorgimento, Edizioni Laterza) abbiamo imparato molto sul tentativo fallito delle classi dirigenti liberali del secondo ’800 di far nascere una religione civile.
Nelle celebrazioni del 1911 Ernesto Nathan integrò il santino patriottico della trinità laica Vittorio Emanuele, Cavour, Garibaldi, con la figura di Mazzini come apostolo della religione civile. Ma lo scontro che ne nacque con la religione della Chiesa dimostrò quanto questa fosse ben più radicata nella mentalità degli italiani.
Rispetto a Gentile, Ermanno Rea si muove senza impacci su di una pista più lunga. Il suo è un libro-sfogo, nato dagli appunti di un corso per raccontare l’Italia a degli studenti sotto i limpidi e freddi cieli del Vermont: l’impresa dovette essere difficile già quando si svolse, ben prima che a renderla impossibile giungessero gli ultimi episodi (per ora), non solo delle feste e dei festini del nostro "Cesare" ma anche e soprattutto della confermata disponibilità ecclesiastica a coprirlo garantendo così l’indifferenza complice della società e coprendo di sacrale legittimazione il servile affanno del partito del padrone. Guardarsi nello specchio degli altri è sempre utile. Si legga il giudizio di Ingrid Thulin: "Per voi fare all’amore è peccato: da noi i bambini imparano a scuola come si fa... Voi vi raccomandate a Dio e ai filtri d’amore e vi assolvete confessandovi, noi paghiamo per i nostri sbagli... Per voi le donne sono come le lepri e le pernici, selvaggina; per noi sono individui".
Rea ha preso molto sul serio l’accenno alla confessione: è questa, secondo lui, la macchina inventata dalla Chiesa della Controriforma che ha la responsabilità originaria di avere creato questa Italia "corrotta e ridanciana, superstiziosa e corriva, irresponsabile e bigotta". Da allora, la storia degli italiani è quella di obbedienze servili e di ipocrisia, di lacrime di delinquenti pentiti accolti a braccia aperte - dall’Innominato manzoniano al devotissimo Bernardo Provenzano consumatore di feticci devoti in quantità industriale - e di rarissime, eccezionali ribellioni: quella di Giordano Bruno spicca su tutte. Ermanno Rea ha stilato un inventario di storie degli italiani come un popolo educato alla servitù, alla finzione e alla minorità irresponsabile sotto la guida di una religione maternamente comprensiva e pronta sempre a perdonare.
Le violenze di poteri vili e feroci si sono esercitate su di una popolazione che ha cancellato dai propri costumi perfino il principio fondamentale della "civiltà della vergogna", quella che impone all’eroe omerico Ettore di fare la sua parte e di non fuggire sotto gli occhi di tutti davanti all’invincibile Achille. Le agghiaccianti testimonianze dei disertori processati dopo Caporetto, raccolte anni fa da Enzo Forcella in un’opera memorabile documentano il fallimento della religione civile liberale e introducono al progetto fascista di una religione dello Stato con l’avallo e le benedizioni della Chiesa. Per Rea aveva ragione Curzio Malaparte a parlare del fascismo come il trionfo dello spirito della Controriforma.
Se oggi, osserva Rea, c’è ancora una metà della popolazione italiana che resta "fedele al suo ‘eroe’ nonostante i suoi festini, i suoi mercimoni, la sua rozzezza, il suo cattivo gusto, la sua disarmante comicità" è dunque per una debolezza morale radicata in profondità. Verrebbe voglia di sperare che non sia proprio così, di dire che forse qualcosa si muove nello stagnante scenario di un paese a lungo prigioniero di un grossolano ma efficace incantesimo.
Come valutare ad esempio i segni diribellione che trapelano dall’interno della Chiesa italiana? Mentre ai livelli "alti" della Chiesa è in atto l’arrembaggio a un governo debolissimo che non lesina concessioni fatte letteralmente sulla pelle degli italiani, ci sono cristiani praticanti che mandano vibranti lettere di protesta ai loro vescovi.
Un gruppo di "cristiani della Chiesa di Modena" ha inviato al proprio vescovo un documento di denunzia dello scambio in atto tra "privilegi per la Chiesa e legittimazione per il governo". I firmatari sono persone che si dicono "sconvolte" dal "degrado morale" e dall’arroganza della "classe politica che governa questo paese". E parlano di una crisi che "rischia di compromettere l’unità stessa della Nazione". Segni isolati, voci flebili: ma forse il tempo dell’obbedienza passiva sta terminando perfino in Italia. E a risvegliare la speranza è soprattutto la ribellione che ha assunto per la prima volta nella storia d’Italia il volto di un popolo di donne.





Crisi: il lavoro (che manca) è rosa
Sono le donne a pagare il conto più salato

Il caso Tacconi Sud e le altre «pasionarie» di Latina
La Cgil: più colpiti settori del lavoro femminile. La Regione prepara misure per sostenere le lavoratrici

Tre delle 29 operaie della Tacconi Sud in presidio nell'azienda sulla via Pontina
ROMA - Sono essenzialmente le donne a subire il crollo dell'occupazione nel Lazio. Una su due, infatti, non ha un lavoro. A Latina, che con Roma condivide il triste primato del precariato al femminile, le ultime operaie devono lottare persino per la «normale» cassa integrazione, ed occupano la fabbrica da un mese.
In regione almeno una donna su due è senza posto fisso, la crisi più pesante riguarda le occupate in fabbrica: 29 operaie asserragliate in un'industria tessile sulla Pontina sono diventate il simbolo della rivolta contro questa situazione. Storie di ordinaria disoccupazione, mentre conciliare il poco lavoro rimasto e la famiglia è sempre più una chimera.

Lavoratrici della G.i.a.l.
LA SITUAZIONE - L'analisi dei dati non lascia spazio a troppe interpretazioni: con un tasso di occupazione femminile al 47,7% (dato Istat - Confindustria Lazio riferito al terzo trimestre 2010), almeno una donna su due può dirsi senza un posto fisso. Questo accade in una regione dove la quota di chi cerca una occupazione è stimata sulle 219mila unità - pari a circa la metà degli abitanti della provincia di Frosinone - mentre la quota di occupati nel 2010 è sostanzialmente ferma ai livelli del 2009, con 2milioni e 230 mila lavoratori accertati.
Può consolare il fatto che le donne, rimboccandosi le maniche, si affidano all'auto-imprenditorialità molto più che in altre regioni d'Italia. In questo panorama sarà sempre più difficile quantificare la presenza di lavoratori al nero, come quella degli scoraggiati - coloro che non cercano più impiego - che a detta della Cgil regionale toccano quota 35%. E se il mercato del lavoro è in agonia, ancor più lo sono giovani e donne, che in mancanza di una reale inversione di tendenza rappresenteranno il perfetto ritratto della nuova povertà. Il frutto peggiore del precariato.

Una protesta delle operaie della Tacconi Sud
PRECARIO E' DONNA - Studiando le cifre fornite dall'assessorato regionale al Lavoro riferite al 2010, come confermato dallo stesso assessore Mariella Zezza e dai sindacati, il ricorso alla cassa integrazione in deroga (Cigd) può offrire una indicazione estremamente affidabile sulla situazione del precariato femminile, che nelle province di Latina e Roma tocca le vette più elevate. Ed è proprio qui, nella mancanza di una vera busta paga, che si concretizza la parità raggiunta con gli uomini. Tute sempre più blu, ma per la rabbia di venire espulsi dal ciclo produttivo con scarsa possibilità di rientrarvi, si accompagnano a mogli e madri con stipendi da fame, ridotti con gli ammortizzatori sociali sino a scomparire del tutto.
STATISTICHE IMPIETOSE - E' la provincia di Latina l'area dove la crisi ha letteralmente fatto estinguere la presenza femminile nella piccola e media impresa come nelle più grandi realtà produttive: per 105 aziende dove non erano previsti ammortizzatori sociali, la Cigd ha interessato 1136 lavoratori. Di questi il 45,16% è donna, il 54,84 è uomo. Situazione analoga nella provincia di Roma: il sostegno per i lavoratori licenziati, sempre nel 2010, è stato richiesto da 587 aziende per un totale di 8.707 unità lavorative, per una spesa complessiva che supera i 72 milioni di euro erogati dall'Inps.
Donne in una fabbrica
OLTRE 18 MILA IN «GIGD» - A Roma la quota di donne interessate ha toccato il 44,5%. Le peculiarità del sistema produttivo delle altre province, invece, declinano al maschile la mancanza di lavoro. A Frosinone la cassa in deroga coinvolge circa l'80% di uomini. A Rieti la percentuale al maschile è del 60,4%, a Viterbo del 73%. Nel complesso, il Lazio nel 2010 ha contato 18.887 lavoratori con cassa integrazione in deroga, coinvolgendo 1023 aziende. Ricordiamo che si tratta di risultati desunti dagli uffici regionali, non del tutto completi, ma in grado di offrire un quadro estremamente fedele della situazione in cui versano interinali, apprendisti, piccoli artigiani, cooperative, imprese commerciali, servizi...
Fiaccolata contro la chiusura della Tacconi
IL CASO TACCONI - Ma se le statistiche possono subire ritocchi o far storcere il naso, l'immersione nel paese reale può risultare ancora più utile. Ad offrircela sono le operaie che stanno occupando la «Tacconi sud» sulla via Pontina a Latina. Una battaglia cominciata nel Natale scorso, quando a fronte di anni di crisi è arrivato il secco telegramma che annunciava la chiusura. Ora, tre alla volta, presidiano il sito per non far calare l'attenzione sulla vicenda: «Stiamo compilando da sole i moduli per l'Inps: il vecchio padrone non aveva nemmeno i soldi per il commercialista». A parlare è Rosa Giancola - portavoce del gruppo sulla quale si sono accesi i riflettori grazie alle trasmissioni di Michele Santoro - emblema delle ultime operaie. La Tacconi produce barriere antinquinamento, vanta committenti istituzionali, ma ha chiuso in maniera indecorosa. Forse perchè doveva chiudere e basta. «Tra un po' ci staccheranno anche la corrente - dice Rosa - e l'occupazione del sito diventerà sempre più difficile». Asserragliate in una specie di fortezza Bastiani, le ultime 29 operaie del tessile nel Lazio chiedono l'attenzione di istituzioni ed opinione pubblica. «Quando si parla di perdita di lavoro femminile - dice Rosa - la cosa viene percepita come un male minore: in questo come in tanti altri aspetti l'Italia è piombata in un nuovo Medio Evo».
ROSA E LE ALTRE - Rosa, Romina, Silvana, Maria Teresa: le donne della Tacconi sud si autodefiniscono un campione statistico perfetto in questo momento in cui ad essere protagonista nel sentire comune è lo svilimento del ruolo femminile, fuori e dentro le fabbriche. «Si parla tanto di aiuto alle famiglie - prosegue Rosa Giancola - ma nessuno ha mai realizzato gli asili nido aziendali. Sino a pochi anni fa i fondi europei erano totalmente inutilizzati per questa finalità».
E se mantenere un salario è impossibile, l'accesso al lavoro e le condizioni ricattatorie per le giovani rappresentato un terreno ancora inesplorato. Spesso l'iscrizione al sindacato non è vista di buon occhio mentre in alcune aziende, anche se non esistono denunce formali in tal senso, alle nuove assunte si fa firmare una sorta di licenziamento in bianco che il capo potrebbe tirare fuori in caso di maternità della dipendente. Ad altre, invece, si chiede se facciano uso di contraccettivi.
ANALISI DELLA CGIL - «Seppur parziali - dice Tina Balì, segretaria regionale Cgil Roma e Lazio - i numeri della cassa in deroga, che nel 2011 sarà molto limitata per mancanza di fondi, mettono in evidenza come i settori colpiti dalla crisi siano proprio quelli in cui c'è maggiore presenza femminile: piccole e medie imprese, il commercio, il comparto tessile ed il chimico farmaceutico, il turismo, molte attività stagionali».
Occorre anche pensare, prosegue, «a tutti quelli che non accederanno a nessun tipo di aiuto, a quelle lavoratrici invisibili che per ignoranza dei loro capi vengono licenziate e basta». Tra le misure da adottare come competenze di Stato e Regione - dice Balì - «occorre innanzitutto rifinanziare la cassa in deroga ( quadruplicata negli ultimi anni) e poi concertare in maniera intelligente l'utilizzo dei fondi europei, cercando interventi che non siano solamente spot». Cosa chiederebbe alla Regione? «A Renata Polverini, come donna ed ex sindacalista, chiediamo di occuparsi di problematiche reali. Siamo sicure certi che le conosca già», conclude Tina Balì.
DONNE, FAMIGLIA E IMPRESA - Come possono le istituzioni aiutare madri e mogli a non sacrificare completamente loro stesse alla famiglia? Una risposta la offre l'assessore al lavoro Mariella Zezza: «Tra telelavoro, voucher, istituzione del family manager (una sorta di factotum che possa farsi carico di piccole grandi incombenze, dal fare la spesa a pagare le bollette) la Regione emanerà un bando - annuncia - che ha come finalità la coniugazione dei tempi di lavoro e famiglia. A questo occorre aggiungere la possibilità di creare asili nido presso cui i genitori lavoratori possano lasciare con facilità i propri figli. L'assenza di queste facilitazioni, per le donne, diventa spesso motivo di abbandono di un impiego». Misure che contribuiscono a migliorare la qualità della vita unite a quelle già messe in campo dalla Regione per aiutare chi ha perso un lavoro, chi vuole formarsi, chi vuole crarsene uno.
«Tra le 1200 assunzioni propiziate con il bando 'lavoro in chiaro' - spiega ancora l'assessore - 480 hanno riguardato donne. Per l'avviso sulla stabilizzazione professionale e l'auto-impiego, tra i 300 lavoratori che ne hanno beneficiato, il 63% era composto da lavoratrici». Le donne puntano a mettersi in proprio, e lo dimostrano i dati Unioncamere: «Nel 2010 abbiamo contato 6.683 nuove imprese a guida femminile ( + 2,1%): in questo il Lazio detiene il primato assoluto in Italia».
Michele Marangon

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